DINO BUZZATI – IL CROLLO DELLA BALIVERNA

DINO BUZZATI – IL CROLLO DELLA BALIVERNA
DINO BUZZATI – IL CROLLO DELLA BALIVERNA

MONDADORI – Collana OSCAR SCRITTORI DEL NOVECENTO n. 716 – IV ristampa 2006

Copia n. 424

INTRODUZIONE
Di Fausto Gianfranceschi p. 5

IL CROLLO DELLA BALIVERNA p. 25

Un sarto, uscito un pomeriggio di luglio assieme al cognato, alle di lui figlie e all’amico zoologo Scavezzi, per cercare insetti nei dintorni del fatiscente e antico edificio di periferia detto “Baliverna”, nel tentare una scalata alle mura diroccate provoca la rottura di un’asta di ferro che, per effetto domino, dà il via al crollo dell’intero stabile e la morte dei numerosi poveri dimoranti… A due anni dai fatti il processo è ormai prossimo all’avvio e il sarto teme che l’odioso e insinuante Scavezzi lo abbia scorto arrampicarsi e possa denunciarlo proprio all’ultimo momento. Da allora si reca infatti sovente ad acquistare abiti costosi che porta via a poco prezzo, alludendo sempre al crollo della Baliverna. Anche e soprattutto alla vigilia dell’udienza… Il sarto ha paura…

“Fra una settimana comincia il processo per il crollo della Baliverna. Che sarà di me? Verranno a prendermi? (p. 25)
Ero stato io a provocare l’ecatombe? La rottura dell’asta di ferro aveva, per una mostruosa progressione di cause ed effetti, propagato lo sfacelo all’intero mastodontico castello? (p. 30)
Ma mio cognato, o le sue figlie, o lo Scavezzi, si accorsero di ciò che avevo fatto? (p. 31)

IL CANE CHE HA VISTO DIO p. 33

A Tis, paese di miscredenti antireligiosi, il ricco fornaio Spirito lascia beffardamente al nipote, Defendente, il forno e tutti i propri averi a condizione che, per cinque anni, ogni mattina distribuisca ai poveri cinquanta chili di pane. Seppur controvoglia, il giovane sta ai patti, pur trovando il modo di beffare i poveri e lo spirito dello zio: da un’apertura della cesta dove pone i pani ne recupera molti durante la distribuzione…
Alle porte del paese, richiamato dalla fame di miscredenza, si stabilisce l’eremita Silvestro attorno alla cui dimora, di notte, si diffonde un riverbero visibile anche dai paesani che, però, totalmente indifferente, mai da lui salgono a verificare…
Un cane inizia ogni mattino a prelevare un pane che poi via lentamente, senza fuggire, eludendo la caccia che Defendente organizza. Un giorno il fornaio lo segue con la bicicletta e il fucile, fino ad arrivare ai piedi di un colle dove giace Silvestro cui il cane, Galeone, porge il pane dal quale l’eremita preleva solo una piccola parte. Defendente si fa avanti ma una sorta di blocco lo coglie rendendolo docile e impossibilitato ad adirarsi, arrivando a farsi il segno della croce e a dichiararsi addirittura credente e disponibile a lasciare il pane al cane…
Per evitare di essere scoperto e screditato, Defendente lascia a Galeone il pane sotto la panca di una baracca… Passano i mesi e, giunto l’inverno, una notte una forte luce illumina il colle: Silvesotro è morto!… Il parroco e il becchino lo seppelliscono e per due settimane del cane non si hanno più notizie. Poi, eccolo ricomparire in paese, debole e smunto, in cerca di cibo. Defendente, all’osteria con alcuni amici, nega sia il cane dell’eremita e di averci avuto a che fare… Nella mente, però, gli resta il turbamento per l’eventuale reale santificazione dell’animale…
Passano i giorni e il cane, sebbene non tocchi il pane che il fornaio gli lascia, appare sempre più florido, evidentemente alimentato di nascosto dagli ipocriti abitanti di Tis che tentanto forse così d’ingraziarsi Dio…
Un giorno, mentre è intento a prelevare il pane destinato ai poveri, Defendente si accorge della presenza di Galeone, che, imperturbabile, lo guarda con occhi accusatori prima di andarsene lentamente…
Il cane diviene presenza fissa in paese, inquietando gli abitanti e costringendoli, con latrati, abbai e guaiti a riconoscere il male che stan per compiere, a desistere e a tornare sulla retta via. Il più perseguitato è ovviamente il fornaio, timoroso di perdere la propria eredità se denunciato nell’atto di trafugare parte del pane destinato ai poveri…
Le malefatte dei cittadini si riducono allo zero fino a che, una notte, Defendente si sveglia credendo di udire il rumore di ladri in azione. Dalla finestra scorge anche l’ombra di un cane. Apre il fuoco e, a giacere al suolo, è proprio Galeone… Eppure, nel pomeriggio dell’indomani, il cane ricompare in strada alimentando così il mito della divinità in lui presente. Le offerte in chiesa si moltiplicano così come le elargizioni ai poveri per via della paura di essere giudicati che gli abitanti ora nutrono nei suoi riguardi…
Anni dopo, ormai invecchiato, Galeone è vittima di una paralisi alle gambe posteriosi presso il Duomo. Di giorno nessuno gli si avvicina per timore di essere deriso, ma, ipocritamente, un’infinita processione di nere ombre gli fa dono nottetempo di cibo e bevande… Gli abitanti, per causa sua, hanno cambiato radicalmente il proprio stile di vita, sperando che la bestia muoia presto, oppressi dai suoi sguardi e della sua voce…
Il cane alla fine muore, ma gli abitanti restano inquieti e incapaci dopo lungo tempo di tornare alla abitudini modificate… Decidono di seppellirlo al fianco di Silvestro ma, giunti in collina, scoprono le ossa consumate di Galeone proprio al di sopra della tomba del padrone… Si sono autosuggestionati per anni…

FINO ALL’ULTIMA GOCCIA DI SANGUE p. 67

All’approssimarsi dei filibustieri, gli abitanti di un’isola istituiscono un Comitato di difesa che decide di chiedere l’ausilio del vecchio generale in pensione Antonio Imagine… Questi si rivela essere un uccello spennacchio ormai prossimo alla morte che dapprima di gonfia d’orgoglio incitando alla resistenza, poi, appreso il numero dei nemici, si fa debole implorando di accogliere gli invasori. Respinto il consiglio, si ripara sotto il cuscino con gli ospiti che se ne vanno pronti alla battaglia…

AUTORIMESSA EREBUS p. 74

Il narratore è un cinquantottenne che, dopo una vita morigerata durante la quale non ha mai dovuto chiedere nulla a nessuno, certo di potercela fare con le proprie forze, ridotto in miseria si decide a recarsi presso l’officina Erebus Garage del vecchio Onofrio. Scopo della sua visita è quello di ottenere fortuna, soldi, gloria, amore e felicità dallo stesso Onofrio, in realtà un diavolo che dispensa tutto ciò in cambio dell’anima, come avvenuto quarant’anni prima con il suo amico, il conte Sergio Balza, e come avviene con tanti altri giovani. Ma Onofrio, quasi con dispiacere, mostrandogli l’aspetto ormai dimesso, gli spiega di non poter far più nulla con la sua anima, ben lontana dalla giovinezza… Affranto, il narratore si congeda…

QUALCOSA ERA SUCCESSO p. 81

Un uomo viaggia a bordo di un direttissimo. Giunti a un passaggio a livello di un paesino di campagna, si accorge della presenza di una donna ferma alla sbarra per ammirare quel gioiello della tecnologia. Ma la donna, al passaggio del treno si volta per rispondere alla chiamata concitata di un uomo sopraggiungente alle sue spalle. Il viaggiatore non dà troppo peso alla cosa, ma poco dopo si accorge di un contadino che chiama a gran voce un gruppetto di persone… Il treno fila via veloce… Cosa sarà successo?… Il dubbio diviene certezza quando analoga concitazione gli sembra di scorgere in tutti i paesini attraversati… “qualche cosa era successo e noi sul treno non ne sapevamo niente”. (p. 83)
Gli altri passeggeri non si accorgono di nulla, o fingono di non avere paura? Il treno, stranamente, non si ferma mai e viaggia imperterrito verso nord proprio mentre invece tutti sembrano dirigersi verso sud per scampare a un ignoto pericolo…

“E tutti avevano la stessa direzione, scendevano verso mezzogiorno, fuggivano il perclo mentre noi gli si andava direttamente incontro[…]. (p. 84)

Con il passare delle ore il pericolo si fa evidente, ma nessuno dei passeggeri, per contegno, pone domande o tira la leva del freno d’emergenza…

“Ma nessuno parlò o ebbe l’audacia di rompere il silenzio o semplicemente osò chiedere agli altri se avessero notato, fuori, qualche cosa di allarmante.
Ora le strade formicolavano di veicoli e gente, tutti i ncammino verso il sud. Rigurgitanti i treni che ci venivano incontro. Pieni di stupore gli sguardi di coloro che da terra ci vedevano passare, volando con tanta fretta al settentrione”. (p. 84)

Una passeggera, in una stazione, riesce a repire la prima pagina di un quotidiano, ma il vento gliela strappa eccetto un triangolino che indica una parola che finisce con IONE…

Verso una cosa che finiscie in IONE noi correvamo come pazzi, e doveva essere spaventosa se, alla notizia, popolazioni intere si erano date a immediata fuga. […]
ma il nostro treno, no, il maledetto treno marciava con la regolarità di un orologio, al modo del soldato onesto che risale le turbe dell’esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea dove il nemico già stava bivaccando. (p. 85)

Giunti in stazione il treno si ferma. Nulla sembra cambiato, eccetto una desolazione totale. Nessuno è in vista e solo il grido d’aiuto di una donna evidentemente abbandonata dà ai passeggeri segno di sopravvivenza umana…

In città non avremmo più trovato un’anima? Finché la voce di una donna, altissima e violenta come uno sparo, ci diede un brivido. “Aiuto! Aiuto!” urlava e il grido si ripercosse sotto le vitree volte con la vacua sonorità dei luoghi per sempre abbandonati. (p. 86)

LA GRANDE BISCIA p. 87

Nell’inospitale desertica Valle dei Calatroni, come ogni estate, quasi a volersi rivalere sul mancato passaggio di turisti e forestieri, gli abitanti raccontano l’avvistamento di un gigantesco serpente…

“Storia vecchia e frusta quella del serpente. d’altra parte che cosa inventare perché il mondo si ricordi di questo angolo negletto di Dio?”. (p. 88)

A dare veridicità ai racconti dei semplici abitanti, è Giulio Veneroccoli, maestro e consigliere comunale, che scrive per la pubblicazione l’“Informativa”… Lo scritto richiama in loco il reporter del giornale che, raccolte le testimonianze, pubblica la notizia. Ma nessuno degli sperati scienziati, giornalisti e visitatori si presenta nel paese, tanto che il tempo passa e perfino l’avvistatore dubita di averlo seriamente scorto, il serpente… Ma il mostruoso essere esiste invero, giacente sul fondo di un vicino stagno…

“Noi ci si guarda intorno sfiduciati, e non vediamo”. (p. 93)

IL FRATELLO CAMBIATO p. 94

Il narratore descrive il mutamento subito dal fratello Carlo dopo il suo ingresso in un collegio a seguito dell’espulsione da scuola dovuta all’ennesima marachella. Da allora è cambiato, trasformato in un giovane e poi remissivo uomo che a quarant’anni è uno stimato uomo d’affari che cela però il segreto di quanto occorsogli nel primo giorno di collegio, evento che lo ha trasformato completamente…

Che cosa gli hanno fatto, in quel collegio maledetto? In che modo lo hanno spento, mutandolo in una larva? Perché non si ribella? Perché non ha il coraggio di parlare? (p. 100)

SIC TRANSIT p. 101

Un giorno il ministro dell’economia, onorevole Ricci, usciro di casa non trova ad attenderlo la solita auto. Invano tenta di contattare la segretaria, costretto così a raggiungere il mininistero in taxi. Nessuno sembra tuttavia più riconoscerlo e dopo lunga anticamera si ritrova assunto come uomo di fatica incaricato di pulire il suo vecchio ufficio. Realizza così di essere invecchiato e, dopo tanta ascesa, di esser caduto e retrocesso agli esordi…

“In questo istante egli capisce: non la rivoluzione, né un siluramento, né un equivoco: si è compiuto solamente il suo destino.[…]
E anche se il crollo è progressivo e c’è tutto il tempo di pensarci, cene accorgiamo sempre troppo tardi, quando si è in fondo. E chi è caduto – così sta scritto – chi è scivolato in basso anche di un metro, non potrà risollevarsi più. (p. 106)

UN VERME IN CASA p. 108

Andrea Filari, antiquario quarantenne, viene salutato un giorno da un uomo che si dichiara essere un suo vecchio compagno di ginnasio, tale Egidio Molla… Questi, servile e languido, con una scusa ottiene di essere ospitato in casa per la consultazione di alcuni libri occorrentigli per il completamento di una ricerca da far pubblicare. A poco a poco, approfittando della bontà degli ospiti, finisce per accasarsi e dormire nel letto di Andrea e lavorare nella di lui bottega d’antiquario. Una notte, ormai esasperato, Andrea entra in camera per uccidere Egidio. Questi si sveglia, rimanendo ferito a una mano con un colpo di pistola. In cambio del silenzio, ottiene così di divenire definitivamente il padrone in casa e di essere socio del negozio…

LA MACCHINA CHE FERMAVA IL TEMPO p. 116

A Marsicano viene costruita una città, Diaconia, destinata alla sperimentazione di un macchinario inventato da Aldo Cristofari e in grado di rallentare il tempo fino a far vivere il doppio… Quando l’esperimento ha inizio sono poco più di diecimila i residenti, sempre in crescita, fino allo studio di uno statunitense, Edwin Mediner, che denuncia il possibile rischio derivante da un eventuale funzionamento inverso del macchinario… Cristofari rassicura e la popolazione cresce, pur vivendo di fatto in esilio e a un ritmo di vita decisamente innaturale. Un giorno che il narratore ricorda bene, un 17 maggio per l’esattezza, forse uno dei tecnici inverte il funzionamento del macchinario decretando così in pochi secondi la scomparsa di Diaconia e dei suoi abitanti…

“La profezia di Mediner di era avverata. Per cause rimaste sempre ignote la macchina del tempo aveva invertito direzione; e pochi secondi erano bastati per inghiottire tre quattro secoli di vita. (p. 123)

I TOPI p. 124

Il narratore si dichiara preoccupato per la sorte degli amici Coria, usi ospitarlo ogni estate nella loro casa di campagna. Quest’anno il capofamiglia, Giovanni, gli ha scritto di non poterlo ospitare senza aggiungere altro…
Il narratore ricorda così di come anno dopo anno la presenza di topi in casa Coria sia vieppiù aumentata, con il primogenito Giorgio a mostrargli il loro numero ormai esorbitante e la loro cattiveria nella passata estate… Giunge peraltro voce che la casa sia ora occupata dagli stessi topi e che i Coria siano ormai loro schiavi…

“E adesso? Perché Giovani ha scritto di non potere più invitarmi? Cosa è successo? Avrei la tentazione di fargli una visita, pochi minuti basterebbero, tanto per sapere. Ma confesso che non ne ho il coraggio”. […]
Dicono che nella villa nessuno possa entrare; che enormi topi l’abbiano occupata: e che i Corio ne siano gli schiavi. (p. 129)

UN CORVO IN VATICANO p. 131

Antonio Huber, dottre in teologia, in prossimità dell’anno santo, certo di poter ottenere una facile perdono con un pellegrinaggio a Roma, si lascia andare a una serie di peccati… Ritenuto colmo il limite della coscienza, decide di partire per Roma…
Alle porte della città, fermatosi in campagna, si addormenta mentre viene circondato da neri corvi che in volo l’innalzano. Questi lo condcono sghignazzanti nel loro covo, dove Antonio si ritrova tramutato in corvo. Sono infatti demoni che catturano i peccatori diretti a Roma in pellegrinaggio… Disperato, Antonio si allontana, decidendo di raggiungere comunque la città santa dove potersi liberare dal male immergendosi nell’acqua santa. Ma tutte le finestre trova chiuse sia in chiesa che in convento e vano è anche il tentativo di farsi aprire dai preti del Vaticano…
Passano i mesi e, ormai allo stremo, nelle notti del sopraggiunto inverno inizia a bussare insistentemente alla porta dell’individuata stanza del Papa… Questi, una notte, gli apre infine: la lunga attesa è stata una penitenza per i suoi numerosi peccati…
Antonio si risveglia in auto… Ha forse sognato? No, la folta barba, le ruote sgonfie e la polvere depositata sulla carrozzeria dell’auto dimostrano, assieme ai primi fiocchi di neve, che per ben quattro mesi è lì rimasto…

APPUNTAMENTO CON EINSTEIN p. 139

Princeton. Pomeriggio d’ottobre. Einstein passeggia per i viali dell’Ateneo quando d’un tratto ha un’illuminazione che lo porta a vedere lo “spazio curvo”, base per i suoi futuri studi… Mentre si bea della scoperta, si ritrova in un luogo ignoto dove un misterioso e affascinante negro gli si fa incontro, rivelandosi al termine di un breve dialogo come Iblìs, Angelo della Morte, giunto per prendergli l’anima. Einstein chiede una proroga per il completamento del proprio lavoro, richiesta che gli viene accordata per ben due volte. Al momento di cedere l’anima, Iblìs gli lascia tuttavia la libertà: lui non lo sa, ma quel che crede innocue formule, sono in realtà strumenti dei quali i demoni si beano…

IL BUIO p. 146

Nel cuore di una valle a lui straniera, in mezo ai boschi, verso sera, un guaio di motore blocca il cavaliere Aldo Getsemani, di 57 anni, che sta andando in Austria per affari. (p. 146)

Getsemani raggiunge un albergo poco distante dove si trovano solo clienti fissi intenti a guardare fuori delle finestre. Chiesto al proprietario, Casimiro, di un meccanico e costretto a prenotare una stanza, s’informa anche cosa gli altri stiano fissando… Aspettano l’arrivo del buio, risponde quello…
Poco dopo Getsemani prende posto nella camera assegnatagli, poi scende per la cena. Il motore che genera elettricità si guasta in breve e così l’albergo resta al buio… Casimiro recupera alcune candele usate, dopo che la cameriera ha fracassato l’unica lampada a petrolio, che in breve terminano… Getsemani ha sempre più paura del buio e non riesce a prender sonno…

“E nel buio una vita misteriosa che fermenta: scricchiolii, passi, fremiti, bisbigli. Chi parla? Chi si muove? Che complotto si sta combinando?” (p. 152)

Insonne, decide di verificare chi e cosa provochi i rumori che ode. Nel ballatoio crede di scorgere flebili luci provenire dalle stanze degli altri, poi cade rovinosamente dalle scale dopo aver inciampato forse in un gatto… L’ultimo suo ricordo sono gli ospiti e gli inservienti che escono dalle rispettive stanze con una candela nuova…

LA BAMBINA DIMENTICATA p. 154

Ada Tormenti vedova Lulli si reca per alcuni giorni in campagna, dai cugini Premoli, per un po’ di vacanza. Durante un dialogo tra i presenti un angoscioso dubbio l’assale: l’ha accompagnata la figlia Luisella dalla zia? Non ne ha il minimo ricordo… Colta da ansia crescente, abbandona il crocchio per recarsi a telefonare. Sbaglia dapprima numero, poi nessuno le risponde come se nessuno fosse rimasto in casa… Riprende fiducia, ma, la notte, il dubbio l’assalte nuovamente con forza: Luisella, qualora morta, non avrebbe certo potuto rispondere al telefono!…
Alle sei del mattino prende il treno per Milano, raggiungendo casa in taxi. All’esterno tutto è chiuso e la portinaia non le dice nulla, ma, aperta la porta, oltre alla calura estiva eccola accoglierla una sagoma trasparente prima e la cenere con la forma della figlia dimenticata disposta sul pavimento poi… L’aveva dimenticata!…

GLI AMICI p. 159

Toni Appacher, violinista morto da venti giorni, si presenta in forma di spettro con ancora un minimo di consistenza, presso la casa del suo amico liutaio Amedeo Torti. Questi, intento a prendere il caffè con la moglie, non credente alla di lei sensazione di ricevere una visita del defunto, si ritrova invece ad aprirgli la porta. Anziché esprimere gioia, Amedeo si irrita e alla fine rifiuta di dare ospitalità all’amico, costretto a rimanere sulla Terra ancora un mese per problemi nell’aldilà, con la scusa dei figli. Affranto, Appacher raggiunge il direttore del Conservatorio, Mario Tamburlano, che lo lascia alla porta con la scusa del cane… Nuovamente rinnegato, Amedeo tenta da una donna di facili costumi con cui è spesso stato, Gianna, che, terrorizzata dalla sua apparizione, grida e tenta di pugnalarlo con un paio di forbici. L’ultimo vano tentativo Appacher lo compie a casa del parroco, Don Raimondo, ex compagno di ginnasio, il quale lo invita a entrare pur prospettando la propria rovina. L’ex violinista allora se ne va, rimanendo a vagare nel tempo rimastogli…

“Ed è per questo che gli spiriti – se mai qualche anima infelice si trattiene con ostinazionesulla terra – non vogliono vivere con noi ma si ritirano nelle case abbandonate, tra i ruderi delle torri leggendarie, nelle cappelle sperdute tra le selve, sulle scogliere solitarie che il mare batte, batte, e lentamente si diroccano”. (p. 166)

I REZIARII p. 167

Un monsignore si diverte a catturare un ragno e a gettarlo nella tela di uno ben più grande che avvolge in un bozzolo la nuova preda. A sorpresa, però, quello riesce poi a divincolarsi, ma il prelato lo rigetta nuovamente sulla tela… Sovente ha la sensazione che qualcuno sia dietro di lui…
Il ragno più piccolo, lotta duramente, ma alla fine viene ferito all’addome e imprigionato. Mosso da senso di colpa, il monsignore lo libera, assistendo addolorato alla di lui agonia. Il ragno sembra guardarlo e il prelato sente dietro di sé una presenza…

IL DELATORE p. 172

Al Foro, dopo l’arrivo della notizia della sconfitta delle legioni di Quintilio Rufo ad opera dei Mesi, si discute sulla possibilità che Cesare ordini la decimazione delle stesse. Cecilio Lentulo, pavido ricco grasso, per servilismo dichiara avventatamente che Cesare non avrebbe mai approvato una tale infamia… Subito dopo un’enorme angoscia lo coglie per via di qualche spia che potrebbe averlo ascoltato profferire tale avventato commento, imponendosi tuttavia di non pensarci oltre…
Il mese successivo i Mesi sono sconfitti da Rufo e dalle rinnovate legioni dalla decimazione ordinata da Cesare. Per Cecilio l’angoscia diviene compagna e, corroso dall’ansia, decide di chiedere ai possibili testimoni che ricorda presenti quel giorno al Foro… Quando raggiunge la casa del poeta Arrunzio, suo vecchio amico, scopre di essersi tradito da solo. Il vecchio aveva infatti consigliato a una spia, Mamerco Pesatore, al mattino contattata da Cecilio, di aspettare che il colpevole delle critiche a Cesare si facesse vivo, senz’altro roso dal dubbio. E così ecco le guardie giungere a prelevare Cecilio prima che questi possa fuggire…

ALL’IDROGENO p. 181

In piena notte un uomo è svegliato dal sinistro squillo del telefono. Un amico che non riconosce fa accenno a qualcosa per poi riagganciare… L’uomo si rimette a dormire, ma ecco una seconda telefonata, dell’amica Luisa, che ugualmente chiede ma non spiega… Infine qualcuno suona alla porta. Ma nessuno risponde né si palesa… Un brusio di voci e un agghiacciante rumore come di qualcosa che viene trascinato e deposto nelle cantine scuote il palazzo. Uscito sul pianerottolo del sesto piano, ascolta le concitate voci degli altri: stanno sistemando una bomba all’idrogeno! Ben presto si scopre che quella è destinata a un uomo solo: a lui!…

L’UOMO CHE VOLLE GUARIRE p. 188

In un grande lebbrosario che dalla collina domina la città, è ricoverato un giovane principe, Mseridon. Questo, smanioso di guarire per tornare alle ricchezze, agli agi e ai piaceri della propria condizione, non si rassegna alla malattia. Con perseveranza prega diuturnamente fino alla stremo, riuscendo infine a guarire completamente a ad ottenere il lasciapassare per tornare in città. Ma, sulla soglia del lebbrosario, una vista atroce gli appare: la città in decadenza, marciume ovunque. Il vecchio lebbroso Giacomo gli spiega che la guarigione è avvenuta solo grazie a Dio che ha ora catturato il suo animo, rendendogli vana e disgustosa la vita di prima. Insieme rientrano così nel lebbrosario…

“Di giorno in giorno, mentre la grazia lavorava in te, senza saperlo tu perdevi il gusto della vita. Tu guarivi, ma le cose per cui smaniavi di guarire a poco a poco si staccavano, diventavano fantasmi, cimbe natanti sopra il mar degli anni!”. (pp. 194-195)

24 MARZO 1958 p. 196

Tre satelliti artificiali inviati in orbita tra il 1955 e il 1958 sono osservati ogni notte dall’ormai vecchio ideatore del primo di essi, Forrest… I lanci si erano rivelati un fallimento, giacché gli equipaggi cessavano d’inviare comunicazioni non appena raggiunto un punto dove dichiaravano di ascoltare una musica celestiale. Il Faith, partito il 24 marzo 1958, è stato l’ultimo tentativo umano di raggiungere il paradiso, al cui contatto l’uomo muore d’estasi…

L’EPIDEMIA p. 203

Il colonnello Ennio Molinas, direttore del reparto Decrittazione, nota l’assenza di ben otto dei ventiquattro sottoposti. Più tardi, all’arrivo di Sbrinzel, infido segretario del reparto Intercettazione, è colto da un’ansia crescente. Quello insinua infatti che gli assenti si siano ammalati di “influenza di stato” che colpisce solamente gli oppositori e i disfattisti. Anche Ennio si sente male, ma per lunghi giorni tiene botta e continua a presentarsi al lavoro, unico del reparto, sostenendo le insinuazioni di Sbrinzel. All’ottavo giorno, ormai spossato, con immensa gioia apprende che anche la spia si è ammalata. Ha superato la prova e la felicità lo porta a scorgere come da anni non faceva le montagne, pure e belle come non mai a differenza degli esseri umani…

LE TENTAZIONI DI SANT’ANTONIO p. 213

Il giovane Don Antonio che conduce una vita da santo dedicata completamente al proprio lavoro, durante una lezione di catechismo ai bambini sul peccato è colto da continue tentazioni che sembra scorgere nelle forme assunte da alcune nubi. Turbato all’estremo, pone fine alla lezione decidendo di affrontare la situazione: osservando il cielo di quelle nubi tentatrici non c’è tuttavia più traccia…

IL PROVOCATORE p. 220

Il professore Edmondo Sciapiro, emigrato negli Stati Uniti da sei anni, passando nei pressi di un ponte riconosce la figura del figlio Alberto del quale aveva perso le tracce durante la fuga dall’Europa. A nulla valgono i suoi sforzi di raggiungere il giovane, scambiato per un provocatore dal servizio d’ordine del ministro Ferreira presente per l’inaugurazione del ponte. Mentre viene pestato e perde coscienza nota il figlio allontanarsi velocemente sulla sponda opposta…

IL BAMBINO TIRANNO p. 227

Giorgio è un bambino viziato e capriccioso che tiene in scacco tutti i familiari che fanno di tutto per non dover passare come causa delle sue bizze…
Una domenica il nonno, colonnello in pensione, apre l’armadio dei giocattoli iniziando a manovrare un magnifico camion del latte portato a Giorgio dagli USA da uno zio. Uno dei portelli si rompe e sommariamente il vecchio lo ripara. Ma il segreto non dura a lungo. Forse tradito dalla moglie Elena o da qualcun altro della servitù, pensa, dopo il pranzo Giorgio maliziosamente si sposta nella stanza dei giocattoli dove prende il camioncino senza tuttavia giocarci. Per tre giorni lo tiene sempre con sé, fino a che il nonno non lo fa piangere invitandolo insistentemente a giocarci per porre fine al supplizio di esser stato scoperto. Il bambino decide invece di distruggere il camion e nel farlo si accorge del danno. Il vecchio viene tradito dalla moglie e il bambino a sorpresa inizia a ridere, aggirandosi per la casa ripetendo la frase profferita dalla nonna: E guardatelo che stella…

TRIONFO p. 235

Stefano Giri, anonimo sessantasettenne, viene ritrovato morto nella sua stanza dalla portinaia, signora Pina. Questa fa entrare un uomo, che crede un commissario, e che si rivela essere invece un emissario divino che ha predisposto un percorso d’onore per la salma di colui che è sempre stato umile e maltrattato. Il fastoso corteo parte, ma l’angelo si avvede dell’approssimarsi di un diavolo tentatore, mettendo in guardia Stefano…

IL DELITTO DEL CAVALIERE IMBRIANI p. 241

Il vecchio misantropo Tullio Imbriani, rincasando una sera, si ritrova un bellissimo gatto soriano accoccolato sulla soglia. Dopo averlo carezzato lo invita a entrare, decidendo di tenerlo, lui che mai ha amato gli animali… Poco dopo ode dei passi sulla ghiaia del giardino, provocati da una grassa donna giunta in cerca del gatto. Imbriani nega di aver visto il felino, cacciando la donna in malo modo… Più tardi di nuovo però se la ritrova nel giardino, a chiamare il gatto, Iris, che risponde alla di lei voce… Per farlo tacere l’Imbriani gli preme con forza un cuscino sul corpo, fino a che non cessa di dimenarsi. La donna lancia intanto sassi ai vetri, chiedendo del gatto, a lei affidato, ma il vecchio nega ancora di averlo visto. Andata via la donna, torna al divano, scoprendo di aver soffocato il povero animale…
Deciso di disfarsi del cadavere gettandolo in un tombino presente nel giardino in un punto non visibile dall’esterno, suonano ancora alla porta. Stavolta è un inserviente della casa signorile dove il gatto viveva. Erminia il nome della donna venutolo a cercare per due volte… Imbriani nega e l’altro va via…
L’indomani numerose persone, compresi questurini, si aggirano in cerca del gatto, spiega il barista Gino all’Imbriani che, inavvertitamente, si lascia sfuggire alcuni dettagli compromettenti, frasi udite dall’inserviente passato il giorno prima che servilmente si presenta prima di congedarsi… Spaventato, Imbriani decide di affrettarsi a tornare a casa per verificare che il gatto non si sia incastrato nella condotta… Strada facendo nota un patibolo e un rogo pronti per l’assassino del gatto, spacciato nel primo luogo come di proprietà del re, da alcuni frati come di Dio… Ad attenderlo fuori del cancello i gendarmi…

RIGOLETTO p. 249

In un bigio giorno di febbraio si tiene l’annuale parata militare con la novità della sfilata dei reparti atomici… Questi invero si rivelano estremamente poco appariscenti, condotti peraltro da goffi soldati che assomiglian più a studenti. Tra gli ufficiali, un gobbetto, definito Rigoletto, che inizia a dar segni di nervosismo quando dai veicoli principia la fuoriuscita di pulviscolo radioattivo. Gli animali si agitano e iniziano a fuggire. Il narratore è il primo a imitarli, appena in tempo prima che la tragedia si abbatta sugli altri attardati cittadini…

I CINQUE FRATELLI p. 255

Dopo un lungo viaggio il principe Caramasàn si appresta a tornare nel proprio regno. Strada facendo s’imbatte in un vecchio anacoreta attorniato da alcuni pellegrini incappucciati. Questi gli intima di affrettarsi a tornare a casa giacché il malvagio Ubu Murru sta avanzando verso il palazzo dove, trovando i cinque principini riuniti, potrà trarli seco all’inferno. Caramasàn si precipita dunque verso la propria dimora, sopravanzando Ubu Murru e intimando ai figli di disperdersi. Quelli di lì in avanti vivono separati, vedendosi solamente in numero massimo di quanto. Al momento della morte del padre, estraggono a sorte chi di loro non dovrà presentarsi al capezzale. Tocca a Callisto che il padre, ignaro dell’estrazione, disereda. I fratelli non danno nulla a Callisto che così decide di vendicarsi cercando di sorprenderli e farli catturare da Ubu…
Passano gli anni e tutti diventano sospettosi, architettando addirittura piani per uccidersi l’un l’altro. Un giorno Callisto si reca nel deserto dal vecchio anacoreta, trovandosi in sua vece un giovane che rivela a lui e ai presenti di esser stati ingannati: Ubu Murru ha fatto in modo di fargli vivere una vita di paura e rancore… I fratelli si riabbracciano quando ormai è troppo tardi…

PROCESSO PER IDOLATRIA p. 262

Il professore Emidio Cammarano viene imputato per il delitto d’idolatria per aver pregato per più notti consecutivamente. Il Procuratore chiede che sia sottoposto alla denegazione, il cui superamento lo scagionerà, mentre il rifiutò condannerà come reo confesso. Le prime due prove sono superate, ma la terza, che prevede di sputare sul crocefisso e calpestarlo, non viene eseguita dal professore che anzi confessa e inizia a pregare in aula. Le sue suppliche sembrano essere esaudite e una sorta di tornado si abbatte sul palazzo, con il Presidente di giuria e il Procuratore attaccati da ignare forze…

IL MUSICISTA INVIDIOSO p. 273

L’invidiosissimo compositore Augusto Gorgia ode un giorno in strada una musica di pianoforte straordinariamente innovativa sebbene lontana dai propri canoni. La riascolta poi a casa, trasmessa alla radio che la moglie Maria sta ascoltando… Passano i giorni e anche il collega Giacomelli sembra rassicurarlo… Cercando sul giornale trova una serie di possibili autori di quella musica innovativa… Ne scarta alcuni, altri non li conosce… Nei giorni seguenti si sente vittima di una sorta di complotto, fino a che i suoi timori si tramutano in certezza: l’autore di quella musica è un vecchio compagno di studi fin lì ritenuto mediocre, Ribbenz. Ormai in ritardo per presenziare alla prima, evento che la moglie e l’amico hanno fatto in modo di evitargli, Augusto esce ritrovandosi in un bar dove il fato sembra averlo destinato da tempo. Lì anche operai e prostitute ascoltano quella geniale musica, note che lui non ha saputo creare. Di lì in avanti per lui non esisterà più gioia nell’esistenza…

LA MACCHINA p. 281

In un giorno di primavera il narratore e suo cugino, Pietro Trevigliani, si recano nei pressi di Linate per una delle loro escursioni in bicicletta nel paesaggio incontaminato fuori porta. Giunti nei pressi della Cava dei Mori, paesaggio quasi desertico, vi scorgono con immensa sorpresa la presenza di uno strano gigantesco nero macchinario. Pietro vorrebbe andare via, ma il narratore si avvicina per cercare di capire di cosa si tratti. L’oggetto si rivela essere un ragno gigantesco, dal quale il narratore tenta di nascondersi, mentre il cugino, avvedutosi per primo del pericolo, riesce a fuggire via in tempo…
Passano le ore e un sopraggiunto adolescente di circa tredici si avvicina sempre più al mostro nonotante gli avvertimenti del narratore. Il giovane ha una fionda e delle bombe con le quali riesce a farlo esplodere. Insieme danno poi fuoco alla carcassa, allontanandosi da quel nefasto luogo. Al narratore resta tuttavia un angoscioso senso d’inquietudine, come se il conto con i ragni non sia stato affatto chiuso…

IL CASO DI AZIZ MAIO p. 292

In una piovosa notte insonne, il principe Sisto scorge dalla finestra un soldato dall’ignota uniforme recarsi a casa del capo delle guardie more, Aziz Maio. Il gigante segue a malincuore il nuovo arrivato senza neanche vestirsi o chiudere la porta. Che si tratti di una congiura, pensa il principe? Per l’indomani è prevista un’escursione che il sovrano decide di rimandare, chiedendo a Don Sigismondo, primo aiutante in campo, di rintracciare Aziz. Di questi non c’è più traccia e, rimasti soli, Sigismondo spiega non senza reticenza che una diceria popolare vuole che chi riceva un messaggio sia costretto poi a partire. Il messaggero non è peraltro mai lo stesso, così come la chiamata può esser ricevuta nei più svariati modi. Solo alla fine Sisto capisce trattarsi della Morte, pur bollando il tutto come diceria popolare. Ma, rimasto solo, vede avanzare verso di sé la principessina, abbigliata proprio come il messaggero che ha portato via Aziz. La morte è così giunta…

NOTTE D’INVERNO A FILAFELFIA p. 309

Ai primi di luglio del 1945 la guida alpina Gabriele Franceschini rinviene in Val Canali il corpo di un paracadusta americano. La spedizione da lui guidata recupera il cadavere, ma i soldati statunitensi abbandonano il cadavere per tre mesi prima di ritornarne a riprendere i resti, nel mentre bruciati dai pietosi montanari. Del defunto resta una semplice croce con il nome, Muller, e l’indicazione errata della patria, England in luogo di USA…
La narrazione viaggia a doppio binario, con in corsivo la descrizione della tragedia e il successivo volo su Filadelfia da parte dello spirito del defunto…

LA FRANA p. 316

Giovanni, giornalista alle prime armi, viene svegliato da una telefonata del direttore che lo invita a recarsi nel paese di Goro dove si sarebbe verificata una frana cagione di danni e morti… Giunto sul posto in stato d’eccitazione per la possibilità di dare una svolta alla propria carriera con un ottimo reportage, Giovanni non trova tuttavia traccia alcuna di frana né a Goro né alla soprastante Sant’Elmo. Scesa la sera e spazientito dal tempo perso dietro i vari montanari, ciascuno dei quali gli ha mostrato la “propria frana”, Giovanni si rimette in marcia con la sua auto. Quando un sinistro fruscio alle sue spalle si palesa, “il suo cuore fu preso da un orgasmo inesprimibile, stranamente simile alla gioia”. (p. 325)

NON ASPETTAVANO ALTRO p. 326

Antonio e Anna giungono in un pomeriggio afoso in una città, tappa obbligata prima di ripartire l’indomani per la destinazione prefissata. Nonostante in giro non ci sia anima viva, in nessuno degli alberghi visitati trovano posto. Decidono allora di andarsi a rinfrescare ai bagni, ma Anna, che ha perso la carta d’identità, non può acquistare il biglietto. Antonio non può cedergli il proprio e così si allontanano sotto lo sguardo torvo e il vociare dei presenti… In un parco Anna s’immerge in una fontana riservata ai bambini, arrivando a litigare con gli autoctoni che finiscono per prenderla a palle di fango… La situazione degenera. Antonio viene preso a pugni da un bullo, mentre le donne, sfruttando il fatto che Anna abbia gettato nella vasca un bambino che l’aveva colpita a una tibia con una barchetta, iniziano a picchiarla e a trascinarla via. La malvagita insita nell’animo degli autoctoni sembra dunque aver trovato sfogo, esternandosi con gesti violenti e un linguaggio barbarico e inintelligibile… Invano Antonio chiede aiuto a due guardie… La folla inferocita rinchiude Anna in una gogna che cala nel fossato del vecchio castello presente al limitare del parco… Scesa la sera anche Antonio, riconosciuto dal giovane che l’aveva picchiato, viene catturato, legato e gettato nella fossa. Una vecchia sopraggiunge a gettargli escrementi, mentre Anna, ormai in stato di choc, porge la mano verso un grillo, più umani di chi li sta assasinando…

IL DISCO SI POSÒ p. 341

Una sera Don Pietro si vede atterrare nel giardino un disco volante dal quale escono due marziani. Questi spiegano di essere interessati alle strane antenne che vedono in ogni dove: le croci. Don Pietro gli spiega di Dio, che han tradito mangiando il frutto proibito, per poi uccidere il di lui figlio… Gli alieni ripartono, puri, senza peccato e per questo non bisognosi di pregare Dio. Il prete si rincuora, sparando al disco volante in allontanamento… Dio senz’altro preferisce i peccatori umani che a lui son costretti a rivolgersi costantemente…