GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO – LA LAMPADINA

GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO – LA LAMPADINA
ACQUAVIVA – APRILE 2011

Copia numero 14 di 250

Due amici sbandati vivono sulla soglia della mendicità. Un giorno il narratore, Enrico il cinese, viene derubato da un ladro, decidendo così di procurarsi una pistola grazie alla quale ottiene indietro il denaro. L’amico Balzano lo convince a commettere rapine e con i soldi del primo colpo se ne vanno a mangiare, finalmente decentemente, in un ristorante, quello dell’ex galeotto ed omicida Belviso, spendendoli tutti… Dopo aver commesso altre rapine, i due si apprestano a tornare da Belviso per cibo e prostitute, ma due ispettori della polizia li avvicinano. Impaurito, Enrico decide di limitarsi a una frugale cena in un’osteria. Rincasando trova ad attenderlo un monaco ad intimargli, con una lampadina ad ondeggiare inspiegabilmente sopra la sua testa, a cambiar vita. Enrico rifiuta la proposta di un aiuto in convento e così il frate scrive qualcosa su un biglietto. Credendo sia un’apparizione, lo sbandato finisce per svenire dall’emozione. Al risveglio il frate è sparito e la lampadina continua ad oscillare per un po’. Per calmarsi Enrico decide di uscire di casa, fermandosi a bere in un bar ancora aperto. Il calore della grappa e la gentilezza del barista gli fanno comprendere che vivere è bello anche se si è poveri e che non bisogna perseguire la via del crimine…

Sì, il mondo era pure mio, benché così povero e scalcagnato. Non avevo alcun bisogno di fare il delinquente e prendermela con chissà chi. (p. 27)
La mia vita era così bella e così piena anche se io ero così povero… (p. 28)