INDRO MONTANELLI – INDRO AL GIRO
Viaggio nell’Italia di Coppi e Batali. Cronache sportive del 1947 e 1948
RIZZOLI – I ed Aprile 2016
A cura di Andrea Schianchi
INDRO AL GIRO p.5
INTRODUZIONE
Montanelli e il mondo buono del ciclismo p.7
1947 p.17
UN CERO A SANT’AMBROGIO p.19
Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare, ingrassano. Gli uni e gli altri sono dei magri che tendono alle pinguedine, contro la quale lottano vittoriosamente finché sono in attività di servizio, ma che alla fine trionfa di loro quando vanno in pensione. Lo si vedeva ieri alla punzonatura, lo si è visto stamane alla partenza della grande prova.
La burocrazia del Giro è composta di veterani del pedale, i grandi vinti della battaglia contro l’adipe. Essi stanno alle giovani reclute come gli stalloni da monta stanno ai puledri da corsa: con un po’ di malinconia, forse, ma senza rancore. (p.19)
Il Giro e io siamo coetanei di millesimo e di mese. (p.20)
Torino, 24 maggio, notte
BARTALI COME PANTAGRUEL p.24
Senonché la maglia rosa opera stranamente sulla psicologia di chi la porta per la prima volta tendendo, come fanno i milioni, rigidamente conservatore chi fino a ieri è stato un rivoluzionario. (p.26)
Reggio Emilia, 26 maggio, notte
LA FUGA p.28
Prato, 27 maggio, notte
CON IL CUORE IN MANO p.32
Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino eh esso esercita sulle folle. E un mondo emotivo, che ride e piange con la medesima facilità e dove tutti si vogliono bene tra loro. La stessa industria che lo domina, composta com’è di appassionati e di ex-corridori, non s’ispira a quella spietata concorrenza che fa gli altri imprenditori aridi e freddi. […]
È un mondo sentimentale, e per questo i vecchi vi hanno un gran posto.(p.34)
Lasciatelo com’è: non del tutto organizzato, non rigidamente disciplinato. Altrimenti né Madama Butterfly potrebbe accompagnarlo, né il sindaco Greppi affidargli un messaggio di bontà. La bontà le macchine l’hanno uccisa. Il cuore in mano e i muscoli tesi di questi corridori la ricreano.
Prato, 28 maggio, notte. (p.36)
SASSATE PER FAR FESTA p.37
Firenze, 29 maggio, notte
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE p.41
Perugia, 30 maggio, notte
SEMPRE ACQUA È p.45
La folla odia chi perde. […]
«La folla è composta di pecore feroci» disse, «esse mi vorranno bene solo finché vinco.»
Ma annunciò tutto questo senza nemmeno una bestemmia.
Roma, 31 maggio, notte
CI GRIDARONO: TERRONI! p.51
Gli Italiani stanno cercando di imitare l’ordine, la precisione, la puntualità, le bandierine, le tabelle orarie e i verboten svizzeri, e Dio li punisce ispirando lo sciopero ai corridori.
Il Giro non fa più appello al cuore di chi lo corre, come è sempre successo gli altri anni, e come sarebbe successo anche quest’anno se fosse rimasto nelle mani dei suoi organizzatori. Fa appello soltanto alla «disciplina». Avete mai visto, voi, i soldati italiani combattere per disciplina? Io no. Per entusiasmo, per orgoglio e per affetto verso il proprio capitano, tante volte li ho visti morire; ma per disciplina mai. (p.54)
Napoli, 2 giugno, notte
AMBO SULLA RUOTA DI BARI p.55
Bari, 3 giugno, notte
BARTALI È UN DEMOCRISTIANO p.59
Al contrario di quanto fanno i politici, i ciclisti predicano sempre la rivalità e poi spesso praticano la solidarietà. (p.62)
Foggia, 4 giugno, notte
LO SPORT HA I SUOI RAGIONIERI p.64
Ma questo, purtroppo, è il Giro dei capitani, della disciplina e della organizzazione, anche se gli unici episodi emozionanti hanno avuto per protagonisti i gregari e per concime la disobbedienza. Italiani, disobbedite, disobbedite sempre, anche nel Giro d’Italia. E solo così che si mandano all’aria le dittature dei capitani. (p.68)
Pescara, 5 giugno, notte
IL GIRO È UN’ETERNA DOMENICA p.69
Pescara,6 giugno, notte
BARTALI DETESTA GLI OMBRELLI p.73
Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L’adorazione rimane. Essi procedono flemmatici, arcani, annoiati, si rinchiudono negli alberghi e lasciano che le più vibranti dimostrazioni oceaniche si svolgano sotto le loro finestre senza nemmeno affacciarsi. Tanto, la fede non morrà per questo.
L’ora del do di petto non è ancora scoccata sul quadrante della storia (del Giro d’Italia).
Cesenatico, 7 giugno, notte
IL SEGRETO DEL WATER p.78
Vittorio Veneto, 9 giugno, notte
LA CORSA ALLA JACK LONDON p.83
Bartali è il De Gasperi del ciclismo: non perché appartiene allo stesso partito politico, ma perché è fatto della medesima stoffa umana. Rincagnato e per nulla pittoresco, senza voli lirici, senza retorica né oratoria, egli segue nel pedalare i calcoli pazienti e tenaci cui De Gasperi s’ispira nel governare. Non attacca l’avversario; lo aspetta. Ma, prima di affrontarlo, ne distrugge le alleanze, ne logora l’impeto, ne deprime il morale. Gioca sul tempo. Fin che può, ritarda la crisi, insensibile alle impazienze altrui e agli altrui entusiasmi. Quando la crisi è indilazionabile, lascia all’avversario il compito dell’offensiva e lo attende al momento in cui sarà rimasto solo e col fiato corto. Allora lo affronta senza pietà, facendo il gregario di se stesso, misurando le proprie e le altrui forze sulla distanza e sul dislivello, e vince: ma non stravince.
La sua forza è qui: nel saper non stravincere. Segue e precede il rivale di una ruota, di due metri; ma non di più. Tiene la contabilità dei secondi. Non scherza.
Non parla. Nessuno lo ama. Tutti lo temono. È un risparmiatore taccagno delle proprie energie. Non ammette che qualcuno dubiti del suo diritto alla maglia rosa; ma il pubblico che lo applaude lo irrita e infastidisce. Non capisco come possa suscitare tanto entusiasmo, lui che all’entusiasmo non fa mai appello. Né a quello proprio, né a quello altrui, e anzi ne diffida. Non è «un» campione; è «il» campione: l’unico che con Maes, il belga trentottenne che detiene il sesto posto in classifica, concepisca la corsa come una missione sacerdotale, cui occorre sacrificare ogni altra attività e diletto. E «il professionista». (pp.84-85)
Pieve di Cadore, 10 giugno,notte
LA PULCE DEL GARGANO p.88
La bicicletta è l’ultimo strumento salgariano che oramai resti a una gioventù che la tecnica e il progresso hanno orbato di ogni eroica evasione. Essa crea un clima di avventure che l’aeroplano e l’automobile non sanno dare. (p.91)
Pieve di Cadore, 11 giugno, notte
PERDERE A TESTA ALTA p.93
Tutti sapevano che Bartali in quel momento aveva già perso la maglia rosa. Egli sentiva di aver perso qualcosa di più: la giovinezza. (p.94)
Bartali sul Pordoi è l’Inghilterra del 1940 sotto gli Stukas. Non vive più che d’orgoglio. Passa attraverso i villaggi, e la gente non lo applaude: si è già stancata le mani a battere le palme al giovane fresco e vittorioso Coppi. Passa attraverso i giardini, ma nessuno gli butta i fiori, che sono stati già tutti lanciati sulla testa dell’elegante sorridente rivale. Ma non piange per questo. Non si accascia. Va. Scontroso nella vittoria, poco amabile nel trionfo, questo vecchio campione timoroso di Dio e spregiatore degli uomini raggiunge nella disfatta una patetica grandezza che la solitudine e il silenzio rendono ancora più rispettabile. Bartali non è mai stato in questo Giro tanto forte quanto lo è ora che lo perde. Non è un uomo: è una poesia di Kipling, incarnata in un fascio di muscoli e di nervi. Egli pedala verso la sconfitta con lo stesso volto chiuso, i medesimi tendini tesi con cui un tempo pedalò verso la vittoria. Tramonta con l’identico stile con cui sorse.(p.96)
Cosi ha perso Bartali: in un modo che vale quello con cui Coppi ha vinto.
Questi sale a testa alta, quegli a testa alta declina. Quale, delle due imprese, la più difficile e meritoria?
Trento, 12 giugno, notte (p.97)
COPPI È UN’ANTILOPE p.98
Brescia, 13 giugno, notte
A LUGANO TUTTI PER BARTALI p.102
Cosa stava succedendo nella Confederazione?
L’ingresso del Giro d’Italia in Svizzera è stato come l’ingresso d’un elefante in un negozio di vetri di Murano. Un primo tentativo di disciplinare la urlante, strombazzante, impolverata, sudata carovana è stato compiuto dai doganieri alla frontiera. E per la prima volta nella storia di questa corsa si sono viste le automobili che la seguono allinearsi in fila indiana, docili come soldatini sotto le perentorie ingiunzioni dell’ordine costituito.
Ma questo avveniva in testa alla carovana, quella direttamente esposta a gesti e a colpi di fischietto delle guardie. In coda, l’Italia seguitava a essere l’Italia, liti clamorose si accendevano fra gli autisti smaniosi di rubare ognuno la precedenza all’altro, in un nevrastenico bailamme di ruote e di clacson. Gli Italiani hanno sempre fretta, e ognuno d essi si ritiene investito del sacrosanto diritto ad arrivare prima degli altri. Oggi, alla frontiera svizzera, erano tutti «direttori del Giro». Qualcuno, dalla fantasia più originale, se ne proclamava ispettore; qualche altro, cronometrista. Nessuno però si rassegnava a essere soltanto Tizio o Caio o Sempronio e ad aspettare il suo turno. Un nostro collega s’è messo d’accordo col suo autista per farsi chiamare «Eccellenza» quando il doganiere veniva a fare il controllo.
Il doganiere però non è sembrato molto impressionato da questo titolo e il controllo lo ha fatto ugualmente, sino in fondo. Questa elvetica è una democrazia sul serio: nemmeno le Eccellenze riescono a scuoterla.
I napoletani dicono che il pesce comincia a puzzare dalla testa. Saggia massima che però oggi ha avuto una clamorosa smentita alla frontiera dove il pesce del Giro d’Italia ha cominciato a puzzare dalla coda. Il disordine corrompe la disciplina meglio di quanto la disciplina non possa rimediare al disordine. Dal fondo della colonna in sosta il caos è salito verso la cima, ha contagiato persino i doganieri svizzeri che a un certo punto si sono arresi a quella vociferante confusione e, spalancate le braccia, ne hanno consentito l’ingresso in massa sul loro territorio. (pp.102-103)
Lugano, 14 giugno, notte
ADDIO AL GIRO, GIÀ MI MANCA p.107
Io sono entrato nel «Giro» con l’animo di chi non ci crede; ne esco dopo aver scoperto che, se le folle si adunano al suo passaggio con un entusiasmo che mai tribuno della plebe e vittorioso generale suscitò, una ragione c’è. Nell’età spietata delle «V.2» e delle bombe atomiche, esso resuscita un vecchio mondo cordiale e lo porta in pellegrinaggio per un Paese a cui Dio ha concesso il privilegio di ripugnare dalle invenzioni del diavolo e che cova segreta in fondo al suo cuore la nostalgia della fatica contro le seduzioni del comfort. Ed è giusto che si chiami U.V.I., Unione velocipedistica italiana, perché questo è proprio il mondo del Velocipede, il mondo di Cougnet e dei nostri nonni, che non conoscevano la Bicicletta e «sfidavano i rischi dell’alta velocità» a venticinque chilometri all’ora. Un mondo buono e d’altri tempi, paesano, polveroso e generoso, dove s’incontrano incanutiti, ma sempre uguali a se stessi, Garrone e De Rossi, la piccola vedetta lombarda e gli aneddoti dei nostri babbi. (p.109)
Chi non ha conosciuto tutto questo, chi non ha conosciuto il «Giro» è come chi non ha conosciuto suo nonno, De Amicis e la piccola vedetta lombarda. Nessuno è più orfano di lui. (p.110)
INTERMEZZO SVIZZERO
Di Andrea Schianchip.111
1948 p.115
IL GIRO È SARAGATIANO p.117
E la cosa non deve sorprendere. Socialismo e bicicletta sono coetanei in Italia, e fu cavalcando duri sellini di «velocipedi» che i propagandisti del nuovo verbo calarono a diffonderlo verso la Bassa e l’Appennino. L’idea di Nazione, di Libertà, aveva percorso l’Italia a cavallo e in landau, erano idee aristocratiche e infatti non si può dire che diventassero mai del tutto popolari. I cavalli e i landaus erano retaggio esclusivo di signori e di briganti, e monopolio di signori e di briganti fu il nostro Risorgimento. Meglio conveniva ai missionari del nuovo vangelo la bicicletta che, per la sua facile diffusione, era destinata a diventare il primo veicolo «di massa» del nostro secolo. Tutto ciò che la «massa» fa in Italia, lo fa a mezzo di biciclette: le adunate, le guerre, l’amore, i delitti, persino la «marcia su Roma»; e il fascismo e il comunismo, che si sono dati il cambio nel mostruoso tentativo di motorizzare gli Italiani, hanno ambedue finito per trovare nella vocazione ciclistica – cioè artigiana e cordiale – del nostro popolo un insormontabile ostacolo. Togliatti che, come Mussolini, non comprende queste semplici cose, commise un grosso errore psicologico quando lanciò la moda delle masse autotrasportate. Niente poteva indignare di più i nostri compatrioti che lo spettacolo di quei camion sferraglianti sui quieti selciati delle loro città e rossi di minacciose bandiere.(pp.117-118)
Non toccate la bicicletta agli Italiani, perché è in bicicletta che da noi tutto va, anche le idee, e non in automobile o in ferrovia come in America, in Inghilterra o in Germania. Marx non sapeva andare in bicicletta. Prima di tutto perché ai suoi tempi la bicicletta non esisteva, e poi perché, anche se fosse esistita, egli l’avrebbe disprezzata come il caratteristico prodotto di quello stadio di transizione fra una civiltà artigiana e una capitalistica che non consente lo sviluppo delle sue idee di palingenesi sociale. I comunisti, prima del 18 aprile, hanno tentato tutti i «fronti»: da quello della cultura a quello delle mogli. Ma al «fronte della bicicletta» hanno rinunziato a priori. Hanno capito che la bicicletta era De Amicis, e che di De Amicis non si poteva sfruttare nemmeno il ritratto con quei suoi baffi bianchi e quegli azzurri occhi di galantuomo.
Gran ventura è che l’Italia, fra il tedesco Marx e l’italiano De Amicis, sia rimasta fedele a De Amicis. Gran ventura è che l’Italia, fra artigianato e capitalismo, si sia fermata alla bicicletta, cioè nel giusto mezzo. E gran ventura è che in bicicletta continuino ad andare, da noi, anche le idee, cioè a non più di 40 chilometri, caute, attente alle forature (cui, non meno delle gomme, sono esposte), e guardandosi intorno. (pp.118-119)
Torino, 16 maggio, notte
DE GASPERI E I PREMI DI TAPPA p.123
I piemontesi sono austeri. E se nella loro terra non fossero nati i Savoia, il che li impegna a sentimenti monarchici, sarebbero senza dubbio repubblicani storici. Non potendolo sul terreno politico, essi hanno sfogato questa loro austerità sul piano confessionale del costume inventando i Valdesi, che sono appunto i repubblicani storici della religione. (p.123)
Genova, 17 maggio, mattina
UN BRINDISI CON SCIACCHETTA p.129
Parma, 17 maggio, notte
IL POLLO DELLA PORRETTA p.134
Viareggio, 18 maggio, notte
C’È BICI E BICICLETTA p.139
Viareggio, 19 maggio, notte
FUNERALE IN CORSA p.144
Siena, 20 maggio, notte
VIVA L’ANARCHIA p.149
Gran ventura per l’umanità è che qualche anarchico sopravviva ancora in mezzo ai von Moltke e ai «piani strategici» che ci affliggono; gran ventura per il Giro che agli ordini tirannici di Bartali ci siano ancora dei Menon riottosi. (p.152)
Roma, 21 maggio, notte
LA FAVOLA DEL LUPO p.154
Pescara, 22 maggio, notte
I BARBAGIANNI DEL GIRO p.159
Napoli, 25 maggio, notte
UN CAPORALMAGGIORE SUL SELLINO p.165
Fiuggi, 26 maggio, notte
LA CAMERA DEL DELITTO p.170
Perugia, 27 maggio, notte
CALCE E PENNELLO p.174
Perugia, 28 maggio, notte
LA TOSCANA LINCIA O ADORA p.180
Ma il medico della carovana ha i suoi dubbi. Da parecchio tempo ha constatato che i corridori, anche quando bevono solo acqua e caffè, a un certo punto si ripiegano su se stessi contraendo
muscoli della pancia e, terrei in volto, si fermano ogni poco dietro le siepi. Questi sono gli effetti tipici della «bomba», la bevanda che essi dovrebbero ingurgitare solo nei momenti di emergenza fatta di simpamina, caffeina e stricnina.
Una «bomba» in genere sul momento fa bene e i suoi effetti eccitanti si scaricano durante la corsa o nella notte che la segue. Due «bombe» fanno meno bene e lasciano il fisico prostrato anche all’indomani.(pp.182-183)
Firenze, 29 maggio, notte
L’INVIDIA DI BARTALI p.185
Solo non capisco (da quell’incompetente che sono) come mai l’ardore combattivo degli assi avvia avuto bisogno, per risvegliarsi, della foratura e della solitudine di Ortelli. Non lo capisco e, per parlarci chiaro, non mi piace.
Udine, 31 maggio, notte (p.190)
IL SORVEGLIATO SPECIALE p.191
Auronzo, 1 giugno, notte
QUANDO ANCH’IO PEDALAVO p.196
Auronzo, 2 giugno, notte
COPPI COME UNA 8 CILINDRI p.202
Cortina d’Ampezzo, 3 giugno, notte
TRE TOSCANI SCATENATI p.207
Trento, 4 giugno, notte
SALVATE IL SOLDATO REGINA p.213
Brescia, 5 giugno, notte
NEL FURGONE DEL CORRIERE p.219
APPENDICE p.225
IL GIRO D’ITALIA 1947 (Classifica e Tappa per Tappa) p.227
IL GIRO D’ITALIA 1948 (Classifica e Tappa per Tappa) p.231
FIGURE E FIGURI, CAPITANI E GREGARI p.235
NOTE AI TESTI p.243
INDICE DEI NOMI p.245
INDICE p.249