CHUCK PALAHNIUK – FIGHT CLUB

CHUCK PALAHNIUK – FIGHT CLUB

MONDADORI – Collana Piccola Biblioteca Oscar Mondadori n° 387 – 2007

TRADUZIONE
Tullio Dobner

 

1 p.5

Il narratore si trova al 191° piano di un grattacielo, il Parker-Morris Building, in compagnia del suo malvagio alter ego immaginario, Tyler Durden, con una pistola in bocca…

 

Tyler mi trova un posto da cameriere, dopodiché c’è Tyler che mi caccia una pistola in bocca e mi dice che il primo passo per la vita eterna è che devi morire. Per molto tempo però io e Tyler siamo stati culo e camicia. La gente sempre a chiedermi se sapevo o no di Tyler Durden. (p.7)
«Questa non è una morte vera» dice Tyler. «Saremo leggenda. Non invecchieremo.» (p.7)
Sono i suoi ultimi dieci minuti di vita, dato che al termine di tale lasso di tempo l’edificio esploderà…
Il palazzo in cima al quale siamo adesso, tra dieci minuti non ci sarà più. (p.7)
Mentre il tempo scorre inesorabile, eccolo scorgere scrivanie e scartoffie volare giù dai piani sottostanti messi a soqquadro dalle “scimmie spaziali” del Progetto Caos…
Dunque Tyler e io siamo sul Parker-Morris Building, io con la pistola ficcata in bocca, e sentiamo uno scroscio di vetri. Guardiamo giù. […]Chissà dove nei centonovantun piani sotto di noi le scimmie spaziali del Comitato Scherzi del Progetto Caos stanno dando fuori di matto e distruggono ogni straccio di storia. (p.10)

 

Tre minuti all’esplosione… Il narratore parte in flash-back a raccontare di lui, di Tyler, del progetto Caos e di come sia arrivato fin lì…

 

2 p.12
Il narratore è il classico giovane hyuppie americano legato a una monotona vita di lavoro e consumismo. Tutto ciò lo ha reso insoddisfatto, depresso e insonne. E così, per riuscire a rilassarsi e dormire un po’, eccolo frequentare da due anni gruppi di supporto per malati (di cancro, malattie infettive etc…). È solo lì infatti che riesce a liberarsi e a trovare persone che lo ascoltano, comprendono e che sono sincere. Ma la sua è un’impostura, lui non è malato…
 È stato al gruppo dei malati di tumore al testicolo che ha iniziato questo percorso, piangendo tra le braccia di Big Bob, quarantenne istruttore di palestra ex dopato e ora castrato in cura ormonale…

 

Sono due anni che vengo qui tutte le settimane e tutte le settimane Bob mi avviluppa nelle sue braccia e io piango. (p.13)
Piangere è facile nel buio soffocante, chiuso dentro qualcun altro, quando vedi che tutto quello che riuscirai mai a combinare finirà in spazzatura.
Tutto quello di cui potrai mai andare fiero finirà buttato via.
E io sono perso dentro.[…]
Questo è il momento in cui piango io perché ora come ora la tua vita si riduce a nulla e nemmeno nulla, all’oblio. (p.13)

 

Ma ecco che l’incontro con una giovane donna, Marla Singer, lì, nello scantinato della Trinity Episcopal, spezza l’equilibrio che tanto faticosamente si era venuto a creare. Affetta anch’essa da disturbi comportamentali, commessa presso un’azienda di pompe funebri, Marla si reca ai suoi stessi gruppi fingendo malattie che non ha e che neanche potrebbe avere (cancro ai testicoli!)…

È così che ho conosciuto Marla Singer. (p.13)

L’unica donna qui presente al Restare Uomini Insieme, il gruppo di sostegno dei malati di cancro testicolare, questa donna soccombe al peso di uno sconosciuto e
i suoi occhi s’incrociano con i miei.
Imbrogliona. Imbrogliona. Imbrogliona.
Capelli corti nero opaco, occhi grandi come quelli dei cartoni animati giapponesi, magra come una garza, lattiginosa nel suo vestito con un motivo di rose scure co-
me di tappezzeria, questa donna era anche nel mio gruppo di sostegno ai tubercolotici di venerdì sera. Era alla mia tavola rotonda sul melanoma di mercoledì sera. Lunedì sera era al mio gruppo leucemici dei Fermi
Credenti. La scriminatura al centro dei capelli è una folgore storta di cute bianca.[…]
E la domenica pomeriggio al Restare Uomini Insieme nello scantinato della Trinity Episcopal, questa donna è qui di nuovo. (p.14)

 

Due anni prima il medico gli aveva prescritto pillole per l’insonnia, consigliandogli di andare ad assistere al dolore vero, dei malati terminali, in gruppi di sostegno…

 

Sono stato al mio primo gruppo di sostegno due anni fa dopo che ero tornato dal mio medico per l’insonnia.
Tre settimane senza dormire. Tre settimane senza sonno e tutto diventa un’esperienza extracorporea. (p.15)
 
Ma ora con Marla tra i piedi lasciarsi andare è per lui impossibile, dato che lo inibisce al pianto smascherando la sua impostura. Ed ecco nuovamente l’insonnia ad assalirlo…

 

Questo è stato due anni fa, la mia prima sera con i Restare Uomini Insieme.
A quasi tutte le riunioni dopo quella Big Bob mi ha fatto piangere.
Non sono mai tornato dal medico. Non ho mai masticato radice di valeriana.
Questa era libertà. Perdere ogni speranza era la libertà. Se non dicevo niente, la gente del gruppo presumeva il peggio. Piangevano più forte. Piangevo più forte anch’io. Alzi lo sguardo alle stelle e via.
Tornando a casa a piedi dopo un gruppo di sostegno mi sentivo più vivo che mai. Io non ero l’ospite di cancro o parassiti del sangue; io ero il piccolo centro caldo
intorno al quale si aggrappolava la vita del mondo.
E dormivo. Così bene non dormono nemmeno i neonati.
Tutte le sere morivo e tutte le sere nascevo.
Risorto.
Fino a questa sera, due anni di successi fino a questa sera, perché non posso piangere con questa donna che mi guarda. (p.19)

Per Marla io sono un impostore. Dalla seconda volta che l’ho vista non dormo più. […]

In questo preciso momento la menzogna di Marla riflette la mia menzogna e io non vedo altro che menzogne. (p.20)

Decide così di affrontarla in uno dei successivi incontri…

 

La prossima volta che ci vediamo, le dirò: Marla, non riesco a dormire con te qui. Ne ho bisogno. Vattene. (p.21)

 

3 p.22

 

Monotona la vita che trascorre insonne e continuamente in volo da un aeroporto all’altro per motivi di lavoro. Tanto depresso e giù di morale da sperare continuamente in uno schianto del velivolo…
È sempre per via dell’insonnia che ha conosciuto Tyler, proiezionista part-time e cameriere in un albergo di lusso nei turni notturni…

È così che ho conosciuto Tyler Durden.[…]

Per via della sua natura, Tyler poteva solo fare mestieri notturni. (p.22)

Tyler è il suo opposto. Cinico ed estroverso, ha iniziato una sua campagna di boicottaggio della società inserendo fotogrammi pornografici in pellicole e manomettendo le pietanze urinandoci dentro o scorreggiandoci sopra…
Lavoro monotono quello del narratore… Assistere agli incidenti occorsi ai veicoli prodotti dalla sua azienda. Calcolare i costi di ritiro dei veicoli e di indennizzo. Se i costi ipotizzati di indennizzo superano quelli del ritiro, allora si procede al ritiro, ma solo in quel caso. Questo è il mondo marcio in cui viviamo…

 

A per B per C uguale X. Questo è quanto verrà a costare se non ritiriamo le macchine.
Se X è maggiore del costo di un ritiro, ritiriamo le macchine ed è tutto sistemato.
Se X è minore del costo di un ritiro, allora non ritiriamo.
Dovunque vado c’è la carcassa bruciata e ammucchiata di una macchina ad attendermi. So dove sono tutti gli scheletri. Vedetelo come la mia garanzia d’impiego. […]
La mia qualifica è coordinatore delle operazioni di ritiro dal mercato, spiego all’amico di turno seduto di fianco a me, ma mi adopero per un futuro da sguattero. (p.28)

 

Un giorno si risveglia in una spiaggia dove vede per la prima volta Tyler che, costruita una mano con dei legni, si siede poi al centro dell’ombra proiettata dalla stessa…

 

Ti svegli e tanto basta.
Si chiamava Tyler Durden ed era un proiezionista iscritto al sindacato ed era un cameriere di banchetti all’albergo, giù in centro, e mi ha dato il suo numero di telefono.
È così che ho conosciuto Tyler. (p.31)
4 p.6

 

Al gruppo dei parassiti cerebrali il narratore può abbracciare Marla nel momento di contatto terapeutico, dicendole così di abbandonare i suoi gruppi. Ma lei ovviamente non accetta di abbandonarne neanche uno, respingendo al mittente le accuse di impostura. Unica concessione il gruppo sul cancro testicolare…

Ecco fatto, arriva il segnale, abbracciate qualcuno.

Le mie braccia serrano Marla. (p.35)

Allora, Marla, vattene. Vattene. Vattene. (p.36)

5 p. 38
 
Il narratore finisce per andare ad abitare da Tyler. Il tutto dopo che, di ritorno da Washington dove peraltro gli viene trattenuto il bagaglio per via di un rasoio elettrico, trova il suo appartamento esploso. Una bomba l’ha reso inservibile, mentre la polizia fa domande in giro e ipotizza anche una fuga di gas…

 

Com’è che sono finito a vivere con Tyler è per via di questa politica adottata da quasi tutte le compagnie aeree sui bagagli che vibrano. (p.38)
Finché sono arrivato a casa dall’aeroporto.
Il portiere sbuca dalle ombre per dire che c’è stato un incidente. La polizia è stata qui e ha fatto un sacco di domande.
La polizia pensa che possa essere stato il gas. (p.43)
E mentre il portiere insinua insistentemente che l’esplosione possa essere stata provocata da lui per incassare il premio dell’assicurazione, il narratore telefona a Tyler (che ha un appartamento in affitto in Paper Street) che gli dà appuntamento in un bar. Ubriacatisi, l’amico gli chiede in cambio uno strano favore: dargli un forte pugno…

Io e Tyler ci siamo trovati e abbiamo bevuto tanta birra e Tyler ha detto che, sì, potevo andare a stare da lui, ma dovevo fargli un favore.[…]

«Voglio che mi tiri un cazzotto più forte che puoi.» (p.45)

 

6 p.46

 

Il narratore si presenta a lavoro tumefatto e con un buco sulla guancia. Da alcune settimane ha infatti iniziato a trovare quiete nei combattimenti nei fight club, pur senza parlarne dato che: La prima regola del fight club è che non si parla del fight club. […] La seconda regola del fight club è che non si parla del fight club. (p.47)

 

Il fight club esiste soltanto il sabato notte nelle ore di combattimento nella sala del bar in cui è stato allestito. Le sue regole sono semplici e ferree. Sono stati loro due a crearlo e a battezzarlo con il primo combattimento…

Domani è giornata di fight club e io il fight club non me lo perdo. (p.46)

Non dici niente perché il fight club esiste soltanto nelle ore che vanno tra quando il fight club comincia e quando il fight club finisce. (p.47)

 Questa è la terza regola del fight club, quando qualcuno dice basta o non reagisce più, anche se sta solo facendo finta, il combattimento è finito.[…]
Solo due per ogni combattimento. Un combattimento per volta. Si combatte senza camicia e senza scarpe. Il combattimento dura per il tempo che stabiliscono loro.
Queste sono le altre regole del fight club.[…]

Il primo fight club siamo stati io e Tyler a scazzottarci. (p.49)

«E la settima regola» grida Tyler «è che se questa è la vostra prima sera al fight club, dovete combattere.» (p.50)

È nella ricerca dell’autodistruzione che il corpo si libera dall’oppressione. Dopo i combattimenti restano le cicatrici sul corpo ma la pace della mente. Ti fa sentire vivo… Ed ecco perché sempre più gente vi prende parte…

Tyler non ha mai conosciuto suo padre.
Forse la risposta è l’autodistruzione.
Tyler e io andiamo ancora al fight club, insieme. Il fight club è lo scantinato di un bar, adesso, il sabato sera, dopo l’ora di chiusura, e settimana dopo settimana, quando ci vai ci trovi più gente. (p.49)
Non c’è essere vivi come sei vivo al fight club. Quando sei tu e l’altro sotto quell’unica luce in mezzo a tutti quelli che guardano. Il fight club non c’entra con il vincere o perdere i combattimenti. (p.51)
Non si parla del fight club perché salvo che per cinque ore dalle due fino alle sette della domenica mattina il fight club non esiste. (p.51)

 

È nel parcheggio del bar in cui erano andati a ubriacarsi che si sono scazzottati tra numerosi curiosi. Ed è quello in momento in cui è nato il primo fight club…

 

Mi ha raccontato dell’autodistruzione.
All’epoca la mia vita mi sembrava troppo completa e forse abbiamo bisogno di spaccare tutto per tirar fuori qualcosa di meglio da noi stessi. Mi sono guardato intorno e gli ho detto di sì. Va bene, gli ho detto, ma fuori nel parcheggio.(p.52)
[…]ma il bar ha chiuso e la gente è uscita e si è messa intorno a noi a gridare nel parcheggio. […]
Niente era risolto alla fine del combattimento, ma niente contava. (p.53)

                                        7 p.56

Il narratore si sveglia e, trovato un preservativo usato nel water, ne attribuisce l’uso a Tyler e Marla. In effetti lui ha sognato di aver fatto sesso con Marla, ma non ricorda se non la stanza chiusa di  Tyler. Quindi loro hanno fatto sesso…

Per tutta notte non ho fatto che sognare che mi sbattevo Marla Singer. Marla Singer che stava sotto di me.

Marla Singer che alzava gli occhi al soffitto. Mi sono svegliato da solo nel mio letto e la porta della stanza di Tyler era chiusa. La porta della stanza di Tyler non è mai chiusa. Tutta notte non ha fatto che piovere. (p.56)
È ormai un mesetto che si è stabilito da Tyler e, la sera prima, telefonato a Marla per accordarsi su quale gruppo di sostegno frequentare per non incontrarsi, ne ha ricevuto la richiesta d’aiuto. La ragazza gli chiedeva di raggiungerla al Regent Hotel, dove dimora, dato che ha ingerito troppe pillole di Xanax. Lui non va, ma più tardiTyler sì. Ed è lì che i due si conoscono… Il narratore ricorda infatti solo di essere andato al gruppo sul melanoma e di aver sognato di far sesso con Marla…

Dopo il melanoma di ieri sera sono tornato a casa e mi sono messo a letto e ho dormito. E ho sognato che sbattevo, sbattevo, mi sbattevo Marla Singer. (p.59)

Il resoconto di Tyler è invece il seguente: rincasato dal turno di cameriere, ha risposto alla telefonata di Marla sempre più delirante. Chiamata la polizia e l’ambulanza,la raggiunge. I due escono prima dell’arrivo dei soccorritori e, dato che Marla gli chiede di tenerla sveglia tutta la notte, finiscono per fare sesso. Il narratore ne è dispiaciuto, quasi fosse geloso e interessato alla ragazza…

 

8 p.64

 

Dopo i combattimenti il narratore si sente alla grande e, al lavoro, sebbene pesto, è sereno dilettandosi a comporre haiku che spedisce poi via fax…
Per contrasto questo fa di me il piccolo centro calmo del mondo.
Io con i miei occhi scazzottati e il sangue rappreso in grosse croste nere sui calzoni, io che dico SALVE a tutti quelli che incontro sul lavoro. SALVE! Guardatemi. SALVE! Sono così ZEN. Questo è SANGUE. Questo non è NIENTE. Salve. Tutto è niente ed è la fine del mondo essere ILLUMINATO. Come me. (p.65)

 

Sporco per il sangue rappreso sui pantaloni e quello fresco in volto, il capo lo rimanda a casa. Lì constata che Marla e Tyler non sono mai nella stessa stanza con lui. La ragazza peraltro è sempre più spesso lì, nonostante lui non sia d’accordo. Litigano sempre ed a farci sesso è Tyler. L’amico, esperto in preparazione di composti chimici e bombe, deve insegnargli a produrre sapone per lavare gli indumenti…
Tyler e Marla non sono mai nella stessa stanza. Non li vedo mai insieme. […]
È solo che Tyler non viene fuori quando c’è Marla.
Perché io possa lavarmi i calzoni Tyler mi deve mostrare come si fa il sapone. (p.66)

Per farlo bisogna prima di tutto sciogliere del grasso…

 

«Per fare sapone prima dobbiamo squagliare del grasso.» Tyler è un pozzo di utili informazioni. (p.66)
Il narratore ricorda il dolore per il rapporto contrastato tra i genitori, sempre impegnati a litigare fino alla fuga del padre. Un trauma che si porta ancora dietro…
A parte le loro sbattute, Marla e Tyler non sono mai nella stessa stanza. Se Tyler è presente, Marla lo ignora.
Vecchia storia per me.
È esattamente così che i miei genitori erano invisibili l’uno all’altro. Poi mio padre se n’è andato via per mettere su un’altra filiale. (p.67)
Manda Marla a comprare lisciva in scaglie. La ragazza gli si rivolge come se la relazione fosse tra loro due, ma è con Tyler che lei sta. Uscita Marla ecco ricomparire Tyler. Va fatto sciogliere il grasso umano, che è il migliore, e mescolarlo poi con la lisciva. Secondo Tyler è ora che lui cominci a toccare il fondo per rinascere a nuova vita…
Tyler dice che io non sono nemmeno vicino ad aver toccato il fondo. E se non precipito completamente non posso essere salvato. Gesù lo ha fatto con quella sua storia della crocefissione. Io non dovrei limitarmi ad abbandonare i soldi, tutti i miei effetti personali e le mie conoscenze. (p.71)
Torna Marla e Tyler svanisce ancora. Lei va via e quello ricompare…
Il sego estratto viene riposto in frigo, mentre Tyler gli chiede di non parlare mai di lui a Marla…Bolli e schiumi.
Marla è tornata.
La seconda Marla apre la controporta. Tyler è andato via, svanito, scappato dalla stanza, scomparso. […] (p.72)
Le dico vai, vattene, via, via. Capito? Non ti sei già presa una fetta abbastanza grande della mia vita? […]
Appena Marla è fuori, riappare Tyler.
Rapido come un trucco di magia. I miei hanno fatto questa magia per cinque anni. […]
Io riempio i cartoni del latte con il sego e Tyler li ripone in frigo. […]
«Ho bisogno che mi fai un altro favore» dice Tyler.
Questa volta c’entra Marla, vero? (p.73)
«Non le devi parlare mai di me. Non le devi mai parlare di me alle mie spalle. Me lo giuri?» chiede Tyler.
Io giuro.
«Se mai parli di me con lei, non mi vedi più» dice Tyler.
Io giuro.
«Giuri?»
Io giuro. (p.74)
Tyler gli rivela anche come preparare la nitroglicerina, poi gli prende la mano, ne bacia il dorso con le labbra insalivate, spargendoci poi la lisciva per fargli provare un dolore atroce e lasciargli un segno indelebile…
Tyler si fa le labbra bagnate e luccicanti con la lingua e mi bacia il dorso della mano. […]
Tyler scalza il coperchio del barattolo di lisciva. (p.74)
«Questa è una bruciatura chimica» dice Tyler, «e farà un male da cani come non hai mai provato. Peggio di un tizzone.»
Il suo bacio luccica sul dorso della mia mano.
«Ti resterà una cicatrice» dice Tyler.
«Se hai abbastanza sapone» dice Tyler, «puoi far saltare in aria il mondo intero. Ora ricorda il tuo giuramento.»
E Tyler versa la lisciva. (p.75)

 

9 p.76

Il segno del bacio sulla mano è il suggello di una nuova vita che il narratore deve intraprendere abbandonando in primis la paura della morte…

 

La saliva di Tyler ha avuto due effetti. L’umidità del bacio sul dorso della mia mano ha trattenuto le scaglie di lisciva mentre bruciavano. Questo è stato il primo effetto. Il secondo è stato che la lisciva brucia solo se combinata con l’acqua. O con la saliva. […]
Combinata con l’acqua, la lisciva sfiora i cento gradi e riscaldandosi mi brucia il dorso della mano e Tyler mi posa le dita sulle dita, le nostre mani aperte sui miei calzoni sporchi di sangue, e Tyler dice di prestare attenzione perché questo è il momento più importante della mia vita.
«Perché tutto quello che è stato finora è una storia»
dice Tyler, «e tutto quello che ci sarà dopo è una storia.»(p.76)
«Un giorno» dice Tyler, «tu morirai e finché non saprai questo, per me sei inutile.» (p.78)
«Era giusto uccidere tutta quella gente» dice Tyler.
Hai il dorso della mano rosso e gonfio e lucido come un paio di labbra nella forma precisa del bacio di Tyler.
Sparse intorno al bacio ci sono le bruciature del pianto di qualcuno. (p.80)

    

10 p.81
Da cameriere lui e Tyler proseguono l’opera di terrorismo nel settore dei servizi…
Io e Tyler ci siamo trasformati in guerriglieri dell’industria dei servizi. Sabotatori di cenoni. (p.83)
Per lui è una novità, ma Tyler ha iniziato da molto tempo a farlo e dice che in compagnia ci si diverte di più. Al primo cenone in una casa lussuosa, gli racconta, ha fatto impazzire la padrona di casa lasciandole un biglietto, con su scritto “ho pisciato nei tuoi profumi, tra le centinaia di boccette. La donna dà di matto rompendole tutte e accusando il marito. Poi, feritasi, è portata via in ambulanza…

 

Questa è stata la prima missione di Tyler come terrorista dell’industria dei servizi. Cameriere guerrigliero.
Guastatore a paga minima. Tyler lo va facendo da anni, ma sostiene che è tutto più divertente quando lo si fa in compagnia. (p.87)
L’ideale per loro sarebbe diffondere l’epatite attraverso le pietanze, recuperando il virus tra gli scarti ospedalieri da cui peraltro ricavano il grasso per il sapone… 
11 p.89
Con la produzione di saponette iniziano a girare soldi per casa, ora nota per essere il “saponificio di Paper Street”…
 Marla ce l’ha con lui per aver utilizzato il grasso della madre per farne saponette. Lei che l’aveva invece riposto in frigo per farne collageno per le sue labbra. E così, dopo esserle sfuggito, e per non sentirla lamentarsi tutta la notte, eccolo con Tyler nello spazioso sedile di una Impala nel parcheggio di un concessionario lì vicino…
Tyler si fa chiamare Saponificio di Paper Street. La gente dice che è il miglior sapone di tutti i tempi. (p.90)
Questa sera dormiamo in una macchina perché Marla è venuta alla casa e ha minacciato di chiamare la polizia e di farmi arrestare per aver cucinato sua madre, poi Marla si è messa a girare come una matta per le stanze gridando che sono un mostro e un cannibale e ha preso a calci le pile di “Reader’s Digest” e “National Geographic”, e allora io l’ho lasciata lì. Morale della favola. (p.91)
La verità.
Ne abbiamo fatto sapone. Di lei. Della mamma di Marla.
«Sapone?»
Sapone. Si fa bollire il grasso. Si mescola con la lisciva. Si ottiene sapone.
Quando Marla strilla, le lancio la sottana in faccia e scappo. Scivolo. Scappo. (p.97)
Finché ho trovato Tyler o finché Tyler ha trovato me e gli ho raccontato cos’era successo. (p.98)
12 p.99
Mentre è intento a scrivere lettere di richiamo per duecento auto che hanno installato tergicristalli difettosi, il capo gli porge un foglio ritrovato nella fotocopiatrice. Legge: sono le regole del fight club, e gli chiede se siano sue. Il narratore, autore delle dieci copie, di nuovo insonne da giorni, inizia a minacciarlo velatamente con possibili atti di violenza o con la semplice denuncia al Dipartimento dei Trasporti Terrestri di quanto di losco avviene tutti i giorni in azienda…
Io levo lo sguardo dalla lettera che sto scrivendo per un’operazione di ritiro. (p.99)
Il mio capo si presenta alla mia scrivania con un foglio di carta e mi chiede se sto cercando qualcosa. Questo foglio è rimasto nella copiatrice, dice, e comincia a leggere:
«La prima regola del fight club è che non si parla del fight club».
I suoi occhi corrono da una parte all’altra del foglio di carta e lui ridacchia.
«La seconda regola del fight club è che non si parla del fight club.» […]
«Spero che non sia tua.»
Io sono il sangue ribollente di Tizio.
Tyler mi ha chiesto di battergli a macchina il regolamento del fight club e di tirargliene dieci copie. Non nove, non undici. Dieci copie, dice Tyler. Comunque io ho l’insonnia e l’ultima volta che ho dormito dev’essere stata tre notti fa. Quello dev’essere l’originale. Ho fatto le dieci copie e ho dimenticato l’originale. (pp.100-101) […]
Sono tre giorni che non dormo se non sto dormendo ora. Il mio capo mi agita il foglio sotto il naso. Allora? mi chiede. È qualche giochetto a cui indulgo durante l’orario di lavoro? Io sono pagato per dedicare all’azienda la mia piena attenzione, non per sprecare tempo in piccoli giochi di guerra. E non sono pagato per adoperare le copiatrici per i fatti miei. […]
Quello che farei io, rispondo, è stare molto attento alle persone con cui parlo di questo foglio.
Dico che sembra scritto da qualche pericoloso killer[…] (p.101)
Parole di Tyler che escono dalla bocca mia. Ero una così brava persona. […]
Brutta storia, dico io. Questa è probabilmente una persona che conosce da anni. Questa è probabilmente una persona che sa tutto di lui, dove vive e dove lavora sua moglie e dove vanno a scuola i suoi figli.
Questo è spossante e tutt’a un tratto è una noia mortale, di quelle che non le reggi.
E perché mai Tyler ha bisogno di dieci copie del regolamento del fight club? (p.103)
Alla fine dice che il foglio non è il suo e lo getta nel cestino dopo averlo appallottolato…
 La domenica va al gruppo Restare Uomini Uniti per poter sconfiggere l’insonnia sfogandosi, ma un’amara sorpresa lo attende. Big Bob lo informa infatti del fatto che il gruppo è stato sciolto perché tutti trovano maggior beneficio nel frequentare i neonati fight club, creati dal grande Tyler Durden…
Domenica sera vado al Restare Uomini Insieme e lo scantinato della Trinity Episcopal è quasi deserto. Solo Big Bob e io trascino dentro i miei muscoli, tutti ammaccati dentro e fuori, ma con la testa che corre ancora e i pensieri come un ciclone. È l’insonnia. Hai i pensieri in onda per tutta la notte.
Per tutta la notte sei lì che pensi: sto dormendo? Ho dormito?
Danno alla beffa, le braccia di Big Bob gli escono dalle maniche della maglietta trapuntate di muscoli e dure da luccicare. Big Bob sorride, è così felice di vedermi.
Mi credeva morto.
Già, dico io, anch’io.
«Be’» dice Big Bob, «ho buone notizie.»
«Dove sono tutti quanti?»
«È questa la buona notizia» risponde Big Bob. «Il gruppo è sciolto. Io sono venuto qui solo per dirlo a quelli che magari passavano.» (p.104)

 

13 p.106
Marla lo chiama al lavoro chiedendogli di passare da lei più tardi per farle un favore e pareggiare così la storia del collageno. La ragazza ritiene di aver scovato un secondo nodulo, ma, non avendo più assistenza sanitaria, non volendo spaventare parenti e non temendo la morte, chiede a lui di controllarla. Il narratore accetta e… nonostante i tentativi di sdrammatizzare (le racconta di quando si recò al campus universitario per farsi togliere un porro al pene e, alla fine, scorta una voglia rossa sul piede, per dieci minuti tutti pensarono avesse una rarissima forma di cancro, al punto da fotografarlo. Foto che ancora tiene)… il nodulo c’è… Così come il segno del bacio di Tyler sul dorso della mano…
Quando arrivo al Regent Hotel, Marla è nella lobby in vestaglia. Marla mi ha chiamato al lavoro e mi ha chiesto se ero disposto a saltare la palestra o la biblioteca o la lavanderia o qualunque cosa avessi avuto in programma per dopo per andare invece a trovare lei.
Questo è il motivo per cui Marla mi ha chiamato, perché lei mi odia. […]
ma stamane guarda e le sembra che ci sia un bozzo e i noduli sotto il braccio vicino al bozzo sono duri e sensibili allo stesso tempo e lei non può dirlo a nessuna persona a cui vuole bene perché non vuole spaventarla e non può permettersi di andare da un medico se fosse roba da niente, ma ha bisogno di parlarne con qualcuno e che qualcun altro la guardi. (p.106)
Marla dice che mi perdona la faccenda del collageno se l’aiuto a guardare. (p.107)
Marla non sta ridendo. Io voglio farla ridere per tenerla su. Per farmi perdonare per il collageno, voglio dire a Marla che non c’è niente da trovare su di lei. Se stamattina ha trovato qualcosa, è stato un errore. Una voglia.
Marla ha la cicatrice del bacio di Tyler sul dorso della mano. (p.110)

Ci sono molte cose che non vogliamo sapere delle persone a cui vogliamo bene. (p.111)

 

14 p.112
Per questo amo tanto i gruppi di sostegno, se la gente pensa che stai morendo, ti presta tutta la sua attenzione.
Se questa può essere l’ultima volta che ti vedono, ti vedono davvero. Tutto il resto finisce fuori della finestra, il conto in rosso e le canzoni alla radio e i capelli in disordine.
Hai la loro piena attenzione.
La gente ti ascolta invece di aspettare il suo turno per parlare. […]
Marla aveva cominciato a frequentare i gruppi di sostegno dopo aver trovato il primo bozzo. […]
Poco prima che Marla e io ci vedessimo per la prima volta al Restare Uomini Insieme c’è stato il primo bozzo e adesso c’era un secondo bozzo. (p.112)
Marla ha cominciato ad andare ai gruppi di sostegno perché era più facile stare insieme ad altra pulitura di culo umano. Tutti hanno qualcosa che non va. E per un po’ il suo cuore si è ricomposto. (p.114)
Marla ha dunque un secondo nodulo, ma non teme la morte… Lavora in un’impresa funebre e dice di ricevere telefonate mute dai morti conosciuti. È giovane, ma in breve ha imparato ad andare a fondo…
Fra i gruppi di sostegno e la clinica, mi ha raccontato Marla, aveva conosciuto molte persone che erano morte. Quelle persone erano morte e dall’altra parte e di
notte chiamavano per telefono. Marla andava al bar e sentiva il barista che la chiamava per nome e quando andava a rispondere in linea non c’era nessuno.
All’epoca pensava che fosse toccare il fondo.
«Quando hai ventiquattro anni» dice Marla, «non hai idea di quanto puoi cadere per arrivare in fondo, ma io ero veloce a imparare.» (p.114)
Alcuni giorni dopo il narratore riceve la telefonata di un investigatore che gli chiede se abbia qualche conoscente capace di fabbricare esplosivi, se non avesse per caso lasciato il gas aperto, e intimandogli infine di non lasciare la città… Durante la conversazione Tyler gli sussurra all’orecchio di distruggere se stesso per scoprire il potere più elevato dello spirito…
Nella casa di Paper Street un investigatore della polizia ha cominciato a telefonare per chiedermi dell’esplosione nel mio appartamento e Tyler mi stava accanto con il petto contro la spalla a bisbigliarmi in un orecchio mentre io tenevo il ricevitore all’altro orecchio e l’investigatore mi domandava se conoscevo nessuno capace di fabbricare dinamite in casa. […]
«Sto sciogliendo i miei legami con il potere fisico e gli oggetti terreni» ha bisbigliato Tyler, «perché solo distruggendo me stesso posso scoprire il più elevato potere del mio spirito.» (p.115)
Io all’investigatore ho detto di no, non avevo lasciato il gas aperto prima di partire. Amavo la mia vita. Amavo quell’appartamento. Amavo ogni pezzo d’arredamento che ci avevo messo. Era tutta la mia vita. Tutto, lampade, poltrone, tappeti, erano parte di me stesso. Lo erano i piatti negli armadietti. Le piante. Il televisore.
Ero stato io a saltare in aria. Possibile che non se ne rendesse conto?
L’investigatore mi ha ammonito a non lasciare la città. (p.116)
15 p.117
Con l’avvento dei nuovi proiettori automatici il numero dei proiezionisti dev’essere ridimensionato. E Tyler è uno di quelli che ne fa le spese. Ma un ricatto fa sì che il sindacato gli invii comunque un assegno mensile. Altrimenti avrebbe confessato alla stampa di aver inserito i fotogrammi pornografici nelle pellicole. Consente ovviamente al presidente di sezione di pestarlo…
Da tre anni Tyler giuntava e disgiungeva pellicole per i cinema.[…]
Una sventura, ma con il moltiplicarsi dei proiettori a caricamento e riavvolgimento automatici, il sindacato non aveva più bisogno di Tyler. Il signor presidente di sezione aveva dovuto convocare Tyler per una breve chiacchierata. (p.117)
Alla sede del sindacato proiezionisti Tyler si era messo a ridere dopo che il presidente di sezione gli aveva sferrato un pugno. Quell’unico pugno lo aveva spedito giù dalla sedia e Tyler si era trovato seduto contro il muro a ridere.
«Avanti, tanto non mi puoi uccidere» rideva Tyler.
«Stupido testa di cazzo. Suonami da ridurmi in poltiglia, ma non mi puoi uccidere.»
Hai troppo da perdere.
Io non ho niente.
Tu hai tutto.
Avanti, qui nella pancia. Un’altra bella botta alla faccia. Fammi saltare i denti, ma continua a mandarmi quegli assegni. Spezzami le costole, ma se manchi una sola settimana, io spiattello tutto e tu e il tuo piccolo sindacato sarete travolti dalle cause che vi intenteranno tutti i gestori di cinema e i distributori di film e le brave mammine al cui bravo bambino è sembrato di aver visto un cazzo duro in Bambi.
«Io sono immondizia» ha detto Tyler. «Io sono immondizia e merda e follia per te e questo piccolo mondo del cazzo» ha detto Tyler al presidente sindacalista. (p.120)
Tocca poi al narratore recarsi al Pressman Hotel a rassegnare le dimissioni. E lì stesso copione: ricatto ai danni di albergo (rivelerà i boicottaggi effettuati) e direttore (si autoinfligge danni fisici per accusarlo, in caso di rifiuto, di averlo picchiato)…Subito dopo la sua visita al sindacato proiezionisti, Tyler mi ha mandato ad affrontare il direttore del Pressman Hotel. […]
Le mie ecchimosi venivano dal fight club e la faccia di Tyler aveva cambiato i connotati per via dei cazzotti presi dal presidente del sindacato proiezionisti. Dopo che Tyler è uscito strisciando dagli uffici sindacali, io sono andato a trovare il direttore del Pressman Hotel.
Mi sono seduto là, nell’ufficio del direttore del Pressman Hotel.
Io sono la vendetta beffarda di Tizio.
La prima cosa che mi ha detto il direttore dell’albergo è stata che avevo tre minuti. Nei primi trenta secondi gli ho raccontato di aver pisciato nelle minestre, di aver scoreggiato sulle crèmes brùlées, di aver sternutito sull’indivia stufata e gli ho detto che ora volevo che l’albergo mi mandasse ogni settimana un assegno equivalente alla mia paga settimanale media più le mance. In cambio io non sarei più andato lì a lavorare e non mi sarei rivolto ai giornali o alle autorità sanitarie con confessioni confuse e lacrimose. (p.119)
Ed è stato così che Tyler si è trovato libero di aprire un fight club per ogni sera della settimana. Dopo quella volta ci sono stati sette fight club e dopo ci sono stati quindici fight club, e dopo ci sono stati ventitré fight club, e Tyler ne voleva altri ancora. C’era da incassare soldi in continuazione.
La prego, ho chiesto al direttore del Pressman Hotel, mi dia i soldi. E sghignazzo, di nuovo.
La prego.
E la prego, non mi picchi ancora. (p.123)
 
16 p.124
Dai fight club Tyler ha generato il Progetto Caos, anch’esso avvolto nel mistero e protetto da rigide regole…
Quando Tyler ha inventato il Progetto Caos, Tyler ha spiegato che lo scopo del Progetto Caos non aveva niente a che fare con il prossimo. A Tyler non importava se qualcun altro si faceva male o no. Lo scopo era far prendere coscienza a ciascun partecipante al progetto del potere che ha di controllare la storia. Noi, ciascuno di noi, possiamo assumere il controllo del mondo.
È stato al fight club che Tyler ha inventato il Progetto Caos. (p.129)
 
L’ha inventato dopo che il narratore ha pestato di brutto un nuovo membro del fight club dalla faccia d’angelo. Chiudere o alzare il tiro. Far toccare il fondo al marcio mondo contemporaneo. Distruggere la civiltà per rigenerarla…
Tyler mi ha detto più tardi che non mi aveva mai visto distruggere uno così completamente. Quella sera Tyler ha capito di dover alzare il tiro o chiudere. […]
Forse stavo sviluppando l’abitudine. Ci si può assuefare alle scazzottate e forse avevo bisogno di passare a qualcosa di più impegnativo.
È stata quella la mattina in cui Tyler ha inventato il Progetto Caos. […]
Volevo che il mondo intero toccasse il fondo. (p.130)
Volevamo liberare il mondo dalla storia. (p.131)
Sarà il Progetto Caos a salvare il mondo. Un’era glaciale culturale. Un secolo buio prematuramente indotto. Il Progetto Caos obbligherà l’umanità a entrare in catalessi o in fase di remissione il tempo necessario alla Terra per riprendersi. […]

Questo era lo scopo del Progetto Caos, ha detto Tyler, la completa e immediata distruzione della civiltà.
Che cosa viene dopo nel Progetto Caos nessuno lo sa salvo Tyler. La seconda regola è che non si fanno domande. (p.132)
Incendi. Aggressioni. Scherzi e Disinformazione.
Nessuna domanda. Nessuna domanda. Niente scuse e niente bugie.
La quinta regola del Progetto Caos è che bisogna fidarsi di Tyler. (p.133)

Qualcosa ne saprà di certo Tyler, ma la prima regola del Progetto Caos è che non si fanno domande sul Progetto Caos.
Vari sono i comitati, che si riuniscono in giorni diversi nelle sedi del fight club. Lì vengono assegnati compiti singoli o di gruppo (p.es attaccar briga in strada facendosi picchiare) a seconda del foglio che viene pescato tra le varie proposte ammesse…
All’ultima riunione del Comitato Aggressioni Tyler ha portato una pistola e le pagine gialle dell’elenco abbonati al telefono. Si riuniscono nello scantinato dove il sabato sera c’è il fight club. C’è un comitato diverso ogni sera:
Incendiari il lunedì.
Aggressioni il martedì.
Scherzi il mercoledì.
E Disinformazione il giovedì.
Caos organizzato. La burocrazia dell’anarchia. Mettetela come vi pare.
Gruppi di sostegno. In un certo senso.
Dunque il martedì sera il Comitato Aggressioni ha proposto le azioni per la settimana entrante e Tyler ha letto le proposte e ha assegnato al comitato il suo compito a casa.
Prima che si concluda la prossima settimana rutti i membri del Comitato Aggressioni devono attaccare briga con qualcuno senza venirne fuori da eroe. E non in un fight club. È più difficile di quel che sembra. Uno che passa per la strada è disposto a tutto pur di non fare a botte. (p.125)
Tyler mi ha confidato in segreto che non ci sono mai più di quattro buone proposte per ogni riunione, perciò le probabilità di pescare una vera proposta e non un foglio bianco sono di quattro a dieci circa. Il Comitato Aggressioni è composto da ventìcinque membri, Tyler incluso. A tutti viene assegnato il proprio compito: perdere in una scazzottata in pubblico; tutti pescano una proposta.
Questa settimana Tyler ha detto: «Compratevi una pistola». (pp.127-128)

La terza regola del Progetto Caos è niente scuse. […]
La quarta regola è niente bugie. (p.128)
 

17 p.134
 
Il capo porge al narratore un altro documento rinvenuto nella fotocopiatrice. Impaurito dalla volta precedente, l’uomo non fa parola, ma il narratore sa di cosa si tratta: è per il progetto di reclutamento di Tyler, da diffondere in settantadue copie, tanti quanti i posti disponibili in cantina dopo averci piazzato letti a castello. Gli aspiranti dovranno portarsi vestiario e cinquecento dollari per le eventuali spese di sepoltura…
Posato accanto al mio gomito c’è un altro importante documento segreto, personale riservatissimo, che Tyler mi ha chiesto di battere a macchina e fotocopiare. (p.134)
Centoventisei.
Tyler mi ha dato una lista scritta a mano e mi ha chiesto di battergliela a macchina e di farne settantadue copie.
Perché settantadue?
«Perché» ha risposto Tyler, «tanti sono quelli che possono dormire in cantina se la riempiamo di letti a castello a tre posti di tipo militare.»
E la loro roba? ho chiesto io.
«Porteranno solo quello che c’è sulla lista e dovrebbe stare tutto sotto un materasso» ha detto Tyler.
È la lista che il mio capo ha trovato nella copiatrice, con il contatore puntato ancora su settantadue. (p.135)Dopo pochi giorni ecco i primi aspiranti. Resistendo tre giorni fuori della porta si dimostra forza di volontà e si viene ammessi in casa. Queste le regole. Gli adepti, soprannominati “scimmie spaziali”, sono utilizzati per il lavoro nel saponificio e per i compiti assegnati ai comitati del Progetto Caos. Vestiti di tuta e camicia nera e con la testa rasata…
È il modo in cui nei templi buddisti si giudicano i candidati da un fantastilione di anni, dice Tyler. Dici al candidato di andarsene e se la sua volontà è così forte che aspetta all’entrata senza cibo e riparo e incoraggiamento per tre giorni, allora e solo allora può entrare e cominciare l’addestramento. (p.137)
Io vado a lavorare tutti i giorni. Torno a casa e tutti i giorni ce ne sono uno o due ad aspettare in veranda. […]
Ora quando torno a casa dal lavoro la casa è piena degli sconosciuti che Tyler ha accettato. Tutti al lavoro.
Il primo piano si trasforma in cucina e saponificio. (p.138)
L’insonnia riassale nuovamente il narratore…
Tra le scimmie spaziali finisce arruolato anche Big Bob…
Ci sono squadre del Progetto Caos che passano la giornata a squagliare grasso. Io non dormo. Tutta notte sento altre squadre che mescolano la lisciva e tagliano le barre e cuociono le barre di sapone su carta da forno, poi avvolgono ogni saponetta in carta velina e la sigillano con l’etichetta del Saponificio di Paper Street. Sembra che tutti sappiano che cosa devono fare salvo me e Tyler non è mai a casa.
Io striscio contro i muri e sono un topo intrappolato in questo congegno di uomini silenziosi con l’energia di scimmie ammaestrate, a cucinare e lavorare e dormire in squadra. Tiri una leva. Premi un bottone. Una squadra di scimmie spaziali passa tutto il giorno a far da mangiare e per tutto il giorno squadre di scimmie spaziali mangiano dalle scodelle di plastica che hanno portato con sé. (p.139)
Tutti peraltro con la bruciatura del bacio di Tyler sulla mano…
E Tyler non era mai a casa ma dopo un mese alcune delle scimmie spaziali avevano la bruciatura del bacio di Tyler sul dorso della mano. (p.142)
Insonne, il narratore inizia la vana ricerca di Tyler nei vari fight club…
Certe sere, dopo il lavoro, vado in qualche nuovo fight club nella cantina di un bar o di una rimessa e chiedo se hanno visto Tyler Durden.
In tutti i nuovi fight club c’è qualcuno che non conosco sotto l’unica luce centrale nel buio, circondato da uomini, a leggere le parole di Tyler.
La prima regola del fight club è che non si parla del fight club. (p.143)
Marla gli chiede cos’abbiano in mente, ma lui non sa cosa risponderle…

«Che cosa avete intenzione di fare?» domanda Marla.
Che dire?
Nella terra c’è un punticino d’oro che scintilla e io m’inginocchio a guardare. Che cosa deve succedere non lo so, dico a Marla.
Sembra che siamo stati scaricati tutt’e due. (p.145)

18 p.146

È venerdì e il narratore si addormenta al lavoro. Tra due settimane dovrà presentare un resoconto. Si prospetta la resa dei conti. Il telefono lo sveglia. È Tyler che lo invita a scendere. Una macchina lo attende per portarlo via. Ma perché ha le mani che puzzano di benzina?, continua a chiedersi. Ormai è diventato difficile distinguere la realtà dal sogno…
Questo venerdì al lavoro mi addormento sulla scrivania. […]
Il mio capo è in vacanza. Mi ha mandato una e-mail e poi si è dileguato. Devo prepararmi per un resoconto ufficiale tra due settimane. (p.146)
mio curriculum. Cose di questo genere. Stanno allestendo un caso contro di me.
Io sono l’assoluta mancanza di sorpresa di Tizio.
Il mio comportamento è stato criticabile.
Sollevo il ricevitore ed è Tyler e mi dice: «Esci, c’è gente che ti aspetta nel parcheggio».
Chi sono, chiedo io.
«Stanno tutti aspettando» dice Tyler.
Sento odore di benzina sulle mani.
«Prendi il largo» fa Tyler. «Hanno una macchina fuori. Hanno una Cadillac.»
Sto ancora dormendo.
Cioè, non sono sicuro se Tyler è nel mio sogno.
O se io sono il sogno di Tyler.
Mi annuso benzina sulle mani. Non c’è nessun altro nei paraggi e mi alzo ed esco, scendo nel parcheggio. (p.147)
Ad attenderlo trova il meccanico del Progetto, alto e magrissimo, e tre scimmie spaziali. Tra lui e il meccanico-autista, una torta…
In mezzo al sedile anteriore c’è ad aspettarmi una torta di compleanno con le candele pronte per essere accese. Salgo. Partiamo. […]
Lì c’è il meccanico che guida. La torta di compleanno è sul sedile tra me e lui. (p.148)
Lui continua a chiedere invano di Tyler. Gli altri non parlano, considerandola una messa alla prova. Sentendoli delirare con le frasi di Tyler, stampate e distribuite da lui stesso, comincia a realizzare che la situazione sta degenerando… 
Dopo un po’ il meccanico inizia ad andare contro mano sfiorando le auto provenienti in senso opposto. Il fine è quello di raggiungere il limite e far dire la verità agli altri. In particolare, fattegli accendere le candele della torta, chiede al narratore quale sia il suo desiderio prima di morire. E tutti dicono il proprio prima che l’auto cozzi contro un tir. Ma i parafanghi si incastrano e l’auto inizia a sbandare e si capotta. Il narratore vorrebbe solo morire, ma tutti se la cavano nonostante i suoi tentativi di rimandare l’auto nel traffico…Che cos’ha in mente Tyler, domando io?
Il meccanico apre il posacenere e spinge l’accendino.
«È una prova questa?» chiede. «Ci stai mettendo alla prova?»
Dov’è Tyler? (p.149)
L’accendisigari scatta nel cruscotto e il meccanico mi dice di accendere le candele della torta.
Io accendo le candele e la torta riluce sotto un piccolo alone di fuoco. (p.154)
«Che cosa desidereresti aver fatto prima di morire?» chiede il meccanico e sterza nella traiettoria di un autocarro in arrivo. Il camion mette in funzione le sue trombe, spara i suoi prolungati segnali d’allarme uno dopo l’altro mentre i fari, come un sole nascente, splendono sempre più forti sul sorriso del meccanico.
«Esprimi il tuo desiderio, presto» dice lui allo specchietto retrovisore dove siedono le tre scimmie spaziali. […]
Troppo tardi, il camion sterza e il meccanico sterza ma la nostra Comiche sbanda colpendo con la coda il paraurti anteriore del camion. (p.155)Il mio desiderio in questo preciso istante è morire. Io non sono niente in questo mondo a confronto di Tyler.
Io sono inutile.
Io sono stupido e tutto quello che so fare è desiderare cose e aver bisogno di cose.
La mia vita minuscola. Il mio merdoso, piccolo posto di lavoro. I miei mobili svedesi. Non ho mai detto a nessuno, questo, mai, ma prima di conoscere Tyler avevo intenzione di comperare un cane e chiamarlo “Entourage”.
A questo punto si può arrivare.
Uccidimi.
Afferro il volante e immetto la Comiche di nuovo nel flusso del traffico.
Ora.
Prepararsi a evacuare l’anima.
Ora.
Il meccanico spinge il volante verso il lato della strada e io gli spingo contro, verso una morte di merda. […]
Io non sono niente e nemmeno quello.
Freddo.
Invisibile. (p.156)
19 p.158
Il meccanico rivela la sua missione, poi continua con i deliranti concetti di Tyler. La loro è una guerra spirituale…
Chiedo io, quello che è successo era il suo compito per il Progetto Caos?
«In parte» risponde lui. «Avevo da fare quattro sacrifici umani e ho da raccogliere un carico di grasso.»
Grasso?
«Per il sapone.» […]
«Avresti una classe di uomini e donne giovani e forti, tutta gente desiderosa di dare la vita per qualcosa. La pubblicità ha spinto questa gente ad affannarsi per automobili e vestiti di cui non hanno bisogno. Intere generazioni hanno svolto lavori che detestavano solo per comperare cose di cui non hanno veramente bisogno.
«Noi non abbiamo una grande guerra nella nostra generazione, o una grande depressione, e invece sì, abbiamo una grande guerra dello spirito. Abbiamo una
grande rivoluzione contro la cultura. La grande depressione è quella delle nostre vite. Abbiamo una depressione spirituale. (p.159)
E così eccoli diretti a far carico di grasso e a raccogliere germi di epatite…
«Grasso» dice il meccanico. «I residui della liposuzione alle cosce più ricche d’America. Le cosce più ricche e più grasse del mondo.
Il nostro obiettivo sono le grosse sacche rosse di grasso liposuzionato che trasporteremo in Paper Street e faremo squagliare e mescoleremo con la lisciva e il rosmarino e rivenderemo alle stesse persone che hanno pagato per farselo succhiare dalle gambe. A venti dollari la saponetta, sono gli unici che se lo possono permettere. (p.160)
«Mentre siamo là» dice lui, «dobbiamo anche cercare un po’ di quei germi dell’epatite.» (p.161)
20 p.162
Il narratore ha, come tutti gli altri, il compito di riportare dodici patenti a Tyler e di spaventarne i possessori al punto di fargli cambiare vita per il raggiungimento di obiettivi validi, possibilmente sogni riposti nel cassetto…
Ed eccolo raccontare di Raymond Hessel, atteso pistola in pugno all’uscita dal supermarket dove lavora. Ottenuta la patente, gli fa promettere di tornare all’università per diventare veterinario…
Ormai realizza che Tyler ha plagiato tutti…

Queste sono le parole di Tyler, quelle che mi escono di bocca.
Io sono la bocca di Tyler.
Io sono le mani di Tyler.
Tutti nel Progetto Caos sono parti di Tyler Durden e viceversa. (p.166)

21 p.167


Il narratore continua a viaggiare di città in città per lavoro e per curare gli affari dei fight club, a rischio chiusura, dove cerca peraltro invano notizie di Tyler e dove tutti lo salutano con riverenza. È a Phoenix che, tramite un barista, capisce di avere una doppia personalità e che Tyler Durden è la sua parte malvagia che entra in scena quando perde coscienza…
Da qualche tempo Tyler non è più a casa. Io faccio il mio piccolo lavoro. Vado da aeroporto ad aeroporto a guardare le macchine in cui è morta della gente. La magia del viaggio. Minuscola vita. Saponette minuscole. Minuscole poltrone d’aereo.
Dovunque vado, chiedo di Tyler.
Nel caso lo trovassi, le patenti dei miei dodici sacrifici umani ce le ho in tasca.
In ogni bar in cui metto piede, ogni singolo fottuto bar, vedo i pestati. In tutti i bar mi gettano un braccio intorno alle spalle e vogliono offrirmi una birra. È come se già sapessi quali bar sono bar da fight club.
Chiedo io, non è che hanno visto uno che si chiama Tyler Durden? (p.167)
Perché non ti puoi svegliare diverso tu stesso?
In tutti i bar dove entro i pestati vogliono comprarmi una birra.
E no, signore, non hanno mai conosciuto questo Tyler Durden.
E mi strizzano l’occhio.
Mai sentito quel nome prima. Signore.
Chiedo del fight club. Magari c’è un fight club qui, questa sera?
No, signore.
La seconda regola del fight club è che non si parla del fight club.
I pestati al bar scuotono la testa. (p.168)
«È passato già di qui la settimana scorsa, signor Durden» dice lui. «Non lo ricorda più?»
Tyler è stato qui.
«Lei è stato qui, signore.»
Mai stato qui prima di questa sera.
«Se lo dice lei, signore» risponde il barista, «ma giovedì sera lei è entrato a chiederci quando la polizia ha intenzione di farci chiudere.» (p.169)
«Lei ha una voglia, signor Durden» mi dice il barista.
«Sul piede. È rosso scuro e ha la forma di un’Australia con vicino una Nuova Zelanda.» […]
«Tutti quelli del Progetto Caos lo sanno, signor Durden.» Il barista alza la mano, mi mostra il dorso, con la bruciatura di un bacio nel mezzo.
Il mio bacio?
Il bacio di Tyler.
«Tutti sanno della voglia» mi dice il barista. «È nella leggenda. Sta diventando un gran cazzo di leggenda, sa?» (p.170)
Telefona allora a Marla che gli conferma che lui e Tyler Durden sono la stessa persona. Lui le ha salvato la vita. Con lui fa sesso. Con lui litiga. Lui le ha fatto la cicatrice sul dorso della mano…
Marla dice: «Tyler Durden. Il tuo nome è Tyler Cacca-per-Cervello Durden. Vivi al 5123 di Paper Street che è attualmente invasa dai tuoi piccoli discepoli che si rapano a zero e si bruciano la pelle con la lisciva».[…]
Devo trovare Tyler.
La cicatrice che ha sulla mano, domando a Marla, come se l’è procurata?
«Tu» dice Marla. «Mi hai baciato la mano.»
Devo trovare Tyler.
Devo dormire un po’. (p.171)
22 p.173
Insonne, è ormai sempre più schizzato. Deve trovare Tyler, ma al contempo una voce interiore gli dice di dormire…
Tutta notte i tuoi pensieri sono in onda.
Sto dormendo? Ho mai dormito? Così va l’insonnia.
Cerchi di rilassarti un po’ di più a ogni respiro, ma il tuo cuore galoppa ancora e i pensieri ti turbinano nella testa.
Non c’è niente che funzioni. Non la meditazione guidata.
Sei in Manda.
Non la conta delle pecore.
Conti i giorni, le ore, i minuti fino all’ultima volta che ricordi di esserti addormentato. Il tuo medico ha riso.
Nessuno è mai morto per mancanza di sonno. Con quella faccia da vecchio frutto ammaccato hai l’aria di un morto.[…]
Devi trovare Tyler.
Devi dormire un po’. (p.173)
Ed eccolo Tyler, al suo fianco. Sì, lui prende vita quando si addormenta, o meglio quando perde coscienza. E con il suo corpo eccolo commettere nefandezze. A creare progetti caos in tutto il paese… A Seattle c’era realmente già stato, per sistemare un commissario di polizia intenzionato a far chiudere il fight club locale in quanto luogo di incontri clandestini di pugilato. Con l’ausilio delle scimmie spaziali eccoli ripetere ovunque la minaccia della castrazione contro gli oppositori dei fight clubs…
 Poi sei sveglio e Tyler è lì nel buio vicino al letto.
Ti svegli.[…]
«Ogni volta che ti addormenti» dice Tyler, «io scappo a fare cose pazze, qualcosa di folle, qualcosa di completamente fuori di testa.» (p.174)
«Non ci sono più un tu e un io» dice Tyler e mi pizzicotta la punta del naso. «Credo che a questo ci sei già arrivato.»
Usiamo tutt’e due lo stesso corpo, ma in tempi diversi. (p.175)
«Noi non siamo due uomini separati. Per farla breve, quando tu sei sveglio hai tu il controllo e puoi chiamarti come pare e piace, ma nell’istante che ti addormenti entro in gioco io e tu diventi Tyler Durden.» (p.178)
«Quanto ai lavori, be’, chiediti perché sei sempre così stanco. Santo ciclo, non è insonnia la tua. Appena ti addormenti, io assumo il comando e vado a lavorare o al fight club o che so io. Buon per te che non mi sono preso un lavoro da domatore di serpenti.»
E Marla, allora?
«Marla ti ama.»
Marla ama te.
«Marla non sa distinguere tra te e me. Tu le hai dato un nome falso la sera che vi siete conosciuti. Tu non dai mai il tuo vero nome a un gruppo di sostegno, merda apocrifa. Da quando le ho salvato la vita, Marla pensa che tu ti chiami Tyler Durden.» (p.179)
Oh, ma queste sono stronzate. Questo è un sogno.
Tyler è un proiezionista. È un disturbo dissociativo della personalità. Uno stato psicogeno di fuga. Tyler Durden è la mia allucinazione. (p.179)
Suona la sveglia e Tyler svanisce…
23 p.181
Il narratore torna dunque rapidamente a casa dove trova Marla ad attenderlo. I due decidono di andare a parlare lontano dalle scimmie spaziali, ormai. Ed eccoli quindi da Pianeta Denny dove camerieri e cuochi salutano con riverenza il narratore/Tyler. Il compito che le assegna è quello di tenerlo sveglio e di seguirlo ovunque quando perde coscienza e gira nei panni di Tyler Durden, personalità separata che si sta via via impossessando del suo essere…
A tutta birra, torno a casa da Marla e al Saponificio di Paper Street. (p.181)
Oh, Dio. Tyler.
Marla ama me. Marla non ci distingue.
«Sono contenta che sei tornato» dice Marla. «Dobbiamo parlare.»[…]
Dobbiamo trovare un altro posto per la nostra chiacchierata. (p.182)
Io e Marla migriamo in massa dal Saponificio di Paper Street a un tavolo vicino alla vetrata del Pianeta Denny, il pianeta arancione.[…]
Il cameriere crede che io sia Tyler Durden, le dico. (p.183)
D’ora in poi, dico a Marla, deve seguirmi dappertutto la sera e prendere nota di tutti i posti dove vado. Chi vedo. Se castro qualcuno di importante. Particolari così.
Estraggo il portafogli e mostro a Marla la mia patente con il mio vero nome.
Non Tyler Durden.
«Ma tutti ti conoscono come Tyler Durden» dice Marla.
Tutti eccetto me.
Nessuno al lavoro mi chiama Tyler Durden. Il mio capo mi chiama con il mio nome vero.
I miei genitori sanno chi sono.
«Allora perché sei Tyler Durden per certa gente e non per tutti?» vuole sapere Marla.
La prima volta che ho visto Tyler, dormivo.
Ero stanco e fuori di me e frenetico e ogni volta che salivo su un aereo volevo che l’aereo precipitasse. Invidiavo quelli che morivano di cancro. Detestavo la mia vita. Ero stanco e stufo del mio lavoro e dei miei mobili e non vedevo un modo per cambiare la situazione.
Solo finirla.
Mi sentivo in trappola.
Ero troppo completo.
Ero troppo perfetto.
Volevo una via d’uscita dalla mia vita minuscola. Panetti di burro da porzione singola e una stretta poltrona d’aereo per quotidianità. (pp.184-185)
Quando mi addormento, non dormo davvero.
[…]
«No» dice Marla, «non dormi.»
Tyler Durden è una personalità separata che ho creato io e ora minaccia di impossessarsi della mia vita vera. (p.185)
Dove voglio arrivare io, le dico, è che io mi addormento e Tyler se ne scappa con il mio corpo e la mia faccia pestata a commettere qualche crimine. Il giorno dopo mi sveglio stanco morto e tutto ammaccato e sono sicuro di non aver dormito affatto.
La sera dopo vado a letto più presto.
La sera dopo Tyler ha il sopravvento per qualche ora in più.
Ogni sera che vado a letto prima Tyler ha più tempo a disposizione.
«Ma tu sei Tyler» dice Marla.
No.
No, non lo sono.
Io amo ogni cosa di Tyler, il suo coraggio e la sua astuzia. Il suo fegato. Tyler è divertente e spiritoso e forte e indipendente e gli altri uomini lo ammirano e aspettano che cambi il loro mondo. Tyler è abile e libero e io non lo sono.
Io non sono Tyler Durden.
«Ma lo sei, Tyler» dice Marla.
Io e Tyler dividiamo lo stesso corpo e fino a poco fa io non lo sapevo. Tutte le volte che Tyler faceva l’amore con Marla, io dormivo. Tyler camminava e parlava mentre io pensavo di dormire.
Tutti quelli del fighi club e del Progetto Caos mi conoscevano come Tyler Durden.
E se fossi andato a dormire prima ogni sera e avessi dormito più a lungo ogni mattina, alla fine sarei scomparso del tutto. (p.186)
«Allora» chiede Marla, «anche se dovessi credere a tutta questa storia, che cosa vuoi da me?»
Perché Tyler non assuma definitivamente il controllo ho bisogno che Marla mi tenga sveglio. Tutto il tempo.
Il cerchio si chiude.
La sera che Tyler le ha salvato la vita, Marla gli ha chiesto di tenerla sveglia natta notte.
Nell’attimo in cui io mi dovessi addormentare, Tyler prenderebbe il mio posto e accadrebbe qualcosa di terribile.
E se dovessi addormentarmi lo stesso, Marla deve star dietro a Tyler. Dove va. Che cosa fa. Così magari durante il giorno posso correre a rimediare. (p.187)
24 p.188
Nel fight club chi muore per la causa viene osannato con il proprio nome, da vero martire. È il caso di Robert Paulson, Big Bob, ucciso dalla polizia durante un effrazione per via di un trapano elettrico scambiato per una pistola. Bog Bob non poteva arrendersi perché una delle regole del progetto è di non farsi arrestare…
II suo nome è Robert Paulson e ha quarantotto anni. (p.188)
Era un trapano elettrico a batterie che la polizia ha scambiato per una pistola, quello che reggeva in mano Big Bob quando lo hanno stecchito. […]
Questo è meglio che la vita reale.
Sulla mano aveva la cicatrice del mio bacio. Il bacio di Tyler. I capelli modellati di Big Bob non c’erano più, rasati a zero, e non c’erano più le sue impronte digitali, bruciate con la lisciva. Ed era meglio farsi male che finire arrestati, perché se sei arrestato sei fuori del Progetto Caos, niente più compiti da svolgere. (p.189)
Il narratore/Tyler va allora al fight club con l’intenzione di chiuderlo ma, dopo il ricordo di Big Bob, nessuno gli dà retta e il caposezione dà il via alla serata dei combattimenti. Non lasciando il centro della sala, nonostante il dichiararsi Tyler Durden, viene così estromesso dal fight club…
E le folle gridano: «Robert Paulson».
Questa sera vado al fight club a chiuderlo. Mi fermo sotto l’unica luce al centro della stanza e il club applaude. Per tutti i presenti io sono Tyler Durden, Intelligente. Forte. Con le palle. Alzo le mani per chiedere silenzio e suggerisco di chiudere qui, perché non soprassedere per questa sera? Andiamocene a casa, per questa sera, e dimentichiamoci il fight club.
Io credo che il fight club abbia servito il proprio scopo, o no?
II Progetto Caos è annullato.[…]
Cento uomini mi fissano in silenzio. (p.190)
Il fight club non c’è più! Il Progetto Caos non c’è più.
[…]
Io sono Tyler Durden, urlo. E vi ordino di andarvene![…]
Io non mi muovo.
«Sgomberare il centro del club!»
Io non mi muovo.
[…]
«Sgomberare il centro del club!» Questa è la procedura standard del fight club. Dopo tre inviti da parte del caposezione, verrò espulso dal club. (p.191)
Sto gridando che il fight club è mio. Il Progetto Caos è un’idea mia. Non potete buttarmi fuori. Sono io che comando qui. Andatevene a casa. […]
Evacuare l’anima, ora.
E io volo adagio fuori della porta e nella notte con le stelle sopra di me e l’aria fredda e atterro sul cemento del parcheggio. Tutte le mani si ritirano e una porta si chiude dietro di me e il meccanismo di una serratura scatta. In cento città i fight club vanno avanti senza di me. (p.192)
25 p. 193

Il narratore non vuole addormentarsi per non lasciare campo libero a Tyler e così va con Marla al Regent Hotel per assumere pastiglie che lo tengano sveglio fino alle sette, ora in cui si recherà a lavoro. Il problema, spiega alla ragazza, non è camuffarsi per non farsi riconoscere dalle scimmie spaziali, ma far sparire Tyler…
 La ragazza tenta invano di sdrammatizzare…
Per anni ho desiderato addormentarmi. Quella parte dell’addormentarsi che è spegnersi, rinuncia, disfacimento. Ora dormire è l’ultima cosa che voglio. Sono con Marla nella camera 8G al Regent Hotel.(p.193)
Non credo che basti nascondersi. Dobbiamo fare qualcosa per liberarci di Tyler. (p.194)
Mi vedevo diventare una delle storie di Marla.
Una volta stavo con un tizio che aveva una doppia personalità. (p.195)                                      26 p.196
Giunto in bus fino al posto di lavoro, il narratore scopre un cordone di polizia. L’angoscia lo coglie assieme a una certezza: ha ucciso il suo capo, facendo esplodere il monitor del pc riempito con benzina. Ecco perché quel giorno ne aveva sentito l’odore sulle proprie mani. Non gli resta altro da fare che allontanarsi in quanto primo indiziato…
Giunto al capolinea, scopre che l’autista è il meccanico e gli altri passeggeri scimmie spaziali che vogliono regolare i conti con lui, reo di aver voluto chiudere un fight club. La punizione è la solita: la castrazione. Prova a fuggire dal finestrino ma, incastratosi e riacciuffato, finisce per subire la punizione…
Stamane sono andato al lavoro e c’erano le transenne della polizia tra il mio palazzo e il parcheggio con i poliziotti all’ingresso a raccogliere le deposizioni della gente con cui lavoro. Tutti a gironzolare.
Non sono nemmeno sceso dall’autobus. […]
Io sono l’epigastrio di Tizio.
È la mia scrivania.
So che il mio capo è morto.
I tre modi per fabbricare napalm. Sapevo che Tyler avrebbe ucciso il mio capo. Appena ho sentito odore di benzina sulle mani, quando ho detto che volevo mollare il lavoro, gli stavo dando il permesso di farlo. Accomodati.
Uccidi il mio capo.
Oh, Tyler.
So che è saltato in aria un computer. (pp.196-197)
Ma a Tyler il mio capo non era simpatico.
La polizia cercherà me. Sono stato io l’ultimo a lasciare l’ufficio venerdì sera. (p.198)
Dal mio ufficio esploso continuo la corsa in autobus fino allo spiazzo ghiaioso del capolinea.[…]
 Dal fondo dell’autobus vedo una ventina di persone sedute tra me e il conducente. Conto venti nuche.
Venti teste rasate.[…]
Sai che c’è una delle scimmie spaziali che ha un elastico con cui stringerti le palle. Si serrano davanti a me.
«Conosce le regole, signor Durden» dice il meccanico. «Lo ha detto lei stesso. Ha detto che se qualcuno cerca di chiudere un club, fosse anche lei, allora dobbiamo prenderlo per le palle.» (p.199)
27 p.204

Con suo sollievo si risveglia integro nel suo vecchio appartamento esploso. L’intenzione è quella di porre fine a tutto buttandosi giù, ma il pensiero di Marla lo fa desistere…
Sono vestito. Mi metto una mano in tasca e tasto.
Sono tutto intero.
Spaventato ma integro. (p.204)
Il mondo impazzisce. Il mio capo è morto. La mia casa non c’è più. Il mio lavoro non c’è più. E il responsabile di tutto questo sono io.
Non resta niente.
Sono in rosso in banca.
Varca il ciglio.
Il nastro della polizia sventola tra me e l’oblio.
Varca il ciglio.
Che cos’altro c’è?
Varca il ciglio.
C’è Marla.
Salta oltre il ciglio.
C’è Marla e lei è nel mezzo di rutto quanto e non lo sa.
E ti vuole bene.
Vuole bene a Tyler.
Non riconosce la differenza.
Qualcuno deve dirglielo. Via. Via. Via.
Salvati. (p.205)
Chiama Marla per incontrarsi. Lei accetta pur essendo fuoriosa con lui. L’incontro avviene nello scantinato della First Methodist dedicato alla serata dei malati di cancro intestinale. La ragazza ha un occhio nero e inveisce contro di lui dopo averlo schiaffeggiato nel momento del contatto terapeutico. Gli contesta di aver ucciso un uomo e di averla picchiata. E dice a tutti che in realtà non è malato… Non ha eliminato solo il suo capo, gli comunica, ma anche Patrick Madden, consulente speciale del sindaco al riciclaggio, con un colpo di pistola durante una di quelle cene di gala in cui si simula un omicidio…
È sabato sera, è la sera del cancro intestinale nello scantinato della First Methodist, e quando arrivi Marla c’è già.
Marla Singer che alza lo sguardo al soffitto. Marla Singer con un occhio nero. […]
Marla attraversa la stanza in tre rapidi passi e mi schiaffeggia in faccia.
Partecipa con tutto te stesso.
«Merdoso fottuto pezzo di stronzo» dice Marla.
Intorno a noi tutti ci guardano.
Poi i pugni di Marla mi si avventano addosso da tutte le direzioni. «Hai ammazzato qualcuno» strilla lei.(p.206)
Marla dice che oggi mi ha visto uccidere un tale.
Se intende il mio capo, rispondo di sì, sì, sì, sì, lo so, la polizia lo sa, già tutti mi stanno braccando per iniettarmi letalmente, ma è stato Tyler a uccidere il mio capo.
È per puro caso che Tyler e io abbiamo le stesse impronte digitali, ma non lo capisce nessuno.
«Vai a mangiare merda» dice Marla e mi ficca in faccia il suo occhio nero. «Solo perché tu e i tuoi piccoli discepoli provate gusto a farvi picchiare, se ti azzardi a
toccarmi di nuovo sei morto.
«Ti ho visto sparare a un uomo stasera» dice Marla.
No, era una bomba, dico io, ed era stamattina. Tyler ha fatto un buco in un monitor e l’ha riempito di benzina o polvere nera.
Tutti quelli che sono veramente malati di cancro all’intestino ci sono intorno e ci guardano.
«No» dice Marla. «Ti ho seguito al Pressman Hotel e tu facevi il cameriere a una di quelle feste con delitto.» (p.207)
«Hai ucciso il consulente speciale del sindaco al riciclaggio!»
Tyler ha ucciso il consulente speciale del sindaco a non so cosa.
«E non hai nemmeno il cancro!»
Succede così, in un lampo.
Uno schiocco di dita.
Tutti a guardare.
Non hai il cancro nemmeno tu! grido io.
«Sono due anni che viene qui» urla Marla, «e non ha un bel niente!» […]
Io non ho ucciso nessuno, dico. Io non sono Tyler
Durden. Lui è l’altra metà della mia personalità sdoppiata. Chiedo io, ma non c’è nessuno qui che abbia visto il film Sybil?
«Allora chi dovrebbe uccidere me?» vuole sapere Marla.
Tyler.
«Tu?» (p.208)

Lui finisce di confessarle di volerle bene…
«Perché dovrei credere a una storia del genere?»
Succede così, in un lampo.
Perché credo di volerti bene.
«Di amarmi no?» chiede Marla.
È un momento già abbastanza complicato così, dico io. Non pretendere troppo.
Tutti quelli che ci guardano sorridono.
Devo andare. Devo uscire da qui. Dico io, attenzione a gente con la testa rasata o con la faccia rotta. Occhi neri. Denti mancanti. Gente di questo genere.
«Ma tu dove vai?» chiede Marla.
Devo occuparmi di Tyler Durden. (p.209)

                                  28 p.210
Il suo nome era Patrick Madden, il consulente speciale del sindaco al riciclaggio. Il suo nome era Patrick Madden ed era un nemico del Progetto Caos. […]
Patrick Madden stava compilando una lista dei bar dove ci sono i fight club. (p.210)
Il narratore decide di recarsi al fight club più vicino, l’Armory Bar, per prender parte a tutti gli incontri e farsi ammazzare. Solo nella morte potrà avere un nome e uscire dal Progetto Caos… Ma al terzo combattimento perde conoscenza…
Mentre si fa pestare rivive con la memoria l’omicidio di Madden…
So perché Tyler è accaduto. Tyler amava Marla. Dalla prima sera che l’ho vista, Tyler o qualche parte di me ha sentito il bisogno di raggiungere Marla.
Non che niente di questo abbia importanza. Non ora.
Ma tutti i particolari mi tornano alla mente finché attraverso la notte a piedi diretto al fight club più vicino.
Il sabato sera c’è un fight club nello scantinato dell’Armory Bar. (p.210)
Ama Marla non può più negarlo…
Senza scarpe. Senza camicia.
I combattimenti andranno avanti per quanto devono.
E se Tyler ama Marla.
Io amo Marla. (p.211)
Il numero tre mi pesta finché ha tutta la mano sbucciata.
Finché mi metto a piangere.
Tutto quello che hai amato ti respinge o muore.
Tutto quello che hai creato sarà gettato via.
Tutto quello di cui sei orgoglioso finirà in immondizia.
Io sono Ozymandias, re dei re.
Un altro cazzotto e i denti mi si richiudono sulla lingua. Mezza lingua casca per terra e una pedata la fa volare via. (pp.212-213)
E il combattimento va avanti perché io voglio essere morto. Perché solo nella morte abbiamo un nome. Solo nella morte non facciamo più parte del Progetto Caos. (p.213)
                                        29 p.214
Sanguinolento ma ancora vivo, il narratore si risveglia nell’ormai spoglia casa di Paper Street. Le scimmie spaziali hanno portato via tutto. L’ora della resa dei conti con il suo alter-ego malvagio è giunta…
Tyler è qui, in piedi, perfettamente bello, un angelo nella sua onnibiondezza. La mia volontà di vivere mi stupisce.
Io sono un sanguinolento campione di tessuto che si va asciugando su un nudo materasso nella mia camera al Saponificio di Paper Street.
Non c’è più niente in camera mia. […]
Le scimmie spaziali hanno sgomberato. Tutto è stato trasferito. Il grasso della liposuzione, le brande, il denaro, specialmente il denaro. È rimasto solo il giardino. E la casa. (p.214)
Tyler lo spinge a darsi una morte gloriosa: morire in cima Parker-Morris Building per l’esplosione che lo abbatterà. O spararsi con la pistola se qualcosa dovesse andare storto o la polizia intervenire… 
Ed ecco dunque perché si trova lassù con la pistola in bocca…
Oh, Tyler, ho male. Uccidimi qui.
«Alzati.»
Uccidimi, adesso. Uccidimi. Uccidimi. Uccidimi. Uccidimi.
«Dev’essere grandioso» dice Tyler. «Pensa, tu sulla cima dell’edificio più alto del mondo, l’edificio intero sotto il controllo del Progetto Caos. Il fumo che si alza dalle finestre. Le scrivanie che precipitano sulla folla in strada. Un melodramma di morte, ecco che cosa avrai.»
No, dico io. Mi hai usato abbastanza.
«Se non collabori, andremo a cercare Marla.»
Fammi strada, gli dico.
«Ora alzati dal letto» ha detto Tyler, «tira su quel culo e schiaffalo in macchina.»
È così che io e Tyler siamo sulla cima del Parker-Morris Building, io con la pistola infilata in bocca.
Siamo ai nostri ultimi dieci minuti.
Fra dieci minuti il Parker-Morris Building non ci sarà più. Questo lo so perché lo sa Tyler.[…]
Siamo ai nostri ultimi otto minuti.
La pistola è solo nel caso arrivino troppo presto gli elicotteri della polizia.
Agli occhi di Dio, qui c’è un solo uomo che si tiene una pistola in bocca, ma è Tyler che regge la pistola e la vita è la mia. (p.215)Ma a tre minuti dall’esplosione ecco giungere Marla e gli altri del gruppo del cancro all’intestino che tentano di farlo desistere. Ma ormai è tardi. L’esplosione però non avviene perché ha mescolato paraffina alla nitroglicerina. E così si spara…
Tre minuti.
Poi qualcuno grida.
«Aspetta» ed è Marla che viene verso di noi sul tetto. […]
«Ti abbiamo seguito» grida Marla. «Tutti quelli del gruppo di sostegno. Non devi farlo. Metti via quella pistola.»[…]
Vìa, grido io. Via da qui. Questo palazzo sta per esplodere. (p.216)
Non mi sto uccidendo, grido. Sto uccidendo Tyler.
Io sono il chiodo fisso di Tizio.
Ricordo tutto.
«Non è amore o niente del genere» urla Marla, «ma credo di volerti bene anch’io.»
Un minuto.
Marla vuole bene a Tyler.
«No, voglio bene a te» grida Marla. «So la differenza.»
E niente.
Niente esplode.
Con la canna della pistola affondata nella mia guancia superstite, Tyler, dico, hai mescolato paraffina nella nitro, lo so.
La paraffina non ha mai funzionato.
Devo fare da me.
Gli elicotteri della polizia.
E premo il grilletto. (p.217)
                                          30 p.218
Il narratore si è dunque sparato. Ma non è morto e continua a ricevere le visite di Marla e di varie scimmie spaziali infermieri che gli augurano di rimettersi presto…
Con gli elicotteri della polizia che ci piombano addosso e Marla e tutti quelli del gruppo di sostegno che non hanno potuto salvare se stessi, con tutti loro che cercano di salvare me, ho dovuto premere il grilletto. (p.218)
Perché di tanto in tanto qualcuno mi porta il mio vassoio con il pasto e le medicine e ha un occhio nero o un gonfiore sulla fronte con tutti i punti e mi dice:
«Sentiamo la sua mancanza, signor Durden».
Oppure passa qualcuno accanto a me spingendo uno spazzolone e sussurra:
«Va tutto secondo i piani».
Sussurra:
«Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo».
Sussurra:
«Non vediamo l’ora di riaverla con noi.» (p.220)
POSTFAZIONE

                      A cura di Fernanda Pivano


Libro cupo, depresso. Un dottor Jekyll e Mr Hyde rivisitato…