INDRO MONTANELLI – I LIBELLI


INDRO MONTANELLI – I LIBELLI
BUR – Collana BUR SAGGI – III ed Novembre 2004

AVVERTENZA
Di Indro Montanelli p. 5

MIO MARITO CARLO MARX p. 9

Jenny Von Westphalen, moglie di Marx, narra la travagliata e infinita genesi del primo volume de Il Capitale, opera a suo avviso tutt’altro che rivoluzionaria e partorita dalla mente dell’egocentrico, inconcludente e astioso marito tra debiti, litigi e spostamenti di città in città con il solo costante servizio del succube Engels… Un libretto divertente e scorrevole…

Finalmente ieri sera il primo volume manoscritto del Capitale è stato sigillato in busta e spedito all’editore Meissner.[…]
Ecco, Jenny: da questo momento io sto all’economia come Copernico sta alla scienza![…]
[…]io dubito assai, conoscendone la storia dal di dentro, che questo libro sia così sconvolgente come lui sostiene. (p. 11)
[…]Carlo non per scrupolo, ma per semplice svogliatezza, non era mai riuscito a tirarlo avanti. Egli odia l’economia e non ci capisce nulla. (p. 12)

Il suo senso d’inferiorità per le sue nobili origini, la motivazione principale della sua avversione per la borghesia…

[…]sotto il suo rivoluzionarismo non cova che il complesso d’inferiorità del marito piccolo borghese d’una moglie aristocratica, inteso, per innalzarsi fino a lei, ad abbassare tutti gli altri. (p. 15)
Il profeta e annunciatore della palingenesi proletaria ha vissuto tutta la sua vita nel timore reverenziale del mio blasone. (p.16)
Quei borghesi che nei suoi libri egli affetta di guardare con odio dall’angolo proletario, cioè dal basso, Carlo in realtà li ha sempre guardati con disprezzo da un angolo aristocratico, cioè dall’alto.[…]
L’odio di classe di certo, perché nessuno lo ha mai sentito e sofferto così acutamente come lui nei riguardi di sua moglie. (p. 17)

Nel 1844, ha l’idea del libro…
[…]firmato il contratto e intascato l’anticipo, restava da scrivere il libro. (p. 21)
Ma Carlo sa scrivere solo contro qualcuno, in particolare amici, benefattori e altri esponenti del socialismo, al fine di screditarsi ed estrometterli dall’agone politico per rimanere il solo e unico leader…
Allora mi resi conto di qualcosa di cui già da parecchio dubitavo: e cioè che Marx non sapeva scrivere che contro qualcuno, la sua naturale ispirazione era soltanto l’odio. (p. 24)
Tra le vittime: Bauer, Kinkel, Weitling, Hess, Willich, Kriege, Lassalle…
La mente di Marx riesce a partorire ben misera idea: “tutto è determinato dall’economia”, concetto, per Jenny che nulla ha di rivoluzionario…
La forza che spinge l’umanità nella sua ascesa, cioè ne determina la Storia, con Dio non ha nulla a che fare, e nemmeno con l’Idea Assoluta. È, semplicemente, l’economia. (pp. 29-30)

Altro concetto cardine è la rivoluzione. Ma perché è necessaria?, si chiede Jenny…
Ma se il socialismo deve venire, perché c’è bisogno di una rivoluzione per instaurarlo? (p. 34)

Proletari nel Partito fondato? Nessuno ovviamente…

Così nacque, in quell’anno di grazia, il partito Comunista. Scientifico sì; ma, quanto a proletario, nessuno dei suoi quindici membri iniziali lo era[…]. (p. 37)

Disprezzo, inoltre, costantemente espresso per gli slavi e gli ebrei…

Questo libro racchiude ventitré anni di lavoro ed è concimato dai cadaveri di tutti gli amici di Carlo, meno Engels, unico scampato. Se il rancore piò essere una fonte d’ispirazione, non si può dire che la Capitale ne sia mancata.
Questa è l’unica testimonianza che io, moglie dell’autore, posso rendere onestamente su questo libro.
Ahimé! (p. 78)

IL BUONUOMO MUSSOLINI p. 79

PREMESSA p. 81

Montanelli, a mo’ del Manzoni, dichiara di aver ricevuto da un misterioso frate, poco prima del Natale 1945, il Testamento di Mussolini, da quello ricevuti la notte del 28 aprile da un soldato tedesco moribondo scampato dall’assalto partigiano alla camionetta nazista che stava trasportando il Duce… Il volumetto conteneva l’indicazione di essere reso pubblico, per espressa volontà del defunto, non prima dell’aprile 1970…

I p. 87

Sicuro di essere prossimo alla morte, Mussolini redige il 15 aprile 1945 il proprio testamento…

Oggi, 15 aprile 1945, ho deciso di por mano a questo breve testamento che, almeno nelle mie intenzioni, non dovrebbe veder la luce prima che almeno un quarto di secolo sia trascorso dalla mia morte. […]
Come mi uccideranno, i milanesi? Forse per linciaggio, forse per lapidazione. (p. 87)
Altrettanto mi è facile immaginare la letteratura che fiorirà intorno alla mia persona e al mio tempo. Mi si attribuiranno tutti i vizi con la stessa grossolana totalitarietà con cui, nel ventennio, mi si attribuirono tutte le virtù. (p. 88)

Ha deciso di entrare in guerra per il bene della nazione, confrontandosi con il re il 9 giugno del 1940… Lui sarà eliminato e la Monarchia sostituita da Repubblica, ma la nazione avrà ottenuto il massimo…

Di ciò approfittai quella mattina, 9 giugno, per svolgere dinanzi a Sua Maestà il mio programma e ottenerne l’assenso.
Il Re era ostile alla guerra. Egli sosteneva che il non dichiararla sarebbe stato, comunque, un buon affare. (p. 90)
Ecco le due Italie in progetto, Maestà: quella trionfante e miserabile, quella disfatta e grande. Scelga Lei. La prima assicurerà a Lei in trono, a me il plauso dei contemporanei: ci toglierà il consenso della Storia. La seconda ci assicurerà questo consenso, togliendo il trono a Lei e a me la vita. (p. 103)
[…]l’Italia doveva far la guerra e doveva perderla. (p. 105)

Il re approva…

II p. 107

Da quel giorno non ebbi testa che per due cose:
1)Perdere la guerra.
2)Perderla pur dandomi le arie di volerla a tutti i costi vincere. (p. 107)

III p. 120

Con abili manovre io ero riuscito, negli ultimi anni, a evirare completamente l’Esercito. (p. 120)
Una sola cosa non avevo calcolato: e cioè la possibilità che, posti di fronte al bivio “o morire o fuggire”, molti di quei soldati preferissero la prima alternativa. E così è avvenuto che la disfatta è costata molto più sangue di quanto avessi previsto. (p. 121)
Poiché io non dovevo badare soltanto a non battere il nemico. Dovevo badare anche e di più a non stuzzicare i sospetti all’amico. (p. 122)

Nel 1937…
Era avvenuto, semplicemente, questo: che dinanzi allo spettacolo offertomi da quell’enorme manicomio di monomaniaci che era quel momento la Germania, io mi ero domandato: “Qual è il mezzo migliore per aiutarli a perdere?” E avevo concluso che il mezzo migliore per aiutarli a perdere era quello di imitarli. (p. 123)

Per risentimento verso gli intellettuali socialisti, lui, non proletario, si era fatto fascista…

Fu allora che nacque nel mio animo quell’eresia che anni dopo doveva chiamarsi fascismo: un’eresia che mi somiglia, né carne proletaria, né pesce borghese: un risentimento codificato sistema. […]
[…]perpetuamente afflitto da un complesso di inferiorità che è alla base di tutta la mia successiva fortunosa carriera e della teatralità ce l’ha costantemente accompagnata. Sono stato veramente umiliato, in quegli anni? Ho sempre creduto fermamente di sì. È ad ogni modo da questo senso di perpetua umiliazione che si è sviluppato in me quel frenetico bisogno di costantemente emergere, dominare, esibirmi, farmi applaudire. (p. 130)

IV p. 133

Ho già confessato che il mio cesarismo non fu, in un primo tempo, programmato: era una conseguenza immediata del mio complesso d’inferiorità, della mia scarsa preparazione, della mia origine piccolo-borghese; ma fu anche un’arma di grandissima efficacia per la conquista demagogica delle piazze. Il mio risentimento per Turati e gli altri “professori” del partito socialista non andò mai esente da una segreta ammirazione e da un inconfessato rispetto per la loro cultura e per la loro aristocratica onestà. (p. 134)
Da allora questo piatto ci stringe: io avrei demolito la Costituzione, come le circostanze m’imponevano di fare, agendo sempre attraverso gli organi costituzionali e ponendo la Corona di fronte alla necessità di sanzionare per impegno costituzionalmente assunto. Ecco perché nell’Italia fascista sono sempre rimasti una Camera e un Senato[…] (p. 137)

Con il re ha sempre avuto un rapporto di leale collaborazione e di viva amicizia, uniti in un programma che portasse al meglio della nazione…

Io sono un Re costituzione e ho accettato sempre ciò che la Nazione ha voluto. Non credo a nulla: credo soltanto al mio dovere di prendere sulla mia persona tutte le responsabilità di questa corsa verso la catastrofe in modo che essa, domani, venga addebitata a me solo. (p. 143)

V p. 145

È DAL giorno in cui svolse questo colloqui che datano i rapporti, non più di corretta cordialità, ma di affettuosa confidenza, quasi di intimità, fra il Sovrano e me. Da allora le mie bisettimanali visite a Villa Savoia non furono più un dovere, furono una gioia. (p. 145)
Quest’uomo con tutti chiuso e taciturno, questo vecchio signore freddo e corretto, questo unico vero gentleman dalla condotta irreprensibile e dal cervello chiaro come i suoi occhi, è stato il mio solo grande amico ed io m’illudo di essere stato altrettanto per lui. Non gli nascosi mai nulla. (pp. 147-148)
La retorica era l’unico mezzo che io avevo a disposizione per dare al mio Paese il gusto della semplicità nel suo costume di vita. (p. 150)

VI p. 156

Assillo del Re era quello del nome di un valido successore… Lui si limita a indicargli il momento della destituzione: la presa della Sicilia…

Sin dalla fine del 1941, io avevo fissato a Sua Maestà la data della suprema decisione. “Maestà” Gli avevo detto, “io cadrò con la Sicilia. Se ciò avvenisse prima, sarebbe pericoloso; ma non meno pericoloso sarebbe se ciò avvenisse dopo.” (p. 162)

Il 26 luglio l’ultimo saluto tra i due…

VII p. 178

L’odio che, secondo qualcuno, si era accumulato negli ultimi tempi contro il fascismo, non scoppiò[…] (p. 178)
Ero rimasto io stesso sbalordito della mitezza con cui avevo agito. Al momento della caduta c’erano, in tutta Italia, milletrecento confinati. […]
Era naturale che l’odio non scoppiasse. Contro chi avrebbe dovuto scoppiare? (p. 179)
Certo, Badoglio aveva commesso i suoi errori. Ma non lo avevo detto, forse? Come supporre che un bravo soldato abituato a vincere sapesse arrendersi e perdere? Io, io solo avrei potuto farlo. La Democrazia non volle. Preferì far soffrire un popolo intero un anno e mezzo di più, piuttosto che trattare col sottoscritto. (p. 181)

Io però non avevo altre vie da scegliere se non fondare la repubblica e chiamarla sociale. (p. 182)
Tutto ciò che feci in quel periodo, e anche tutto ciò ch’io non feci, fu dettato sempre dalla stessa ragione: togliere a Hitler ogni dubbio sulla mia completa solidarietà e dedizione alla causa dell’Asse per ottenerne quanta più indipendenza potevo nell’amministrazione dell’Italia del Nord. (p. 183)
Fra i totalitarismo di domani, che fasceranno la terra intera del loro sudario di divieti ed obblighi, e che le attuali democrazie avranno contribuito più di ogni altro a instaurare, il fascismo brillerà nel ricordo degli uomini, ne non come il più civile modo di vivere, certo come il più gentile modo di morire, della libertà. (pp. 186-187)

ADDIO, WANDA! RAPPORTO KINSEY SULLA SITUAZIONE ITALIANA p. 189

Viene pubblicato il Rapporto Kinsey, emissario inviato dal Dipartimento di Stato in Italia, su richiesta dell’ambasciatrice Luce, per capire i motivi della Crisi italiana che rischiava di far uscire la nazione dalla NATO…
Ovunque l’inviato scorge apatia, inversione di ruoli e usi, con un banale fatto di cronaca a scuotere opinione pubblica e partiti: l’uccisione del marito da parte di una moglie irreprensibile, Evelyna, figlia di una direttrice di bordello, Wanda, a Messina. La chiusura delle case di tolleranza rianima così la nazione…

[…]in Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre grandi istituzioni trovavano la più sicura garanzia. (p. 282)