Una scrittura a corpi aperti, Philippe Destruel

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Una scrittura a corpi aperti
Itestidelromanzierepoggianolaloropsicologiasuquelladicorpiirrimediabilmentesofferenti,tormentatidallamalattia, dalladecrepitezza,lappetitosessualeolasolitudine.
DiPhilippeDestruel
TRADUZIONE
Stefano Fiorucci&Jeannine Renaux
In Céline, medico di formazione e di professione, il corpo patisce sotto
i colpi della malattia e del desiderio. L’uomo appare come una bestia
sofferente, presto raggiunto dalla donna, dal momento che è priva di una
sessualità felice. Ferdinand, il narratore celiniano, soffre anche nel suo
corpo dei tormenti del desiderio. Somaticamente e fisicamente, la guerra
aggredisce ovviamente il corpo.
Entrando nei tropismi dell’autore, ci si rende conto che Voyage au
bout de la nuit
sviluppa un immaginario del corpo sano e malato prima di
tracciare i contorni di una nosografia romanzesca. La sessualità, se diventa
procreatrice, spinge la donna al fianco dell’uomo malato. L’organicità prende
allora il sopravvento sull’oscenità in questa epistemologia del somatico. Chi
dice fisiologia dice patologia. Il corpo femminile anche alla decadenza. Abitacolo
del morboso, dell’eccesso, dello scarto, la donna non lo domina mai. Il suo
corpo diventa così un organismo attraversato da mali, aggravato dall’isteria,
la nevrosi, la follia. Il patologico sarà l’assenza evidente di ogni norma biologica,
la manifestazione del vivente. Voyage presenterà insomma una omeostasi
minata. L’essere sarà portatore di vita per la quantità di energia morbosa di
cui disporrà per arrivare alla fine della decadenza. C’è in questo testo una
sfida ad un’antropologia soggettivista compiacente. L’essere umano troverà il
suo posto ideale all’ospedale, al dispensario, strutture sociali ospedaliere
ovunque presenti al punto di sostituirsi al mondo.
La scrittura della malattia generalizzata si costruisce a partire da uno
sguardo sul somatico; legato così a una tematica, comanda in una certa misura
uno stile di scrittura perturbata. In quest’opera, l’essere somatico è un
essere parlante. La parola non è né un rimedio né uno schermo alla malattia; è
la prova di questa malattia: la parola vitalista è essenzialmente delirio
logorroico. Sul piano della scrittura, la lingua accademica è per Céline morta
sul nascere. Il linguaggio di Voyage è invece vivo, prima di tutto
sessualizzato, osceno, brutalmente vitale o/e soprattutto organico, insudiciato,
corrotto, volontariamente degradato. Si percepisce una funzione sregolatrice in
questa scrittura simile dei corpi malati. Ellissi, ripetitività ridondante,
rallentamento, affollamento, sono le manifestazioni di questa frase fisiologica
che si riferisce ormai solo al corpo che la proferisce. Le “perturbazioni”
pianificate della scrittura di Céline saranno come spinte dalla pressione d’una
patologia generalizzata.
Tra logorrea e silenzio
Si tratta di far dire al corpo
le sue ultime rivelazioni, proprio come lo si auspicava nell’esperienza
clinica. La malattia punteggerà il viaggio iniziatico del narratore celiniano,
quello della notte, della decadenza. La verità della malattia chiede una
risposta che il medico non otterrà mai. Egli diventa allora non quello che
guarisce, ma quello che fa della sofferenza morbosa un processo d’accesso alla
coscienza della vita umana, dell’abbandono al mondo, della miseria. Il medico
della scrittura abbandona la maschera sociale del demiurgo malgrado lui per
mescolare il dolore dell’altro all’immaginario dello scrittore.
Così il corpo volubile del
soggetto celiniano (fisiologico, psichico, politico, linguistico, simbolico), –
nel modo di stare al mondo e ai suoi oggetti, nel suo comportamento lirico che
fa passare gli affetti e le percezioni tramite la lingua, la sua sensibilità,
il essere nel mondo – ci conduce al fulcro dell’opera.
Tuttavia, per Céline, il corpo
scritto è legato anche al tema del silenzio, come lo dimostra Mort à credit.
In Inghilterra, l’adolescente, disgustato dall’avvenire che gli si riserva, ha
deciso di tacere. Affascinato da Nora. Lontano dalle parole, nelle cose, nella
sfera sessuale, tenta di ritrovare una comunicazione vera. Significa
sottovalutare che il silenzio può essere un ostacolo alla trasparenza, e
bloccare qualsiasi cambiamento generando una violenza dolorosa in ognuno dei
partner: il voyeurismo ossessivo del protagonista provoca infine le grida e il
suicidio di Nora. La carne imbavagliata conduce a una liberazione catastrofica
degli istinti. Questa sequenza è dunque ancora fortemente ambivalente. I sensi
risvegliano il corpo-pelle che, non riuscendo a comunicare nei mali del
desiderio e nel piacere solitario, diviene come essere di linguaggio.
Demone della carne
È possibile leggere Guignol’s
Band I
e II partendo dal’esame di un altro motivo scappatoia, non il
silenzio, ma l’estasi. Ferdinand, al suo arrivo a Londra, esce dalla Prima
Guerra mondiale, della quale vuole dimenticare gli orrori. Ma sarà lo stesso
messo di fronte alla dismisura, sempre all’origine della violenza omicida. Dovrà
prima sfuggire alla propria isteria mortifera. Quella del coraggioso, morituro,
che lo conduce al delirio causato, a suo dire, per un trauma cranico. E astenersi
dall’isteria femminile, decuplicata nel mondo equivoco delle prostitute che
frequenta. Il narratore è l’ “eroe” che fa da legame tra gli uomini partiti per
la guerra, dunque assenti, e le donne in calore, ossessionate; il tramite tra
il mondo della violenza omicida e quello della violenza sessuale. È ancora al
centro di un’isteria collettiva che storpia i corpi; il suo in particolare è
abbandonato al demone della carne, malmenato dalla ninfetta Virginie, suo la
sua ingenua libertina. Quello che offre Guignol’s Band dopo la seconda
guerra mondiale e i pamphlet, sono altri modi d’esistere sempre tesi verso il
primato del sensibile, dell’esperienza emotiva, al-di là della cognizione, del sapere.
Ritroviamo l’immaginario del
corpo in Feerie I e II (Normance), quello del corpo maltrattato
in tempo di guerra, perché l’estasi è per essenza passeggera; le conseguenze
del suo arruolamento collaborazionista non hanno tardato di ricordarsi a
Céline. Nel primo volume, il narratore, prigioniero della sua casa di
Montmartre durante un bombardamento, o rinchiuso nella sua cella danese, è un
detenuto che aspira all’allargamento. Nel secondo, è soprattutto capo
espiatorio, vittima dell’odio dei suoi vicini, maltrattati come lui dai
bombardamenti su Montmartre. Nei due tomi di Feerie, col passare delle
“evasioni” mentali del narratore, Céline ci rinchiude nel suo corpo
oltraggiato, condannato a un confinamento e a una reputazione da incubo,
intralcio vivente. Questa violenza punta a scioccare sicuramente, a scuotere
quelli che vogliono solo la pelle dello scrittore. Céline esibisce il corpo
martirizzato del narratore, il suo doppio; corpo del quale i traumi sono  garanti di un’arringa per un riconoscimento
di martire e d’innocenza contro i suoi accusatori e i suoi carnefici.
Il corpo porterà le tracce
della violenza dei bombardamenti, degli scontri e dei loro traumi; corpi
sconvolti come        quelli dei
Montmartresi che ancora circondano Ferdinand; corpi che possono disarticolarsi,
smembrarsi, vuotarsi, disaggregarsi, polverizzarsi o ritrovarsi spinti verso
l’alto, fuori dei loro abitacoli, in un caos permanente, sfidando le leggi di
gravità o delle gravitazioni. Il corpo è il luogo d’un pensiero vivo,
specifico. A partire da una messa in gioco delle dimensioni d’oralità,
d’analità e di sadismo abitualmente censurate, la visione che offre il
narratoer del suo corpo è portatrice d’una violenza effettiva, comparabile
all’aggressione fisica. Questa scrittura si vuole tattile nel senso che far
capire è, prima di tutto, resto toccare, abbracciare… Bisogna provocare nel
lettore degli  accenni di coscienza
dolorosi e patetici e mettere in scacco ogni processo di condanna. Il corpo
tormentato del narratore ci rimanda al nostro, all’angoscia della nostra stessa
difformità interiore.
So che ho un corpo mio senza
doverne cercare le parti nello spazio oggettivo. Partendo da questa esperienza,
Céline mette in scena l’entropatia tra il corpo del lettore e il suo. Lo spazio
corporale si è dissolto, la carne tramutata, ritorna nella scrittura. Quello
che conta infine sono le risonanze d’un corpo divenuto musica, ritmo, rumori,
suoni… Così ci si può interessare alla corporalità, in termini di visione
antropologica, come uno strumento strategico e un componente fantasmagorico e
apocalittico essenziale del mondo dell’autore, negando ogni colpevolezza,
riguardo alle aggressioni subite a causa delle sue scelte politiche. Inutile
discriminare la giustizia delle cause, lo stato di violenza diventa
intollerabile, sconcertante, stupefacente, d’essere colto allo scoperto.