Louis-Ferdinand Céline – Céline ci Scrive (Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese 1940-1944) a cura di Andrea Lombardi, prefazione di Stenio Solinas

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 “Quando uno scrittore ti accompagna per così tanto tempo è senza tempo
(Stenio Solinas, p. 24)

Ci sono scritti di Louis-Ferdinand Céline che non sono mai stati pubblicati. Testi scomodi, scottanti, impresentabili per gli argomenti trattati per una grande casa editrice che detiene i diritti delle opere principali e che non vuol certo correre il rischio di veder fuggire (alcuni) lettori per via di questi testi. Settimo Sigillo li pubblica raccolti e curati da Andrea Lombardi: 30 lettere (più Chanter Bezons, voici l’eprouve! la prefazione del libro su Bezons di Albert Serouille, quella alla seconda edizione de L’École des cadvres del 1942 e un articolo-intervista di Claude Jamet del 28 aprile 1944) inviate ai giornali collaborazionisti francesi nel periodo 1940-1944 e nelle quali il lettore può leggere le posizioni razziste, antiebraiche e filotedesche assunte dal geniale scrittore francese in quel periodo storico. Il libro però, come ben spiegato dall’impeccabile Stenio Solinas nella prefazione, non serve a osannare Céline per le sue posizioni (cosa sempre fatta dai neofascisti che si limitano a propagandare solo i pamphlet e il suo “essere di destra”), né a condannarlo (cosa fatta dallo schieramento opposto, senza aver neanche letto i romanzi dello scrittore). Céline è semplicemente non classificabile…
“Impresa disperata, e disperante, ché l’uomo Céline non era – non è –
facile da amare. E del resto lui stesso sarebbe stato il primo a
ritrarsi inorridito di fronte a una simile pretesa. Impresa disperata, e
disperante, oltretutto, perché di rado in una sola persona si
concentrerà una tale capacità affabulatoria e bugiarda, sempre tesa a
distorcere la realtà, a forzare la verità, a riscrivere la vita; la
propria, quella altrui.
Un fiume in piena di bugie, così si presenta
l’autobiografia celiniana: bugie piccole e grandi, innocue e meschine,
puerili e ben costruite, quasi mai frutto di un’invenzione totale, di un
falso assoluto, quasi sempre basate su un’operazione di sottrazione o
di accumulo dell’esistente, del dato di fatto, dell’accaduto. Di
estrazione piccolo-borghese, con tracce pregresse di nobilato locale,
fra le quali i Des Touches del cavaliere omonimo celebrato da Barbey
d’Aurevilly, eccolo costruirsi un’identità proletaria e/o popolare:
scrittore del popolo, figlio del popolo, voce del popolo.
E certo, di
povera gente, di emarginati, di sfruttati, di operai e di falliti, di
miserabili ha avuto frequentazione: li ha incrociati da ragazzino, li ha
avuti come commilitoni da soldato, come compagni di lavoro in Africa,
come pazienti nel dispensario di Clichy. Li ha conosciuti, li ha
studiati, li ha registrati nel grande libro della memoria; ma non è mai
stato uno di loro.
(p.7)

Gli sfoghi di Céline, le sue posizioni politiche, ideologiche o
religiose non dovrebbero infatti influenzare in alcun modo il giudizio
sull’eccelsa opera narrativa di un genio qual è stato indubbiamente lo scrittore transalpino. Fermo restando che l’autore ha sempre avuto
atteggiamenti ambivalenti nella vita come nella professione lettararia e
che su un punto aveva ragione: non è mai stato sul libro paga di
nessuno. Ha pagato per le sue colpe, forse più di altri, forse meno di
altri, ma ha pur sempre pagato.

Le parole di Solinas descrivono perfettamente tutto questo:
 Il gioco del vero-non vero, del verosimile che si trasforma in reale,
del reale che diviene inesistente, tiene botta anche di fronte
all’accusa che nell’immediato dopoguerra lo bolla a fuoco:
collaborazionista. Oggi noi sappiamo, sulla base di documenti, di
ricerche d’archivio, di riscontri incrociati, di epistolari rimasti a
lungo sepolti, che quella qualifica era pertinente. Céline «collaborò»,
non si limitò a scrivere qualche lettera ai giornali: rivendicò l’aver
capito prima degli altri il disastro che si preparava per il suo Paese;
rivendicò l’aver chiesto un’alleanza franco-tedesca; rivendicò la
necessità di uno scontro all’ultimo sangue contro bolscevismo e
democrazie liberali; rivendicò una linea di condotta recisa contro gli
ebrei; auspicò una Francia razzialmente pura, nordica, separata
geograficamente dal suo Sud meticcio e mediterraneo… Scelse con
attenzione i giornali dove far apparire le sue provocazioni, ne seguì la
pubblicazione, se n’ebbe a male quando qualche frase troppo forte gli
venne tagliata, polemizzò aspramente. Fra il ’41 e il ’44 scrisse
trentuno lettere (e sei non vennero pubblicate perchè ritenute
«eccessive»), rilasciò undici interviste, ripubblicò i suoi pamplet,
partecipò a conferenze, tenne contatti con le autorità tedesche. E però
aveva qualche fondamento di verità la sua linea di difesa del «non aver
collaborato». Perchè non fu nel libro paga di giornali o movimenti,
perchè la critica militante nazista trovava troppo nichilista il suo
pensiero, perchè in sedute conviviali più o meno pubbliche la sua vena
esplodeva sinistra, prefigurando scenari catastrofici e rese dei conti
epocali, perchè si adoperò per salvare qualche vita e omise di
denunciare qualche gollista poco smaliziato, e perchè alla fine sembrò
che con i tedeschi avesse fornicato solo lui.
(p.8) [Grassetto nostro. NdR]

Il fatto di non dover strumentalizzare Céline viene giustamente ribadito anche da Lombardi nella sua introduzione:

[…] e rendendolo un feticcio per altri, che riducevano la biobibliografia di Céline ai soli pamphlet, facendone un alfiere del Volk, del Reich e del Führer… ignorando le palle incatenate sparate dal nostro contro praticamente tutti i politici di Vichy, i nazisti e Hitler! Nonostante alcuni studi recenti abbiano cercato di dipingere Céline come in realtà lontano dagli ambienti collaborazionisti3, oppure addirittura come “un comunista”, la lettura delle lettere qui integralmente pubblicate, e le recenti, ulteriori inedite testimonianze relative all’attrazione di Céline verso i partiti nazionalisti europei e d’oltremare lascia pochi dubbi su quella che fu la visione politica di Céline, perlomeno negli anni ’30 e ’40 del 1900. Che poi questa visione non fosse quella dell’ortodossia nazionalsocialista, e attraversata invece da un fiero patriottismo “retrò” e da un socialismo ingenuo, e che il comportamento di Céline all’interno del pur variegato mondo della Collaborazione francese fosse più orientato all’anarchia polemica che all’Ordine e Disciplina, non è un fatto che possa stupire chi conosca seppur in maniera cursoria la vita del Nostro. (p. 26)

Il libro è impreziosito dalle molte, numerose, immagini delle pagine di giornale tradotte, di copertine di libri o di personaggi e luoghi citati nelle stesse. Questo corposo apparato fotografico consta in tutto di ben 104 riproduzioni in bianco e nero.A completare il volume ci sono infine altri testi:

-Risposta di Louis Ferdinand Céline alla relazione della procura della corte di giustizia

-L’altra parte della barricata-Céline non ci amava

A voler esser pignoli e a voler trovare a tutti i costi un “difetto” al libro, si può affermare solo che dispiace un po’ vedere quasi in chiusura del libro, alle pp. 225-229, un capitoletto (L’altra parte della barricata), in cui il curatore propone al lettore una serie di scritti di autori russi o francesi osannanti o propugnanti la vittoria e il trionfo violento del proletariato. Nel leggerlo appare come una sorta di “giustificazione”, di bilanciamento a quanto scritto da Céline, al suo razzismo, anche contro gli stessi francesi del sud, al suo filonazismo, al suo antiebraismo (pesanti quei riferimenti al non risolveremo nulla apponendo le stelle gialle in petto agli ebrei, perché gli ebrei sono ovunque, dominano tutto e tutto hanno contaminato…). Il primo testo è del 1921, quelli di Aragon del 1931, un altro del 1924, l’ultimo un volantino alle truppe del 1944: troppo diversi i periodi storici citati (guerra civile russa, seconda guerra mondiale) e troppo politico il tema rispetto al razzismo celiniano. Trattandosi di un libro con scritti di e su Céline, appare un po’ fuori tema il trattare della violenza verbale di scritti comunisti per mostrare che non solo Céline usava toni accesi.
Il libro, altamente consigliato e che non può mancare nelle  biblioteche céliniane, è ordinabile al seguente indirizzo (cliccare sull’immagine):

Louis-Ferdinand Céline, «Céline ci scrive – Le
lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista
francese, 1940-1944». F.to 15×21, pagg. 240, numerose ill. in b/n,
brossura, euro 25.

INDICE

PREFAZIONE di Stenio Solinas

INTRODUZIONE di Andrea Lombardi

LE LETTERE DI L.F.-CÉLINE ALLA STAMPA COLLABORAZIONISTA FRANCESE 1940-1944

FOTOGRAFIE

RISPOSTA DI L.-F. CÉLINE ALLA RELAZIONE DELLA PROCURA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

IL DIALOGO FRANCO-TEDESCO: IL CASO L.-F. CÉLINE di Joseph Jurt

L’ALTRA PARTE DELLA BARRICATA di Andrea Lombardi

CÉLINE NON CI AMAVA di Karl Epting

BIBLIOGRAFIA