GIAMPIERO MUGHINI – UN SOGNO CHIAMATO JUVENTUS. CENTO ANNI DI EROI E VITTORIE BIANCONERE

GIAMPIERO MUGHINI – UN SOGNO CHIAMATO JUVENTUS. CENTO ANNI DI EROI E VITTORIE BIANCONERE
GIAMPIERO MUGHINI – UN SOGNO CHIAMATO JUVENTUS. CENTO ANNI DI EROI E VITTORIE BIANCONERE

GIAMPIERO MUGHINI – UN SOGNO CHIAMATO JUVENTUS. CENTO ANNI DI EROI E VITTORIE BIANCONERE

MONDADORI – I ED 2003

I

ALLE UNDICI DI SERA, UN RIGORE p. 3

Eppure le undici di sera erano passate da un pezzo il 29 di maggio del 1985 quando Michel Platini, quella sua maglietta eternamente calata fuori dai pantaloncini, avviò la rincorsa a trovare e colpire il pallone che sostava sul dischetto dell’area di rigore, e mentre nello stadio belga dell’Heysel non si udiva il bisbiglio di una mosca. (p. 3)

Una coppa maledetta. Stramaledetta. Fino a quel 29 magio 1985[…]. (p. 5)

Quella dell’Heysel era una Juventus tra le più forti di tutti i tempi, forse non la più forte. (p. 13)

A volere Platini a tutti i costi fu Gianni Agnelli[…]. (p. 14)

II

L’INGHILTERRA CHIAMA, TORINO RISPONDE p. 25

Quella che noi oggi chiamiamo Juventus nacque nel novembre 1897 su una panchina di corso Re Umberto[…], per iniziativa di un gruppo di studenti del liceo-ginnasio più famoso di Torino, il D’Azeglio. Che la si chiamasse Sport Club Juventus (Divenne Juventus Football Club nel 1899) la dice lunga su quanto intense fossero le frequentazioni umanistiche di chi l’aveva creata e voluta, ossia dei liceali esperti in latino[…].

S’erano associati dieci o undici ragazzi di cui il più vecchio aveva diciassette anni[…] (p. 25)

Quella da loro fondata doveva essere una società onnisportiva[…] (pp. 25-26)

Da subito, invece, lo sport del prendere a pedate un pallone prevalse e divenne stemma della società nata sulla panchina di corso Re Umberto. (p. 26)

[…]importarono dall’Europa la passione per la palla tonda di cuoio. In realtà il primissimo che aveva portato a Torino la passione del pallone preso a pedate era stato Eduardo Bosio, un commerciante che per motivi di lavoro andava spesso in Inghilterra. (p. 29)

A vincere i primi tornei della storia del calcio italiano è il Genoa, un Genoa impregnato di inglesità. (p. 30)

Le famose maglie bianconere che la contrassegneranno per tutto il secolo a venire nel sogno dei tifosi di mezza Italia, e che sostituirono le ormai usurate maglie in percalle rosa che erano state tagliate e cucite da mamma Canfari e indossate nei primissimi tornei, altro non erano che le maglie di una squadra inglese, il Notts County. Era stato un inglese, John Goodey, ad andare in Inghilterra a sceglierle e a comprarle su incarico della società. (pp. 30-31)

Su quattro squadre che parteciparono al primo torneo ufficiale, nel maggio 1898, ben tre erano torinesi, il Football Club Torinese, l’Internazionale di Torino, la Società Ginnastica di Torino. Tre squadre cui si aggiungerà la Juventus. A Torino, il 15 marzo 1898, nacque la Federazione Italiana del Football, il cui primo presidente fu il conte d’Ovidio. (p. 31)

E comunque è il vento del nord a diffondere il gioco del calcio in Italia, a lasciarvi il suo marchio. (p. 33)

Già nel 1905 la Juventus vince quello che noi oggi chiamiamo lo scudetto[…].

Secondo scudetto della Juventus, primo dell’era Agnelli. Era successo che due anni prima, il 24 luglio 1923, il poco più che trentenne avvocato Edoardo Agnelli, figlio di Giovanni Agnelli, il fondatore della Fiat e capostipite della dinastia, fosse divenuto il presidente della Juventus, (p. 34)

Edoardo Agnelli e i suoi collaboratori si sono messi in capo di costruire una Juventus da sogno, forse il primo dream-team nella storia dello sport italiano del Novecento. (p. 37)

La squadra da sogno. Dal 1925 al 1930, ci vorranno cinque anni a formarla, un acquisto dopo l’altro. (p. 40)

III

QUELLA FIGURINA CON MUCCINELLI p. 47

Più di mezzo secolo fa, quando avevo sei o sette anni, a cavallo tra gli ultimi anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, divenni juventino. A Catania, la città dove ero nato. Giocando con le figurine che raffiguravano i calciatori belli e vittoriosi. (p. 47)

A casa nostra non c’era nulla che valesse a rendere lieto il tempo libero. (p. 48)

Le figurine dei calciatori erano l’essenziale del mio mondo di bambino. A comprarle in edicola costavano poco, me le potevo permettere.[…]

A quelle figurine devo la scelta più fortunata della mia vita, d’esser divenuto tifoso della Juve. […]

Il perché scegliessi di tifare la Juventus non saprei dirlo esattamente, troppo lontano e appannato il mio ricordo, e quanto ai fatti e quanto alle date. (p. 49)

La radio, l’ho detto. Prima di leggere le cronache di Gianni Brera sulle pagine coloratissime del «Giorno», la mia trafila di tifoso e di innamorato del calcio è passata attraverso la radio, attraverso le romanze di Niccolò Carosio, che oltretutto era siciliano anche lui. Romanze, altro che cronache. Lui reinventava la partita[…]. (p. 51)

Nulla di più terrorizzante nella mia vita dell’ascolto settimanale di una delle trasmissioni radiofoniche più belle inventate in quest’ultimo mezzo secolo, «Tutto il calcio minuto per minuto» creato e condotto da Paolo Bortoluzzi. (p. 52)

Per la buona parte degli anni Settanta, ogni domenica e cadesse il mondo ascoltavo la trasmissione di Bortoluzzi. Era il tempo in cui eravamo ancora lontanissimi dalla bulimia di immagini e di notizie in tempo reale sulle partite di calcio, oggi che le televisioni e le radio puntate su quell’avvenimento sono decine e decine, e arrivi alla fine della domenica che ogni gol e azione di rilievo li hai visti centinaia di volte. Era il tempo felice in cui la moviola e la moviolite non esistevano. (pp. 52-53)

Certo, tutto è «negoziabile» fuorché l’amore per la squadra di calcio che ti sei scelto nell’infanzia. […]

Tutto della nostra vita è in gioco e tutto è cambiabile, tutto si consuma e talvolta si capovolge, tutto fuorché l’amore per quella determinata squadra, per quella sua maglia, per quella sua storia di partite e di gol, di vittorie e di lutti. (p. 58)

L’amore per la Juventus se ne strainfischia della politica e dei suoi vincoli di appartenenza e di recinto. (p. 59)

A dover indicare un tratto distintivo del tifo juventino, credo di non sbagliare nel dire che è quello di non tifare «contro». Innanzitutto perché la buona parte di quelli che hanno la libidine di tifare contro, tifano contro la Juventus. (p. 63)

IV

IL QUINQUENNIO D’ORO E LA SUA LEGGENDA p. 65

Gli eroi che fecero grande la Juve del quinquennio d’oro che va dal 1930 al 1935, e che ne crearono la leggenda, erano sbarcati da un «bastimento da viaggio». A cominciare dai tardi anni Venti. Erano gli oriundi[…]. (p. 65)

[…]Raimundo «Mumo» Orsi[…].

Era un’Italia piccola e povera, quella tra i Venti e i Trenta. (p. 66)

Sì, in quell’Italia lì il grande calcio ha fatto da oppio dei popoli, ha incantato e imbambolato una nazione che stava esordendo nei riti e nei miti della comunicazione di massa e che la più morbida della dittature politiche del ventesimo secolo stava stringendo al collo ma non soffocando. Nel cuore della fumeria oppiacea c’è stata la realtà il mito della Juventus dei cinque scudetti consecutivi. (p. 67)

Tutto al contrario, è affascinantissimo che gli italiano siano divenuti campioni del mondo in un’epoca in cui ci nutrivamo la metà che nei Paesi più ricchi ed eravamo di un’altezza media nettamente inferiore al metro e 70. (p. 68)

«Mumo» Orsi era nato il 2 dicembre 1901 a Buenos Aires. […]

Nei primi mesi del 1929 era già stato comprato dalla Juventus, solo che non poteva ancora giocare e questo fino all’inizio del campionato successivo[…].

È una squadra formidabile, quella del 1929-30, non ancora un dream-team. (p. 74)

Si chiama Renato Cesarini, soprannominato «Cè». (p. 75)

Ci siamo. S’era costruita, l’anno prima dell’arrivo di Bertolini, la formazione tipo del primo scudetto. Combi Rosetta e Caligaris sull’estrema linea difensiva; Barale III Varglien I e Francesco Rier sulla linea mediana (sarà quest’ultimo a cedere il posto a Bertolini l’anno dopo); in attacco, da destra a sinistra, Munerati Cesarini Vecchina Ferraris Orsi. La Juventus dei cinque scudetti è una squadra fusa nel talento e nel ferro. (p. 78)

Nell’estate del 931 è intanto arrivato alla Juventus un altro gangster[…]. Arriva Luisito Monti, che era nato a Buenos Aires da genitori italiani. (p. 79)

E siamo arrivati al quarto dei cinque scudetti consecutivi, quello del campionato 1933-1934. c’è che quegli atleti di granito sono ormai quasi tutti ultratrentenni[…]. (p. 85)

La Juve post-scudetto del 1935 è come l’Europa post-aprile 1945. Deve ricominciare da zero. (p. 86)

È il 2 giugno del 1935. Il quinquennio d’oro s’è concluso. (p. 87)

V

GIAMPIERO BONIPERTI, L’UOMO JUVENTINO p. 89

Uno dei più grandi calciatori italiani di tutti i tempi, era nato il 4 luglio 1928 a Brengo, in provincia di Novara[…]. (p. 89)

Cominciò da attaccante puro, uno che faceva i gol, che ne faceva tanti.[…]

Dal campionato 1935-36 al campionato 1948-49, quasi quindici anni, nessuna vittoria bianconera. (p. 90)

A quel tempo c’è che un altro Agnelli aveva preso in pugno la società e la squadra bianconere. È Gianni Agnelli, il bambino che nei primi anni Venti accompagnava papà Edoardo a vedere l’allenamento dei «ragazzi». L’«Avvocato» batte la pista che era stata quella del padre venticinque anni prima. Ancora una volta la Juve si fa grande assorbendo dei campioni stranieri. (p. 92)

Dopo un’astinenza durata poco meno di quindici anni, nel campionato 1949-50 arriva finalmente lo scudetto. (p. 94)

Dopo i due scudetti a cavallo tra i Quaranta e i Cinquanta, quella della Juventus per una buona parte degli anni Cinquanta è una lunga traversata del deserto. (p. 95)

Cinque anni senza vittorie, di cui due campionati giocati al limitare della vergogna della retrocessione. (p. 96)

Finché un altro Agnelli, il poco più che Ventenne Umberto, il più giovane della dinastia, sale al posto di comando, quel posto di comando che il fratello maggiore Gianni aveva abbandonato nel settembre 1954. L’Agnelli junior assume la reggenza societaria, preludio della presidenza vera e propria, nel novembre 1955. La Juve è dunque rimasta orba degli Agnelli per un anno o poco più. Il pozzo cui attingere è sempre lo stesso, occorrono dei fuoriclasse stranieri che facciano la differenza. […]

L’acquisto di Enrique Omar Sivori è uno dei più gravosi nella storia della Juventus. (p. 97)

A completare una terna di fuoriclasse che daranno alla Juventus tre scudetti in quattro anni, è arrivato un colosso gallese che quando si libra in aria a colpire la palla di testa è come se tirasse una cannonata. […]

John Charles se li meriterà tutti negli anni di militanza al centro dell’attacco juventino. È una coppia fenomenale quella con Sivori. (p. 101)

Al tempo dell’ultima sua annata in maglia juventina, aspra è la rivalità di Boniperti con Sivori, una rivalità che si trasforma in contesa tattica. (p. 102)

Alla partita che chiude l’ultimo scudetto di questo ciclo, Boniperti consegna le scarpe al magazziniere. Esattamente come Platini, si ritira quando è integro e con in bocca il fiore della vittoria. È finito il primo tempo del suo essere juventino e del suo vivere la juventinità. Il secondo tempo, non meno glorioso e caratterizzante, inizierà ufficialmente otto anni dopo, il 5 novembre 1969, quando l’uomo di Barengo diventa amministratore delegato della Juve per poi diventarne presidente, succedendo a Vittore Catella nel luglio 1971. Gli Agnelli hanno una cieca fiducia in lui. (p. 103)

Anche lui arriva alla presidenza della Juve dopo un’ulteriore traversata nel deserto da parte di Madama. […]

e la Juventus sarebbe rimasta a guardare non fosse stato per il tredicesimo scudetto arrivato fortunosamente all’ultima giornata del campionato 1966-67[…].

Comincia col prendere un allenatore giovanissimo e senza alcun curriculum che on sia quello di essere stato il capitano e allenatore in campo della Grande Inter, Armando Picchi. […]

Punta sui giovani, gente che il talento che l’ha scritto in fronte ma che lo deve dimostrare sul campo, gente come Franco Causio e Roberto Bettega. Butta nella mischia quelli che si devono fare un nome, da Beppe Furino ad Antonello Cuccureddu. (p. 104)

Sono anni in cui la Juve è la padrona del mercato. […]

Da Gaetano Scirea ad Antonio Cabrini ad Alessio Tacchinardi, Bergamo sarà per lungo tempo un feudo juventino. Gioca invece nel Como Marco Tardelli[…]. (p. 105)

Alla Juventus Boniperti è il presidente, il padre, il padrone. La prima cosa che deve fare un giocatore che si accinge a indossare la maglia bianconera è andare dal barbiere a farsi tagliare i capelli, perché «il sire di Barengo» non sopporta che un giocatore della Juve non sia compito e pettinato quanto lo era lui.[…]

Boniperti bada a tutto e si preoccupa di tutto. (p. 108)

Genio della responsabilità tecnica, è un genio della responsabilità economica e societaria. (p. 109)

VI

LE FURIE DEGLI ANNI SETTANTA p. 113

[…]Franco Causio e Roberto Bettega. (p. 121)

Nel 1970-71 la Juventus finisce al quarto posto[…]. (p. 124)

E difatti la Juventus si presenta al campionato successivo senza aver comprato nulla e modificato nulla,a cominciare dall’allenatore. (p. 125)

L’anno dopo due soli rinforzi, pochi ma sostanziosi. Sono entrambi giocatori del Napoli. L’uno è un giocatore maturo, l’altro un giocatore stagionato. Il giocatore maturo è Dino Zoff, «il portierone», quello che per dieci anni resterà a fare da guardiano della porta juventina. Il giocatore stagionato è un brasiliano che era nato nel 1938, José Altafini[…]. (p. 128)

Durante quattro stagioni in bianconero, e pur giocando ora sì e ora no, firmò la bellezza di 37 gol. (p. 129)

[…]quindicesimo scudetto, secondo da quando Boniperti siede sulla poltrona di presidente della società.

Una gioia purtroppo avvelenata dieci giorni dopo, il 30 maggio 1973, dall’esito della finale di Coppa dei Campioni, l’Ajax-Juventus che avevo ricordato già nel primo capitolo di questo libro. (p. 130)

Nel torneo successivo, alla 7° giornata, debutta in bianconero l’unico giocatore acquistato dalla Juve in quell’anno, Claudio Gentile[…]. (p. 131)

La Juventus del 1973-74 non ce la fa ad accumulare il terzo scudetto consecutivo[…].

L’anno dopo, è il torneo 1974-75, arriva in bianconero Gaetano Scirea[…]. (p. 132)

Dopo aver vinto lo scudetto nel suo primo anno da allenatore, il campionato 1974-75, Parola lo stava rivincendo a due terzi del campionato successivo. (p. 134)

Quello stesso anno maledetto che la Juventus si vede sfilare via dalle dita uno scudetto quasi vinto, aveva esordito in maglia bianconera il ventenne Marco Tardelli[…]. (pp. 135-136)

Siamo arrivati al torneo 1976-77, quello successivo al lutto dello scudetto ceduto al Torino nelle ultime partite di campionato. Tante le novità di casa Juve. È arrivato un nuovo allenatore, ancora una volta un giovane, uno che deve dimostrare se vale e quanto vale: Giovanni Trapattoni detto «il Trap».[…]

Sono arrivati due vecchietti barattati con il Milan e con l’Inter, Benetti e «Bonimba» Boninsegna, quello che con lo juventino Morini faceva a chi picchiava più forte. E poi è arrivato, immancabilmente dall’Atalanta, un diciannovenne che era cresciuto calcisticamente nella Cremonese, Antonio Cabrini. Ancora non lo sa, ma la Juventus ha fatto poker, poker d’assi. (p. 139)

Quattro giorni prima, il 18 maggio 1977, a Bilbao, la Juventus aveva messo una pietra miliare della sua storia. A oltre settant’anni dalla sua nascita, era finalmente arrivato il primo trofeo europeo, la prima delle tre vittorie in Coppa Uefa che oggi arredano la «sala delle coppe» di corso Galileo Ferraris. Sino a quel 18 maggio di coppe europee nella sede juventina non ce n’era neppure una. (p. 141)

L’anno dopo è il bis in campionato. Diciottesimo scudetto a spese di una rivale inusueta, il Lanerossi Vicenza, asceso a 39 punti contro i 44 dei bianconeri. (p. 143)

Legge inesorabile per i calciatore che hanno disputato un grande Mundial, gli juventini cedono il passo nei due anni che seguono il mitico Mundial del 1978. onore al Milan che vince lo scudetto 1978-79, dove la Juve è soltanto terza. (pp. 145-146)

Intanto sta finendo l’era italianissima, l’era del no secco ai giocatori stranieri. Nell’estate del 1980 le frontiere vengono riaperte seppure in una misura che oggi parrebbe modestissima, uno straniero a squadra. Uno solo. […]

La scelta finale sarà eccellente. Viene ingaggiato un centrocampista irlandese dell’Arsenal, Liam Brady[…]. (p. 146)

Due scudetti di fila, nel torneo 1980-81 e in quello successivo, ai quali Brady dà un apporto decisivo. […]

la Juve compra Boniek sfilandolo via dalle mani della Roma e nell’intento di affiancarlo a Brady. Solo che a quel punto l’Avvocato punta il suo dito su un giocatore francese che è disponibile sul mercato e di cui lui è innamorato pazzo. Arriva Platini. Non c’è più posto in Juve per Brady[…]. (p. 147)

Sta arrivando «le roi Michel» e con lui una sequenza impressionante di vittorie europee. Una Coppa delle Coppe, una Coppa dei Campioni, una Coppa intercontinentale, una Supercoppa europea. La bacheca juventina prende la sua nobiltà. Tra 1982 e 1987, per cinque anni, sarà una Juve targata Platini. Lo abbiamo raccontato all’esordio di questo libro.

Il Boniperti presidente è chiamato ancora una volta alla rifondazione all’inizio degli anni Novanta, quando si tratta di fronteggiare un predominio milanista che s’era fatto schiacciante.[…]

Gli anni post-trapattoniani e post-platiniani, tra il 1984 e 1990, erano stati magri. (p. 148)

Non fosse stato che un giocane imprenditore edile, Silvio Berlusconi, aveva deciso di comprarlo lui il Milan[…]. (p. 149)

Il Milan fa glamour, fa stile, fa immagine. Per la Juve striminzita dei secondi anni Ottanta è uno smacco troppo forte.[…]

Il «sire di Barengo» molla. Al suo posto di nocchiero della Juventus verrà Luca Cordero di Montezemolo[…].

La squadra montezemoliana era stata affidata all’allenatore del Bologna, Gigi Maifredi[…].

L’esperimento Cordero di Montezemolo-Maifredi è durato un anno.[…]

La Juve si riveste di antico. Nel campionato 1991-92 torna Boniperti da presidente, torna il Trap da allenatore. Alla guida del Milan non c’è più Sacchi e bensì Fabio Capello[…]. (p. 154)

Azzeccatissimi si riveleranno gli acquisti di Torricelli, Antonio Conte, Fabrizio Ravanelli, Angelo Di Livio, e dello stesso Massimo Carrera[…]. E a non dire dell’acquisto di un ragazzino che giocava nel Padova, Alessandro Del Piero. (p. 155)

La Juventus dell’ultimo Trapattoni arriva seconda nel 1991-92, quarta l’anno dopo, ancora seconda nell’anno terzo delle vittorie consecutive di Capello. […]

Guidata da un Baggio napoleonico vince ancora la Coppa Uefa nel 1992-93. […]

A metà del 1994, Boniperti lascia la presidenza della Juve e questa volta per sempre. […]

Con gli uomini della triade che lo hanno sostituito al vertice della società i suoi rapporti sono scarni. Quando Antonio Giraudo gli propone la carica di presidente onorario della Juventus, il suo no è secco. (p. 156)

VII

BUONGIORNO, MISTER LIPPI p. 159

All’ottava giornata di campionato del torneo 1994-95, il 30 ottobre 1994, era l’ennesimo Juve-Milan, la partita che fa da condensato tecnico e simbolico della saga calcistica italiana.[…]

Capimmo dopo quella partita che s’era iniziato un nuovo ciclo, che la supremazia milanista s’era conclusa. Era nata una nuova stella nel firmamento calcistico italiano, una Juve che cominciava a giocare a zona, una squadra che pressava e che applicava la tattica del mettere in fuorigioco gli attaccanti avversari. L’allenatore ne era Lippi[…]. (p. 159)

Era stato uno che conosceva bene il calcio napoletano e il suo ambiente, il sempiterno Luciano Moggi, a telefonargli insinuante una sera di marzo del 1994.[…]

E invece lo voleva la Juve, la Juve dell’ennesima e più difficile rifondazione, la Juve dell’anno zero dell’era postbonipertiana.

Lì dove per quindici anni aveva dominato Boniperti, sedeva adesso un amico e un collaboratore di Umberto Agnelli, Antonio Giraudo[…].

Erano nove anni che la Juve non vinceva lo scudetto, i nove anni che s’erano tinti di gloria rossonera. E non è che la Juve di soldi non ne avesse spesi in questi nove anni. (p. 160)

La prima mossa della svolta è la nomina di Giraudo come amministratore delegato, il 9 maggio 1994. È la fine dell’era bonipertiana. (p. 161)

Come suo braccio destro Giraudo si sceglie uno di quelli che di gol in maglia bianconera ne hanno fatti, e tanti, Roberto Bettega. […]

E poi, a completare la triade postbonipertiana, arriva Luciano Moggi, il nuovo direttore tecnico[…].

Luciano Moggi. Ovvero «Lucianone», ovvero «Lucky Luciano», a seconda di come lo chiamano quelli che lo amano o quelli che lo odiano. (p. 164)

Moggi aveva lavorato a Napoli al tempo in cui Lippi allenava la squadra partenopea. Era stato lui a suggerire che «il bel Marcello» sedesse sulla panchina juventina. (p. 165)

Forte in quelle sue fondamenta, per il resto la Juve lippiana è stata rimodellata con oculatezza.[…]

Sontuosi i due nuovi centrocampisti. Formidabile di qualità e quantità è il portoghese Paulo Sousa[…]. (p. 174)

L’altro acquisto indovinatissimo è quello di un giocatore francese che si era illustrato nell’Olympique Marsiglia, Didier Deschamps. (pp. 174-175)

[…]Ciro Ferrara[…]. (p. 175)

Un primo rateo dell’era lippiana, un rateo che io giudico costituito da due stagioni, scade il 22 maggio 1996, e dopo quella prima stagione faraonica, tre finali su tre tornei disputati e di cui due vinti (scudetto e Coppa Italia, sconfitti dal Parma nella finale di Coppa Uefa). Nel campionato 1995-96, secondo dell’era lippiana, il Milan di Capello riagguanta la supremazia. (p. 186)

Era stato invece trionfale il cammino in Champions[…]. Il 22 maggio 1996, a Roma era una bella serata di primavera quando la Juventus incontra l’Ajax per la partita di finale. (p. 187)

Era stata l’ultima partita in bianconero di Vialli e Ravanelli.

Vialli e Ravanelli via, è un’altra Juve quella che si presenta al debutto del campionato 1996-97. Sono arrivai alcuni giocatori che faranno epoca. Innanzitutto Zinedine Zidane[…].

Lui davanti, a comandare la difesa arriva un uruguaiano impresso come nel marmo della fierezza e dell’orgoglio di sé. Si chiama Paolo Montero[…].

Con loro due arriva un terzo campione, il croato Alen Boksic[…].

Ci sono tutti e tre nella Juve lunare che il 26 novembre 1996, contro il River Plate, si stramerita la seconda Coppa intercontinentale della sua storia. […]

Così com’è straripante la Juve che due mesi dopo si gioca la Supercoppa europea triturando il Paris-St. Germain[…]. (p. 188)

È così cominciato il secondo rateo dell’esperienza di Lippi alla guida della Juve, quello rappresentato dai tornei 1996-97 e 1997-98. Due scudetti successivi, due finali successive in Champions. Purtroppo perse, e ne parleremo. Così come non possiamo omettere che nel torneo 1997-98, quello del venticinquesimo scudetto della storia juventina, gli arbitri furono benigni assai nei confronti di Madama. (p. 189)

La buona sorte juventiniana del tempo del terzo scudetto lippiano la pagherà, purtroppo per lui, Carlo Ancelotti. Era successo che a conclusione del suo quarto anno in Juve, ma un anno prima che scadesse il suo contratto, Lippi si era presentato da Umberto Agnelli e gli aveva comunicato che voleva andarsene anzitempo[…].

[…]la sera del 7 febbraio 1999[…]. (p. 190)

Il campionato successivo lo avrebbe fatto da allenatore dell’Inter. Già contattato e contrattato dalla Juve, Ancelotti prese il suo posto per il restante mezzo campionato. Sarebbe rimasto in Juve per due stagioni[…].

La sfortuna di Ancelotti in casa Juventina è totale. (p. 191)

NOTE p. 201

INDICE DEI NOMI p. 209