CHARLES BAUDELAIRE – LA MALINCONIA DI PARIGI. POEMETTI IN PROSA

CHARLES BAUDELAIRE – LA MALINCONIA DI PARIGI. POEMETTI IN PROSA
CHARLES BAUDELAIRE – LA MALINCONIA DI PARIGI. POEMETTI IN PROSA

CHARLES BAUDELAIRE – LA MALINCONIA DI PARIGI. POEMETTI IN PROSA
ACQUAVIVA – 2010

TESTO FRANCESE A FRONTE
TRADUZIONE: GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO

I – LO STRANIERO

«Dimmi, enigmatico uomo, chi ami di più? Tuo padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?
– Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.
– I tuoi amici?
– Usate una parola il cui senso mi è rimasto fino ad oggi sconosciuto.
– La patria?
– Non so sotto quale latitudine si trovi.
– La bellezza?
– L’amerei volentieri, dea e immortale.
– L’oro?
– Lo odio come voi odiate Dio.
– Ma allora che cosa ami, meraviglioso straniero?
– Amo le nuvole… Le nuvole che passano… laggiù… Le meravigliose nuvole! (p. 84)

III – IL CONFITEOR DELL’ARTISTA

Gran delizia sprofondare il proprio sguardo nell’immensità del cielo e del mare! Solitudine, silenzio, incomparabile castità dell’azzurro! (p. 85)
Si deve eternamente soffrire, o fuggire eternamente il bello? O Natura, incantatrice spietata, rivale invincibile, lasciami! Smetti di tentare i miei desideri e il mio orgoglio! Lo studio della bellezza è un duello in cui l’artista grida di sgomento, prima di essere vinto. (p. 86)

V – LA CAMERA DOPPIA p. 86

Ricordo bene! Che orrore! Sì, è mio questo tugurio dove è di casa l’eterna noia! Ecco i mobili: insulsi, polverosi, scheggiati. Il camino senza fiamma e senza brace, lordato di sputi; le tristi finestre su cui la pioggia ha lasciato scie polverose; i manoscritti cancellati o incompleti; il calendario su cui la matita ha segnato date sinistre.[…]
Ora qui si respira il puzzo rancido della desolazione. […]
Sì, il Tempo è ricomparso! Il Tempo regna sovrano, ora. E con questo orribile vegliardo è tornato il suo seguito di Ricordi, di Rimpianti, di Spasimi, di Paure, Angosce, Incubi, Collere e Nevrosi.
Ora i secondi sono fortemente, solennemente scanditi, ve lo assicuro. E ognuno di loro, saltando fuori dalla pendola, dice: – «Io sono la Vita, l’insopportabile, l’implacabile Vita!».
C’è solo un Secondo nella vita umana che abbia la missione di annunciare una buona novella, la buona novella che provoca in tutti un’inspiegabile paura.
Sì, il Tempo regna! Ha ripreso la sua brutale dittatura. E mi spinge, coem se fossi un bue, col suo doppio pungolo. «Forza, somaro! Sgobba, schiavo! Vivi, dannato!». (p. 88)

IX – IL CATTIVO VETRAIO p. 91

Ci sono nature puramente contemplative e del tutto inadatte all’azione, che, tuttavia, spinte da non si sa quale impulso misterioso, agiscono a volte con una rapidità di cui esse stesse mai si sarebbero credute capaci. […]
[…]a volte costoro si sentono precipitare bruscamente verso l’azione da una forza irresistibile come la freccia scagliata da un arco. (p. 91)
Si tratta di un tipo di energia che scaturisce dalla reverie e dalla noia; e coloro nei quali si manifesta così inopinatamente sono di solito, come ho detto, gli esseri più indolenti e sognatori. […]
Io sono stato più di una volta vittima di queste crisi e di questi slanci che ci autorizzano a credere che dei Demoni maliziosi si insinuino dentro di noi facendoci compiere a nostra insaputa le loro più assurde volontà. (p. 92)
Questi scherzi dei nervi non sono esenti da pericoli, e spesso li si può pagare cari. Ma che cosa importa l’eternità della dannazione a chi ha trovato nell’attimo l’infinito del godimento? (p. 93)

X – ALL’UNA DI NOTTE
Finalmente solo! Ormai si sentono soltanto le ruote di qualche carrozza attardata e sfinita. Per qualche ora avrò il silenzio, se non il riposo. Finalmente! La presenza tirannica della faccia umana è sparita, e soffrirò soltanto di me stesso.
Finalmente mi è dunque concesso di distendermi in un bagno di tenebre! Per prima cosa, una doppia mandata alla serratura. (p. 93)
Questo giro di chiave aumenterà il senso della mia solitudine e fortificherà le barricate che attualmente mi separano dal mondo.
Vita orribile! Città orribile! […]
Scontento di tutti e di me stesso, vorrei proprio riscattarmi e inorgoglirmi un po’ nel silenzio e nella solitudine della notte. Anime di coloro che ho amato, anime di chi ho cantato, datemi forza, sostenetemi, tenete lontana da me la menzogna e la corruzione che esalano dal mondo; e voi, mio Signore Iddio, accordatemi la grazia di produrre quache bel verso che provi a me stesso che non sono l’ultimo degli uomini, che non sono più in basso di coloro che disprezzo. (p. 94)

XII – LE FOLLE

Moltitudine, solitudine: termini equivalenti e convertibili per il poeta attivo e fecondo. Chi non sa popolare la sua solitudine, non sa neppure restare solo in mezzo a una folla indaffarata.
Il poeta gode di questo incomparabile privilegio: che può essere, a suo piacere, se stesso o un altro. Come quelle anime erranti che cercno un corpo, egli sa entrare, quando vuole, in qualunque personaggio. Solo per lui tutto è vacante. E se certi luoghi personaggio. Solo per lui tutto è vacante. E se certi luoghi sembrano essergli preclusi, è che ai suoi occhi non valgono la pena di essere visitati.
Il passeggiatore solitario e pensoso ricava un’ebbrezza singolare da questa universale comunione. Colui che facilmente si sposa alla folla, conosce le gioie febbrili di cui restaranno eternamente privati sia l’oegista, chiuso come un forziere, sia il pigno, rintanato come un mollusco. Lui sa fare proprie tutte le professioni, tutte le gioie e tutte le miserie che le circostanze gli offrono. (p. 97)

XV – IL VECCHIO SALTIMBANCO

In quei giorni ho l’impressione che il popolo si dimentichi di tutto, sia del dolore sia del lavoro, e che diventi come un bambino. Per i più piccoli è un giorno di vacanza, è l’orrore della scuola che viene rimandato di ventiquattr’ore.
Per i grandi è un armistizio concluso con le potenze malefiche della vita, una tregua nella contesa e nella lotta universali. (p. 100)

XVIII – INVITO AL VIAGGIO

Esiste, dicono, un paese magnifico, un paese di Cuccagna, che io sogno di visitare con una mia vecchia amica.
[…] Un veros paese di cuccagna, dove tutto è bello, ricco, tranquillo, onesto; dove il lusso si compiace di specchiarsi nell’ordine; dove la vita si respira come un odore dolce e grasso; dove il disordine, la turbolenza e l’imprevisto sono banditi; dove la felicità si sposa al silenzio; dove perfino la cucina è poetica, eccitante e grassa al tempo stesso; dove tutto vi somiglia, angelo mio.
Conosci quella febbre malsana che ci assale nel freddo della miseria?, quella nostalgia di un paese mai visto, quell’angoscia della curiosità? C’è una contrada che ti somiglia, dove tutto è bello[…]. (p. 106)
Là bisogna andare a vivere, a morire!
Sì, è là che bisogna andare a respirare, a sognare e prolungare le ore nell’infinito delle sensazioni. (p. 107)

XIX – IL GIOCATTOLO DEL POVERO

Voglio dare l’idea di un divertimento innocente. Sono così rari gli svaghi non colpevoli!
Se una mattina uscirete con la precisa intenzione di andarvene a vagabondare per le strade principali, riempitevi le tasche di piccole trovate da pochi soldi – […] e passando davanti ai cabaert, sotto gli alberi del viale, fatene dono agli sconosciuti bambini poveri che incontrate. Vedrete i loro occhi spalancarsi a dismisura.
Dapprima non oseranno accettare; non crederanno alla loro fortuna. Poi le loro mani si impadroniranno freneticamente del tegalo, e uggiranno come gatti che vanno a mangiarsi il loro boccone lontano da chi glielo ha dato, avendo imparato a diffidare dell’uomo.
In una strada, dietro l’inferriata di un ampio giardino in fondo al quale appariva il biancore di un grazioso castello investito dal sole, se ne stava un bambino bello e pulito, in abiti campagnoli pieni di civetteria. […]
Accanto a lui giaceva uno splendido giocattolo, lustro e colorito come il suo possessore, verniciato e dorato, con un vestitino purpureo, coperto di piume e di lustrini. Il bambino, però, non si curava del suo giocattolo preferito, ed ecco che cosa guardava:
Dall’altra parte dell’inferriata, sulla strada, in mezzo ai cari e alle ortiche, c’era un altro bambino, sporco, gracile, fuligginoso,[…].
Attraverso quelle sbarre simboliche che separano due mondi, la strada e il castello, il bambino povero mostrava al bambino ricco il proprio giocattolo, che quest’ultimo esaminava avidamente come un oggetto raro e sconosciuto. E questo giocattolo, che il piccolo straccione tormentava, agitava e scuoteva in una gabbietta, era un topo vivo! I genitori, senza dubbio per risparmiare, avevano preso quel giocattolo dalla vita stessa.
E i due bambini ridevano fraternamente tra loro, mostrando denti di un uguale biancore. (p. 109)

XXIII – LA SOLITUDINE

Un giornalista filantropo mi dice che la solitudine fa male, e a sostegno della sua tesi mi cita, come fanno i miscredenti, le parole dei Padri della Chiesa.
So bene che il Demonio frequenta volentieri i luoghi aridi, e che lo spirito assassino e lascivo si accende straordinariamente nella solitudine. Ma potrebbe darsi che questa solitudine sia pericolosa solo per un’anima oziosa e divagante che la popola con le sue passioni e le sue chimere. […]
Apparteniamo a una razza così loquace, che fra noi si trovano individui che accetterebbero perfino la pena di more con minore avversione, se soltanto si permettesse loro di tenere un fluente discorso dall’alto del patibolo, senza il pericolo di essere interrotti prima del termine dai tamburi di Santerre.
Non li compiango: perché immagino che le loro effusioni oratorie procurino loro voluttà pari a quelle che altri ricavano dal silenzio e dal raccoglimento: ma li disprezzo. (p. 117)

XXVII – UNA MORTE EROICA

Quel principe non era né migliore né peggiore di altri: ma un eccesso di sensibilità lo rendeva in molti casi più crudele e dispotico di tutti i suoi simili. Amante appassionato delle belle arti, e anche eccellente intenditore, i piaceri non lo saziavano mai. Piuttosto indifferente agli uomini e alla morale, vero artista egli stesso, non conosceva nemico pericoloso per lui qunto la Noia, e gli sforzi bizzarri che faceva per sfiggire ad essa e per vincere la sua tirannia sul mondo gli avrebbero certamente attirato, da parte di uno storico severo, l’appellativo di “mostro”, se nei suoi domini fosse stato permesso scrivere una qualunque cosa che non tendesse unicamente al piacre e ad una delle sue forme più raffinate, la meraviglia. (p. 123)

XXXIII – UBRIACATEVI

Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua.
Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l’orologio, vi risponderanno: “È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare”. (p. 139)

XLI – IL PORTO

Un porto è un luogo incantevole di soggiorno per un’anima stanca delle lotte della vita. l’ampiezza del cielo, l’architettura mobile delle nuvole, i colori cangianti del mare, il luccichio dei fari, sono un prisma meravigliosamente adatto a distrarre gli occhi senza mai stancarli. Le forme slanciati delle navi, con la loro complicata attrezzatura, alle quali l’oinda imprime armonose oscillazioni, servono a conservare nell’anima il gusto del ritmo e della bellezza. E poi, soprattutto, c’è una sorta di piacere misterioso e aristocratico, per colui che non ha più né curiosità né ambizione, nel contemplare, disteso sul belvedere o appoggiato sul molo, tutti quei movimenti di coloro che partono e di coloro che tornano, di coloro che hanno ancora la forza di volere, il desideri di viaggiare o di arricchirsi. (p. 145)

XLII – RITRATTI DI AMANTI

Fecero poi portare altre bottiglie, per ammazzare il Tempo, che è così duro a morire, e per accelerare la Vita, che è così lenta a passare. (p. 149)