GIUSEPPE UNGARETTI – VITA D’UN UOMO. 106 POESIE 1914-1960
MONDADORI – Collana OSCAR MODERNI n. 90 – 2018
Copia n. 7519…
GIUSEPPE UNGARETTI p. V
L’ALLEGRIA
1914-1919 p. 3
ULTIME
Milano 1914-1915 p. 5
ETERNO p. 7
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla
NASCE FORSE p. 11
C’è la nebbia che ci cancella
nasce forse un fiume quassù
Ascolto il canto delle sirene
del lago dov’era la città
RICORDO D’AFFRICA p. 12
Il sole rapisce la città
Non si vede più
Neanche le tombe resistono molto
IL PORTO SEPOLTO p.17
LINDORO DI DESERTO p.62
[…]
Allibisco all’alba
Mi si travasa la vita
in un ghirigoro di nostalgie
Ora specchio i punti di mondo
che avevo compagni
e fiuto l’orientamento
Sino alla morte in balia del viaggio
Abbiamo le soste di sonno
Il sole spegne il pianto
Mi copro di un tepido manto
di lind’oro
Da questa terrazza di desolazione
in bracco mi spongo
al buon tempo (pp. 21-22)
VEGLIA p. 23
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato
alla vita.
FRATELLI p. 27
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla
sua
fragilità
Fratelli
SONO UNA CREATURA p. 79
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
IN DORMIVEGLIA p. 30
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio
Mi pare
che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia
I FIUMI p. 31
Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato
L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere dell’inconsapevolezza
nelle estese pianure
Questa è la Senna
e in quel torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
MONOTONIA p. 35
Fermato a due sassi
languisco
sotto questa
volta appannata
di cielo
Il groviglio dei sentieri
possiede la mia cecità
Nulla è più squallido
di questa monotonia
Una volta
non sapevo
ch’è una cosa
qualunque
perfino
la consunzione serale
del cielo
E sulla mia terra affricana
calmata
a un arpeggio
perso nell’aria
mi rinnovavo (p. 35)
LA NOTTE BELLA p. 36
[…]Ora sono ubriaco
d’universo
SAN MARTINO DEL CARSO p. 39
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non m’è rimasto
neppure tanto
Ma nel mio cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
ITALIA p. 41
Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d’innumerevoli contrasti d’innesti
maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia
E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre
NAUFRAGI p. 43
ALLEGRIA DI NAUFRAGI p. 45
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
NATALE p. 46
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
MATTINA p. 49
M’illumino
d’immenso
LONTANO p. 51
Lontano lontano
come un cieco
m’hanno portato per mano
UN’ALTRA NOTTE p. 53
In quest’oscuro
colle mani
gelate
distinguo
il mio viso
Mi vedo
abbandonato nell’infinito
VANITÀ p. 58
D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell’immensità
E l’uomo
curvato
sull’acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un’ombra
Cullata e
piano
franta
GIROVAGO p. 59
GIROVAGO p. 61
In nessuna
parte
di terra
mi posso
accasare
A ogni
nuovo
clima
che incontro
mi trovo
languente
che
una volta
già gli ero stato
assuefatto
E me ne stacco sempre
straniero
Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute
Godere un solo
minuto di vita
iniziale
Cerco un paese
innocente
SERENO p. 63
Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Persa in un giro
Immortale
SOLDATI p. 64
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
PRIME
Parigi-Milano 1919 p. 65
LUCCA p. 68
[…]
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
[…]
Ho goduto di tutto, e sofferto.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.
Alleverò dunque tranquillamente una prole.
Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortali, lodavo
la vita.
Ora che considero, anch’io, l’amore come una garanzia della specie,
ho in vista la morte.
PREGHIERA p. 69
Quando mi desterò
dal barbaglio della promiscuità
in una limpida e attonita sfera
Quando il mio peso mi sarà leggero
Il naufragio concedimi Signore
di quel giovane giorno al primo grido
SENTIMENTO DEL TEMPO
1919-1935 p. 71
PRIME p. 73
O NOTTE p. 75
Dall’ampia ansia dell’alba
Svelata alberatura.
Dolorosi risvegli.
Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.
Autunni,
Moribonde dolcezze.
O gioventù,
Passata è appena l’ora del distacco.
Cieli alti della gioventù,
Libero slancio.
E già sono deserto.
Preso in questa curva malinconia.
Ma la notte sperde le lontananze.
Oceanici silenzi,
Astrali nidi d’illusione,
O notte.
PAESAGGIO p. 77
[…]
Quel moto di vergogna delle cose svela per un momento, dando ragione dell’umana malinconia, il consumarsi senza fine di tutto.
NOTTE
Tutto si è esteso, si è attenuato, si è confuso.
Fischi di treni partiti.
Ecco appare, non essendoci più testimoni,
anche il mio vero viso, stanco e deluso.
LA FINE DI CRONO p. 81
LAGO LUNA ALBA NOTTE p. 84
Gracili arbusti ciglia
Di celato bisbiglio …
Impallidito livore rovina …
Un uomo, solo, passa
Col suo sgomento muto…
Conca lucente,
Trasporti alla foce del sole.
Torni ricolma di riflessi, anima,
E ritrovi ridente
L’oscuro…
Tempo, fuggitivo tremito…
INNO ALLA MORTE p. 85
[…]
Amore, salute lucente,
Mi pesano gli anni venturi.
Abbandonata la mazza fedele,
scivolerò nell’acqua buia
senza rimpianto.
Morte, arido fiume…
Immemore sorella, morte,
l’uguale mi farai del sogno
baciandomi.
Avrò il tuo passo.
Andrò senza lasciare impronta.
Mi darai il cuore immobile
d’un iddio, sarò innocente,
non avrò più pensieri né bontà.
Colla mente murata,
coglie occhi caduti in oblio,
farò da guida alla felicità.
DI LUGLIO p. 88
Quando su ci si butta lei,
si fa d’un triste colore di rosa
il bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi,
macina scogli, splende,
è furia che s’ostina, è l’implacabile,
sparge spazio, acceca mete,
è l’estate e nei secoli
con i suoi occhi calcinati
va della terra spogliando lo scheletro. (p. 88)
PARI A SÉ p. 94
Va la nave, sola
Nella quiete della sera.
Qualche luce appare
Di lontano, dalle case.
Nell’estrema notte
Va in fumo a fondo il mare.
Resta solo, pari a sé,
Uno scroscio che si perde…
Si rinnova…
SOGNI E ACCORDI p. 95
ECO p. 97
Scalza varcando da sabbie lunari,
aurorra, amore festoso, d’un’eco
popoli l’esule universo e lasci
nella carne dei giorni,
perenne scia, una piaga velata.
DUE NOTE p. 101
Inanella erbe un rivolo,
Un lago torvo il cielo glauco offende
DI SERA p. 102
Nelle onde sospirose del tuo nudo
il mistero rapisci. Sorridendo,
nulla, sospeso il respiro, più dolce
che udirti consumarmi
nel sole moribondo
l’ultimo fiammeggiare d’ombra, terra!
LEGGENDE p. 107
IL CAPITANO p. 109
Fui pronto a tutte le partenze.
Quando hai segreti, notte hai pietà.
Se bimbo mi svegliavo
Di soprassalto, mi calmavo udendo
Urlanti nell’assente via,
Cani randagi. Mi parevano
Più del lumino alla Madonna
Che ardeva sempre in quella stanza,
Mistica compagnia.
E non ad un rincorrere
Echi d’innanzi nascita,
Mi sorpresi con cuore, uomo?
Ma quando, notte, il tuo viso fu nudo
E buttato sul sasso
Non fui che fibra d’elementi,
Pazza, palese in ogni oggetto,
Era schiacciante l’umiltà.
Il Capitano era sereno.
(Venne in cielo la luna)
Era alto e mai non si chinava.
(Andava su una nube)
Nessuno lo vide cadere,
Nessuno l’udì rantolare,
Riapparve adagiato in un solco,
Teneva la mani sul petto.
Gli chiusi gli occhi.
(La luna é un velo.)
Parve di piume.
LA MADRE p. 112
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
INNI p. 115
LA PIETÀ p. 117
1
Sono un uomo ferito.
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L’uomo che è solo con sé.
Non ho che superbia e bontà.
E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena.
Non sarei degno di tornare in me?
Ho popolato di nomi il silenzio.
Ho fatto a pezzi cuore e mente
Per cadere in servitù di parole?
Regno sopra fantasmi.
O foglie secche,
anima portata qua e là…
No, odio il vento e la sua voce
Di bestia immemorabile.
Dio, coloro che t’implorano
Non ti conoscono più che di nome?
M’hai discacciato dalla vita.
Mi discaccerai dalla morte?
Forse l’uomo è anche indegno di sperare.
Anche la fonte del rimorso è secca?
Il peccato che importa,
se alla purezza non conduce più.
La carne si ricorda appena
Che una volta fu forte.
È folle e usata, l’anima.
Dio guarda la nostra debolezza.
Vorremmo una certezza.
Di noi nemmeno più ridi?
E compiangici dunque, crudeltà.
Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore.
Una traccia mostraci di giustizia.
La tua legge qual è?
Fulmina le mie povere emozioni,
liberami dall’inquietudine.
Sono stanco di urlare senza voce.
2
Malinconiosa carne
dove una volta pullulò la gioia,
occhi socchiusi del risveglio stanco,
tu vedi, anima troppo matura,
quel che sarò, caduto nella terra?
È nei vivi la strada dei defunti,
siamo noi la fiumana d’ombre,
sono esse il grano che ci scoppia in sogno,
loro è la lontananza che ci resta,
e loro è l’ombra che dà peso ai nomi,
la speranza d’un mucchio d’ombra
e null’altro è la nostra sorte?
E tu non saresti che un sogno, Dio?
Almeno un sogno, temerari,
vogliamo ti somigli.
È parto della demenza più chiara.
Non trema in nuvole di rami
Come passeri di mattina
Al filo delle palpebre.
In noi sta e langue, piaga misteriosa.
3
La luce che ci punge
È un filo sempre più sottile.
Più non abbagli tu, se non uccidi?
Dammi questa gioia suprema.
4
L’uomo, monotono universo,
crede allargarsi i beni
e dalle sue mani febbrili
non escono senza fine che limiti.
Attaccato sul vuoto
Al suo filo di ragno,
non teme e non seduce
se non il proprio grido.
Ripara il logorio alzando tombe,
e per pensarti, Eterno,
non ha che le bestemmie.
DANNAZIONE p. 121
Come il sasso aspro del vulcano,
come il logoro sasso del torrente,
come la notte sola e nuda,
anima da fionda e da terrori
perché non ti raccatta
la mano ferma del Signore?
Quest’anima
che se le vanità del cuore
e perfide ne sa le tentazioni
e del mondo conosce la misura
e i piani della nostra mente
giudica tracotanza,
perché non può soffrire
se non rapimenti terreni?
Tu non mi guardi più, Signore…
E non cerco se non oblio
Nella cecità della carne.
LA MORTE MEDITATA p. 123
CANTO PRIMO p. 125
O sorella dell’ombra,
Notturna quanto più la luce ha forza,
M’insegui, morte.
In un giardino puro
Alla luce ti diè l’ingenua brama
e la pace fu persa,
Pensosa morte,
Sulla tua bocca.
Da quel momento
Ti odo nel fliure della mente
Approfondire lontananze,
Emula sofferente dell’eterno.
Madre velenosa degli evi
Nella paura del palpito
E della solitudine,
Bellezza punita e ridente,
Nell’assopirsi della carne
Sognatrice fuggente,
Atleta senza sonno
Della nostra grandezza,
Quando m’avrai domato, dimmi:
Nella malinconia dei vivi
Volerà a lungo la mia ombra?
CANTO SECONDO p. 127
Scava le intime vite
della nostra infelice maschera
(clausura d’infinito)
con blandizia fanatica
la vuia veglia dei padri.
Morte, muta parola,
sabbia deposta come un letto
dal sangue,
ti odo cantare come una cicala
nella rosa abbrunata dei riflessi.
CANTO TERZO p. 128
Incide le rughe segrete
della nostra infelice maschera
la beffa infinita dei padri.
Tu, nella luce fonda,
o confuso silenzio,
insisti come le cicale irose.
CANTO QUARTO p. 129
Mi presero per mano nuvole.
Brucio sul colle spazio e tempo,
Come un tuo messaggero,
Come il sogno, divina morte.
CANTO SESTO p. 131
O bella preda,
Voce notturna,
Le tue movenze
Fomentano la febbre.
Solo tu, memoria demente,
La libertà potevi catturare.
Sulla tua carne inafferrabile
E vacillante dentro specchi torbidi,
Quali delitti, sogno,
Non m’insegnasti a consumare?
Con voi fantasmi, non ho mai ritegno,
E dei vostri rimorsi ho pieno il cuore
Quando fa giorno.
L’AMORE p. 133
CANTO p. 136
[…]
E la crudele solitudine
Che in sè ciascuno scopre, se ama,
Ora tomba infinita,
Da te mi divide per sempre.
Cara, lontana come in uno specchio…
QUALE GRIDO p. 139
Nelle sere d’estate,
spargendoti sorpresa,
lenta luna, fantasma quotidiano
del triste, estremo sole,
quale grido ridesti?
Luna allusiva, vai turbando incauta
nel bel sonno, la terra,
che all’assente s’è volta con delirio
sotto la tua carezza malinconica,
e piange, essendo madre,
che di lui e di sé non resti un giorno
neanche un mantello labile di luna.
IL DOLORE
1937-1946 p. 143
TUTTO HO PERDUTO p. 145
SE TU MIO FRATELLO p. 147
Se tu mi rivenissi incontro vivo,
con la mano tesa,
ancora potrei,
di nuovo in uno slancio d’oblio, stringere,
fratello, una mano.
Ma di te, di te più non mi circondano
che sogni, barlumi,
i fuochi senza fuoco del passato.
La memoria non svolge che le immagini
e a me stesso, io stesso
non sono già più
che l’annientante nulla del pensiero.
GIORNO PER GIORNO
1940-1946 p. 149
1
“Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…”
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo…
[…]
3
Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M’avresti consolato…
4
Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più…
[…]
6
Ogni altra voce è un’eco che si spegne
Ora che una mi chiama
Dalle vette immortali….
7
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…
[…]
9
Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo…
Non conta… ascolto sempre più distinta
quella voce d’anima
che non seppi difendere quaggiù…
M’isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice…
10
Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell’aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio…
11.
Passa la rondine e con essa estate,
E anch’io, mi dico, passerò…
Ma resti dell’amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall’inferno arrivo a qualche quiete…
12
Sotto la scure il disilluso ramo
cadendo si lamenta appena, meno
che non la foglia al tocco della brezza…
E fu la furia che abbatté la tenera
forma e la premurosa
carità d’una voce mi consuma…
13
Non più furori reca a me l’estate,
né primavera i suoi presentimenti;
puoi declinare, autunno,
con le tue stolte glorie:
per uno spoglio desiderio, inverno
distende la stagione più clemente!…
14
Già m’è nelle ossa scesa
L’autunnale secchezza,
Ma, protratto dalle ombre,
Sopravviene infinito
Un demone fulgore:
La tortura segreta del crepuscolo
Inabissato…
15
Rievocherò senza rimorso sempre
Un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
Dal comune castigo ancora illesa…”
Mi abbatterà meno di non più udire
i gridi vivi della sua purezza
che di sentire quasi estinto in me
il fremito pauroso della colpa?
[…]
17
Fa dolce e forse qui vicino passi
dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l’aurora e intatto giorno”. (p. 155)
IL TEMPO È MUTO
1940-1945 p. 157
TU TI SPEZZASTI p. 161
[…]
1
I molti, immani sparsi grigi sassi
frementi ancora alle segrete fionde (p. 161)
[…]
2
Alzavi le braccia come ali
e ridavi nascita al vento
correndo nel peso dell’aria immota.
Nessuno mai vide posare
il tuo lieve piede di danza.
3
Grazia, felice,
non avresti potuto non spezzarti
in una cecità tanto indurita
tu semplice soffio e cristallo,
troppo umano lampo per l’empio,
selvoso, accanito, ronzante
ruggito d’un sole ignudo. (p. 162)
ROMA OCCUPATA
1943-1944 p. 163
FOLLI I MIEI PASSI p. 165
Le usate strade
Folli i miei passi come d’un automa
Che una volta d’incanto si muovevano
Con la mia corsa,
Ora più svolgersi non sanno in grazie
Piene di tempo
Svelando, a ogni mio umore rimutate,
I segni vani che le fanno vive
Se ci misurano.
E quando squillano al tramonto i vetri,
Ma le case più non ne hanno allegria
Per abitudine se alfine sosto
Disilluso cercando almeno quiete,
Nelle penombre caute
Delle stanze raccolte
Quantunque ne sia tenera la voce
Non uno dei presenti sparsi oggetti,
Invecchiato con me,
O a residui d’immagini legato
Di una qualche vicenda che mi occorse,
Può inatteso tornare a circondarrni
Sciogiiendomi dal cuore le parole.
Appresero così le braccia offerte
– i carnali occhi
disfatti da dissimulate lacrime,
l’orecchio assurdo, –
Quell’umile speranza
che travolgeva il teso Michelangelo
a murare ogni spazio in un baleno
non concedendo all’anima
nemmeno la risorsa di spezzarsi.
Per desolato fremito ale dava
a un’urbe come una semenza, arcana,
perpetuava in sé il certo cielo, cupola
febbrilmente superstite.
MIO FIUME ANCHE TU p. 167
Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente
E come a stento erotto dalla pietra
Un gemito d’agnelli si propaga
Smarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l’attesa senza requie,
Il peggiore dei mali,
Che l’attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi;
Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto
O temono l’offesa tanti segni
Giunti, quasi divine forme, a splendere
Per ascensione di millenni umani;
Ora che già sconvolta scorre notte,
E quanto un uomo può patire imparo;
Ora ora, mentre schiavo
Il mondo d’abissale pena soffoca;
Ora che insopportabile il tormento
Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;
Ora che osano dire
Le mie blasfeme labbra:
“Cristo, pensoso palpito,
Perchè la Tua bontà
S’è tanto allontanata?”
Ora che pecorelle cogli agnelli
Si sbandano stupite e, per le strade
Che già furono urbane, si desolano;
Ora che prova un popolo
Dopo gli strappi dell’emigrazione,
La stolta iniquità
Delle deportazioni;
Ora che nelle fosse
Con fantasia ritorta
E mani spudorate
Dalle fattezze umane l’uomo lacera
L’immagine divina
E pietà in grido si contrae di pietra;
Ora che l’innocenza
Reclama almeno un eco,
E geme anche nel cuore più indurito;
Ora che sono vani gli altri gridi;
Vedo ora chiaro nella notte triste.
Vedo ora nella notte triste, imparo,
So che l’inferno s’apre sulla terra
Su misura di quanto
L’uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della Tua passione.
Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell’amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Uamnamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.
I RICORDI
1942-1946 p. 171
L’ANGELO DEL POVERO p. 173
Ora che invade le oscurate menti
Più aspra pietà del sangue e della terra,
Ora che ci misura ad ogni palpito
Il silenzio di tante ingiuste morti,
Ora si svegli l’angelo del povero,
Gentilezza superstite dell’anima…
Col gesto inestinguibile dei secoli
Discenda a capo del suo vecchio popolo,
In mezzo alle ombre…
NON GRIDATE PIÙ p. 174
Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.
TERRA p. 175
[…]
Il vento continui a scrosciare,
da palme ad abeti lo strepito
per sempre desoli, silente
il grido dei morti è più forte. (p. 176)
LA TERRA PROMESSA
Frammenti 1935-1953 p. 177
CORI DESCRITTIVI
DI STATI D’ANIMO DI DIDONE p. 180
[…]
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata. (p. 181)
IV
Solo ho nell’anima coperti schianti,
Equatori selvosi, su paduli
Brumali grumi di vapori dove
Delira il desiderio,
Nel sonno, di non essere mai nati.
V
Non divezzati ancora, ma pupilli
Cui troppo in fretta crescano impazienze,
L’ansia ci trasportava lungo il sonno
Verso quale altro altrove?
[…]
E, in se stesso mutato,
Concede il fiele dei rimorsi a gocce.
VII
Nella tenebra, muta
Cammini in campi vuoti d’ogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.
XIX
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.
SEGRETO DEL POETA p. 187
Solo ho amica la notte.
Sempre potrò trascorrere con essa
D’attimo in attimo, non ore vane;
Ma tempo cui il mio palpito trasmetto
Come m’aggrada, senza mai distrarmene.
Avviene quando sento,
Mentre riprende a distaccarsi da ombre,
La speranza immutabile
In me che fuoco nuovamente scova
E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce.
UN GRIDO E PAESAGGIO
1939-1952 p. 189
MONOLOGHETTO p. 191
[…]
Non c’è, altro non c’è su questa terra
Che un barlume di vero
E il nulla della polvere,
Anche se, matto incorreggibile,
Incontro al lampo dei miraggi
Nell’intimo e nei gesti, il vivo
Tendersi sembra sempre.
GRIDASTI: SOFFOCO p. 201
Non potevi dormire, non dormivi…
Gridasti: Soffoco…
Nel viso tuo scomparso già nel teschio,
Gli occhi, che erano ancora luminosi
Solo un attimo fa,
Gli occhi si dilatarono… Si persero…
Sempre era stato timido,
Ribelle, torbido; ma puro, libero,
Felice rinascevo nel tuo sguardo…
Poi la bocca, la bocca
Che una volta pareva, lungo i giorni,
Lampo di grazia e gioia,
La bocca si contorse in lotta muta…
Un bimbo è morto…
Nove anni, chiuso cerchio,
Nove anni cui nè giorni, nè minuti
Mai più s’aggregeranno:
In essi s’alimenta
L’unico fuoco della mia speranza.
Posso cercarti, posso ritrovarti,
Posso andare, continuamente vado
A rivederti crescere
Da un punto all’altro
Dei tuoi nove anni.
Io di continuo posso,
Distintamente posso
Sentirti le mani nelle mie mani:
Le mani tue di pargolo
Che afferrano le mie senza conoscerle;
Le tue mani che si fanno sensibili,
Sempre più consapevoli
Abbandonandosi nelle mie mani;
Le tue mani che si fanno sensibili,
Sempre più consapevoli
Abbandonandosi nelle mie mani;
Le tue mani che diventano secche
E, sole – pallidissime –
Sole nell’ombra sostano…
La settimana scorsa eri fiorente…
Ti vado a prendere il vestito a casa,
Poi nella cassa ti verranno a chiudere
Per sempre. No, per sempre
Sei animo della mia anima, e la liberi.
Ora meglio la liberi
Che non sapesse il tuo sorriso vivo:
Provala ancora, accrescile la forza,
Se vuoi – sino a te, caro! – che m’innalzi
Dove il vivere è calma, è senza morte.
Sconto, sopravvivendoti, l’orrore
Degli anni che t’usurpo,
E che ai tuoi anni aggiungo,
Demente di rimorso,
Come se, ancora tra di noi mortale,
Tu continuassi a crescere;
Ma cresce solo, vuota,
La mia vecchiaia odiosa…
Come ora, era di notte,
E mi davi la mano, fine mano…
Spaventato tra me e me m’ascoltavo:
E’ troppo azzurro questo cielo australe,
Troppi astri lo gremiscono,
Troppi e, per noi, non uno familiare…
(Cielo sordo, che scende senza un soffio,
Sordo che udrò continuamente opprimere
Mani tese a scansarlo…)
SVAGHI p. 207
SEMANTICA p. 211
IL TACCUINO DEL VECCHIO
1952-1960 p. 215
ULTIMI CORI PER LA TERRA PROMESSA
Roma, 1952-1960 p. 217
Agglutinati all’oggi
I giorni del passato
E gli altri che verranno,
Per anni e lungo secoli
Ogni mattino sorpresa
Nel sapere che ancora siamo in vita,
Che scorre sempre come sempre il vivere,
Dono e pena inattesi
Nel turbinio continuo
Dei vani mutamenti.
Tale per nostra sorte
Il viaggio che proseguo,
In un battibaleno
Esumando, inventando
Da capo a fondo il tempo,
Profugo come gli altri
Che furono, che sono, che saranno.
Se nell’incastro d’un giorno nei giorni
Ancora intento mi rinvengo a cogliermi
E scelgo quel momento,
Mi tornerà nell’animo per sempre.
La persona, l’oggetto o la vicenda
O gl’inconsueti luoghi o i non insoliti
Che mossero il delirio, o quell’angoscia,
O il fatuo rapimento
Od un affetto saldo,
Sono, immutabili, me divenuti.
Ma alla mia vita, ad altro non più dedita
Che ad impaurirsi cresca,
Aumentandone il vuoto, ressa di ombre
Rimaste a darle estremi
Desideri di palpito,
Accadrà di vedere
Espandersi il deserto
Sino a farle mancare
Anche la carità feroce del ricordo?
Ma alla mia vita, ad altro non più dedita
Che ad impaurirsi cresca,
Aumentandone il vuoto, ressa di ombre
Rimaste a darle estremi
desideri do palpito,
Accadrà di vedere
Espandersi il deserto
Sino a farle mancare
Anche la carità eroce del ricordo?
Quando un giorno ti lascia,
Pensi all’altro che spunta.
È sempre pieno di promesse il nascere
Sebbene sia straziante
E l’esperienza di ogni giorno insegni
Che nel legarsi, sciogliersi e durare
Non sono i giorni se non vago fumo.
Verso meta si fugge:
Chi la conoscerà?
Non d’Itaca si sogna
Smarriti in vario mare,
Ma va la mira al Sinai sopra sabbie
Che novera monotone giornate.
Si percorre il deserto con residui
Di qualche immagine di prima in mente,
Della Terra Promessa
Nient’altro un vivo sa.
All’infinito se durasse il viaggio,
Non durerebbe un attimo, e la morte
E’ già qui, poco prima.
Un attimo interrotto,
Oltre non dura un vivere terreno:
Se s’interrompe sulla cima a un Sinai,
La legge a chi rimane si rinnova,
Riprende a incrudelire l’illusione.
Se una tua mano schiva la sventura,
Con l’altra mano scopri
Che non è il tutto se non di macerie.
E’sopravvivere alla morte, vivere?
Si oppone alla tua sorte una tua mano,
Ma l’altra, vedi, subito t’accerta
Che solo puoi afferrare
Bricioli di ricordi.
Sovente mi domando
Come eri ed ero prima.
Vagammo forse vittime del sonno?
[…]
Le ansie che mi hai nascoste dentro gli occhi,
Per cui non vedo che irrequiete muoversi
Nel tuo notturno riposare, sola
Le tue memori membra,
Tenebra aggiungono al mio buio solito,
Mi fanno più non essere che notte,
Nell’urlo muto,notte.
[…]
Rilucere inveduto d’abbagliati
Spazi ove immemorabile
Vita passano gli astri
Dal peso pazzi della solitudine.
[…]
Veglia e sonno finiscano, si assenti
Dalla mia carne stanca,
D’un tuo ristoro, senza tregua spasimo.[…]
Soffocata da rantoli scompare,
Torna, ritorna, fuori di sé torna,
E sempre l’odo più addentro di me
Farsi sempre più viva,
Chiara, affettuosa, più amata, terribile,
La tua parola spenta.
L’amore più non è quella tempesta
che nel notturno abbaglio
ancora mi avviceva poco fa
tra l’insonnia e le smanie,
balugina da un faro
verso cui va tranquillo
il vecchio capitano.
CANTETTO SENZA PAROLE
Roma, Ottobre 1957 p. 231
PER SEMPRE p. 235
Senza niuna impazienza sognerò,
mi piegherò al lavoro
che non può mai finire,
e a poco a poco in cima
alle braccia rinate
si riapriranno mani soccorrevoli,
nelle cavità loro
riapparsi gli occhi, ridaranno luce,
e, d’improvviso intatta
sarai risorta, mi farà da guida
di nuovo la tua voce,
per sempre ti rivedo.