PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – APPUNTI PER COMPRENDERE IL SECOLO


PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – APPUNTI PER COMPRENDERE IL SECOLO
EDIZIONI ALL’INSEGNA DEL VELTRO

TRADUZIONE E NOTE: Attilio Cucchi
COPERTINA, FOTOGRAFIE E IMPAGINAZIONE: Cristina Gregolin

INTRODUZIONE. APPUNTI PER UNA RIVOLUZIONE DEL CORPO
Di Attilio Cucchi p. 9

CAPITOLO I – EQUILIBRIO DEL CORPO E DELL’ANIMA NEL MEDIO EVO p. 37

Nei più antichi testi finora pervenutici, possiamo leggere che l’antichità greca – come le altre dieci civiltà antiche da noi conosciute – ha lodato il corpo. Ma lo ha fatto senza insistervi, poiché allora la forza e la bellezza erano qualcosa di naturale. (p. 37)

Più tardi l’antichità attua tutte quelle distinzioni che conosciamo e che le saranno fatali. Isola il corpo sotto la falsa luce dell’estetica. Falsa luce, per un istante splendida, ma il corpo e l’anima divisi tendono a opporsi. (pp. 37-38)

Arrivano le filosofia che, molto prima del cristianesimo delle origini, trascurano, condannano o negano il corpo e in tal modo preparano l’indebolimento, lo smarrimento e la distruzione dell’anima.
Nel ciclo storico in cui ci troviamo, il Medio Evo tratta il corpo come la prima Antichità, poiché esso è una prima Antichità, giovane ed energica. […]
Il Medio Evo è stato una magnifica epoca di giovinezza. Questa giovinezza non solo ha trionfato nei costumi, ma anche nelle arti, nella poesia, nella filosofia e nella religione.[…]
L’uomo del Medio Evo tuttavia ha già perso gran parte della sua vivacità e della sua rudezza. Non è più un primitivo. (p. 38)

Tuttavia quest’uomo ha ancora un corpo, e un corpo magnifico. Per lui è il colmo della primavera. È abbastanza civile per raffinare la propria forza, ma non tanto da iniziare a distruggerla. Il XII e il XIII secolo equivalgono ai bei secoli arcaici della Grecia.
Quest’uomo è, grosso modo, un contadino o un guerriero. Non c’è ancora una grande differenza fra il campagnolo e il cittadino. (p. 39)

Le condizioni di vita erano dure sia per i poveri che per i ricchi. Tutti erano sottoposti a continue prove fisiche. Indubbiamente, non sempre, le epidemie e le guerre selezionavano i più robusti.
Quando esaminiamo i monumenti che ci restano di quell’epoca, scopriamo una clamorosa espressione di forza e di allegria dei corpi. Essa si manifesta nell’architettura, nelle miniature, nella poesia e nella filosofia religiosa.
Quei castelli e quelle cattedrali non possono essere stati costruiti da un tipo umano infiacchito e triste. […]
Non appena la scultura medievale riesce ad andare oltre i primi incerti tentativi, influenzati dall’arte bizantina, essa crea un poema in onore del corpo umano che è pari ai capolavori dell’arte greca, egizia o assira. (p. 40)

Il Rinascimento, come lo intendiamo, è solo uno sviluppo e per molti aspetti un declino del formidabile movimento di vita e di creazione che è cresciuto senza interruzioni non appena gli Europei hanno potuto respirare di nuovo dopo le invasioni […]. (p. 42)

Questa gioia di vivere, questa gioia di avere un corpo, di possedere un’anima in un corpo, di nutrire l’uno con l’altra, questa gioia di esistere si manifestano apertamente e pienamente non malgrado il cristianesimo, ma attraverso quest’ultimo. (pp. 44-45)
Nel Medio Evo il pensiero della Chiesa esalta la contraddizione della bellezza della vita col suo orrore, esalta la creazione e nello stesso tempo la sua caducità, da cui può essere salvata solo con la grazie. Si erge fra il corpo e l’anima, fra il male e la grazia, Dio e il Diavolo, la forza e la debolezza, come nel periodo aureo il pensiero greco si poneva fra Dioniso e Apollo e il pensiero ebraico fra il Dio della bontà e il Dio della collera.
Tutto questo risplende sulle volte delle cattedrali, dove si alternano laidezza comica e bellezza tragica. (p. 45)

Non c’è nessuna differenza essenziale, in definitiva, fra la grande epoca medioevale e l’età aurea greca. […]
Bisognerà proprio che l’umanità riconcili e riunisca – in una grande integrazione – il mondo pagano con quello cristiano. (p. 46)
È il mito del Progresso che è in questione. Mito ristretto, mito zoppo. […]
Quando il corpo è entrato in agonia, lo spirito ha cominciato a dare segni di affanno. Quei segni che hanno pesato sul destino delle nostre generazioni.
Il secolo XX seppellirà la vana dottrina del Progresso; potrà farlo allegramente, se sarà un secolo di rinascita.
L’Europa sta al Medio Evo come l’uomo maturo alla giovinezza.[…]
Il Medio Evo non ha ignorato il corpo. Sono stati i successivi secoli razionalisti a dimenticare il corpo e ad assicurarne la distruzione, fatale per lo spirito. (p. 47)

La coscienza del corpooggi può salvarci dal lungo disastro della coscienza che si è distolta da esso, tutta concentrata e spossata su un punto sempre più astratto.
Non appena l’uomo ha vissuto nelle società urbane, è stato costretto a diffidare del proprio corpo. (p. 49)

La vita sessuale si è differenziata, individualizzata, affinata, pervertita. Si è cominciato a vedere nel corpo soprattutto il luogo della vita sessuale. l’eccesso sessuale ha attirato il sospetto sul corpo. Sospetto sociale. Il corpo, sorgente di ogni vita, è apparso anche come la sorgente dell’anarchia, della morte della società.
È apparsa la nozione del peccato. Si è nascosto il corpo.
Tutto ciò è di gran lunga anteriore al cristianesimo[…] (p. 50)

CAPITOLO II – IL RINASCIMENTO. PRIMI SCOMPIGLI p. 55

Il Rinascimento, il tempo breve4 e tardivo che viene chiamato con questo termine specifico è l’ultimo, supremo momento di quel lungo, continuo Rinascimento che è stato tutto quanto il Medio Evo.
In Italia il XV e il XVI secolo, in Francia il XVI, non scoprono il corpo; ne mostrano compiutamente la bellezza. (p. 55)
Bisogna conoscere la grandezza del Medio Evo per comprendere come il Rinascimento abbia potuto guastarsi così velocemente e, passata la reazione relativamente felice della Controriforma, correre ad infrangersi contro il razionalismo oltranzista del XVIII secolo. […]
Solo dopo aver visto come una lenta degradazione questi tre scoli succeduti al Rinascimento sarà possibile individuare nel nostro tempo l’ultimo livello della caduta ed anche gli elementi di una salutare risalita.
La storia del corpo percorre più gradi. Nel primo, il movimento del corpo è gioioso ed ingenuo, non conosce sé stesso e si confonde con lo slancio dell’anima; nel secondo, lo spirito riflette sul corpo e prende coscienza di esso come di un oggetto di piacere, estetico o erotico. È la differenza che esiste tra la gioia e il piacere. Tale è la divisione fra il primo e il secondo Rinascimento.
Il Medio Evo ha conosciuto la gioia del corpo, il Rinascimento ne ha conosciuto il piacere. (p. 57)
Il Rinascimento ha ancora il senso dell’insieme delle forze umane e del loro necessario equilibrio. Il Rinascimento non sacrifica l’anima al corpo; in esso il Medio Evo onora ancora l’anima nel corpo. (p. 59)
La Riforma è arrivata solo come un eccesso, in risposta all’eccesso in cui stava sprofondando il Rinascimento.[…]
Gli Europei stanno per staccarsi dalle fondamenta del Medio Evo, sono sul punto di perdere il senso della loro virile spiritualità.
Si verifica la rottura fra campagna e città. Il contadino vede allontanarsi per sempre l’uomo delle città. […]
La nobiltà che ha la responsabilità feudale è morta ed è sostituita da una nobiltà di servizio che diserta i propri castelli e arriva alla città attraverso la Corte.
Essa disimparerà quella vigorosa e completa cultura del corpo ch’era l’apprendistato cavalleresco. (pp. 60-61)
Si comincia a parlare della natura proprio perché se ne è lontani; se ne parla in modo distaccato, nostalgico, vago. […]
Si comincia a vedere nel corpo solo un termine di opposizione astratta con l’anima. Il corpo, che è diventato un oggetto estetico ed erotico, cessa d’essere quella sorgente fresca e spirituale che era stato durante il Medio Evo. (p. 61)
Da allora le due forze, a lungo unite nella spontaneità unica della giovinezza, si separeranno e si contrapporranno; mistica e ragione divengono misticismo e razionalismo. (p. 62)
Dopo la separazione dell’anima dal corpo, l’esplosione della ragione avviene fuori dallo spirito. (p. 63)

CAPITOLO III – RAZIONALISMO E ROMANTICISMO p. 67

La piena giovinezza, la piena salute, il pieno equilibrio dell’Europa medioevale si realizzano in tre momenti: 1)la decadenza del Medio Evo; 2)le riprese, in diversa maniera incomplete, del Rinascimento e della Riforma, 3)della Controriforma e del Classicismo.
Ci sono anche tre momenti nel pieno sviluppo della patologia:
1)il XVIIII secolo dichiara il Razionalismo e abbozza la sua apparente e vana controparte, il Romanticismo; 2)la Rivoluzione dell’89 precipita questi elementi nella vita e la impregna completamente; 3)Il Romanticismo sviluppandosi mostra risultati e contraccolpi della Rivoluzione Razionalista. (p. 67)
Fino al 1750 l’uomo è ancora qualcosa di sostanziale, solido, intimamente vincolato a se stesso, pieno di gioia severa. (p. 68)
A dispetto della sua ancor notevole presenza, non è più soltanto l’anima, ma è anche il corpo che comincia ad alterarsi. La struttura ossea si deforma leggermente, le mani si assottigliano, lo sguardo si smarrisce. […]
Nel frattempo l’uomo ha assegnato un primato eccessivo ad una delle sue forze sulle altre: la ragione; l’ha isolata.
Ha perso il senso dell’universo e del divino. (p. 70)
La ragione dei razionalisti è una brusca riduzione delle possibilità umane al governo delle cose materiali, è una sistematizzazione nefasta dei procedimenti più immediati di questo governo. E le possibilità del corpo subiscono tale riduzione quanto le possibilità dell’anima. Questa ragione piena di sfida che si crede tutta tesa verso l’avvenire, è l’arresto dell’uomo.
Da ciò immediatamente il sussulto e l’esplosione del Romanticismo, un tentativo disperato di sradicamento di questa ragione – o di distensione stravagante di questa ragione. (p. 71)
L’uomo ha fatto la Rivoluzione e l’Impero – guerre civili e guerre esterne: si è prodigiosamente espresso e logorato. Il grande eccesso, la profonda debolezza del razionalismo si sono manifestati in questo ciclo di ventisei anni. l’uomo, per il troppo credere alla ragione, in nome della ragione ha fatto la guerra in tutta l’Europa, e ne è uscito spossato. Razionalista, non si è mostrato ragionevole. Non equilibrandosi con altre cose, la ragione diviene principio di dismisura, d’intolleranza, di frenesia imperativa. (pp. 72-73)
L’impero francese di Napoleone era stato solo la mostruosa e sterile ipostasi dell’orgoglio nazionalista. (p. 72)
Il cinismo succede all’entusiasmo e in questo cinismo le nuove coscienze si uniscono a quelle antiche. (p. 73)
La corrente cinica e quella melanconica si incontrano spesso nei romantici. Il punto d’incontro è nella vita sessuale.[…]
Il tratto principale sono le Confessions: la confessione dell’onanismo, fisico o morale, del soggettivismo sentimentale. (p. 74)
Che cos’è un romantico? È un uomo che ha dubitato della ragione vedendo lo spettacolo dal 1789 al 1815, ma che, essendo disposto a credervi perdutamente come un uomo del XVIII secolo, è pronto a credervi ancora; vi si aggrappa disperatamente. Così Lamartine, Vigny e Hugo.
Il romantico vede gli inconvenienti del razionalismo, la rottura fra ragione e mistica, ma non può riannodarle. Le convulsioni politiche lo hanno obbligato a sfiorare questo buco, questo abisso che rende assente la mistica, ma la sua educazione razionalista non gli fornisce gli elementi solidi per colmarlo. Così la religione per lui è atto di fede che può essere solo vago e vano. (p. 75)
Ossessionato dal dispiacere di non poter essere altro che razionalista e di non poter ridiventare solidamente mistico, l’uomo romantico cerca di staccarsi da un’analisi incompleta e dunque deludente perdendosi nell’eloquenza lirica e nella fantasia artistica. Si rifugia nel vago per sopravvivere. Peraltro, se è un uomo stanco, occorre riconoscere ce in lui vi sono ancora grandi risorse di energia. Cerca anche di cavarsela mediante un formidabile moto di scienza, di industria, di viaggi. […]
La maggior parte dei primi romantici, dal 1820 al 1840, rifugge in questo modo dal male che ha in sé e vi riesce con la forza della creazione verbale. (p. 76)

CAPITOLO IV – COMPIMENTO DEL ROMANTICISMO p. 83
NATURALISMO E SIMBOLISMO

L’uomo nella grande città non sa più cosa vi sia dietro la fame e la sete; dimentica le piante, gli animali e le stagioni. Per lui i cani, i cavalli, i fatti, gli uccelli sono soltanto manichini. Vive come se non si morisse mai, pensa come se non vi fossero terremoti, epidemie, guerre, massacri. (p. 83)

L’uomo non cammina più, non corre più, non salta più. Muove a malapena gli organi e le membra. Mangia e beve troppo. L’unico movimento che gli rimane è quello dell’erotismo. […]
L’industrializzazione accentua i misfatti dell’urbanesimo. Dato che tutto è fabbricato dalal macchina, la città assume un aspetto sempre più astratto, più rigido; presa nel vortice di innumerevoli macchine che presiedono ai suoi lavori e ai suoi piaceri, essa stessa diventa un’enorme macchina. La vita va sempre più verso un automatismo istantaneo.
Il razionalismo, spaventato da se stesso e dal suo allontanamento dalla vita, si è sforzato di riprendere il controllo di sé diventando materialismo, poi macchinismo, poi automatismo; così è ritornato su se stesso e ha ritrovato la sua pura astrazione. […]
La macchina ci mostra il trionfo, ma anche lo scadimento della ragione. […]
[…]dell’invisibile e del visibile, la ragione si appesantisce, sprofonda nella sola materia. (p. 84)

Con la macchina l’uomo si allontana sempre più dal corpo e dalla natura. […]
La scienza, sganciata da ogni asse spirituale, si rilassa in maniera folle, diventa demoniaca. […]
A poco a poco nel corpo intorpidito delle città si sono perduti gli effetti divini del lavoro dei campi, il solo che mantiene l’armonia fra la natura e l’uomo. (p. 85)

Le città sono feconde solo se relativamente vicine ad un ambiente contadino. […]
L’afflusso contadino rinnova nella città il vigore e la sicurezza dei gesti. Certo, non con un apporto diretto e brutale, ma attraverso un filtro. (p. 86)
A cosa servono oggi le mani? Mani, povere mani, che pendono morte ai nostri fianchi. Come volete che nascano ancora dei pittori quando le mani sono morte? Lo stesso vale per i musicisti e gli scrittori. Perché lo stile nasce per loro, come per tutti gli altri, dalla memoria di tutto il corpo.
Del resto, anche il contadino vede insidiarsi pian piano le sue virtù. Con la natura, con gli oggetti, i suoi contatti sensoriali e manuali diminuiscono; non è più l’artigiano universale di una volta;rinuncia a fabbricare i propri utensili, li acquista così come acquista i vestiti, i mobili, le sementi, ogni sorta d’ingredienti. La macchina sostituisce l’arnese. L’agricoltura diventa in parte un’industria staccata dalla natura, imposta alla natura come le altre industrie. […]
L’uomo romantico è un uomo che, avendo sentito esaurirsi la linfa nelle parole, ha cominciato ad esasperarle, a forzarle, per compensare la loro perdita di realtà. I primi romantici si sono così dati il cambio. (pp. 86-87)
L’uomo che non si occupa più della guerra, fa troppo l’amore, si stanca, diventa passivo. Pervertito con la donna, può esserlo anche con l’uomo. E la donna che accarezza l’uomo può accarezzare anche la donna.
Se l’uomo non rischia la vita nella lotta, ben presto non la rischierà nella paternità. Perché fare un figlio è morire a metà, è annullarsi a metà, è mutilare per sempre il proprio egoismo. […]
A partire dal momento in cui l’uomo non rischia più la morte, non può più credere gli dèi, poiché gli dèi rappresentano il sentimento della vita che affronta la morte e la supera. L’uomo perdendo il senso della gloria perde il senso dell’immortalità, e mentre perde quest’ultimo perde anche quello della divinità.
Ma se la divinità muore, la natura si offusca e la realtà umana che impercettibilmente diventa fastidiosa.
Il Romanticismo era nato insieme col razionalismo, l’ha conosciuto come un male al quale però era legato. (p. 88)
Fra naturalisti e simbolisti non c’è la distanza che essi hanno creduto e che si crede; gli uni e gli altri sono gli ultimi ed estremi romantici. Solo che gli uni erano poeti e gli altri romanzieri; i primi percepivano la malattia nel suo invisibile segreto, gli altri la descrivevano nella sua grossolana esteriorità. (pp. 89-90)

Qui più corpo ma non più anima. Non è più l’anima, è il suo riflesso in uno specchio. Non è il moto dell’anima, è l’imitazione del moto dell’anima. Non è l’ispirazione, è il suo ricordo. (p. 93)
Simbolisti e naturalisti sono dei romantici. Romantici che spinto a fondo ciascuna delle due tendenze del Romanticismo, da un lato la malinconia, il dispiacere, la disperazione dell’anima abbandonata, separata dal corpo, ripiegata su se stessa, dall’altro l’abbandono del corpo senz’anima a se stesso nell’infatuazione, nell’abuso, infine nella degradazione. […]
Quel corpo è una cosa nascosta, ipocrita, deforme, convulsa, brutta. È una cosa che si contendono lavoro meccanico ed erotismo, l’amore per il denaro e l’alcool. (p. 94)

In Mallarmé notiamo l’ultimo grado della decadenza del corpo, quella sessuale. È nelle opere più delicate e più profonde che si scorge meglio la vibrazione del nervo che vibra. La poesia di Mallarmé è il capolavoro dell’onanismo. Intorno a questo punto delicato si risolve definitivamente tutta la debolezza del secolo. (pp. 94-95)

Poi arriva il diluvio tardivo della generazione del 1900 a favore dello sconvolgimento della guerra. Ora è la grande Massoneria che stende dovunque i suoi tentacoli e contemporaneamente chiede silenzio e acquiescenza.
Una Massoneria affiancata da quella della droga. (p. 96)

CAPITOLO V – MORTE E RESURREZIONE DELL’ANIMA
L’ALTRA FACCIA DEL SIMBOLISMO p. 101

Alla fine del XIX secolo sembra che si sia arrivati al capolinea; sembra che arte, letteratura e filosofia non possano avvicinarsi ulteriormente alla morte senza confondersi con essa. (p. 101)
Tuttavia dopo la disgregazione doveva venire la distruzione. Nel disastro l’uomo tocca terra e si rialza. Il corpo e l’anima, giunti al fondo della degradazione, rinascono assieme.
In questo simbolismo che racchiude ogni specie di corruzione, scorge il germe di una rinascita dell’anima. Lo vedo ritrovare la via mistica attraverso le sue contemplazioni e le sue estasi egocentriche. (pp. 101-102)

È nel simbolismo – inteso in senso lato – che il Romanticismo reale, quale esisteva in Gerania e in Inghilterra, si è alla fine realizzato.
Il surrealismo dei nostri giorni fu soltanto la sopravvivenza esasperata e moribonda di questo romanticismo vero, di questo simbolismo. Ne fu principalmente la presa di coscienza retrospettiva, storica.
Il romanticismo vero, o simbolismo, è la ripresa del senso mistico[…]. (p. 103)

Impossibile capire qualcosa della Rivoluzione e del Romanticismo se non si conosce il movimento degli Illuminati e se non si conosce quello della Massoneria.
Il misticismo rinasce presso gli Illuminati, ma in una forma strettamente intellettuale. La Massoneria, che pare abbia per un attimo intravisto la verità intuita dall’Illuminismo, se ne allontana sempre più nel corso del XIX secolo, nel quale essa diventerà decisamente l’istituzione plebea e tristemente demoniaca che mediante l’abuso del razionalismo assicura la distruzione di ogni vita. (p. 104)

Forgia così le armi di Rimbaud e Verlaine.
Questi due, al primo colpo, senza saperlo, sono naturalmente mistici, e come lo si era nel Medio Evo. Con loro il Romanticismo, che finalmente ha torto il collo all’eloquenza e al razionalismo, compie il passo decisivo di Nerval.
Rimbaud riprende il dramma di Baudelaire e nonostante i suoi scarti, i suoi dinieghi, le sue bestemmie, lascia una delle due o tre opere sicuramente più poetiche e quindi mistiche della letteratura francese.
In lui, tuttavia, il misticismo non raggiunge l’equilibrio. Rimane un mistico selvaggio, sperduto, senza senso, senza scopo, senza sostanza, che finisce per arrestarsi davanti all’immagine che il suo crollo assumerà, cioè la follia. (p. 105)

In quest’ultimo simbolista, in quest’ultimo romantico, non c’è più simbolismo, non c’è più romanticismo. Il cerchio si chiude; l’uomo si è ricostruito; l’anima e il corpo dopo una lunga separazione si sono ricongiunti. Compimento che, per niente isolato, p al contrario una famosa promessa. (p. 106)

Come controparte di questa corrente scristiana c’è stata la magistrale imprecazione di Céline. Céline è Bloy meno Dio. È poca cosa ed è molto. […]
Solo la Russia, che si trova ancora in età medioevale, è riuscita a produrre più facilmente un uomo dotato della pitenza mistica e ragionevole del Medio Evo: Dostoevskij. (p. 110)

Claudel non deve far dimenticare Léon Bloy. Léon Bloy non è possibile immaginare Claudel, Bernanos e Céline. (p. 111)

CAPITOLO VI – MORTE E RESURREZIONE DEL CORPO
SPORT E ATLETICA p. 117

È iniziata un’enorme rivoluzione nel costume quando la miseria fisica stava dando i suoi ultimi frutti, i più marci, i più velenosi, quando si esasperava e si irrigidiva la rivoluzione urbana che aveva strappato l’uomo alla natura e alla campagna, che aveva separato la sua anima e il suo corpo e fatto avvizzire separatamente l’uno e l’altra. La rivoluzione contraria avrebbe riportato l’uomo delle città verso al campagna[…]. (p. 117)

L’uomo all’improvviso getta uno sguardo di spavento e di orrore sulla città e su se stesso, come lo ha reso la città. Si vergogna del proprio corpo, della propria bruttezza, delle propria debolezza. Non piò più sopportare il sidagio e la sofferenza generati dall’inattività. Su di lui pullulano le malattie. Si vede preda delle malattie quanto dei rimedi. Lui, che ha temuto e fuggito il caldo e il freddo, al pioggia, la neve e il vento, si trova oppresso da raffreddori e reumatismi e perseguitato da farmacisti e medici, una torma burlesca suscitata dalle Erinni biologiche. Malattie del corpo e dell’anima. Si accorge che il male dell’anima si intreccia con quello del corpo. Si annoia e la sua noia diventa malinconia, nevrastenia, nevrosi. I medici scuotono la testa e lasciano intendere che è malato dappertutto.
Dopo aver sofferto molto, dopo essersi tormentato e rigirato per ogni verso, l’uomo di decide a uscire dalla città. Scopre la campagna, il mare, la montagna, dapprima in modo maldestro, timido, poi con maggiore audacia. Si arrischia nell’acqua, si arrampica sui pendii, si affida alla velocità. Riceve il battesimo del sudore. Si allarga i vestiti, li strappa. Trascina la moglie e il bambino nel suo viaggio di scoperte, d’esplorazione, d’iniziazione. (p. 118)

Lo sport, moltiplicandosi, variando, diventa uno studio. L’uomo è portato a prendere coscienza di tutto il suo organismo, ad analizzarlo pezzo per pezzo, a misurarne tutte le possibilità. (pp. 118-119)
Lo studio dello sport conduce alla disciplina dell’atletica. Dietro questa disciplina c’è tutta una filosofia della vita e dell’uomo che riappare. (p. 119)

Darwin, come Marx e con la stessa inconsapevolezza lavora alla distruzione del razionalismo. La sua idea di seleziona velava tute le bombe che non sono mai state piazzate sotto la tribuna dei parlamentari democratici, tutta risonante di un continuo ditirambo sull’uguaglianza. Infine apparve Nietzsche. Dio è Dio e Maometto è il profeta. […]
Infrange la moral il quanto rifugio truccato del razionalismo. Rimette il corpo – e le sue passioni e le sue resistenze e le sue esigenze, le sue discipline e i suoi rigori, il suo indispensabile ascetismo – al proprio posto, al centro della vita spirituale. Smaschera e sgombra tutte le tendenze del XIX secolo e indica così al XX direzioni pronte per l’azione. […]
Nietzsche è il santo che annuncia l’eroe. (p. 123)

Nietzsche infrange, rende impossibile il vecchio razionalismo, sovverte il 1789, il XVIII secolo (lui che ne era un fervente), apre la strada piena e larga al duplice recupero del corpo e dell’anima. (p. 124)

Dopo il 1914 tutta quest’ondata di filosofia della forza nutre i destini russo, italiano, tedesco. (p. 125)

CAPITOLO VII – LA RINASCITA DELL’UOMO EUROPEO p. 129

Un certo pensiero della fine del secolo XIX e dell’inizio del XX aveva preparato per l’umanità europea gli strumenti di una rinascita quale non si era mai più vista da secoli, di una rivoluzione completa a 360 gradi.
A un certo punto i nuoi vostumi hanno definitivamente raggiunto il pensiero che li invocava.
Per reazione contro la città, era nato un uomo nuovo, che dominava la città e la campagna, che restaurava nell’anima e nel corpo i valori della forza, del coraggio, dell’affermazione, desideroso di abbracciare l’esperienza e la prova, di assestarsi su un rapporto diretto fra ciò che è sentito, ciò che è pensato e ciò che è compiuto. Questa pratica della ragione, al di là dei divergenti eccessi del razionalismo e del romanticismo, doveva inevitabilmente sfociare nell’ordine politico e cercarvi il proprio coronamento. Fra la Russia, l’Italia e la Germania comparve quest’uomo[…]. (p. 129)

Quest’uomo rifece il cammino di Nietzsche. […]
[…]lo preparavo per la vita, si ritrovò nichilista di fronte ad una tabula rasa in cui erano abolite tutte le categorie e le vetuste restrizioni di un ragione divenuta razionalismo e di una morale divenuta ipocrisia. […]
Gli uomini della nuova età, nell’Europa orientale o centrale o meridionale, si scoprirono abbandonati dalla ragione e dalla morale. Si gettarono nella giungla che cresceva sulle macerie in mezzo alle quali erano nati, riconoscendo soltanto il mito della Vita, poiché sapevano molto bene che la passione ricostruisce sempre la ragione, in quanto deve incessantemente ordinarsi intorno ad una guida dominante, mortificare la maggio parte dei suoi desideri a vantaggio di quello principale, graduare strumenti ed effetti. Ricreando la ragione, l’uomo d’azione ricrea la morale, che è solo un aspetto della ragione. (p. 130)

È apparso l’uomo nuovo, in tutta la sua grandezza, in Italia e in Germania. In Russia appare invece mutilato e compromesso, perché i “barbari”, che sono dei “primitivi” toccati e sconvolti dalle decadenze vicine, come cani senza padroni cercano il cibo nelle pattumiere e quindi devono digerire gli avanzi peggiori.
L’uomo nuovo rende prioritari i valori del corpo. Parte dai bisogni e dai dati del corpo. […]
L’uomo nuovo parte dal corpo, sa che il corpo è l’articolazione dell’anima e che l’anima non può esprimersi, dispiegarsi, trovare una base se non nel corpo. Non c’è nulla di più spirituale che questo riconoscimento del corpo. È l’anima che invoca e reclama la salvezza e si salva ritrovando il corpo. (p. 131)

No, la gioventù europea, che ha riscoperto, attraverso la pratica, spesso forzata e ridotta, commerciale e spettacolare dello sport, i ritmi elementari della respirazione umana, i ritmi elementari della giornata umana, non era materialista. Nei suoi ranghi si formavano i peggiori nemici del materialismo, sia del materialismo dei capitalisti dell’altro ieri sia del materialismo dei socialisti di ieri. (pp. 131-132)

Trascendevano la grande città, la fabbrica, il laboratorio, preparavano nel corpo il vaso spirituale della collera contro la schiavitù di una scienza e id un’industria attardate nelle loro prime forme di applicazione sociale.
Nel corpo restaurato i valori dell’anima ricominciavano a circolare generosamente. Erano il coraggio, lo spirito di decisione e di creazione. Non c’è pensiero senza azione. (p. 132)

Questo movimento è nato da due fatti convergenti: l’apparizione di due uomini nell’immaginario europeo: l’uomo russo, ancora contadino, che non è stato guastato e consumato dalla vita urbana, e l’uomo anglosassone, pioniere, avventuriero, sportivo d’oltremare. l’uomo continentale, dopo essersi ritemprato con lo sport, si è lanciato come un emulo vigoroso a far concorrenza a questi due tipi umani.
all’improvviso, verso il 1920, appare il prodotto dell’educazione sportiva che si sviluppa in Europa ormai da qualche lustro: il fascista, l’hitleriano. Questo tipo assimila certi tratti del bolscevico della guerra civile russa e del gangster americano. (p. 133)

È un tipo umano che rifiuta la cultura, che s’irrigidisce in mezzo alla sua depravazione sessuale ed alcolica e sogna di dare al mondo una disciplina fisica dagli effetti radicali. È un omo che non crede nelle idee e quindi nemmeno nelle dottrine. È un uomo che crede solo nelle azioni e che compie i suoi atti secondo una mitologia molto sommaria.
quest’uomo somiglia molto stranamente al tipo del guerriero vien fuori in ogni sconvolgimento. (p. 134)

Questo nuovo ragazzo, questo ragazzo del continente europeo, questo ragazzo del XX secolo, afferma la nuova fede, i nuovi costumi, i nuovi desideri, la nuova forma d’azione, attraverso i frantumi delle ideologie del XIX secolo che egli ancora trascina con sé nel suo movimento in avanti. Parla di socialismo e di nazionalismo. […]
Fascismo, hitlerismo, totalitarismo superano il socialismo e il nazionalismo così come annientano il capitalismo e il liberalismo. (p. 135)

La condizione umana non soffre solo a causa del capitalismo, ma anche dell’intreccio del capitalismo col nazionalismo. Non è solo l’abuso del profitto a ostacolare e stroncare l‘uomo nella fabbrica e nell’ufficio, ma anche l’ingiusta ripartizione delle materie prime e del lavoro fra le nazioni. Qui il totalitarismo si scontra col nazionalismo. Oltrepassando tutto, si servirà del nazionalismo contro il colonialismo. (pp. 135-136)

L’uomo nuovo ha riunito quelle virtù che da molto tempo si erano gravemente dissociate e spesso contrapposte le une alle altre: le qualità dell’atleta e del monaco, del soldato e del militante. (p. 137)
Un monaco – o un santo – è un atleta che porta all’estremo o piuttosto fa fruttare in un’altra sfera gli sforzi e i meriti dell’atleta – o dell’eroe. Non esiste dunque vero atleta che non sia in potenza un monaco. Il monaco e l’atleta, il santo e l’eroe si ritrovano nel soldato. […]
La rivoluzione che si attua in Europa è totale perché è la rivoluzione del corpo, la restaurazione dei valori nati dal corpo, legati al corpo e allo stesso tempo è la rivoluzione dell’anima che ritrova e specifica i suoi valori attraverso i valori del corpo.
Coraggio, pazienza, sacrificio, forza, durezza, risoluzione, decisione non sono forse le virtù del corpo così come quelle dell’anima? Il corpo è lo strumento attraverso cui l’anima può essere grande, può conoscersi, cogliersi, realizzarsi, attendendo di meglio. (p. 138)

L’uomo deluso riflette e riconosce che la libertà non si trova in ciò che è separato e isolato, ma in ciò che è unito e collegato.
Mancando una Chiesa rinnovata, egli cerca soccorso in una nuova comunità. Nazionalismo e socialismo cominciano ad agire in senso contrario al liberalismo ed alla sommaria democrazia politica.
Le ondate rivoluzionarie per il ritorno alla tradizione diventano sempre più numerose e più alte, finché trascinano via tutti i detriti accumulati da quell’epoca di rotture e di esplosioni che è stata, dalla Rinascenza in poi, l’epoca del razionalismo.
Ritorniamo a un totalitarismo come nel Medio Evo, cioè ad una potente convergenza di tute le passioni, di tutte le idee su tutti i piani ed in un’unica direzione. (p. 139)

CAPITOLO VIII – SCRITTO NEL GIUGNO 1940 p. 143

La Francia che aveva letto Sorel, Barrès, Maurras, Péguy, Bernanos, Céline, Giono, Malraux, Petitjean non era abbastanza forte per imporsi alla Francia che leggeva A. France, Duhamel, Giraudoux, Mauriac, Maurois. (p. 144)

Céline ha preso posto fin dal primo istante nel gruppo dei veri scrittori. Ha rimesso al letteratura francese in una delle sue vene più certe, la vena medioevale, la più profonda, la veggente. Cogliendo ciò che palpita nel suo istante più convulso, lo precipita nell’abisso dell’ultima confessione con la pedata di una collera sovrumana, di una risata i cui ultimi echi si fanno sentire nel più alto dei cieli piuttosto che nei giorni dell’inferno. […]
In questa cattedrale rimessa in piedi dai migliori scrittori francesi, al di sopra di un popolo fiacco e rimbecillito, che resta rincattucciato nella sua osteria o nel suo salotto, Céline è il potente scultore delle fogne, Giorno traccia la grande flora terrestre e celeste dei capitelli, Bernanos descrive il Cristo in gloria al centro del timpano, il grande Cristo bianco e virile della nostra religione ariana. E, in un angolo discreto, c’è Jouhandeau. (p. 147)