DINO BUZZATI – SESSANTA RACCONTI

DINO BUZZATI – SESSANTA RACCONTI
DINO BUZZATI – SESSANTA RACCONTI

DINO BUZZATI – SESSANTA RACCONTI
MONDADORI – Collana OSCAR MONDADORI SCRITTORI DEL NOVECENTO n. 1573 – 1998
Copia n. 41

1 – I SETTE MESSAGGERI p. 9

Da oltre otto anni, un principe avanza nei territori del proprio regno per raggiungerne i confini, senza tuttavia esservi ancora riuscito. Lo scoramento si fa in lui sempre più vasto, con pensieri negativi quali “stiamo girando in cerchio” o “mai potrò arrivare alla fine”… forse è partito troppo tardi…

Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla
città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare.
Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati,
esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino. Credevo, alla
partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece ho
continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la
mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei.
Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere
sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai
aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per
cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera.
Ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si
estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine.

Con sé ha portato i sette migliori cavalieri del regno per poter intrattenere comunicazioni con i genitori utilizzandoli come messaggeri…

[…] e fra i cavalieri della scorta scelsi i sette migliori, che mi servissero da messaggeri.

Inizialmente gli erano sembrati un’esagerazione, accorgendosi ben presto di essere in errore. Lasciato partire il primo al secondo giorno di viaggio e poi gli altri uno di seguito all’altro, all’ottavo giorno il primo non aveva ancora fatto ritorno… L’intervallo del loro ritorno si fa inevitabilmente sempre più ampio e la nostalgia s’impossessa di lui, ormai lontano dalla capitale e straniero nel suo stesso ignoto regno…

Le nuvole, il cielo, l’aria, i venti, gli uccelli, mi apparivano in verità cose nuove e diverse; e io mi sentivo straniero.

Dopo otto anni e mezzo eccolo accogliere durante il bivacco serale Domenico, il quarto messaggero, di ritorno dopo quasi sette anni. Ne riceve le lettere, affidandogli le sue per l’ultimo viaggio in direzione della capitale. Sa che non si rivedranno più. Nella capitale a regnare è ora il fratello maggiore e nuove costruzioni sono sorte sui luoghi dell’infanzia. L’ansia di sapere cosa si trova oltre lo coglie, pur convinto che probabilmente non si accorgerà nemmeno del valico dei confini, decidendo d’inviare di lì in poi i messaggeri in avanti per scoprire cosa lo aspetti lungo il cammino…

Porta, il mio ultimo saluto alla città dove io sono nato. Tu sei il superstite legame con il mondo che un tempo fu anche mio. […]
Dopo di te il silenzio, o Domenico, a meno che finalmente io non trovi i sospirati confini. Ma quanto più procedo, più vado convincendomi che non esiste frontiera.
Non esiste, io sospetto, frontiera, almeno non nel senso che noi siamo abituati a pensare. Non ci sono muraglie di separazione, né valli divisorie, né montagne che chiudano il passo. Probabilmente varcherò il limite senza accorgermene neppure, e continuerò ad andare avanti, ignaro.
Un’ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non è più rimpianto delle gioie lasciate, come accadeva nei primi tempi del viaggio; piuttosto è l’impazienza di conoscere le terre ignote a cui mi dirigo.
Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne
inesplorate che le ombre della notte stanno occultando. Ancora una volta io leverò il
campo, mentre Domenico scomparirà all’orizzonte dalla parte opposta, per recare alla città
lontanissima l’inutile mio messaggio.

2 – L’ASSALTO AL GRANDE CONVOGLIO p. 15

Dopo tre anni di carcere per contrabbando, il capo brigante Gaspare Planetta ottiene la libertà. Debole e malato, si dirige verso il suo vecchio covo sul Monte Fumo. Nessuno dei presenti lo riconosce e così riesce a spacciarsi per un compagno di cella. Apprende che il capo è ora Andrea, forte ed energico, che arriva successivamente. Gaspare capisce di essere ormai stato tagliato fuori…

[…] capiva di essere vecchio, che per lui non c’era posto, che il suo tempo era tramontato.

Richiedendo i vecchi oggetti di Planetta, si fa infine riconoscere, sebbene nessuno, vedendone il mutamento fisico, ne faccia parola. A denti stretti Andrea gli fa recuperare gli oggetti lasciati, compreso fucile e pugnale, con i quali poco dopo il vecchio lascia il covo…
Gaspare si ritira in un rifugio immerso nei boschi del monte dove un giorno si presenta un ragazzo diciassettenne, Pietro, entusiasta di poter iniziare una vita da brigante dopo esser riuscito a rubare un fucile. Dato che cerca i briganti, Gaspare si presenta come Planetta, destando ammirazione nel ragazzo che gli chiede di poter restare. Ma i giorni passano nell’inattività e il giovane inizia a pensare che il vecchio sia malato e non voglia più compiere nessuna scorribanda nonostante le proposte che gli presenta. Per placarlo Gaspare inventa un fantomatico piano d’assalto al Grande Convoglio Imperiale che il 12 settembre di ogni anno trasporta le tasse della provincia alla capitale. Invano negli anni in molti ci hanno provato. Pietro è estasiato dal coraggio del maestro… Ma i giorni passano e l’unica cosa che Gaspare mette in moto è la lingua per profferire dettagli del piano che non ha intenzione di porre in atto, impossibile da realizzarsi com’è…
L’11 settembre il ragazzo torna furente al rifugio: ha scoperto la verità incontrando i banditi di Andrea… L’indomani se ne andrà… Scosso nell’orgoglio, Gaspare decide di tenere fede alla promessa e di tornare ad essere per un giorno il vero sé stesso, partendo al mattino per attaccare il convoglio…

Ma all’indomani fu Planetta ad alzarsi per primo.[…]
Eppure non erano storie. Planetta, ora che era rimasto solo, andò ad assalire il Gran Convoglio.

Appostatosi nei pressi della salita che quello dovrà attraversare, eccolo raggiunto dal giovane che inizialmente accetta di andarsene salvo poi tornare al suo fianco… Il convoglio è sempre più vicino e un colpo di fucile scuote improvvisamente l’aria, non di cacciatore, bensì degli uomini di scorta che hanno centrato il maldestro giovane. Ormai individuato, il vecchio raggiunge Pietro, ricevendo a sua volta un colpo al petto. Prima di morire i due hanno l’onore di essere omaggiati da una nutrita schiera di eroici briganti morti per assaltare quello stesso convoglio… Le anime dei due assassinati escono dai rispettivi corpi, unendo al gruppo. Tra gli spiriti c’è anche l’amato cavallo Polak sul quale Gaspare fa però salire Pietro che avanza con i briganti verso il Regno dei Briganti Morti… Dopo aver osservato la strada e il convoglio e la scorta, Gaspare si accorge che i gendarmi hanno assistito a tutta la scena, salutandolo mentre s’incammina a piedi, fischiettando, per il Regno dei Briganti Morti…

3 – SETTE PIANI p. 33

Giuseppe Corte, affetto da una leggera febbre, giunge una mattina di marzo nella città dove si trova la celebre casa di cura per quel tipo di malessere…

Dopo un giorno di viaggio in treno, Giuseppe Corte arrivò, una mattina di marzo, alla città dove c’era la famosa casa di cura.

L’edificio è moderno ed efficiente e Giuseppe si ritrova sistemato in una camera del settimo piano. Lì un’infermiera gli spiega che i malati sono divisi, in base alla gravità, in sette categorie smistate sui vari piani dello stabile, con al primo quelli ormai moribondi… Prima di sera scambia qualche battuta con il malato della stanza a fianco, già ricoverato da due mesi, che gli spiega che le tapparelle delle stanze al primo piano vengono abbassate alla morte del paziente… Giuseppe inizia a pensare incessantemente ai misteri di quel primo piano, sentendosene tuttavia ben lontano…
I giorni passano e, pur attenendosi alle prescrizioni mediche, non ottiene miglioramenti. Dopo circa dieci giorni dal ricovero, con la scusa di cedere il posto al figlio di una signora che deve essere ricoverata, Giuseppe si trova trasferito al sesto piano. Lì i medici lo rassicurano, nonostante venga a sapere che il suo male è sì di lievi intensità ma di vasta espansione e che il processo di distruzione delle cellule non è forse ancora cominciato…
Passano pochi giorni e per una presunta nuova procedura di classificazione dei malati, l’ospedale procede a trasferire al piano inferiore i pazienti ritenuti più gravi di ogni piano. Giuseppe si vede così trasferito al quinto, dando in escandescenze. Il medico lo rassicura, dichiarandolo dovuto certamente a un errore, ma che forse sarà curato meglio. La febbre debilitante costringe Giuseppe a placarsi…

Alla fine si accorse che gli mancavano la forza e soprattutto la voglia di reagire ulteriormente all’ingiusto trasloco. E senza altre ipotesi si lasciò portare al piano di sotto.

Dopo solo tre giorni, con la scusa di dover curare un eczema presentatosi su una gamba, Giuseppe viene trasferito al quarto piano dove si trova il macchinario a raggi Digamma… Inizialmente si era opposto, ma l’allargarsi dell’eczema lo avevano costretto ad accettare…
I giorni passano, l’eczema si riduce ma non scompare. Pressato dai consigli del medico, Giuseppe decide di scendere al terzo piano dove si trovano macchinari ancora più potenti… Ma anche lì resta poco: i medici devono andare in vacanza e i malati sono spostati al secondo. Lì Giuseppe subisce un peggioramento delle proprie condizioni psico-fisiche, finendo trasferito all’ultimo piano, “per errore”… Verso le tre del pomeriggio si accorge del buio che invade la stanza per il lento calo delle tapparelle, segno evidente della sua prossima morte…

4 – OMBRA DEL SUD p. 53

Il narratore, in vacanza a Porto Said con un amico, scorge un giorno aggirarsi per le affollate identiche e brulicanti strade uno strano uomo vestito di bianco che avanza barcollando… Quando tenta di mostrarlo all’accompagnatore, si è dileguato, pur lasciandogli nell’animo una forte inquietudine… I due ripartono in auto, scorgendo sulla strada che conduce alla Laguna nuovamente lo strano tizio. Ma anche stavolta solo il narratore riesce a scorgerlo provando un’inquietudine ancor più forte e sentendosi legato a quello da un qualcosa di oscuro e ignoto…

[…]e fui consapevole (per una voce che mi parlava dal fondo) di una oscura complicità che mi legava a quell’essere. (p. 55)

La sera gli amici ripartono in piroscafo per raggiungere il Mar Rosso. A Massaua il narratore vaga per ore nelle strade assolate in cerca del misterioso individuo, cui continua a pensare, senza tuttavia incontrarlo… La nave riparte, ormai quasi vuota e il narratore si convince che la visione è stata una sorta di messaggero…

Era venuto a me un messaggero, dai regni favolosi del sud, a indicarmi la via? (p. 57)

Con la nave salpata da poco, ecco in lontananza, sulla banchina, l’arabo barcollante intento ad avanzare verso sud…
Il narratore lo rivede poi ad Harar. Corre per raggiungerlo, ma quello svanisce a una svolta…
Lo rivede ancora, ma senza rincorrerlo, sapendo che la sua natura pavida gli avrebbe impedito di seguirlo verso un ignoto regno…
Ma la mia anima è deprecabilmente timida, invano la redarguisco, le sue ali tremano, i suoi dentini diafani battono appena la si conduce verso al soglia delle grandi avventure. (p. 59)

Ma alla fine ci ripensa: lo seguirà, salvo eventualmente pentirsene all’ultimo momento?…

Questa sera mi sento veramente bene, sebbene i pensieri ondeggino un poco, e ho preso la decisione di partire (Ma sarò poi capace?[…] (p. 59)

5 – EPPURE BATTONO ALLA PORTA p. 61

Al termine della giornata di lavoro Maria Gron torna nella viva dove vive con i familiari, il marito Stefano e i figli Federico e Giorgina. In casa è presente anche l’amico medico Eugenio Martora, mentre fuori impazza un furioso temporale…
Giorgina inizia d’un tratto a raccontare di aver visto un contadino portare su di un carro uno dei cani di pietra presenti a ingresso villa con quello a dichiararle di averlo recuperato sulle sponde del fiume. Inspiegabilmente Maria cerca a più riprese di cambiare discorso, mentre un sordo rumore zittisce i presenti…
D’un tratto suona il giovane Massigher che, trafelato, sembra voler dichiarare qualcosa d’importante. Anche stavolta, inspiegabilmente, Maria cerca di impedirgli di parlare, mentre un secondo boato scuote la casa… Il giovane vorrebbe avvisare della prossima esondazione del fiume che scorre proprio a ridosso della villa… I ricchi padroni di casa sono sicuri della villa, con Federico a scacciare il fattore giunto per chiedergli di perlustrare i dintorni per via del fiume ingrossato. Massigher tenta di convincere il coetaneo, ma alla fine è costretto a sedersi al tavolo da gioco con gli uomini mentre Girgina va a dormire e Maria inizia un ricamo… L’acqua inizia però a invadere il pavimento e i tonfi si fanno rombo costante. I servitori sono fuggiti e alla fine i Gron sono costretti ad ammettere che la casa è in balia del fiume esondato… Maria non può far altro che gettarsi dalla finestra, mentre qualcuno, forse uno spirito, bussa al portone…

6 – IL MANTELLO p. 77

Dopo lunghi mesi al fronte, un giovane soldato, Giovanni, torna a casa inaspettatamente. La madre e i fratelli sono felicissimi del suo arrivo, ma lui è triste e distaccato. Un uomo misterioso, avvolto in un mantello, lo attende in strada… Anche lui indossa un mantello di cui non vuol separarsi… La donna gli offre cibo e bevande, sorpresa che il figlio gli preannunci una nuova partenza non potendo far aspettare oltre chi lo attende in strada. Quando uno dei fratelli gli alza il mantello, si scorge il sangue di una ferita. Ad aspettarlo è la Morte, con cui riparte in direzione del monte…

L’UCCISIONE DEL DRAGO p. 83

Nel maggio del 1902 un contadino, Giosuè Longo, al servizio del conte Martino Gerol, torna in paese dichiarando di essersi imbattuto nella Val Secca in un animale gigantesco che sembrava un drago, leggenda molto in voga a Palissano…
Martino decide allora di partire per una battuta di caccia assieme al governatore della provincia, Quinto Andronico e alla di lui moglie, Maria, ai naturalisti Inghirami e Fusti e a una scorta di otto cacciatori…
Fermatisi per la notte a Palissano, Andronico viene sconsigliato dal suo amico medico, Taddei, a proseguire nell’impresa, dato che l’esistenza del drago potrebbe rivelarsi anche veritiera…
Il gruppo avanza, condotto da Giosuè, fino all’inoltro nella foresta. Lì s’imbattono in un ragazzetto che dal paese sta portando in sacrificio al drago una capra. Martino decide di acquistare la bestia da usare come esca per il mostro. Raggiunta la grotta dell’avvistamento, i cacciatori si appostano, fino all’uscita dell’animale, una specie di coccodrillo dinosauro che, seppur ferito a una gamba prima e poi a un occhio dallo stesso Martino, ingoia l’animale per poi tentare la fuga lontano dalla propria tana. Martino si diverte a suppliziarlo, ferendolo gravemente quando si appropria con la forza della seconda capra portata dal ragazzo al cui interno inserisce dell’esplosivo. Ad assistere alla macabra scena giungono alcuni uomini del villaggio… L’esplosione ha luogo e il ventre del drago resta squarciato con conseguente fuoriuscita di fumo, mentre due piccoli draghi escono allo scoperto. Divertito, Martino li elimina provocando il ripetuto grido disperato del drago morente. Gli uomini del villaggio se ne vanno e alla fine il drago muore. Ma, a sua volta, inalati i fumi del drago, anche Martino trova la morte…

8 – UNA COSA CHE COMINCIA PER ELLE p. 101

Il mercante di legnami Cristoforo Schroder arriva nel paese di Sisto accusando un lieve malessere. Chiamato l’amico dottore Lugosi, si mette a dormire dopo la di lui partenza. L’indomani il dottore torna accompagnato da un uomo che dichiara essere Don Valerio Melito. Insinuante, questi lascia intendere di conoscerlo e di averlo visto finire fuori strada tre settimane prima facendosi aiutare da un uomo che aveva “una cosa che inizia per elle”… Sempre più nervoso, la verità si palesa a Cristoforo: ad aiutarlo a rientrare in strada era stato un lebbroso e ora anche lui è malato. Dovrà indossare una campana e lasciare paese e Regno. Don Valerio si rivela l’alcade che si diverte ad allontanarlo senza fargli prendere nulla dei propri beni…

9 – VECCHIO FACOCERO p. 111

Un vecchio e maestoso facocero viene scacciato dal branco dai suoi stessi simili. Sul far del tramonto, un giorno, due cacciatori lo avvistano ed abbattono dopo breve inseguimento…

10 – PAURA ALLA SCALA p. 117

All’attesissima prima alla Scala della Strage degli innocenti del discusso compositore Grossgemuth si reca anche il vecchio maestro Claudio Cottes…
La polizia si concentra intanto sull’attività del gruppo rivoluzionario dei Morzi, cui attivisti sono avvistati in zone centrali della città… Claudio, che vive per la musica nonostante abbia abbandonato l’attività concertistica e la cattedra di pianoforte, è ignaro dei fatti di politica e si prepara per recarsi alla Scala. Prima di uscire un uomo misterioso e sgarbato chiede per due volte al telefono di suo figlio Arduino, direttore d’orchestra… Attraversando le strade è infastidito dapprima da un musicista di strada, poi da Bombassei, suo ex allievo, che allude all’assenza di Arduino e alla presenza di “troppi amici in strada”… I cattivi pensieri svaniscono nel prender posto, osservando i presenti. A stonare, in un palco di terza, tre uomini vestiti di nero che sembrano completamente disinteressati alla rappresentazione…
Durante il primo intervallo iniziano a circolare voci su una presunta rivoluzione nel mentre scoppiata per le strade… Un sedicente conoscente, di cui non si ricorda, avvicina Claudio facendo allusione alla presunta imprudenza di Arduino… Sempre più inquieto il professore riprende posto in platea, fermandosi a osservare i tre in nero, ora divenuti quattro, durante il secondo intervallo. Il pediatra Ferro, cui chiede spiegazioni, dichiara trattarsi del Quartier Generale dei Morzi. Claudio ritiene così che il figlio si sia messo nei guai attaccando od osteggiando il gruppo… Alla fine del terzo atto dei Morzi non c’è più traccia mentre lo spettacolo si conclude con un grande successo… Mentre i non vip lasciano l’edificio, i pochi fortunati si spostano nella sala adibita a ricevimento dove si presenta anche l’autore, preoccupato della critica, e ignaro della presunta rivoluzione dei Morzi in atto. Nessuno osa lasciare il teatro, pur volendosi trovare in casa…
Il timore cresce tra gli esponenti dell’alta società, facendosi terrore nel povero Claudio che per via del figlio si aggira tra i vari gruppi in cerca di qualche notizia positiva…
All’una e dieci tenta di lasciare il teatro per avvertire il figlio, ma Donna Clara Portalacqua gli impedisce l’uscita. Secondo notizie attendibili, i Morzi sono infatti entrati in azione e stanno occupando anche la Prefettura. Uscire per le strade non è consigliabile, meglio rimanere in attesa… La donna va peraltro in cerca dell’onorevole Lajanni, considerato un esponente dei Morzi, dal quale ottenere un salvacondotto almeno per Grossgemuth… Questi rivela però di essere caduto in disgrazia proprio durante la rappresentazione, palesandosi poi come l’uomo misterioso che aveva avvicinato Claudio… Ad accompagnare il compositore è la stessa Clara, coperta dalle dicerie dei presenti… All’esterno tutto è buio e nessun segno di rivoluzione giunge in Teatro. Ma la paura spinge i presenti a barricarsi e spegnere le luci… Claudio telefona a casa ricevendo risposta dall’assonnato e irritato Arduino cui dichiara di aver dimenticato le chiavi temendo la chiamata potesse essere intercettata dai Morzi…
Un gruppo intanto si separa dagli altri, capeggiato dall’ingegner Clementi, che ha un figlio nel direttivo, per evitare di essere poi catturato dai rivoluzionari, asserragliandosi nello spazio riservato a Museo con tanto di luci accese per esser riconosciuti…
Alle tre di notte l’avvocato Costanz inizia a dichiarare che nulla è accaduto in città, ma un boato improvviso semina di nuovo il panico tra i presenti. Claudio, sebbene alticcio e barcollante per lo spumante bevuto, decide di uscire per tornare a casa, stramazzando in piazza dopo pochi passi. In molti credono sia stato ucciso, ma, poco dopo, con il sopraggiungere dell’alba, i netturbini mostrano che per davvero nulla è successo e che una suggestione negativa ha infettato le loro menti. Anche il professore si desta ritornando verso casa… Una fioraia porta alla nobile Bini un fiore…

11 – IL BORGHESE STREGATO p. 163

Giuseppe Gaspari, quarantaquattrenne commerciante in cereali, raggiunge il paesino di montagna dove si trovano già in villeggiatura moglie e figlie. Incamminatosi per una passeggiata solitaria, resta deluso dal paesaggio, non alpino come avrebbe sognato… Una vita, la sua, mai coronata da piena soddisfazione e felicità…

E con amarezza considerava come tutta la sua vita fosse stata così: niente in fondo gli era mancato ma ogni cosa sempre inferiore al desiderio, una via di mezzo che spegneva il bisogno, mai gli aveva dato piena gioia.

Nei pressi di un costone ode alcuni voci verso le quali si muove. Sono alcuni adolescenti, che, abbigliati come primitivi, stanno organizzando un assalto con armi rudimentali e una tavola da usare come passerella a un fortino difeso da altri coetanei capitanati dall’imbattibile Sisto… Dimentico della propria età, Giuseppe s’immerge completamente nell’impresa, vedendo addirittura trasfigurare il paesaggio. Sisto lo scorge e trafigge con una freccia di legno… Quando a sera raggiunge ormai sfinito l’albergo, ha il tempo appena di sedersi su una sedia e godersi un breve momento di vittoria sulla meschina esistenza fin lì condotta…

Lui vero uomo, finalmente, non meschino. Eroe, non già verme, non confuso con gli altri, più in alto adesso. E solo. La testa pendeva sul petto, come si conveniva alla morte, e le raggelate labbra continuavano a sorridere un poco, significando disprezzo, ti ho vinto miserabile mondo, non mi hai saputo tenere.

12 – UNA GOCCIA p. 171

In un casamento una goccia risale la notte per le scale destando ansia e paura negli inquilini…

13 – LA CANZONE DI GUERRA p. 175

Il re dapprima e i generali poi si chiedono come mai, nonostante le sfolgoranti vittorie e la continua avanzata degli eserciti, i soldati si ostinino a cantare una triste canzone che termina con “dove ti ho lasciata una croce ci sta”… Dopo alcuni decenni le vittorie continuano a susseguirsi, ma nella capitale sono ormai sorti cimiteri sterminati per i soldati caduti, dando così un senso al fatale canto…

14 – IL RE A HORM EL-HAGAR p. 181

Horm el-Hagar, Valle dei Re. Nel cantiere per gli scavi del palazzo di Meneftah II il direttore dei lavori, Jean Leclerc, rinviene una stele. Un giorno viene informato della visita di un illustre archeologo straniero che si rivela essere un re in esilio, il conte Mandranico. Questi, vecchissimo e spocchioso, si presenta con due accompagnatori visitando velocemente gli scavi e visionando la stele. Gli operai lamentano tuttavia problemi dovuti a un sortilegio, fino a che, al momento di uscire, il conte si attarda presso la statua del Dio Toth che inizia a parlare terrorizzando tutti tranne il vecchio che la ritiene una sceneggiata… Mentre quello se ne va, la sabbie inizia a seppellire quanto fin lì emerso nel corso dei faticosi scavi…

15 – LA FINE DEL MONDO p. 193

Un giorno in cielo appare un pugno gigante che si apre poi pronto a ghermire. È Dio nel giorno del giudizio universale. La popolazione cade nel panico e inizia a cercare la salvezza dell’anima nei rari preti che vede in giro. Uno di essi finisce nella disperazione: la sua anima da chi sarà salvata?…

16 – QUALCHE UTILE INDICAZIONE A DUE AUTENTICI GENTILUOMINI (DI CUI UNO DECEDUTO PER MORTE VIOLENTA) p. 197

Il trentacinquenne Stefano Consonni nel tornare verso casa ode una sorta di ronzio che si rivela poi essere dovuto alle voci di due spiriti minuscoli, quelli del professor Petercordi e di suo nipote Max, medico ivi ucciso da un rapinatore. Con fare insinuante rivelano di essere sulle tracce dell’assassino cui rovinare la vita con il preannuncio della morte. Consonni cerca invano di liberarsi dei due, finendo per scoprire di avere un sarcoma al naso…

17 – INVITI SUPERFLUI p. 205

Inviti superflui di un innamorato a una donna ormai lontana che l’ha probabilmente obliato…

18 – RACCONTO DI NATALE p. 209

La notte di Natale un mendicante si presenta in Duomo per chiedere a Don Valentino, in servizio di preparazione per la messa dell’arcivescovo, un po’ di spirito divino. Il prete glielo nega, ma lo spirito si allontana. Valentino lo insegue, raggiungendolo presso una casa operaia e poi in campagna da un contadino, vedendolo allontanarsi sempre più al rifiuto di quelli a cedergliene una parte. Alla fine, tra la neve, al limite delle forze, apre una porta ritrovando in una chiesa al cospetto dell’arcivescovo circondato dalla luce divina…

19 – IL CROLLO DELLA BALIVERNA p. 215

Un sarto, uscito un pomeriggio di luglio assieme al cognato, alle di lui figlie e all’amico zoologo Scavezzi, per cercare insetti nei dintorni del fatiscente e antico edificio di periferia detto “Baliverna”, nel tentare una scalata alle mura diroccate provoca la rottura di un’asta di ferro che, per effetto domino, dà il via al crollo dell’intero stabile e la morte dei numerosi poveri dimoranti… A due anni dai fatti il processo è ormai prossimo all’avvio e il sarto teme che l’odioso e insinuante Scavezzi lo abbia scorto arrampicarsi e possa denunciarlo proprio all’ultimo momento. Da allora si reca infatti sovente ad acquistare abiti costosi che porta via a poco prezzo, alludendo sempre al crollo della Baliverna. Anche e soprattutto alla vigilia dell’udienza… Il sarto ha paura…

“Fra una settimana comincia il processo per il crollo della Baliverna. Che sarà di me? Verranno a prendermi?
Ero stato io a provocare l’ecatombe? La rottura dell’asta di ferro aveva, per una mostruosa progressione di cause ed effetti, propagato lo sfacelo all’intero mastodontico castello?
Ma mio cognato, o le sue figlie, o lo Scavezzi, si accorsero di ciò che avevo fatto?

20 – IL CANE CHE HA VISTO DIO p. 223

A Tis, paese di miscredenti antireligiosi, il ricco fornaio Spirito lascia beffardamente al nipote, Defendente, il forno e tutti i propri averi a condizione che, per cinque anni, ogni mattina distribuisca ai poveri cinquanta chili di pane. Seppur controvoglia, il giovane sta ai patti, pur trovando il modo di beffare i poveri e lo spirito dello zio: da un’apertura della cesta dove pone i pani ne recupera molti durante la distribuzione…
Alle porte del paese, richiamato dalla fame di miscredenza, si stabilisce l’eremita Silvestro attorno alla cui dimora, di notte, si diffonde un riverbero visibile anche dai paesani che, però, totalmente indifferente, mai da lui salgono a verificare…
Un cane inizia ogni mattino a prelevare un pane che poi via lentamente, senza fuggire, eludendo la caccia che Defendente organizza. Un giorno il fornaio lo segue con la bicicletta e il fucile, fino ad arrivare ai piedi di un colle dove giace Silvestro cui il cane, Galeone, porge il pane dal quale l’eremita preleva solo una piccola parte. Defendente si fa avanti ma una sorta di blocco lo coglie rendendolo docile e impossibilitato ad adirarsi, arrivando a farsi il segno della croce e a dichiararsi addirittura credente e disponibile a lasciare il pane al cane…
Per evitare di essere scoperto e screditato, Defendente lascia a Galeone il pane sotto la panca di una baracca… Passano i mesi e, giunto l’inverno, una notte una forte luce illumina il colle: Silvesotro è morto!… Il parroco e il becchino lo seppelliscono e per due settimane del cane non si hanno più notizie. Poi, eccolo ricomparire in paese, debole e smunto, in cerca di cibo. Defendente, all’osteria con alcuni amici, nega sia il cane dell’eremita e di averci avuto a che fare… Nella mente, però, gli resta il turbamento per l’eventuale reale santificazione dell’animale…
Passano i giorni e il cane, sebbene non tocchi il pane che il fornaio gli lascia, appare sempre più florido, evidentemente alimentato di nascosto dagli ipocriti abitanti di Tis che tentanto forse così d’ingraziarsi Dio…
Un giorno, mentre è intento a prelevare il pane destinato ai poveri, Defendente si accorge della presenza di Galeone, che, imperturbabile, lo guarda con occhi accusatori prima di andarsene lentamente…
Il cane diviene presenza fissa in paese, inquietando gli abitanti e costringendoli, con latrati, abbai e guaiti a riconoscere il male che stan per compiere, a desistere e a tornare sulla retta via. Il più perseguitato è ovviamente il fornaio, timoroso di perdere la propria eredità se denunciato nell’atto di trafugare parte del pane destinato ai poveri…
Le malefatte dei cittadini si riducono allo zero fino a che, una notte, Defendente si sveglia credendo di udire il rumore di ladri in azione. Dalla finestra scorge anche l’ombra di un cane. Apre il fuoco e, a giacere al suolo, è proprio Galeone… Eppure, nel pomeriggio dell’indomani, il cane ricompare in strada alimentando così il mito della divinità in lui presente. Le offerte in chiesa si moltiplicano così come le elargizioni ai poveri per via della paura di essere giudicati che gli abitanti ora nutrono nei suoi riguardi…
Anni dopo, ormai invecchiato, Galeone è vittima di una paralisi alle gambe posteriosi presso il Duomo. Di giorno nessuno gli si avvicina per timore di essere deriso, ma, ipocritamente, un’infinita processione di nere ombre gli fa dono nottetempo di cibo e bevande… Gli abitanti, per causa sua, hanno cambiato radicalmente il proprio stile di vita, sperando che la bestia muoia presto, oppressi dai suoi sguardi e della sua voce…
Il cane alla fine muore, ma gli abitanti restano inquieti e incapaci dopo lungo tempo di tornare alla abitudini modificate… Decidono di seppellirlo al fianco di Silvestro ma, giunti in collina, scoprono le ossa consumate di Galeone proprio al di sopra della tomba del padrone… Si sono autosuggestionati per anni…

21 – QUALCOSA ERA SUCCESSO p. 255

Un uomo viaggia a bordo di un direttissimo. Giunti a un passaggio a livello di un paesino di campagna, si accorge della presenza di una donna ferma alla sbarra per ammirare quel gioiello della tecnologia. Ma la donna, al passaggio del treno si volta per rispondere alla chiamata concitata di un uomo sopraggiungente alle sue spalle. Il viaggiatore non dà troppo peso alla cosa, ma poco dopo si accorge di un contadino che chiama a gran voce un gruppetto di persone… Il treno fila via veloce… Cosa sarà successo?… Il dubbio diviene certezza quando analoga concitazione gli sembra di scorgere in tutti i paesini attraversati… “qualche cosa era successo e noi sul treno non ne sapevamo niente”.
Gli altri passeggeri non si accorgono di nulla, o fingono di non avere paura? Il treno, stranamente, non si ferma mai e viaggia imperterrito verso nord proprio mentre invece tutti sembrano dirigersi verso sud per scampare a un ignoto pericolo…

“E tutti avevano la stessa direzione, scendevano verso mezzogiorno, fuggivano il perclo mentre noi gli si andava direttamente incontro[…].

Con il passare delle ore il pericolo si fa evidente, ma nessuno dei passeggeri, per contegno, pone domande o tira la leva del freno d’emergenza…

“Ma nessuno parlò o ebbe l’audacia di rompere il silenzio o semplicemente osò chiedere agli altri se avessero notato, fuori, qualche cosa di allarmante.
Ora le strade formicolavano di veicoli e gente, tutti i ncammino verso il sud. Rigurgitanti i treni che ci venivano incontro. Pieni di stupore gli sguardi di coloro che da terra ci vedevano passare, volando con tanta fretta al settentrione”.

Una passeggera, in una stazione, riesce a repire la prima pagina di un quotidiano, ma il vento gliela strappa eccetto un triangolino che indica una parola che finisce con IONE…

Verso una cosa che finiscie in IONE noi correvamo come pazzi, e doveva essere spaventosa se, alla notizia, popolazioni intere si erano date a immediata fuga. […]
ma il nostro treno, no, il maledetto treno marciava con la regolarità di un orologio, al modo del soldato onesto che risale le turbe dell’esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea dove il nemico già stava bivaccando.

Giunti in stazione il treno si ferma. Nulla sembra cambiato, eccetto una desolazione totale. Nessuno è in vista e solo il grido d’aiuto di una donna evidentemente abbandonata dà ai passeggeri segno di sopravvivenza umana…

In città non avremmo più trovato un’anima? Finché la voce di una donna, altissima e violenta come uno sparo, ci diede un brivido. “Aiuto! Aiuto!” urlava e il grido si ripercosse sotto le vitree volte con la vacua sonorità dei luoghi per sempre abbandonati.

22 – I TOPI p. 261

Il narratore si dichiara preoccupato per la sorte degli amici Coria, usi ospitarlo ogni estate nella loro casa di campagna. Quest’anno il capofamiglia, Giovanni, gli ha scritto di non poterlo ospitare senza aggiungere altro…
Il narratore ricorda così di come anno dopo anno la presenza di topi in casa Coria sia vieppiù aumentata, con il primogenito Giorgio a mostrargli il loro numero ormai esorbitante e la loro cattiveria nella passata estate… Giunge peraltro voce che la casa sia ora occupata dagli stessi topi e che i Coria siano ormai loro schiavi…

“E adesso? Perché Giovani ha scritto di non potere più invitarmi? Cosa è successo? Avrei la tentazione di fargli una visita, pochi minuti basterebbero, tanto per sapere. Ma confesso che non ne ho il coraggio”. […]
Dicono che nella villa nessuno possa entrare; che enormi topi l’abbiano occupata: e che i Corio ne siano gli schiavi.

23 – APPUNTAMENTO CON EINSTEIN p. 267

Princeton. Pomeriggio d’ottobre. Einstein passeggia per i viali dell’Ateneo quando d’un tratto ha un’illuminazione che lo porta a vedere lo “spazio curvo”, base per i suoi futuri studi… Mentre si bea della scoperta, si ritrova in un luogo ignoto dove un misterioso e affascinante negro gli si fa incontro, rivelandosi al termine di un breve dialogo come Iblìs, Angelo della Morte, giunto per prendergli l’anima. Einstein chiede una proroga per il completamento del proprio lavoro, richiesta che gli viene accordata per ben due volte. Al momento di cedere l’anima, Iblìs gli lascia tuttavia la libertà: lui non lo sa, ma quel che crede innocue formule, sono in realtà strumenti dei quali i demoni si beano…

24 – GLI AMICI p. 273

Toni Appacher, violinista morto da venti giorni, si presenta in forma di spettro con ancora un minimo di consistenza, presso la casa del suo amico liutaio Amedeo Torti. Questi, intento a prendere il caffè con la moglie, non credente alla di lei sensazione di ricevere una visita del defunto, si ritrova invece ad aprirgli la porta. Anziché esprimere gioia, Amedeo si irrita e alla fine rifiuta di dare ospitalità all’amico, costretto a rimanere sulla Terra ancora un mese per problemi nell’aldilà, con la scusa dei figli. Affranto, Appacher raggiunge il direttore del Conservatorio, Mario Tamburlano, che lo lascia alla porta con la scusa del cane… Nuovamente rinnegato, Amedeo tenta da una donna di facili costumi con cui è spesso stato, Gianna, che, terrorizzata dalla sua apparizione, grida e tenta di pugnalarlo con un paio di forbici. L’ultimo vano tentativo Appacher lo compie a casa del parroco, Don Raimondo, ex compagno di ginnasio, il quale lo invita a entrare pur prospettando la propria rovina. L’ex violinista allora se ne va, rimanendo a vagare nel tempo rimastogli…

“Ed è per questo che gli spiriti – se mai qualche anima infelice si trattiene con ostinazionesulla terra – non vogliono vivere con noi ma si ritirano nelle case abbandonate, tra i ruderi delle torri leggendarie, nelle cappelle sperdute tra le selve, sulle scogliere solitarie che il mare batte, batte, e lentamente si diroccano”.

25 – I REZIARII p. 281

Un monsignore si diverte a catturare un ragno e a gettarlo nella tela di uno ben più grande che avvolge in un bozzolo la nuova preda. A sorpresa, però, quello riesce poi a divincolarsi, ma il prelato lo rigetta nuovamente sulla tela… Sovente ha la sensazione che qualcuno sia dietro di lui…
Il ragno più piccolo, lotta duramente, ma alla fine viene ferito all’addome e imprigionato. Mosso da senso di colpa, il monsignore lo libera, assistendo addolorato alla di lui agonia. Il ragno sembra guardarlo e il prelato sente dietro di sé una presenza…

26 – ALL’IDROGENO p. 285

In piena notte un uomo è svegliato dal sinistro squillo del telefono. Un amico che non riconosce fa accenno a qualcosa per poi riagganciare… L’uomo si rimette a dormire, ma ecco una seconda telefonata, dell’amica Luisa, che ugualmente chiede ma non spiega… Infine qualcuno suona alla porta. Ma nessuno risponde né si palesa… Un brusio di voci e un agghiacciante rumore come di qualcosa che viene trascinato e deposto nelle cantine scuote il palazzo. Uscito sul pianerottolo del sesto piano, ascolta le concitate voci degli altri: stanno sistemando una bomba all’idrogeno! Ben presto si scopre che quella è destinata a un uomo solo: a lui!…

27 – L’UOMO CHE VOLLE GUARIRE p. 291

In un grande lebbrosario che dalla collina domina la città, è ricoverato un giovane principe, Mseridon. Questo, smanioso di guarire per tornare alle ricchezze, agli agi e ai piaceri della propria condizione, non si rassegna alla malattia. Con perseveranza prega diuturnamente fino alla stremo, riuscendo infine a guarire completamente a ad ottenere il lasciapassare per tornare in città. Ma, sulla soglia del lebbrosario, una vista atroce gli appare: la città in decadenza, marciume ovunque. Il vecchio lebbroso Giacomo gli spiega che la guarigione è avvenuta solo grazie a Dio che ha ora catturato il suo animo, rendendogli vana e disgustosa la vita di prima. Insieme rientrano così nel lebbrosario…

“Di giorno in giorno, mentre la grazia lavorava in te, senza saperlo tu perdevi il gusto della vita. Tu guarivi, ma le cose per cui smaniavi di guarire a poco a poco si staccavano, diventavano fantasmi, cimbe natanti sopra il mar degli anni!”.

28 – 24 MARZO 1958 p. 299

Tre satelliti artificiali inviati in orbita tra il 1955 e il 1958 sono osservati ogni notte dall’ormai vecchio ideatore del primo di essi, Forrest… I lanci si erano rivelati un fallimento, giacché gli equipaggi cessavano d’inviare comunicazioni non appena raggiunto un punto dove dichiaravano di ascoltare una musica celestiale. Il Faith, partito il 24 marzo 1958, è stato l’ultimo tentativo umano di raggiungere il paradiso, al cui contatto l’uomo muore d’estasi…

29 – LE TENTAZIONI DI SANT’ANTONIO p. 305

Il giovane Don Antonio che conduce una vita da santo dedicata completamente al proprio lavoro, durante una lezione di catechismo ai bambini sul peccato è colto da continue tentazioni che sembra scorgere nelle forme assunte da alcune nubi. Turbato all’estremo, pone fine alla lezione decidendo di affrontare la situazione: osservando il cielo di quelle nubi tentatrici non c’è tuttavia più traccia…

30 – IL BAMBINO TIRANNO p. 311

Giorgio è un bambino viziato e capriccioso che tiene in scacco tutti i familiari che fanno di tutto per non dover passare come causa delle sue bizze…
Una domenica il nonno, colonnello in pensione, apre l’armadio dei giocattoli iniziando a manovrare un magnifico camion del latte portato a Giorgio dagli USA da uno zio. Uno dei portelli si rompe e sommariamente il vecchio lo ripara. Ma il segreto non dura a lungo. Forse tradito dalla moglie Elena o da qualcun altro della servitù, pensa, dopo il pranzo Giorgio maliziosamente si sposta nella stanza dei giocattoli dove prende il camioncino senza tuttavia giocarci. Per tre giorni lo tiene sempre con sé, fino a che il nonno non lo fa piangere invitandolo insistentemente a giocarci per porre fine al supplizio di esser stato scoperto. Il bambino decide invece di distruggere il camion e nel farlo si accorge del danno. Il vecchio viene tradito dalla moglie e il bambino a sorpresa inizia a ridere, aggirandosi per la casa ripetendo la frase profferita dalla nonna: E guardatelo che stella…

31 – RIGOLETTO p. 319

In un bigio giorno di febbraio si tiene l’annuale parata militare con la novità della sfilata dei reparti atomici… Questi invero si rivelano estremamente poco appariscenti, condotti peraltro da goffi soldati che assomiglian più a studenti. Tra gli ufficiali, un gobbetto, definito Rigoletto, che inizia a dar segni di nervosismo quando dai veicoli principia la fuoriuscita di pulviscolo radioattivo. Gli animali si agitano e iniziano a fuggire. Il narratore è il primo a imitarli, appena in tempo prima che la tragedia si abbatta sugli altri attardati cittadini…

32 – IL MUSICISTA INVIDIOSO p. 325

L’invidiosissimo compositore Augusto Gorgia ode un giorno in strada una musica di pianoforte straordinariamente innovativa sebbene lontana dai propri canoni. La riascolta poi a casa, trasmessa alla radio che la moglie Maria sta ascoltando… Passano i giorni e anche il collega Giacomelli sembra rassicurarlo… Cercando sul giornale trova una serie di possibili autori di quella musica innovativa… Ne scarta alcuni, altri non li conosce… Nei giorni seguenti si sente vittima di una sorta di complotto, fino a che i suoi timori si tramutano in certezza: l’autore di quella musica è un vecchio compagno di studi fin lì ritenuto mediocre, Ribbenz. Ormai in ritardo per presenziare alla prima, evento che la moglie e l’amico hanno fatto in modo di evitargli, Augusto esce ritrovandosi in un bar dove il fato sembra averlo destinato da tempo. Lì anche operai e prostitute ascoltano quella geniale musica, note che lui non ha saputo creare. Di lì in avanti per lui non esisterà più gioia nell’esistenza…

33 – NOTTE D’INFERNO A FILADELFIA p. 333

Ai primi di luglio del 1945 la guida alpina Gabriele Franceschini rinviene in Val Canali il corpo di un paracadusta americano. La spedizione da lui guidata recupera il cadavere, ma i soldati statunitensi abbandonano il cadavere per tre mesi prima di ritornarne a riprendere i resti, nel mentre bruciati dai pietosi montanari. Del defunto resta una semplice croce con il nome, Muller, e l’indicazione errata della patria, England in luogo di USA…
La narrazione viaggia a doppio binario, con in corsivo la descrizione della tragedia e il successivo volo su Filadelfia da parte dello spirito del defunto…

34 – LA FRANA p. 339

Giovanni, giornalista alle prime armi, viene svegliato da una telefonata del direttore che lo invita a recarsi nel paese di Goro dove si sarebbe verificata una frana cagione di danni e morti… Giunto sul posto in stato d’eccitazione per la possibilità di dare una svolta alla propria carriera con un ottimo reportage, Giovanni non trova tuttavia traccia alcuna di frana né a Goro né alla soprastante Sant’Elmo. Scesa la sera e spazientito dal tempo perso dietro i vari montanari, ciascuno dei quali gli ha mostrato la “propria frana”, Giovanni si rimette in marcia con la sua auto. Quando un sinistro fruscio alle sue spalle si palesa, “il suo cuore fu preso da un orgasmo inesprimibile, stranamente simile alla gioia”.

35 – NON ASPETTAVANO ALTRO p. 349

Antonio e Anna giungono in un pomeriggio afoso in una città, tappa obbligata prima di ripartire l’indomani per la destinazione prefissata. Nonostante in giro non ci sia anima viva, in nessuno degli alberghi visitati trovano posto. Decidono allora di andarsi a rinfrescare ai bagni, ma Anna, che ha perso la carta d’identità, non può acquistare il biglietto. Antonio non può cedergli il proprio e così si allontanano sotto lo sguardo torvo e il vociare dei presenti… In un parco Anna s’immerge in una fontana riservata ai bambini, arrivando a litigare con gli autoctoni che finiscono per prenderla a palle di fango… La situazione degenera. Antonio viene preso a pugni da un bullo, mentre le donne, sfruttando il fatto che Anna abbia gettato nella vasca un bambino che l’aveva colpita a una tibia con una barchetta, iniziano a picchiarla e a trascinarla via. La malvagita insita nell’animo degli autoctoni sembra dunque aver trovato sfogo, esternandosi con gesti violenti e un linguaggio barbarico e inintelligibile… Invano Antonio chiede aiuto a due guardie… La folla inferocita rinchiude Anna in una gogna che cala nel fossato del vecchio castello presente al limitare del parco… Scesa la sera anche Antonio, riconosciuto dal giovane che l’aveva picchiato, viene catturato, legato e gettato nella fossa. Una vecchia sopraggiunge a gettargli escrementi, mentre Anna, ormai in stato di choc, porge la mano verso un grillo, più umani di chi li sta assasinando…

36 – IL DISCO SI POSÒ p. 363

Una sera Don Pietro si vede atterrare nel giardino un disco volante dal quale escono due marziani. Questi spiegano di essere interessati alle strane antenne che vedono in ogni dove: le croci. Don Pietro gli spiega di Dio, che han tradito mangiando il frutto proibito, per poi uccidere il di lui figlio… Gli alieni ripartono, puri, senza peccato e per questo non bisognosi di pregare Dio. Il prete si rincuora, sparando al disco volante in allontanamento… Dio senz’altro preferisce i peccatori umani che a lui son costretti a rivolgersi costantemente…

37 – L’INAUGURAZIONE DELLA STRADA p. 371

Il 20 giugno 1845 è prevista l’inaugurazione della strada di collegamento tra la capitale e San Pietro, cittadina situata ai limiti del Regno. Il nuovo governatore decide di farsi sostituire dal ministro degli interni, Carlo Mortimer, che, assieme alla scorta, alla moglie e ad altri funzionari si mette in marcia il 19 giugno, pur sapendo che l’ultimo tratto non è ancora stato realmente ultimato. La parte iniziale del viaggio è agevole, ma dal mattino del 20 la strada si fa sempre più dissestata e il paesaggio desolato e torrido… I pochi contadini che incontrano dichiarano che il paese è lontano. Carlo vuol tuttavia proseguire, pur invitando gli accompagnatori a lasciarlo proseguire solo… Sarà in effetti solamente lui a proseguire il viaggio nel deserto senza che all’orizzonte si scorgano gli edifici di San Pietro…

38 – L’INCANTESIMO DELLA NATURA p. 379

Adolfo Lo Ritto, pittore cinquantaduenne che giace a letto malato, viene svegliato dal rientro della bella moglie trentottenne reduce da una notte in giro. Tra i due, ormai ai ferri corti, segue un aspro dialogo ma, d’un tratto, aperta la finestra, la donna cambia espressione e chiama il marito. Adolfo ha così modo di vedere l’avvicinarsi della luna che, poco a poco, si schianta contro la terra. In prossimità della morte i due coniugi ritrovano l’affetto…

39 – LE MURA DI ANAGOOR p. 385

Un uomo, in visita nel regno del Tibesti, viene invitato da una guida, Magalon, a visitare la città di Anagoor, enclave autonoma completamente autarchica non riportata sulle mappe… Seppur scettico, accetta di partire l’indomani, raggiungendo prima di mezzogiorno le mura della città attorno alle quali sono accampate migliaia di persone speranzose di poter avere accesso… A dar segni di vita, saltuariamente, dei fumi che al cielo s’innalzano e le voci che ogni tanto una delle porte venga aperta…
L’uomo, intrigato dalla possibilità di entrare in città, finisce per rimanere invano accampato per ventiquattro anni prima di decidersi ad andarsene…

40 – DIRETTISSIMO p. 391

Un uomo sale entusiasta su un velocissimo treno direttissimo la cui destinazione finale non ha il coraggio di scrivere. I conoscenti tra l’irato e il basito non approvano la sua scelta, ma eccolo infine in viaggio. Velocissimo il treno avanza, sebbene due uomini lo dichiarino in ritardo. Alla stazione numero 1 arriva tuttavia puntuale e il narratore raggiunge al ristorante l’ingegner Muffin con il quale avrebbe dovuto concludere un affare che, però, per la fretta non può concludere. Il treno avanza, ma più lentamente, arrivando in ritardo di mezz’ora alla seconda stazione dove ad attenderlo c’era la fidanzata, Rosanna, che riesce a scorgere allontanarsi mestamente… Dopo quell’ennesima rinuncia per il narratore il viaggio si fa meno entusiasmante anche perché, alla stazione numero 3, il Comitato che avrebbe dovuto festeggiarlo se ne è andato già da un pezzo a causa del ritardo del treno… Alla stazione numero 4 ad attenderlo c’è la madre. Il treno è così in ritardo che la povera vecchina ha dovuto attendere ben quattro anni, triste di saperlo immediatamente in partenza. Il narratore si propone di rimanere, ma lei lo spinge a risalire. La destinazione è ormai ignota per quel treno non più veloce che indietro non può più tornare. Tante le occasioni perse, sempre più vicina la fine rappresentata dall’ultima stazione…

Con un ritardo di anni e anni accumulati, siamo così di nuovo in viaggio. (pp. 396-397)
Per dove? Quanto è lontana l’ultima stazione? Ci arriveremo mai? Valeva la pena di fuggire con tanta furia dai luoghi e dalle persone amate? […] Certo, tornare indietro non si può. […] Domani forse arriveremo. (p. 397)

41 – LA CITTÀ PERSONALE p. 399

Un uomo vive solo in una gigantesca città abbandonata della quale dà notizie all’esterno riuscendo così a ricevere saltuariamente la visita di alcuni turisti, presto delusi dalla stessa e dalle sue intili spiegazioni. Al calar della sera, lugubre si fa l’abitato e i visitatori repenti ripartono. A loro, invano, chiede di portarlo via e di non lasciarlo solo lì dove unicamente spettri si aggirano…

42 – SCIOPERO DEI TELEFONI p. 407

Una sera, durante lo sciopero della compagnia telefonica, il narratore si ritrova in linea assieme ad altri sconosciuti. Inizialmente ascolta due donne parlare, poi altri intervengono facendo scaldare gli animi. Un uomo però, che sembra conoscere tutto di tutti, riesce a placare gli animi e a far rassereneare tutti, rimanendo infine solo al telefono per poter parlare con una delle due donne, Clara, alla quale rivela che però c’è ancora qualcuno in ascolto, il narratore, che fin lì ha sempre e solo ascoltato. Impaurito e stupefatto, quello riaggancia pervaso dall’angoscia di non sapere chi fosse quell’onniscente…

43 – LA CORSA DIETRO IL VENTO p. 415

Dialoghi e attività di alcune persone morte nello stesso giorno, il 16 giugno 1957…

44 – DUE PESI DUE MISURE p. 423

Due pesi e due misure nel modo di comportarsi di alcune persone, come il giornalista Beniamino Farren, ipocrita che denuncia con lettere anonime al giornale l’operato del giovane George MacNamara che in redazione loda invece… La sig. Ra Franca Amabili, zoofila che attacca un carrettiere reo di frustare il cavallo, salvo abbuffarsi di animale a cena senza preoccuparsi minimamente della sofferenza che gli animali uccisi e cucinati provano… Due giovani borghesi criticano un artista di strada, bollandolo come inutile spettacolo, salvo poi dichiarare di non comprendere le opere d’arte che vanno a vedere in una galleria…

45 – LE PRECAUZIONI INUTILI p. 431

Contro le frodi

Leo Bussi, agente di commercio trentenne, entra in una banca per cambiare un assegno circolare di quattromila lire… Dopo infiniti controlli e consulti con il direttore, gli consegnano il denaro: quattro banconote da diecimila lire (40000 e non 4000, dunque)…

Contro le spie

Antonio Lancellotti, funzionario prudentissimo, si ritrova nell’ufficio il viceispettore Modica, nota spia. Temendo un tranello, parla a gran voce bene del maresciallo Baltazano che, però, poco dopo, apprende esser stato destituito e sostituito da Imenez che lui aveva appena denigrato. Modica se la ride… Sapeva tutto…

Contro i ladri

Il possidente Fritz Martella, temendo una rapina, decide di seppellire nottetempo in un terreno i suoi averi… Ma il timore che qualcuno li possa rinvenire lo spingono a tornare a disseppellirvi la notte successiva. Ma, nel mentre, tre assassini di un gioielliere vi hanno seppellito il cadavere… E così, mentre scava, Martella viene arrestato dai gendarmi, ritenuto l’assassino del gioielliere…

Contro l’amore

Irene, lasciata dal fidanzato, fa di tutto per dimenticarlo e cambiare… Ma basta la “loro” canzone per farla tornare nello sconforto…

46 – IL TIRANNO MALATO p. 439

Nel parco di un giardino di un quartiere di recente costruzione, il mastino Tronk, tiranno indiscusso del posto, viene di sera portato a spasso dal padrone, un professore. Qualcosa in lui non va, si accorge subito una delle sue vittime, il volpino Leo, che trova il coraggio di addentarlo. A supportare il volpino, un altro cane, ma Tronk riesce a cavarsela. Spossato, ansima, quand’ecco arrivare un pastore tedesco. Stavolta per il tiranno si mette male, giacché anche gli altri due tornano all’attacco. Il professore va a cercare aiuto, ma, d’un tratto, i cani si allontanano, avendo percepito che il virus che ha reso debole Tronk si sta ora propagando per contagio anche in loro… Con le ultime forze Tronk guarda la notte che avanza, ormai quasi cieco, triste di non poter più vedere quel verde dove per quattro anni ha regnato incontrastato…

47 – IL PROBLEMA DEI POSTEGGI p. 447

Grande utilità la macchina, ma quale pena trovare un posteggio… Un uomo tutti i giorni vive la lotta quotidiana per la ricerca del parcheggio, finendo, infine, per abbandonare il veicolo…

48 – ERA PROIBITO p. 455

Con il governo Nizzardi, democratico ma autoritario, per volere del ministro del Progresso, Walter Montichiari, la poesia è infine bandita al fine di consentire all’uomo di dedicarsi solo ed esclusivamente alla produzione…

Da quando è proibita la poesia, certamente la vita è assai più semplice da noi. Non più quella rilassatezza d’animo, né quelle morbose eccitazioni, né l’indulgenza ai ricordi, così insidiosi per l’interesse collettivo. La produttività, ecco la sola cosa che veramente conti, e davvero non si riesce a concepire come per millenni l’umanità abbia ignorato questa verità fondamentale.[…]
[…]fortificano l’animo del lavoratore senza aprire il varco alle peccaminose intemperanze della fantasia. Possono esservi da noi, per fare un tipico esempio, dei cuori afflitti dalle cosiddette pene d’amore? Si può ammettre che nel nostro mondo, consacrato alle opere concrete, lo spirito si perda in esaltazioni prive, come ognuno deve riconoscere, di qualsiasi utilità pratica?
Certo, senza un governo forte non si sarebbe potuta statuire una bonifica di così vasta portata. E tale è appunto il governo presieduto dall’onorevole Nizzardi. Forte, e democratico, si intende. […]
In particolare, il più acceso propugnatore della legge che ha tolto di mezzo la poesia, è stato l’onorevole Walter Montichiari, ministro del Progresso. (p. 455)
L’insofferenza della popolazionenei riguardi di quel pernicioso atteggiamento della psiche era da anni fin troppo manifesta. (p. 456)
È sicuro veramente che il deprecato fenomeno sia estinto? (p. 457)

Una sera Montichiari viene avvertito dalla moglie della scomparsa della figlia Giorgina. Questa, dopo lunghe ricerche, viene trovata sul tetto a contemplare la luna. La ragazza fugge via e la visione del paesaggio notturno irrorato dagli opachi raggi di luna tirba anche l’onorevole che, poco dopo, decide di tornare al ministero. Prima di tornare in auto esita a lungo a causa degli effetti di quei raggi, cagionanti un’ignoto stato d’animo in sé e il timore che la Poesia non sia affatto morta…

Perfino dentro di lui quel sentimento occulto sta forse covando? (p. 459)

Ancora un fatto insolito lo coglie al dicastero: il probo Carones intento a scrivere una poesia in piena notte!… Ma ecco che una serie di telefoni iniziano a suonare e rumore di passi di centinaia di persone in marcia. La rivoluzione è in corso e il Ministero è ormai caduto…

Montichiari non ebbe bisogno che gli comunicassero esplicitamente la notizia, per capire: la rivoluzione, era caduto il ministero. (p. 461)

49 – L’INVINCIBILE p. 463

In un afoso pomeriggio di luglio, nella sua casa in campagna, durante le vacanze estive, il professore di fisica Ernesto Manarini, apprendista inventore, perfeziona un sistema in grado di convogliare raggi elettrici contro un bersaglio. Inizialmente non creduto dalla moglie, il professore riesce a dimostrare l’efficacia della propria invenzione direttamente al capo di stato maggiore. L’esercito sbaraglia così tutti i nemici, sancendo di fatto uno stato di pace obbligata… In breve il professore viene osannato, assurgendo fino alla carica di presidente…

50 – UNA LETTERA D’AMORE p. 471

Il 31 enne Enrico Rocco, dirigente di un’impresa commerciale, si siede per scrivere una lettera d’amore all’amata Ornella, mosso da un impulso irrefrenabile. Ma tra una telefonata, un sopralluogo, una visita di parenti e clienti, si ritrova invecchiato e, leggendo il foglio chissà quando scritto, non ricorda nulla del sentimento che lo aveva spinto a redigerlo né chi fosse la destinataria…

“Quando ho pituto scrivere delle sciocchezze simili? E chi era questa Ornella?” (p. 476)

51 – BATTAGLIA NOTTURNA ALLA BIENNALE DI VENEZIA p. 477

Il pittore Ardente Prestinari, a due anni dalla morte, decide di scendere tra gli umani per visitare la Biennale di Venezia dove gli è stata riservata una sala… La disposizione e la selezione delle opere gli piace, per quanto, notando alcuni difetti, vorrebbe tanto correggerli… Quando un amico entra in sala, ode nei propri confronti commenti che disapprova, gli stessi che legge di sfuggita sul catalogo della mostra. Adirato contro la pittura astrattista contemporanea, si sposta nelle altre sale dove finisce per scatenare una vittoriosa rissa con le informe creazioni. All’apparire degli spiriti della pittura si placa, fuggendo via in lacrime per un domani che potrebbe portare gusti differenti e che lui mai viver potrà…

52 – OCCHIO PER OCCHIO p. 485

Di ritorno a casa da una serata al cinema, i Martorani commentano il film western appena visto incentrato sulla storia di una vendetta. Diverse le posizioni, sebbene alla fine tutti considerino giusta e lecita la vendetta… Victoria, la figlia, si accorge della presenza di una fila d’insetti iniziando a schiaccarli. Ma, d’un tratto, dall’alto si odono delle voci e giganteschi insetti giganti che scendono le scale. Victoria è la prima a essere da quelli uccisa…

53 – GRANDEZZA DELL’UOMO p. 491

Un vecchio dall’aspetto cencioso viene condotto in carcere. Gli altri galeotti si presentano, invitandolo a raccontare la sua storia, arrestato per vagabondaggio, per aver dichiarto di chiamarsi Morro il Grande. La storia elenca una serie di personaggi che portano quel nome, abitanti di varie parti del mondo: un mendicante accusato di furto da un mercante arrestato per il nome dalle guardie di un guerriero con quel nome che in Europa viene condotto al cospetto di un vecchio saggio di nome Morro il Grande: lo stesso che è ora in carcere… La grandezza dell’uomo è soggettiva e assume diversi stereotipi…

54 – LA PAROLA PROIBITA p. 497

Uno scrittore, trasferito da poco in un’anonima città, sviluppa con il tempo la sensazione che una parola sia stata proibita e nessuno la utilizzi. Ma quale? Invano chiede all’amico Geronimo, il quale lo invita a lasciar stare giacché il conformismo che la società pervade, non ha richiesto neanche un’apposita legge per rendere efficace il bando. Inoltre gli abitanti non possono udirla, vederla o scriverla, per automatismo…

Insomma, non ti sei ancora conformato. Non sei ancora degno – secondo l’ortodossia vigente – di rispettare la legge. (p. 503)

55 – I SANTI p. 505

“I Santi hanno ciascuno una casetta lungo la rica con un balcone che guarda l’oceano, e quell’oceano è Dio”. (p. 505)

L’ultimo arrivato tra i santi, al termine di un lungo processo di beatificazione, c’è Gancillo, umile e semplice contadino… Questi rimira continuamente l’Oceano, Dio, accorgendosi tuttavia che un fattorino consegna a tutti sempre un pacco. Scopre così trattarsi di preghiere e corrispondenza dei terrestri. Apprende così che nessuno si cura di lui. Prova allora ad attirare l’attenzione dei compaesani, presi dal più pittoresco Marcolino, ma invano, facendo anzi osannare ancor di pi l’altro che lo credono l’autore dei miracoli… Rassegnato, si contenta di rimirare l’Oceano, divertendosi assieme a Marcolino, giunto per scusarsi dell’ingiusto trattamento riservatogli dagli umani…

56 – IL CRITICO D’ARTE p. 511

Nella sala DCXXII della Biennale di Venezia il critico d’arte Paolo Malusardi s’imbatte nelle opere di un ignoto artista astrattista, Leo Squittinna, che, gli sembra di ricordare, ha incontrato a Roma un paio d’anni prima come figurativo… Nessuno dei colleghi ha dedicato a Squittinna più di due righe e così decide di dedicargli un lungo e appassionato articolo, invero poi inintellegibile, che desta il divertimento dei lettori…

57 – UNA PALLOTTOLA DI CARTA p. 517

Due giovani si ritrovano di notte sotto casa di un noto poeta. La luce del vegliardo è ancora accessa e così iniziano a fantasticare di quali meraviglie stia quello scrivendo. D’un tratto dalla finestra viene gettato qualcosa che si rivela essere un foglio scritto appallottolato. Il narratore è il più lesto a raccoglierlo e, vincendo le insistenze dell’amico, a non aprirlo. Quello può infatti essere di un altro, o un foglio insignificante o un capolovoro non ritenuto tale dall’autore. Da allora lo tiene ancora chiuso nel cassetto, trovando pace e sollievo per il solo tenerlo in mano…

58 – LA PESTE MOTORIA p. 523

In città si diffonde in breve la peste motoria che provoca la distruzione dei motori delle auto. Tra abusi di ogni sorta e roghi di auto malate, anche il narratore si ritrova con l’auto affidatagli, la rolls-royce della marchesa Finamore, sequestrata e bruciata da due monatti e dal suo vecchio capo officina, Celada, che credeva amico e che per primo alcuni mesi prima aveva previsto l’epidemia…

59 – LA NOTIZIA p. 529

Durante l’esecuzione dell’opera n. 132 di Brahms, il direttore d’orchestra Arturo Saracino si accorge dalla crescente disattenzione del pubblico proprio in prossimità del clou dell’opera. Un brusio e l’allontanamento degli spettatori lascia infatti presagire la diffusione di una nefasta notizia. Arturo è inizialmente colto da apprensione: quale il suo futuro e quello dei propri cari? Ma il ruolo che ricopre e l’amore per la musica gli impongono di proseguire con la musica che raggiunge l’apice a teatro ormai vuoto…

60 – LA CORAZZATA “TOD” p. 533

Hugo Regulus, ufficiale di marina nel corso della seconda guerra mondiale, pubblica un libro nel quale svela il segreto della corazzata “Tod”, circostanza che nessuno ha mai voluto diffondere e che negherà qualora riconosciuto…
Nel 1942, incaricato presso l’ufficio personale, aveva iniziato a notare il trasferimento di numerosi sottufficiali per una missione segreta, la fantomatica “Eventualità 9000”… Nessuno dei colleghi, che pur sembravano saperne di più sull’argomento, ne faceva tuttavia parola… Il suo sottoposto, Untermeyer, riceve un giorno la chiamata, ma non lui… La guerra infine termina e da nessuna parte si fa cenno all’Eventualità 9000. Ossessionato da quel segreto, Hugo si reca a casa del sottoposto, ma i di lui familiari non sono in grado di dargli alcuna informazione utile, disperso peraltro il congiunto… Sconfortato, pensa quasi di abbandonare le indagini, quand’ecco due pittoreschi articoli di giornale a fargli sorgere il dubbio che si trattasse di una gigantesca corazzata (scambiata per un mostro marino e per un’isola in due distinte parti del mondo)…
La ricerca del cantiere lo occupa a lungo fino a che, una sera, un facchino di Wilhelmhaven gli dice di aver già sentito la storia di un cantiere gigantesco presso l’isola di Rugen… Lì gli abitanti confermano che si stava predisponendo la costruzione di un immenso stadio per le olimpiadi del 1948, poi tutto distrutto a guerra ormai persa. Hugo non perde la speranza e, fattosi condurre al cantiere, si accorge che ivi era stata varata un’enorme corazzata…
È il maggio del 1946 quando Hugo apprende la notizia del tentato suicidio di Untermeyer, da un mese circa rimpatriato dall’Argentina dove era stato internato… Questi, ricoverato in ospedale ormai morente, sembra farneticare, ma Hugo, che lo va a trovare, raccoglie i frammenti di racconto che questi profferisce, inserendoli nella seconda parte del libro che pubblica… Varata nell’ottobre del 1944 con il nome Konig Friedrich II, la nave ha preso il largo soltanto prima dell’armistizio sotto la guida del capitano di vascello Rupert George… In pochi decisero di scendere per rimanere a bordo come ultimo vero territorio tedesco… Ancora nei pressi di una boa a largo del Golfo di San Matteo, vi passano lunghi mesi fino a che George si ammala di tifo quando già i primi segni di sconforto iniziavano a serpeggiare per la resa. Il comando passa al vice, Murlutter, da tutti considerato favorevole alla resa e all’autoaffondamento… Questi fa dirigere la nave presso la Terra del Fuoco, dove, il 23 gennaio 1946, George muore… Ormai definita dallo stesso equipaggio corazzata Tod, Morte, dopo dieci giorni la nave salpa su ordine di Murlutter per l’ultima missione. In 86 decidono di abbandonarla e, tra di essi, Untermeyer. Assisteranno a una battaglia contro navi ancor più gigantesche, ovvero all’autoaffondamento della Tod… Per il rimorso di quella diserzione, Untermeyer si è poi suicidato una volta in patria ritornato…