CARLOS CASTANEDA – LA RUOTA DEL TEMPO. PENSIERI SULL’UNIVERSO DEGLI SCIAMANI DELL’ANTICO MESSICO

CARLOS CASTANEDA – LA RUOTA DEL TEMPO. PENSIERI SULL’UNIVERSO DEGLI SCIAMANI DELL’ANTICO MESSICO
CARLOS CASTANEDA – LA RUOTA DEL TEMPO. PENSIERI SULL’UNIVERSO DEGLI SCIAMANI DELL’ANTICO MESSICO

CARLOS CASTANEDA – LA RUOTA DEL TEMPO. PENSIERI SULL’UNIVERSO DEGLI SCIAMANI DELL’ANTICO MESSICO
RIZZOLI – Collana I LIBRI DI CARLOS CASTANEDA – I ed 1999

TRADUZIONE: Maria Barbara Piccioli
TITOLO ORIGINALE: The Wheel of Time

INTRODUZIONE
Di Carlos Castanda p. 7

“Questa serie di citazioni è tratta dai primi otto libri che ho scritto sul mondo degli sciamani dell’antico ;essico e derivano direttamente dalle spiegazioni fornitemi dal mio maestro e mentore don Juan Matus, uno sciamano yaqui discendente da una stirpe le cui origini risalgono sino agli sciamani vissuti nel Messico antico”. (p. 7)

DA “A SCUOLA DALLO STREGONE” p. 15

In questo mondo nulla ci viene regalato. Tutto ciò che è da impaarre va imparato con fatica. (p. 18)

Un uomo si avvia verso il sapere come se andasse in guerra: perfettamente vigile, con timore, rispetto e assoluta sicurezza. Andare verso il sapere o in guerra in qualunque altro modo è un errore, e chi lo commette potrebbe non vivere abbastanza a lungo per rimpiangerlo. (p. 19)

Soffermarsi troppo sull’io causa una terribile stanchezza. Un uomo in questa condizione è sordo e cieco a tutto il resto: è la stanchezza stessaa fare sì che non veda più le meraviglie che lo circondano. (p. 20)

Arrabbiarsi con gli altri significa dare importanza alle loro azioni ed è omperativo porre fine a questo modo di sentire. Le azioni degli uomini non possono essere così importanti da mettere in secondo piano la sola scelta possibile: il nostro inevitabile incontro con l’infinito. (p. 22)

Per noi c’è un mondo soltanto. Siamo uomini, e dobbiamo sentirci appagati di vivere nel mondo degli uomini. (p. 24)

Sono quattro i nemici naturali dell’uomo: la paura, la chiarezza, il potere e la vecchiaia. Paura, chiarezza e potere possono essere vinti, ma non la vecchiaia. È possibile ritardarne gli effetti, ma non sconfiggerla. (p. 25)

DA “UNA REALTÀ SEPARATA” p. 28

Gli sciamani dell’antico Messico chiamavano alleati le forze inesplicabili che agivano su di loro. Questo, perché pensavano di poterle usare a loro piacimento, convinzione che si rivelò quasi fatale, dato che ciò che definivano alleati sono esseri incorporei presenti nell’universo. Gli sciamani contemporanei li chiamano esseri inorganici. Chiedere quale sia la funzione degli alleati equivale a chiedere quale sia quella di noi uomini nel mondo. Ci siamo, e questo è quanto. Gli alleati ci sono esattamente come noi; e forse esistevano già prima di noi. (p. 39)

La maniera più efficace di vivere è vivere da guerriero. Un guerriero piò preoccuparsi e riflettere prima di prendere una decisione, ma una volta che l’ha presa, va per la sua strada, libero da timori e preoccupazioni; sono mille le decisioni che ancora lo attendono. Questa è la via del guerriero. (p. 40)

Un guerriero pensa alla propria morte quando le cose si fanno nebulose. l’idea della morte è la sola in grado di temprare il nostro spirito. (p. 41)

Un guerriero deve sapere prima di tutto che le sue azioni sono inutili e nonostante ciò deve procedere come se lo ignorasse. Questa è la follia controllata dello sciamano. (p. 43)

Un guerriero vive agendo, non pensando di agire, e neppure pensando a quello che penserà quando avrà finito di agire. (p. 45)

Un guerriero sceglie una strada, qualunque strada, con il cuore, e la segue; e poi si rallegra e ride. Sa, perché vede che la suavita finirà anche troppo presto. Vede che non c’è nulla che sia più importante di tutto il resto. (p. 46)

Un guerriero non ha onore né dignità, non ha famiglia né nome né patria, ma solo vita da vivere, e per questo il suo solo legame con gli altri uomini è la sua follia controllata. (p. 47)

Poiché nulla è più importante di tutto il resto, un guerriero decide le proprie azioni, e le compie come se per lui avessero importanza. La follia controllata lo spinge a dire che ciò che fa importa, e ad agire come se così fosse, pur sapendo che così non è. Per questo, dopo aver agito, si ritira in pace, e che le sue azioni siano buone o cattive, più o meno efficaci, non è cosa che lo riguardi. (p. 48)

Un guerriero può di restare completamente impassibile e non agire mai, e di comportarsi come se tale impassibilità sia davvero importante per lui; anche in questo sarebbe del tutto fedele a se stesso, perché anche questa sarebbe la sua follia controllata. (p. 49)

Un uomo comune è troppo preoccupato di farsi piacere gli altri o di piacere a sua volta. A un guerriero piace qualunque cosa, qualunque cosa o persona che decida di farsi piacere, e questo è tutto. (p. 51)

Un guerriero si assume la responsabilità delle proprie azioni, anche delle più banali. Un uomo comune mette in pratica i propri pensieri e non si assume mai la responsabilità di ciò che fa. (p. 52)

L’uomo comune vince o perde e, a seconda dei casi, si fa persecutore o vittima. Queste due condizioni hanno ragione di esistere finché un uomo non vede. Il vedere disperde ogni illusione di vittoria, sconfitta o sofferenza. (p. 53)

Un uomo che ha fame o prova dolore non è un guerriero, e le forze della sua fame e del suo dolore lo distruggeranno. (p. 54)

Solo l’idea della morte dà a un guerriero il distacco necessario a consentirgli di abbandonarsi. Sa che la morte lo aspetta e che non gli darà il tempo di aggrapparsi ad alcunché; per questo sperimenta, senza desiderla, ogni cosa. (p. 59)

Il mondo è incomprensibile. Non lo capiremo mai e non penetreremo mai i suoi segreti. Dobbiamo di conseguenza prenderlo per quello che è: un mistero insondabile. (p. 64)

In nessuna circostanza ciò che gli esseri umani fanno può essere più importante del mondo. Un guerriero, quindi, considera il mondo un mistero infinito e le azioni degli uomini un’infinita follia. (p. 65)

DA “VIAGGIO A IXTLAN” p. 71
Gli uomini non capiscono quasi mai che è possibile tagliare fuori qualsiasi cosa dalla propria vita, in qualunque momento, con un battito di ciglia. (p. 73)

Non ci si dovrebbe preoccupare di scattare fotografie o effettuare registrazioni. Queste sono cose superflue di esistenze immobili. Ci si dovrebbe invece preoccupare dello spirito, che è in perenne regresso. (p. 74)

Ma per il guerriero, che non ha una storia personale, non è necessaria alcuna spiegazione; nessuno rimane ferito o deluso dalle sue azioni. E soprattutto, nessuno lo appesantisce con i suoi pensieri e le sue aspettative. (p. 76)

La morte è la nostra costante compagna. Sta sempre alla nostra sinistra, non più lontana della lunghezza di un braccio, ed è l’unico consigliere saggio del guerriero. Ogni qualvolta sente che tutto va male, e che sta per essere annientato, il guerriero può rivolgersi alla morte e chiederle se è davvero così. La morte gli risponderà che si sbaglia, e che al di fuori del suo tocco nulla ha importanza. Gli dirà: “Non ti ho ancora toccato”. (p. 79)

Quando un guerriero decide di fare qualcosa, deve andare fino in fondo, e assumersi al responsabilità delle proprie azioni. Poco importa quello che fa; ma deve sapere perché lo fa e quindi procedere senza dubbi né rimorsi. (p. 80)

In un mondo dove la morte è il cacciatore, non c’è tempo per dubbi e rimpianti: c’è solo il tempo per le decisioni. Poco importa quali siano. (p. 81)

Per un guerriero, essre inaccessibile significa relazionarsi con parsimonia con il mondo circostante. Soprattutto, un guerriero evita di esaureire se stesso e gli altri, non usa né spreme le persone fino a ridurle a niente, in particolare le persone che ama. (p. 83)

Nella sua disperazione un uomo angosciato si aggrappa a qualsiasi cosa, e così facendo si condanna a logorare se stesso oppure le cose o le persone a cui si aggrappa. […] Disperarsi significa essere accessibili, inconsapevolmente accessibili. (p. 84)

Per un guerriero, il mondo è bizzarro perché stupendo, misterioso, insondabile. (p. 87)

Un guerriero deve imparare a far sì che ogni sua azione abbia un peso, perché resterà in questo mondo solo per breve tempo, un tempo in realtà troppo breve per poterne conoscere tutte le meraviglie. (p. 88)

Un guerriero deve focalizzare l’attenzione sul legame che esiste fra sé e la propria morte. Senza rimorso, tristezza, né preoccupazione, deve concentrarsi sulla mancanza di tempo e agire di conseguenza. Deve fare sì che ogni sua azione sia la sua ultima battaglia sulla terra. Solo così quelle azioni abranno il potere che compete loro. In caso contrario saranno, per l’intera durata della sua vita, le azioni di uno sciocco. (p. 90)

Cercare la perfezione dello spirito è la sola impresa degna della nostra provvisorietà e della nostra umanità. (p. 93)

La cosa più difficile al mondo è assumere lo stato d’animo del guerriero. Non serve a nulla provare tristezza, lamentarsi e sentirsi giustificati nel farlo, credendo che gli altri ci stiano sempre facendo qualcosa. Nessuno fa niente a nessuno, tanto meno a un guerriero. (p. 94)

Il guerriero è cacciatore: calcola ogni cosa. Questo è il controllo. Ma una volta fatti i suoi calcoli, agisce e lascia andare. Questo è l’abbandono. Un guerriero non è una foglia in balia del vento. Nessuno può costringerlo: nessuno può forzarlo ad agire contro la sua volontà o contro il suo giudizio. Un guerriero è sintonizzato per sopravvivere, e sopravvivere nel modo migliore. (p. 95)

Povo importa come si è stati allevati: a determinare il comportamento è il potere personale. L’uomo è solo il compendio del suo potere personale, e tale compendio determina il modo in cui vive e muore. (p. 97)

Fin da quando nasciamo gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia come gli altri ci hanno detto che sia. (p. 101)

L’arte del guerriero sta nel bilanciare il terrore di essere uomo con la meraviglia di essere uomo. (p. 102)

DA “L’ISOLA DEL TONAL” p. 107

L’uomo comune dipende dai suoi simili, mentre il guerriero dipende solo dall’infinito. (p. 109)

Un guerriero accetta il suo destino, quale che sia, e lo fa in perfetta umiltà. Accetta in umiltà quello che è, non come motivo di rammarico ma come una sfida vivente. (p. 116)

L’umiltà di un guerriero non è quella del mendicante. Il guerriero non china la testa davanti a nessuno, ma, al tempo stesso, non permette a nessuno di chinare la testa davanti a lui. Il mendicante, invece, si butta in ginocchio e striscia davanti a chiunque gli sembri più in alto di lui, ma, al tempo stesso, esige che chi sta più in basso strisci davanti a lui. (p. 117)

Temete quindi chi vi cattura, temete i vostri padroni. Non sprecate il vostro empo e il vostro potere avendo paura delle libertà. (p. 119)

Ogni qualvolta il dialogo interiore si interrompe, il mondo collassa e affiorano aspetti di noi del tutto straordinari, coem se fino a quel momento fossero stati sorvegliati a vista dalle nostre parole. (p. 124)

Il mondo è insondabile. E così siamo noi, e tutti gli esseri viventi che esistono in questo mondo. (p. 125)

Gli esseri umani sono dei percettori, ma il mondo che percepiscono è un’illusione: un’illusione scaturita dalla descrizione che hanno ricevuto quando sono nati. In sostanza, quindi, il mondo che la loro ragione vuole affermare è il mondo scturito da una descrizione e dalle sue regole dogmatiche e inviolabili, che la ragione impara ad accettare e a difendere. (p. 133)

La differenza fondamentale tra l’uomo comune e il guerriero è che il guerriero affronta tutto come una sfida, mentre l’uomo comune prende tutto come una benedizione o una sciagura. (p. 136)

La morte è l’ingrediente indispensabile del dover credere. Senza la consapevolezz della morte, tutto diventa comune, banale. Il guerriero deve credere che il mondo è un mistero insondabile solo perché la morte lo attende. (p. 138)

Quando un guerrier prende la decisione di agire, deve essere pronto a morire. Se lo è, non ci saranno trabocchetti, né sorprese sgradite, né azioni superflue. Tutto si armonizzerà senza scosse perché lui non si aspetta niente. (p. 143)

Un guerriero come un maestro, prima di ogni altra cosa deve insegnare la possibilità di agire senza credere, senza aspettare ricompense… di agire e basta. Il suo succeso come maestro dipende dall’abilità e dall’armonia con cui saprà dirigere in tal senso i suoi discepoli. (p. 144)

L’autocommiserazione è utile a chi ne fa uso perché lo fa sentire importante e meritevole di condizioni migliori, di un trattamento migliore, oppure perché è restio ad assumersi la responsabilità delle azioni che lo hanno messo nella condizione da cui l’autocommiserazione è scaturita. (p. 146)

DA “IL SECONDO ANELLO DEL POTERE” p. 153

Quando non si ha nulla da perdere, si diventa coraggiosi. Siamo pavidi solo quando abbiamo ancora qualcosa a cui aggrapparci. (p. 155)

Un guerriero sa di non poter cambiare, e nondimeno si fa carico del tentativo di cambiare. Non prova mai delusione quando i suoi tentativi falliscono. Questo è l’unico vantaggio del guerriero rispetto all’uomo comune. (p. 160)

Chiunque può vedere, e tuttavia scegliamo di non ricordare ciò che vediamo. (p. 172)

DA “IL DONO DELL’AQUILA” p. 177

Il consiglio per il guerriero è di non possedere cose materiali su cui concentrare il poprio potere, ma di focalizzarlo sullo spirito, sull’autentico volo nell’ignoto, e non sulle banalità. Chi vuole intraprendere la strada dei guerrieri deve liberarsi da ogni atteggiamento compulsivo verso il possesso e i beni materiali. (p. 181)

Le azioni degli uomini non influenzano più il guerriero quando questi non nutre più aspettative di sorta. Una strana pace diventa la forza dominante della sua vita. Egli ha assimilato uno dei concetti su cui si fonda la via del guerriero: il distacco. (p. 186)

E mi aggrappo ad alcunché.
Per non avere alcunché da difendere. (p. 188)

È molto più facile per il guerriero agire bene in condizioni estreme che mantenersi impeccabile in circostanze normali. (p. 189)

Un guerriero si rilassa, si abbandona, non teme nulla. Solo allora il potere che guida gli esseri umani gli apre la strada e lo sostiene. Solo allora. Questo è il quarto principio dell’arte in agguato. (p. 201)

Di fronte a circostanze impossibili da affrontare, il guerriero si ritira temporaneamente. Lascia vagare la propria mente. Si dedica a qualcos’altro, va bene qualunque cosa. Questo è il quinto principio dell’arte dell’agguato. (p. 201)

Il guerriero comprime il tempo; questo è il sesto principio dell’arte dell’agguato. Anche un solo istante conta. In una battaglia per la sopravvivenza, un secondo è un’eternità, un’eternità che può decidere l’esito. Il guerriero mira a riuscire, quindi comprime il tempo. Non spreca neppure un istante. (p. 203)

Per applicare il settimo principio dell’arte dell’agguato, bisogna applicare gli altri sei: colui che pratica l’agguato non si mette mai in mostra. Osserva da dietro le quinte. (p. 204)

L’applicazione di questi principi porta a tre risultati. Il primo è che chi pratica l’arte dell’agguato impara a non prendersi mai sul serio e a ridere di se stesso. Se non teme di passare per sciocco, saprà far passare per sciocco chiunque. Il secondo è che impara ad avere pazienza infinita. Non ha mai fretta, non è mai in ansia. Il terzo è che impara a sviluppare una capacità infinita di improvvisazione. (p. 205)

DA “IL FUOCO DAL PROFONDO” p. 217

L’importanza del sé è il peggiore nemico dell’uomo. Lo indebolisce il sentirsi offeso dagli atti e dai misfatti dei suoi simili. l’importanza del sé richiede che si passi gran parte della vita sentendosi offesi da qualcosa o qualcuno. (p. 220)

Per colui che vede, la verità è che tutti gli esseri viventi lottano per morire. È la consapevolezza a fermare la morte. (p. 229)

DA “IL POTERE DEL SILENZIO” p. 243

Anche l’uomo comune esamina il passato, ma è a quello personale che è interessato, e per ragioni personali. Si confronta con il passato, sia quello personale sia quello sulla conoscenza passata del suo tempo, per trovare giustificazioni al suo comportamento presente o futuro, o per crearsi un modello. (p. 248)

L’arte dell’agguato consiste nell’apprendere tutti i trucchi del camuffamento, e impararli così bene che nessuno si accorge che si è camuffati. Per riuscirci è necessario essere spietati, astuti, pazienti e gentili. La spietatezza non dovrà essere durezza, l’astuzia non dovrà essere crudeltà, la pazienza non dovrà essere negligenza né la gentilezza stupidità. (p. 254)

L’uomo comune agisce solo nella speranza di un ritorno; il guerriero agisce nel nome dello spirito. (p. 255)