BRUNO ARPAIA – LUIS SEPULVEDA. IL RIBELLE, IL SOGNATORE

BRUNO ARPAIA – LUIS SEPULVEDA. IL RIBELLE, IL SOGNATORE
BRUNO ARPAIA – LUIS SEPULVEDA. IL RIBELLE, IL SOGNATORE

BRUNO ARPAIA – LUIS SEPULVEDA. IL RIBELLE, IL SOGNATORE

GUANDA – Collana LE FENICI ROSSE – 2021

FESTA DI COMPLEANNO p. 5

C’erano tutti, o quasi. Gli amici italiani, i tanti giornalisti e librai con cui aveva stretto rapporti che andavano oltre quelli professionali, gli uomini e le donne del gruppo editoriale che lo pubblicava in Italia[…]. Il 25 ottobre 2019, per la festa italiana che Guanda aveva organizzato a Milano in occasione dei suoi settant’anni[…].

Era visibilmente felice e commosso, però chi lo conosceva bene intuiva dietro il suo sorriso un’ombra di stanchezza o, chissà, di preoccupazione. (p. 5)

[…] mi ha raccontato dei suoi recenti problemi di salute e del libro che stava scrivendo[…]. (p. 6)

Nessuno poteva immaginare che, per quella roccia d’uomo, sarebbe stato l’ultimo compleanno.

Forse soltanto lui aveva oscuramente presagito qualcosa. Forse quell’ombra non era dovuta soltanto alla stanchezza. (p. 7)

Chissà. Fatto sta che negli ultimi mesi si sentiva stanco, era dimagrito, dormiva moltissimo, preferiva non viaggiare, fare pochi incontro pubblici e presentazioni. (p. 8)

Il romanzo aveva già un titolo, Agua mala, e doveva raccontare le devastazioni della costa meridionale del Cile a opera delle multinazionali dell’allevamento del salmone e dei «guerrieri di Dio» delle nuove sette evangeliche al loro servizio. (pp. 8-9)

Il lavoro, però, procedeva a fatica. (p. 9)

Poi, verso la fine di febbraio, è venuto il momento di tornare in Portogallo, a Povoa de Varim, per l’appuntamento quasi annuale con il festival Correntes d’Escritas. […]

Qualche giorno prima Carmen si era sentita strana, un po’ influenzata, ma non aveva pensato a nulla di più che a un raffreddore di stagione[…].

Andava quasi sempre a dormire presto perché si sentiva fiacco, debole.

Poi, al ritorno a Gijon, al momento di lasciare Miguel sotto casa, Luis è stato scosso da un brivido terribile. (p. 10)

Aveva già la febbre alta e stava male. Nei due giorni successivi, la febbre lo faceva delirare nel sonno e lo tormentava un dolore intenso al braccio sinistro[…].

Finché il venerdì, anche Carmen si è sentita male e ha deciso, contro la volontà di Luis, di chiamare un’ambulanza.

«Non sarà mica quel maledetto virus?» ha chiesto Luis alla dottoressa che lo visitava al pronto soccorso. […]

Il responso non è stato favorevole: polmonite.[…]

Hanno fatto il tampone a entrambi e li hanno rimandati a casa ad aspettare l’esito.

Stavano proprio ascoltando le ultime notizie sull’epidemia, quando è arrivata la telefonata dall’ospedale: Luis era positivo. (p. 11)

[…]sono stati portati all’unità di terapia intensiva dell’ospedale di Oviedo. […]

Lì si è messo nel letto da cui non si sarebbe più alzato. (p. 12)

Poi, il 14 aprile, la doccia fredda: la voce di Ainhoa, un’amica che aveva accompagnato Carmen a parlare con i medici, ci ha raccontato che le cose si mettevano male. (pp. 13-14)

Finché, alle 10.42 del 16 aprile 2020 è arrivato il messaggio di Carmen che non avremmo mai voluto ricevere. Nella tremenda solitudine dell’isolamento, proprio lui che aveva sempre vissuto circondato da innumerevoli amici e lettori, Luis Sepulveda ci aveva lasciato per sempre. (p. 14)

IL BUON SELVAGGIO DELL’AMICIZIA p. 15

[…] Luis Sepulveda aveva qualche anno più di me e confesso che all’inizio mi metteva un po’ di soggezione. […]

Di lui, qualcuno mi aveva detto che era cileno, che dopo il golpe di Pinochet era stato arrestato, torturato e infine esiliato. E che adesso viveva in Germania. Forse quelle poche informazioni bastavano a spiegare il suo atteggiamento in apparenza ritroso, riservato[…]. (p. 15)

Bastavano poche ore per risolvere i miei dubbi. Non l’avevo ancora letto, sotto un tendone alla presentazione del suo libro, sotto un tendone rumoroso e affollato. […] mi avvicinai per farglielo firmare. (p. 18)

Poi, inaspettatamente, si alzò e mi strinse nel primo di quei suoi calorosi abbracci stritolanti che mi avrebbero felicemente accompagnato per quasi trent’anni.

«Gracias, Luis» gli dissi.

«Chiamami Lucho» mi rispose. «È così che mi chiamano gli amici. E io e te, a pelle, saremo grandi amici.»

Anche per l’amicizia, Lucho aveva un dono quasi premonitorio. Sapeva riconoscere d’istinto le persone affini, quelle con cui in futuro avrebbe potuto condividere un’intesa, una fratellanza. A volte, quando le individuava, le sottoponeva a bruschi e impertinenti test per accertarsene definitivamente. (p. 19)

Se si superava, e bastava davvero poco, la fragile siepe di diffidenza che le circostanze della vita gli avevano quasi imposto, Luis Sepulveda si rivelava immediatamente per quel che era davvero: un uomo allegro, ironico, generoso, leale, anche se s’intuiva che custodiva dentro di sé una parte buia della propria esistenza alla quale non concedeva l’accesso quasi a nessuno e che lo portava a momenti di forte introversione. Con gli anni, avrei scoperto che quella zona oscura lo induceva a volt a scomparire per lunghi periodi, a non rispondere alle mail e a dare buca senza spiegazioni agli organizzatori di qualche evento a cui aveva assicurato di partecipare. E forse era anche la responsabile di un’altra sua pecca: quando qualcuno, per un motivo o per l’altro, giusto o sbagliato che fosse, lo deludeva, Lucho era implacabile e definitivo. Quel qualcuno scompariva per sempre dal suo orizzonte. E non voleva sentire ragioni, perfino se quella sua chiusura derivava da un equivoco, da un momento di rabbia o da un’esagerazione. Meglio non parlargliene, meglio evitare l’argomento. (p. 21)

UNA VITA DI FORMIDABILI PASSIONI p. 25

A dire il vero, però, la passione più intensa di Luis adolescente, non erano i libri o letteratura. Era il calcio. (p. 29)

Lucho si avvicina alla politica all’inizio del liceo. […] Ha soltanto tredici anni. Gli danno una tessera da aspirante.[…]

Sei mesi dopo, grazie a una mostra sull’Unione Sovietica e il cosmo, arruola una ventina di ragazzi e diventa il segretario della sezione Antonio Gramsci della Gioventù comunista. (p. 31)

[…] Luis comincia a scrivere radiodrammi a puntate. È un successo, che gli dà anche una piccola libertà economica a soli quindici anni. Ma il vero richiamo è quello della poesia. (p. 32)

È un’edizione a proprie spese, una raccolta di poesie dall’orribile titolo Crepuscolario de la tristezza, che il ragazzino cerca di vendere alla Fiera dell’arte popolare nel Parque forestal di Santiago. Quel volumetto arriva fra le mani del grande poeta Pablo de Rokha, che lo invita a casa sua, in calle Valladolid. (p. 33)

Finché, nel 1967, la morte del Che in Bolivia provoca una specie di terremoto generazionale. (pp. 34-35)

Allora la Gioventù comunista entra in rotta di collisione con il partito.[…]

[…] partecipa al concorso per una borsa di studio all’Università Lomonosov di Mosca. E lo vince. […] Ma dopo un po’ gli tolgono la borsa e lo espellono dall’Urss. […]

Quando tornai in Cile, venni anche espulso, insieme a molti altri, dalla Gioventù comunista. (p. 34)

Molti di noi finirono nel MIR, il Movimento de Izquierda Revolucionaria, altri, fra i quali io, aderirono all’ELN, l’Ejercito de Liberacion Nacional, una frazione guevarista legata al partito socialista. Dopo poco, l’ELN cominciò a mandare volontari in Bolivia[…]. (pp. 34-35)

Ma Luis sopravvive all’esperienza boliviana, e al rientro in Cile si ritrova nel bel mezzo della lunga campagna elettorale per le presidenziali del 1970. […]

Ma dopo la vittoria Allende sembra spostarsi a sinistra e loro vengono trascinati nel vortice. Il presidente non si fida dell’esercito e dei carabinieri, perciò decide di formare una guardia personale per lui e i ministri. Prima ne fanno parte alcuni militanti del MIR, po nasce qualche contrasto e allora chiamano anche gente dell’ELN. È il famoso GAP[…]. (p. 35)

Oltre a far parte del GAP è anche un dirigente studentesco. […]

Per di più, l’11 settembre del 1971, si sposa. Con Carmen, la sorella di un suo amico. […]

La gioventù finisce di colpo quell’11 settembre del 1973, con il golpe di Pinochet. (p. 37)

Il 5 ottobre, il giorno successivo al suo ventiquattresimo compleanno, solo e disarmato, viene catturato nei pressi di Temuco[…].

Nei due anni in Ecuador, Lucho ha anche una figlia, Paulina[…]. (p. 39)

È inquieto, insoddisfatto, finché viene a sapere che nell’ambiente degli esiliati cileni si sta preparando una spedizione in Nicaragua per aiutare i sandinisti, con una brigata intitolata a Simon Bolivar. […]

[…] il 19 luglio del 1980, erano entrati a Mangua da vincitori. (p. 40)

È la grande purga. A gennaio, mentre lavora a Barricada, il giornale sandinista, Lucho viene arrestato con l’accusa di essere agente della Cia, anarchico, trotzkista, e chi più ne ha più ne metta…. […]

Tre giorni dopo atterra ad Amburgo. (p. 41)

Luis lavora tre mesi in Africa, poi ha due mesi di vacanze in Germania. Ed è durante una di quelle lunghe vacanze che si avvicina a Greenpeace. […]

«Per quattro anni» ha raccontato a Pino Cacucci «ho attraversato praticamente tutti i mari. (p. 42)

Insieme a Margarita, trascorre così tredici anni ad Amburgo e nella Selva Nera, anni nei quali gli nascono altri tre figli, scrive Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, pubblicato nel 1989 da una piccola casa editrice spagnola senza alcun successo immediato, e Il mondo alla fine del mondo[…].

Ma quando Lucho arriva per la prima volta alla Semana Negra di Gijon, la sua esperienza tedesca è ormai agli sgoccioli. (p. 43)

DALLE BANDIERE ROSSE ALLA NOVELA NEGRA p. 45

Nasceva il cosiddetto «noir mediterraneo»[…], destinato a proporsi come una poetica del neocapitalismo, cioè di una società supercompetitiva in cui l’intreccio tra crimine e politica era costante, fragilissimo il limite tra il legale e l’illegale. […]

Luis Sepulveda si inserì in quella travolgente ondata, apportandovi il suo amaro disincanto, i segni rimescolati e di spersi della sua vicenda personale. (p. 47)

Ma noi sapevamo (e lo stesso Luis, se incalzato, lo ammetteva senza troppo sforzo) che il pessimo ricordo che conservava di Parigi dipendeva anche dalla fine tempestosa della storia con la giovane francese. Diario di un killer sentimentale nasceva proprio da lì, da quel fallimento. (p. 52)

La passione di Sepulveda per la novela negra non si esaurì, anche se nel frattempo cominciò a battere altre strade e altri generi letterari, mescolandoli con sapienza. E quando, una dozzina di anni dopo, Luis tornò al romanzo, lo fece proprio con un libro che, oltre a essere un racconto d’avventura, una storia ‘amore e d’amicizia, incorporava molte caratteristiche del noir. (p. 60)

Tutti elementi che ricompaiono nel 2016, quando Luis richiamò in servizio nientedimeno che Juan Belmonte[…].

Più di vent’anni dopo, ne La fine della storia, lo rincontriamo sotto i cieli della Terra del Fuoco[…]. (p. 64)

Più passava il tempo, insomma, più Juan Belmonte diventava simile a Sepulveda, ne diventava una specie di alter ego. Lo amavamo anche per questo. Avremmo dovuto rivederlo nel romanzo che Luis stava preparando, Agua mala, ma dovremo dolorosamente sopportare la sua assenza[…]. (p. 67)

VIAGGIO ALLA FINE DEL MONDO p. 69

Tra i luoghi della Terra che Luis più amava c’era indubbiamente la Patagonia. […]

Nel 1990, infatti, Il mondo alla fine del mondo aveva vinto un premio minore spagnolo[…]. (p. 69)

Era un romanzo d’avventura in piena regola che però, in linea con l’idea di letteratura di Luis, mescolava la fiction, il racconto di viaggio e il reportage, rendendo un esplicito omaggio a Melville e facendo menzioni per nulla casuali a Jack London, Emilio Salgari e Jules Verne. (pp. 69-70)

Non meno intenso è il successivo Patagonia Express, una sorte di diario di viaggio tra la Patagonia, la Terra del Fuoco, l’Amazzonia e il deserto di Atacama. (p. 71)

Se di una cosa si rammaricava, era del fatto che la sua notorietà e il suo amore pr la Patagonia l’avevano trasformato in una specie di sponsor turistico della regione. Sapeva che il turismo di massa può essere un rischio, può provocare danni seri. (p. 73)

E in realtà, con il passare degli anni, le cose non erano andate esattamente come avrebbero dovuto. Ultime notizie dal Sud era un libro nato nel 1996 a Parigi, davanti a un mare, quando Lucho e Mordzinski avevano deciso di fare un viaggio insieme in Patagonia per raccontare, con le parole di Luis e le immagini di Daniel, altre storie e altri paesaggi del Sud del mondo. (p. 74)

Insomma, Daniel era il «socio» perfetto per quell’avventura in Patagonia. Ultime notizie dal Sud, però, era stato pubblicato soltanto quindici anni dopo quella decisione e il primo dei tanti viaggi che i due avevano fatto insieme. (pp. 74-75)

La Patagonia, almeno quella a cui eravamo abituati a pensare, quella Patagonia fata di «brava gente», di coraggio e crudeltà, di verità e leggenda, di magia e di tenerezza, che altre volte Sepulveda ci aveva raccontato, non esisteva quasi più. Perciò le storie che lo scrittore cileno, sul filo delle meravigliose fotografie di Daniel, inanellava come perle di una preziosa collana, diventavano anche testimonianze di una perdita. (pp. 75-76)

Di quel Sud parlava anche La frontiera scomparsa, pubblicato in Spagna nel 1995 e in Italia l’anno successivo. (p. 77)

Certo, La frontiera scomparsa aveva molto, moltissimo di autobiografico, ma per Lucho la letteratura era soprattutto finzione e anche stavolta non aveva rinunciato a elaborare narrativamente le persone reali. (p. 78)

Qualcun altro pensava a lui come all’Ambientalista, con tanto di maiuscola. Altro stereotipo. […]

Era rispettosissimo della natura perché se ne sentiva parte la idealizzava e ne accettava anche la crudeltà. E quando saliva sulle navi di Greenpeace o scriveva per difendere le acque e le foreste della Patagonia, lo faceva perché credeva che il problema ecologico fosse sostanzialmente un problema politico ed economico, inscindibile da tutti gli altri, legato al neoliberismo, al modello di sviluppo capitalistico e al mito produttivistico del progresso inseguito dall’Occidente. (p. 80)

E infine, il terzo «mito» su Sepulveda nato dai suoi libri sulla Patagonia e sull’America latina: quello del «grande viaggiatore». Luis ricordava sempre che, nella maggior parte dei casi, aveva viaggiato costretto dalle circostanze, dall’esilio, oppure per lavoro, quando faceva il giornalista. (p. 81)

Ma il viaggio, per lui, non era né un mestiere né una vocazione. (p. 82)

UN SUCCESSO DA FAVOLA p. 85

Con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, venduto a centinaia di migliaia di copie in Francia, Italia, Germania e Spagna, e poi con Il mondo alla fine del mondo, Luis Sepulveda era arrivato al successo. Già allora, però, il successo nel mondo letterario, anche grande come il suo, non era mai compatibile a quello che si poteva raggiungere nel campo dello sport o delo spettacolo: era raro che ti invitassero nei programmi televisivi in prima serata, nessuno ti riconosceva per strada o ti fermava al bar per farsi fare un autografo. Invece quando, nel 1996, Luis pubblicò la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, le cifre di vendita cominciarono a contarsi a milioni e la sua fama lo rese simile a una rockstar, almeno in Italia. (p. 85)

Del resto, come pochissimi altri autori, Luis era pienamente consapevole che il suo successo lo doveva, oltre che ai lettori, agli uomini e alle donne delle case editrici che lo pubblicavano, ai suoi traduttori, ai librai. (pp. 87-88)

Anche ai librai, in pubblico o in privato, Luis non risparmiava mai i suoi ringraziamenti. (p. 88)

[…] Luis non si aspettava per nulla quel ciclone di notorietà. […]

In realtà, la Gabbianella è nata da una sfida, quella di raccontare una storia intelligente per ragazzi, diversa da quelle che vedevo nei loro libri di scuola, che sembravano scritte per piccoli imbecilli. (p. 90)

Così, la Storia di un gatto e del topo è, da una parte, un vero e proprio inno all’amicizia come un valore che può aiutare a superare le asprezze della vita e, dall’altra, un richiamo imperioso alla necessità di un pensiero collettivo, di recuperare una parola ormai in disuso: quel «noi» contrapposto all’«Io» che sembra dominare ogni nostro pensiero e ogni nostro gesto. […]

Nella Storia di una lumaca, poi, con la sua solita leggerezza, Sepulveda affrontava per il suo pubblico di «bambini dai cinque ai novant’anni» un altro concetto che le nostre società hanno mandato troppo presto in soffitta: quella della lentezza. (p. 92)

Ma nella Lumaca, come nelle altre precedenti favole, Luis non aveva rinunciato neanche a riversare le proprie eterne preoccupazioni per l’ambiente, per la natura maltrattata dall’uomo e dal suo modello di sviluppo. Con la Storia di un cane e con la Storia di una balena, l’ultimo suo libro pubblicato, Sepulveda lo faceva con ulteriore intensità, contrapponendo il modo di vita occidentale a quello dei mapuche, la Gente della Terra che abita il Sud del Cile. (p. 94)

Infine, l’ulteriore elemento di novità nelle sue ultime favole, specialmente in Storia di una balena, è un’originale mescolanza di fiaba, storia e leggenda. (p. 95)

LE COSE DELL’AMORE p. 97

FINE SECOLO p. 109

Ricordo l’emozione, e anche un po’ la delusione, dei suoi primi ritorni in Cile, quando la fine della dittatura, pur non restituendogli la cittadinanza, gli consentiva almeno di mettere piede nel suo paese per rivedere la madre Irma e i suoi cari. (p. 110)

E così Lucho girò il suo primo film da regista, Nowhere, tratto da un suo racconto incluso nel libro Incontro d’amore in un paese in guerra, sceneggiato da lui stesso con i preziosi consigli di Tonino Guerra e prodotto da Massimo Vigliar. (p. 121)

L’ARTE DEL RACCONTO p. 125

Desencuentros, intitolato in Italia Incontro d’amore in un paese di guerra, uscì in quel concitato 1997. era una raccolta di ventiquattro racconti scritti in un arco di tempo abbastanza lungo[…]. (p. 125)

Quella voce divenne imperiosa con la successiva raccolta, La lampada di Aladino, pubblicata undici anni dopo, nel 2008. (p. 129)

Ancora più compatti, e con una carica etica intensissima, erano i racconti raccolti nell’Avventurosa storia dell’uzbeko muto, del 2015, presentato in anteprima mondiale al Dedica Festival di Pordenone. (pp. 150-151)

GIORNALISMO NARRATIVO p. 135

Accidenti, se era bravo a raccontare, Lucho. […]

[…] lo faceva anche senza proporselo intenzionalmente, nei reportage e negli articoli per i giornali, nei ricordi autobiografici elaborati a partire da personaggi, paesaggi e situazioni che aveva attraversato nei suoi viaggi ai quattro angoli della terra, e che poi, di tanto in tanto, raccoglieva in libri come Le rose di Atacama, Ritratto di gruppo con assenza, Una sporca storia, Il potere dei sogni o Ingredienti per una vita di formidabili passioni. (p. 135)

Per Luis la risposta era chiara; e scrivere significava perciò dare voce a chi non ha voce, a chi non potrà mai raccontare la propria storia. (p. 138)

Degli anni dell’impegno politico, di ambiente, di amicizie, di esilio, di viaggi parlavano anche i testi di Una sporca storia, Il potere dei sogni e Ingredienti per una vita di formidabili passioni, in cui Luis metteva insieme partecipazione civile e fantasia per stanare la realtà dai labirinti in cui spesso si nasconde. (p. 141)

Ritratto di gruppo con assenza, il testo che dava il titolo al volume apparso alla fine del 2010, nasceva invece da un reportage scritto durante il primo ritorno di Luis in Cile dopo l’esilio. (p. 143)

Perfino negli scritti giornalistici più militanti e polemici, riuniti soprattutto ne Il generale e il giudice e Cronache dal Cono Sud, Luis faceva ricorso a tutta la cassetta degli attrezzi, a tutte le risorse del narratore di storie. (p. 145)

La denuncia e l’indignazione si trasformavano in racconto anche nei diciannove testi, scritta fra la primavera del 2005 e il dicembre del 2006, raccolti in Cronache dal Cono Sud, quando l’ombra del Generale e della sua rapace famiglia aleggiava ancora sul Cile e sui ricordi di chi aveva conosciuto la crudeltà di Pinochet e della dittatura. (p. 147)

LA FINE DELLA STORIA p. 151

Era capace di scrivere ovunque, a patto di avere una scrivania ordinata, con sopra soltanto una risma di carta, tre Montblanc e delle matite per le annotazioni. (p. 154)

So di deludere molti, ma ho l’impressione che Sepulveda, più che un rivoluzionario, fosse un riformista radicale coerente, con una forte carica etica e un grande senso della giustizia, capace di accettare i necessari compromessi della Realpolitik. Lo testimoniano le ripetute prese di posizione contro qualunque tirannia, anche quando si mascherava da sinistra, i suoi testi a favore della via democratica, delle elezioni, della convivenza pacifica, o gli appelli a votare una sinistra che non lo convinceva per nulla, né in Spagna né in Cile, pur di fermare la destra. Un vero allendista, sempre più convinto via via che diventava più maturo. (p. 161)

Quando Lucho è arrivato alla fine della sua storia sono rimasto annichilito, muto. (p. 165)

Poi, soltanto poi, dopo giorni e giorni, si sono fatte strada le lacrime e le parole. E allora, ancora una volta chiacchierando con Luigi Bruoschi, è saltata fuori l’idea di scrivere questo libro, che non vuole essere né una biografica esaustiva di Luis Sepulveda né un saggio critico sulle sue opere, dio ce ne scampi, ma solo il mio personalissimo ricordo di un amico e l’omaggio di tutto il cuore a ciò che ci ha lasciato. (p. 166)

E il suo ben vivere era proprio questo: la gioia dell’amicizia condivisa. (p. 168)

INDICE p. 169