ANTHONY BURGESS – ARANCIA MECCANICA

 

ANTHONY BURGESS – ARANCIA MECCANICA
(A clockwork orange)

EINAUDI – Collana Super ET – 2006

TRADUZIONE: Floriana Bossi

PARTE PRIMA p.7

I p.9

In una fredda sera d’inverno, al Korova Milkbar, Alex e i suoi amici Pete, Georgie e Bamba non sanno come passare la serata… Ci pensano su mentre bevono latte drogato…

– Allora che si fa, eh?
C’ero io, cioè Àtex* e i miei tre soma, cioè Pete, Georgie, e Bamba, Bamba perché era davvero bamba, e si stava al Korova Milkbar a rovellarci il cardine su come passare la serata, una sera buia fredda bastarda d’inverno, ma asciutta. Il Korova era un sosto di quel­li col latte corretto e forse, O fratelli, […] (p.9)

Di soldi ne hanno, quindi di pestare qualche vecchio o una negoziante per derubarli non ce ne sarebbe neanche bisogno…

Si aveva le tasche piene di denghi e cosi non c’era proprio una gran necessità, dal punto di vista caccia alla bella maria, di festare qualche vecchio poldo in un vicolo e locchiarlo nuotar nel sangue mentre noi si fa­ceva la conta dell’incasso e lo si divideva per quattro, né di fare gli ultraviolenti con qualche tremante semprocchia in un negozio e poi alzare il tacco col budel­lame della cassa. Ma, come dicono, il denaro non è tutto. (pp.9-10)

Tutti vestiti all’ultima  moda…

Noi quattro eravamo tappati all’estremo grido del­la moda […] (p.10)

Che fare dunque? Al banco tre belle ragazze, ma loro sono in quattro e, pensa Alex, pur essendo Bamba brutto e scemo non lo si può certo scaricare, essendo egli una colonna della banda e gran picchiatore…

[…]ma non sarebbe stato gioco da giocatori. Bamba era molto brutto ed era proprio come il suo nome, ma era un porco picchiatore cinebrivido e molto svelto con lo stivale.
— Allora che si fa, eh? (p.11)

Eccitato dagli effetti della droga, Alex ordina agli altri di uscire per una “camminata”… Poco dopo eccoli imbattersi in un mite uomo proveniente dalla Biblioteca e al quale sottraggono i tre libri che quello porta seco. Iniziano a strapparli con la scusa di conotenere sconcezze, poi lo picchiano, ma non troppo, andandosene dopo averlo derubato…

– Via dove? – disse Geòrgie.
– Oh, fuori a camminare, – dissi. – E locchiamo un po’ quello che succede, cari fratellini.
Cosi scattammo nella grande cupa d’inverno e cam­minammo giù per Marghanita Boulevard e poi voltam­mo in Boothby Avenue, e qui trovammo proprio quel­lo che si cercava, un migno scherzetto per cominciare la serata. C ’era un martino bigio, un tipo maestro-di-scuola, occhiali sul naso e truglio aperto nell’aria fre­sca della cupa. Aveva dei libri sotto il braccio e un ombrello stronzo e veniva dall’angolo della Biblio Pub­blica, che a quei tempi era pochissimo frequentata. (p.13)
– Un uomo della tua età, fratello, – dissi, e comin­ciai a strappare il libro che avevo, e gli altri fecero lo stesso con i libri che avevano loro, Bamba e Pete che facevano a tiro alla fune col Sistema romboidale. Il bi­gio profio cominciò a scricciare: – Ma quei libri non sono miei, sono proprietà del Municipio, ma questo è puro vandalismo, ma questo è inaudito, – o mottate del genere. E cercò anche di riprendersi indietro i li- bri a forza, il che era alquanto patetico. – Ti meriti una bella lezione, fratello, te la meriti proprio, – gli dissi. (pp.14-15)
[…]si mise a lamentarsi sul serio, poi ecco che viene fuori il sangue, fratelli, una vera bellezza. Allora la piantam­mo li e gli tirammo via soltanto le palandre, lascian­dolo in camicia e mutande lunghe (molto bige: Bamba non la smetteva più di gufare), e poi Pete gli dà un bel calcione nel buzzo e lo lasciamo andare. Come festaggio non era stato per niente duro, e lui barcollava un piccolopoco e faceva « Oh oh oh », senza raccapezzare
un tubo di nulla, e noi ghignammo un po’ e dopo gli vuotammo le tasche mentre Bamba ballava tutt’intorno con l ’ombrello stronzo, ma non ci trovammo gran che.(pp.15-16)
 Non avevamo fatto molto, lo so, ma era solo per cominciare la serata e mica mi voglio giusti fi­ca cacare con te o voi. Ora i coltelli nel latte stavano cominciando a bucare davvero cinebrivido. (p.16)

Al fine di crearsi un alibi e nuovo stimolo per rapine, i quattro entrano nel locale Duke of New York dove offrono da bere e da mangiare a vecchie e povere alcolizzate avventrici spendendo tutto quando hanno in tasca…

La prima cosa da fare, adesso, era il gesto samarita­no, che era un modo di liberarsi di un po’ del nostro truciolo per aver più stimolo ad andar per negozi ed era anche un modo di comprarsi un alibi, cosi entram­mo nel Duke of New York nella Amis Avenue, e co­me al solito c’erano quelle tre o quattro vecchie babusche che se ne stavano al calduccio glutando le sapo­nate scure offerte dalla AS (Aiuto Statale). (p.16)

Poi escono dicendo di tornare subito. La meta è il negozio di dolci e sigarette, Slouse, che saccheggiano dopo aver pestato i proprietari…

Be’, ce ne  andammo all’angolo di Attlee Avenue, dove c’era que­sto negozio di dolci e cancerose ancora aperto.[…] Ci mettemmo le maschere – erano delle novità cinebrivido fatte proprio alla perfezione; erano tutte facce di personalità stori­che […]. (p.18)
Poi ri­pulimmo la cassa – quella cupa c’era un flipposo bot­tino cinebrivido — e dopo esserci serviti delle migliori cancerose più super che c’erano, ce n’andammo, fra­telli. (p.19)

Carichi di denaro, dopo dieci minuti eccoli di ritorno al Duke dove offrono ancora da bere alle vecchie ubriache che forniscono loro un alibi, mezz’ora più tardi, all’arrivo della polizia giunta per alcune domande… No, i ragazzi non si son mossi…
Ma Alex non è soddisfatto. Troppa poca azione… Del resto però, la notte è ancora giovane…

Tornammo molto guizzi al Duke of New York, e dal mio orologio calcolai che non eravamo stati via più di dieci minuti. […]
Poi dissi alle vecchie babusche: – Non siamo mica usci­ti, vero? Non ci siamo mossi di qui, vero? – Tutte af­ferrarono allampo, molto guizze, e dissero:
– Verissimo, ragazzi. Vi abbiamo sempre avuto sot­to gli occhi, vi abbiamo. Dio vi benedica, ragazzi, — e bevevano.
Non che importasse poi molto. Passò circa mezz’o­ra prima che i cerini dessero qualche segno di vita, e poi entrarono soltanto due giovani rozzi, tutti rosei sotto i loro grossi parazzuca da poliziotto. Uno disse:
– Ehi, voi, ne sapete qualcosa di quello che è suc­cesso nel negozio di Slouse stasera?
– Noi? —dissi io, innocente. – Perché, che è suc­cesso?
– Furto e pestaggio. Due ricoveri all’ospedale. Voi dove siete stati stasera?
– Questo tono non mi piace mica, – dissi. – Non ap­prezzo queste sporche insinuazioni. Che natura sospet­tosa questi bitocchi, fratelli miei.
– Sono stati qui tutta la sera, ragazzi, – si misero a scricciare le vecchie quaglie. (pp.20-21)
Ma, per conto mio, non potei fare a me­no di sentirmi un po’ deluso per come andavano le co­se in quei giorni. Niente contro cui battersi veramente.
Tutto facile facile tipo baciami-le-bacche. La notte era ancora giovane, però. (p.21)

2 p.22

Uscendo dal Duke si imbattono in un ubriacone ruttante e trasandato, tipico individuo che fa adirare Alex. Iniziano a pestarlo, ma quello continua a cantare dicendo di non aver paura di loro. I quattro smettono al solo scorrere del sangue…

Quando uscimmo dal Duke of New York locchiammo, alla luce della finestra più grande del bar, un vec­chio ciuccone barbugliante che stava ululando tutte le sporche canzoncine dei suoi padri e faceva blurp blurptra una strofa e l’altra come se avesse una zozza vecchia orchestrina nelle schifose e fetenti budella. Se c’è una cosa che non ho mai potuto soffrire è proprio questa. Non ho mai potuto sopportare la vista di un poldo tut­to sudicio, barcollante e ruttante e ubriaco qualsiasi età abbia, ma specialmente se è proprio bigio com’era questo qui. Stava come appiattito contro il muro e ci aveva le palandre che erano uno schifo, tutte stazzona­te e in disordine e coperte di fango e sguana e robaccia. Cosi gli saltammo addosso e gli assestammo dei begli sbiffoni cinebrivido, ma lui continuò a cantare. (p.22)
Così gliene suonammo che era una bellezza con le biffe tutte un sorriso, ma lui continuava a cantare. (p.23)
Poi ce ne andammo per i fatti nostri. (p.24)

Poi, ripreso il cammino, eccoli di fronte alla banda di Billyboy prossima allo stupro di una ragazzina. Lo scontro tra i due gruppi è così inevitabile…

Fu sotto la Centrale elettrica municipale che incon­trammo Billyboy e i suoi cinque soma.(p.24)
Così si stava lì a squassare nel buio, con la vecchia Luna con gli uomini sopra che stava sorgen­do e le stelle che bucavano come coltelli ansiosi di unir­si allo squassaggio. Con la mia lisca riuscii ad aprire fino in fondo la palandra di un soma di Billyboy, pulita pulita senza nemmeno toccargli le macerie. (p.25)

Superiori Alex e i suoi ma, l’approssimarsi delle sirene della polizia allertata dalla ragazzina fuggita, costringe tutti a darsela a gambe proprio mentre Alex, dopo averlo sfregiato, si appresta a sbuzzare il grasso Billyboy…

Poi snicchiammo le sirene e capimmo che i rozzi sta­vano arrivando con le forose pronte appoggiate ai fine­strini delle auto-poi. (p.26)

Dopo essersi riposati  in una viuzza in cui dalle finestre delle case fuoriesce la luce delle TV, i quattro riprendono la scorribanda notturna rubando un’auto con la quale si divertono a spaventare pedoni ed animali…

Così ce ne andammo giù per la viuzza, con l ’azzurro della mondovisione da tutt’e due le parti. Ciò di cui avevamo bisogno adesso era un’auto[…] (p.27)
Ce la spassammo un po’ in quello che chiamavamo il retrocittà, spaventando i vecchi martini e le vecchie semprocchie che attraversavano la strada e zigzagando dietro i gatti e cose così. Poi pigliammo la strada ovest. (p.28)

A tutto gas lasciano la città fermandosi nei pressi di un cottage signorile con la scritta CASA MIA. Alex scende e bussa, dicendo alla donna giunta ad aprire di lasciargli usare il telefono per chiamare un’ambulanza per l’amico che si è sentito male. Non ce l’hanno, risponde la donna, e così Alex la convince a portare almeno un bicchiere d’acqua. Tolto il catenaccio alla porta lasciata socchiusa e indossate le maschere, ecco i quattro teppisti irrompere in casa… Il marito della donna è uno scrittore. Arancia meccanica il manoscritto al quale sta lavorando e che Alex strappa tra le risate. L’uomo gli si scaglia contro e così Bamba può divertirsi iniziando a pestarlo tra le grida della donna…

Ciò che ora si aveva in mente era la vecchia visita a sorpresa. Quella era sempre una cannonata per farsi delle gran gufate e va­goni di ultra violenza. Alla fine si arrivò in una specie di villaggio, e proprio fuori di questo villaggio c’era un piccolo cottage isolato con un giardinetto intorno. Ora la Luna era su bene e questo cottage si locchiava chiarissimo, così rallentai e misi il freno, gli altri tre che ghignavano come pochi, e si poteva locchiare per­fino il nome sul cancello ed era casa mia , che come nome era proprio mielestrazio. Scesi dall’auto, ordi­nando ai miei soma di piantarla coi ghigni e di star se­ri, e aprii questo migno cancello e andai fino alla por­ta. Bussai pianpianino e non venne nessuno, così bussai un po’ di più e questa volta snicchiai che venivano, poi tolsero il paletto e la porta si aprì un piccolopoco e locchiai un faro che mi guardava e la porta aveva la ca­tena. (p.29)
Avrebbe la bontà di lasciarmi usare il suo telefono per  telefonare a un’ambulanza?
– Noi non abbiamo il telefono, – disse questa mam­mola. – Mi dispiace, ma non l’abbiamo. Dovrà chiede­re a qualcun altro – Dall’interno di questo cottagino snicchiavo il ciac ciac ciacchete clacclac di qualcuno che scriveva a macchina, poi si fermò e la ciangotta di un martino chiese: – Cosa c’è, cara?
– Be’, – dissi, – non potrebbe farmi la cortesia di dargli un bicchier d’acqua? E come svenuto, capisce. Come se gli avesse preso un attacco di svenimento. La mammola esitò un pochetto e poi disse: – Aspet­ti -. Poi se ne andò, i miei tre soma intanto erano sce­si dall’auto pianpianino ed erano venuti su strisciando da cinebrivido, mettendosi le maschere, e anch’io mi misi la mia, e poi non ebbi da far altro che infilar den­tro la granfia e togliere la catena perché avevo cosi infi­nocchiato la mammola con la mia ciangotta da signore che non aveva chiuso la porta come avrebbe dovuto da­to che eravamo stranieri della notte. Allora si entrò tut­ti e quattro ruggendo come leoni, con il vecchio Bamba che faceva il suonato come al solito saltando su e giù e berciando mottate sconce, ed era proprio un bel cot­tagino, devo dire. (p.30)
– E un libro, – dissi. – Lei sta scrivendo un libro -.
Feci la ciangotta molto grave. – Ho sempre avuto la più grande ammirazione per quelli che riescono a scrivere i libri -. Poi guardai il primo foglio e li c’era il titolo: arancia meccanica , e io dissi: – Un titolo ben stron­zo. Chi ha mai sentito di arance meccaniche? – Poi ne lessi un pezzettino con una ciangotta molto alta da pre­dicatore[…] (p.31)
 In tutto questo tempo la sua fedele e affezionata mogliettina se ne stava li impietrita accanto al caminetto, e poi cominciò a far delle piccole scriccia quasi a tempo con la musica suo­nata dai pugni del vecchio Bamba. (p.32)

Alex chiama d’un tratto Pete e Georgie, intenti a mangiare, affinché tengano ferma la donna che a turno stuprano. Poi ripartono, con Georgie alla guida, schiacciando animali…

Poi ci fu come una calma e noi eravamo pieni di odio, ti­po, cosi fracassammo tutto quel che restava da fracassare – macchina da scrivere, lampada, sedie – e Bamba, era ti­pico di Bamba, spense il fuoco col piscio e voleva andar di corpo sul tappeto dato che c’era tanta carta, ma io dissi no. – Via via via via, – urlai. Il martino scrittore e la sua zigna non erano più tanto presenti, laceri e insanguinati e rantolanti com’erano. Ma sarebbero vissuti. Cosf tornammo all’auto in attesa e io lasciai il volante a Geòrgie perché mi sentivo un piccolopoco sgarrettato, e tornammo in città per la stessa strada, incappando ogni tanto in strane cose squittenti che finivano sotto. (pp.33-34)

3 p. 35

Nel tornare in città l’auto resta senza benzina e così la affondano in un vicino canale. I quattro prendono allora la metro, una cui fermata si trova poco distante…

Tornammo indietro verso la città, fratelli, ma quan­do eravamo ormai vicini, a due passi di quello che chia­mavano il Canale industriale, locchiammo che l’ago della benzina aveva avuto un collasso, proprio come l’ago delle nostre gufate, e l’auto stava tossendo hem hem hem. (p.35)

Poco dopo rieccoli al Korova che, nel frattempo, si è riempito di nuovi e più numerosi clienti. Mentre lo stereo si arresta, una donna canta un brano lirico che Alex ascolta estasiato e che Bamba saluta con pernacchie e risate. Lo stereo riparte, la donna cessa il canto e Alex prende a pugni il rozzo Bamba. Ne nasce una discussione che però si placa in breve. I quattro si danno appuntamento per l’indomani…
Rincasato, Alex mangia, poi si mette a letto ad ascoltare brani di musica classica in piena notte tra estasi e visioni di persone picchiate e donne stuprate. Al Concerto Branderburghese di Bach pensa che avrebbe dovuto massacrarli i due coniugi del cottage…

Scendemmo al Center e tornammo lentamente al Korova Milkbar[…] e quando entrammo al Korova era più affollato di quanto eravamo andati via. (p.36)

Quella sera avevo una voglia di musica da morire, forse era stata quella quaglia canterina del Korova a metterme­la addosso. Volevo un’orgia di musica prima di farmi timbrare il passaporto alla frontiera del sonno, fratelli, e prima che il cancello a strisce si alzasse per farmi pas­sare. (p.42)
I piccoli altoparlandi del mio stereo erano dissemi­nati per tutta la stanza, sul soffitto, sulle pareti, sul pa­vimento, e cosi, quando ascoltavo la musica disteso sul letto, ero come intrappolato e impigliato dentro l’or­chestra. […]
Poi, fratelli, venne. Oh, estasi, estasi celeste. Giace­vo tutto spalandrato verso il soffitto, il planetario sulle granfie, fari chiusi, truglio aperto per la beatitudine, snicchiando il fiotto di suoni meravigliosi. Oh, era ma­gnificenza e magnificità fatte carne. (p.43)
Dopo misi il magnifico Mozart, la Jupiter, e ci furono altre visioni di biffe da essere maciullate e spiaccica­te, e dopo quello pensai che mi ci voleva un ultimo di­sco prima di passare la frontiera, e volevo qualcosa di bigio e forte e molto fermo, cosf misi J. S. Bach, il Con­certo Brandeburghese solo per viole e violoncelli. E, snic­chiando con una specie d’estasi diversa da prima, locchiai di nuovo il titolo sul foglio che avevo sciancato quel­la sera, sembrava tanto tempo fa, in quel cottage chia­mato casa mia . Riguardava una certa arancia meccani­ca. E, ascoltando quel J. S. Bach, cominciai a zeccare meglio quello che voleva dire e pensai, continuando a snicchiare la magnificenza bruna del bigio maestro tedesco, che mi sarebbe piaciuto averli festati più forte tutti e due, e averli fatti a pezzi il sul loro stesso tappeto. (pp.44-45)

4 p.46

L’indomani, alle 8, Alex si sveglia ancora stranito e così decide di restarsene a casa a dormire mentre i genitori escono per andare ai rispettivi lavori (operaio il padre, commessa di un discount la madre)…

Il mattino dopo mi svegliai alle zero otto zero zerofratelli, e dato che mi sentivo ancora sgarrettato e sba­sito e fané e avevo i fari appiccicati insieme da una sonnocolla cinebrivido, pensai che a scuola non ci sarei an­dato. (p.46)

Uno strano sogno lo inquieta: sono passati diversi anni e Georgie è un graduato che ordina a Bamba di frustare Alex per via delle sue sporche scarpe… È il suono del campanello a svegliarlo. Deltoid, l’assistente sociale che lo segue dopo l’uscita dal Riformatorio, è giunto per avvertirlo di stare attento e di smetterla con le violenze notturne se non vuol finire in carcere…

Allora mi svegliai guizzo guizzo col cuore che faceva bum bum bum e naturalmente il trrrrrr del campa­nello c’era davvero ed era il campanello della nostra porta. (pp.47-48)
– Be’, – disse P. R. Deltoid, – allora per modo di dire ti avverto di stare attento, piccolo Alex, perché la prossima volta, come sai benissimo, non si tratterà più del correzionale. La prossima volta saranno le grandi sbarre e tutta la mia fatica sarà stata sprecata. (p.49)

Uscito Deltoid, Alex se la ride, ritenendo legittimo il comportarsi male come sfogo alla propria natura ed espressione del libero arbitrio…

Ma quello che faccio lo faccio perché mi piace farlo. (p.52)

Dopo aver fatto colazione divertendosi nel leggere le notizie sulle malefatte della Gioventù Moderna, eccolo recarsi al negozio di dischi preferito, Melodia, dove dovrebbe essere arrivata una nuova versione della Nona di Beethoven da lui ordinata. Il disco è giunto e Alex convince due ragazzine che ridacchiavano al suo acquisto ad andare da lui ad ascoltare i dischi comprati. E così, eccolo violentarle al suono della Nona dopo averle fatte bere e aver fatto suonare i loro dischi pop… E sempre al suono della Nona si addormenta mentre le due ragazzine escono promettendo di denunciarlo…

5 p.60

Alex si risveglia alle 19.30 circa e, indossata la vestaglia, va in cucina dove i succubi genitori sono intenti a consumare una misera cena. Il padre gli chiede cos’è che faccia la sera, che tipo di lavoro, lui risponde di aiutare in vari posti lasciandogli sul tavolo quanto rimastogli della sera prima…

Andò a finire che mi svegliai piuttosto tardi (quasi le sette e mezzo, erano) e questa fu una vera cretinata, come risultò poi. […]
Indossai la vestaglia, aprii la porta e dissi, a mo’ d’affezionato figlio unico:
– Salve salve salve. Sto molto meglio dopo la giornata di riposo. Ora son pronto per andarmi a guada­gnare quel po’ di spiccioli – . (p.60)
– Non per immischiarmi, figliolo, ma dov’è esatta­mente che lavori alla sera?
– Oh, – masticai, – lavoretti in giro qua e là, tipo aiuto, – e lo guardai di brutto nei fari come dire pensa ai fatti tuoi che io penso ai miei. – Non vi chiedo mica dei soldi, no? Mica mi faccio dar soldi per i vestiti e i divertimenti? E allora, che domandi a fare? (p.61)

Durante la conversazione il padre gli parla di un sogno fatto su di lui, pestato da altri giovani teppisti. È grosso modo lo stesso di quello fatto da Alex al mattino: Georgie a dare ordini e Bamba ad eseguire…

– Era molto vivido, – disse il mio papà. – Ti ho vi­sto disteso per la strada ed eri stato pestato da altri ra­gazzi. E questi ragazzi erano come quelli con cui anda­vi in giro prima che ti mandassero a quell’ultima Scuo­la Correzionale. (p.61)
E poi anch’io mi ricordai del mio so­gno, che era un sogno di quel mattino, su Geòrgie che dava gli ordini come un generale e il vecchio Bamba che gufava sdentato mentre lavorava di frusta. (p.62)

Uscito di casa, con sorpresa trova ad attenderlo i tre amici che, di fatto, si ribellano alla sua leadership…

E io uscii di casa tra affet­tuosità e sorrisi.
Arrivato in fondo alle scale ebbi una sorpresa. Rimasi si. Mi stupefatto. erano venuti A truglio a prendere. (p.62)

Esteriormente impassibile, Alex accetta di recarsi al Korova ma, cammin facendo, ascoltando Beethoven dalla radio di un’auto in transito, decide di affrontarli. E così eccolo battere dapprima Georgie, ferito alla mano, poi Bamba, ferito al polso nel duello da quello sostenuto con una catena…

– Senza offesa, Alex, – disse Pete, – ma noi voglia­mo che le cose siano un po’ più democratiche. Senza che tu ci dica continuamente quello che si deve fare e quello che non si deve fare. Ma senza offesa. (p.64)
E così il mio sogno aveva detto la verità. Il generale Geòrgie diceva quel che si doveva fare e quel che non si doveva fare, e Bamba era il suo ghignante bulldog con frusta. Ma io mi comportai con cautela, con gran­de cautela, con la massima cautela, e dissi sorridendo:
– Benissimo. Proprio cinebrivido. Il momento delle iniziative arriva per tutti. E io ti ho insegnato molte cose, piccolo soma. Dimmi pure quello che hai in men­te, Georgieboy.
—Oh, — disse Geòrgie col ghigno da furbastro, —
 Qualcosa che ci dia sprint a tutti ma soprattutto a te, che non hai ancora preso nulla. (p.65)
Perché fu una bellissima musica che venne in mio aiuto. C ’era un’auto in transito con la ra­dio accesa e io snicchiai un paio di battute di Ludwig van (era l’ultimo movimento del concerto per violino) e locchiai immediatamente quello che dovevo fare. Con una ciangotta cupa e profonda dissi : – Bene, Geòr­gie, eccomi qua, – e saettai fuori la mia lisca tagliagola. Geòrgie disse: – Eh? — ma fu abbastanza guizzo a scattare la lama del suo sgarzo fuori dal manico, e fummo l’uno davanti all’altro. Il vecchio Bamba dis­se: – Oh no, non è mica giusto, – e fece per srotolare la catena che teneva alla vita, ma Pete disse, fermando­ lo con la granfia : – Lasciali stare. È giusto cosi – . Quin­di Geòrgie e il Vostro Umile si dettero al vecchio gio­co gattesco[…] (p.65)
Cosi ora sapevano chi era il capo e chi le pecore, pensavo. (p.68)

Placatisi gli animi, eccoli a bere al Duke of New York dove decidono di andare a svaligiare una casa che, stando a Will l’Inglese, Georgie ritiene sia piena di ori e preziosi. A dargli l’alibi le solite vecchie cui offrono da bere…

Non ci volle molto per calmare quei due soldati fe­riti al calduccio del Duke of New York[…]. (p.68)
– Tipo oro e argento e gioielli. È stato W ill l’ingle­se a dirmelo.
– Ho zeccato, – dissi. Sapevo dov’era: nella Città Vecchia, appena passato il Victoria Flatblock. Be’, un capo veramente cinebrivido sa sempre quando deve es­sere generoso coi suoi sottoposti. – Benissimo, Geòr­gie, – dissi. – Un’ottima idea, un’idea da realizzare.
Alè, vamos – . E mentre si usciva le vecchie babusche dissero: — Non diremo nulla, ragazzi. Siete sempre sta­ti qua, siete Così io dissi: – Brave ragazze. Tra dieci minuti torneremo a offrirvi ancora qualcosina – . E così condussi i miei tre soma verso il mio destino. (p.69)

6 p.70

In breve il gruppo raggiunge l’obiettivo, la Residenza, abitato da una vecchia vedova intenta a dar del latte ai suoi numerosi gatti. Alex suona, ma la vecchia non risponde. Grida allora dalla cassetta delle lettere aiuto per il suo amico svenuto, ma quella gli dice di andar via. Scorta una finestra Alex, salito sulle spalle di Bamba, la apre introducendosi così in casa. Nello scendere decide di far tutto da solo per mostrare agli altri che è lui il capo e che vale da solo più di loro messi insieme ma, arraffata una statuetta d’argento, nel dirigersi verso un busto di gesso di Beethoven, finisce per inciampare e cadere sulle ciotole di latte disseminate ovunque sul pavimento della sala. Ne nasce una lunga colluttazione cui Alex pone fine colpendo la vecchia alla testa con la statuetta… Una sirena in avvicinamento lo fa correre alla porta ma, apertala, Bamba lo colpisce agli occhi con la catena. Accecato, Alex non può più scappare, finendo per essere caricato in auto e condotto tra botte e risate in centrale…

Così si arrivò quatti e tranquilli a questa casa chiamata La Residenza[…] (p.70)
E dentro c’era questa bigia semprocchia col crina­me bianco e una biffa rugosissima, che versava il vec­chio mommo da una bottiglia in certi piattini e poi metteva questi piattini per terra, cosi si capiva che in basso doveva esserci un gran movimento di ràttoli e rattolini miagolanti. […]
Ci vado io molto cortese e dico che uno dei miei soma ha avuto un attacco tipo svenimento per la strada. (p.71)
E entrare dentro fu facile come entrare nel­la vasca da bagno. E di sotto c’erano le mie pecore che guardavano in su a truglio aperto, O fratelli. (p.73)
Poi vidi le scale che andava­no giù nell’ingresso e pensai tra me che avrei fatto ve­dere a quei miei indegni e volubili soma che io valevo da solo più di loro tre messi insieme. Avrei fatto tutto da solicello. (p.74)
Mi feci una gufata cinebrivido locchiando che tene­va uno stronzo bastone da passeggio nella granfia ve­nosa e che l ’aveva alzato per minacciarmi. Così, facen­do scintillare gli zughi, mi avvicinai a lei un piccolopo­co tanto per guadagnar tempo, e in quel mentre loc­ chiai sopra una mensola una trucchetta bellissima, la più bella trucchetta che un malcico amante della musi­ca possa sperare di vedere, perché si trattava del plane­tario e delle mestole di Ludwig van in persona, quello che chiamano un busto, una trucca tipo pietra coi lun­ghi capelli e i fari ciechi e la grossa cravatta svolazzan­te, tutto di pietra. Ci persi subito la testa, dicendo:
– Guarda quant’è bello e tutto per me – . Ma per via che me ne riempivo gli occhi mentre andavo a prender­lo con le granfie avidamente tese, non vidi i piattini di latte per terra e ci inciampai sopra. (pp.75-76)
Lurida vecchia sportaccia, — e alzai la migna statuina tipo argento e le mollai un gran bel fe­stone sul planetario e questo la zittì cinebrivido perbenino. (p.77)
Via, via, – scricciai a Bamba. – Arrivano i rozzi -. Bamba disse: – E tu resti qui a riceverli ho ho ho […]
E poi arrivammo alla porca rozzeria centrale e mi aiutarono a scendere dall’auto e poi a salire le scale a forza di cal­ci e festoni, e io sapevo che non avrei avuto nessuna comprensione da quegli sguanosi busaioli, che Zio li maledica. (p.80)

7 p.81

In centrale Alex finisce pestato prima di raccontare i delitti fin lì commessi. Anche Deltoid entra in stanza e, deluso, se ne va dopo avergli sputato…
In attesa del processo, Alex è condotto in una cella comune dove, dopo esser riuscito ad evitare lo stupro da parte di due pederasti, trova posto in un cuccetta buttandone giù l’ubriaco occupante. Si addormenta, sognando sulle note della Nona di Beethoven fino al risveglio da parte di un poliziotto che lo conduce dall’ispettore capo che lo informa della morte della signora colpita la sera prima. A quindici anni è dunque assassino…

Ma dopo questo me le dettero a turno facendomi rimbalzare dall’uno all’altro come una lurida schifosa palla, fratelli miei, dandomi gran festoni sulle berte e sul truglio e sullo stomaco e menando calci, e così alla fine dovetti rigettare sul pavimento e, come un vero
scardinato, dissi perfino: – Scusate, fratelli, mi dispia­ce. Scusate, scusate – . Ma loro mi porsero dei bigi pez­zi di gazzetta e me lo fecero pulire, poi mi ci fecero dare sopra la segatura. E poi dissero, quasi come dei cari vecchi soma, che dovevo mettermi a sedere per fare una sprolatina tranquilla tutti insieme. E poi P. R. Del­toid venne dentro a dare una locchiata dato che il suo ufficio era nello stesso caseggiato e aveva l ’aria molto stanca e sgarrettata quando disse: – Così è successo, piccolo Alex, già. Proprio come mi aspettavo. (p.83)
Venne un po’ più vicino e sputò. Sputò. Mi sputò drit­to sulla biffa e poi s’asciugò il truglio salivoso col dor­so della granfia. E io mi pulii e ripulii la biffa sputata col mio garzuolo insanguinato dicendo: – Grazie, si­gnore, tante grazie, signore, è stato molto bello da par­te sua, signore, grazie, grazie – . E poi P. R. Deltoid se ne andò senza dire un’altra mottata. (p.84)
Io gli servii Pultraviolenza, il festaggio, lo squassaggio, il vecchio vaevieni, tutto quanto fino alla trucca di quella sera con la vec­chia semprocchia e suoi ràttoli e ràttole. E feci atten­zione che i miei cosiddetti soma ci fossero dentro fino alle tonsille.[…]
Così a calci e pugni e spintoni mi accompagnarono in cella dove fui messo insieme a dieci o dodici altri remigi, molti dei quali ubriachi.(p.85)
Così mi sdraiai su questo letto lezzoso, O fratelli, e cad­di in un sonno esausto e dolorante. Ma non sembrava un vero sonno, era tipo passare a miglior vita. E in questa miglior vita, fratelli, io ero come in un grande prato con tutti i fiori e gli alberi, e c’era una capra con la biffa da uomo che stava come suonando un flauto. E poi, come se fosse il sole, si levò Ludwig van in per­sona con una biffa temporalesca e la cravatta e il sel­vaggio criname al vento, e poi sentii la Nona, ultimo movimento, con le mottate tutte un po’ pasticciate co­me in fondo era giusto che fossero essendo quello un sogno […] (p.86)
E poi, prima che me lo dicesse, seppi cos’era. La vecchia quaglia che aveva tutti quei ràttoli e ràttole era passata a miglior vita in un ospedale della città. L ’a­vevo crocchiata un po’ troppo forte, si vede. Ben ben, eccoci qua. Pensai a tutti quei ràttoli e ràttole che avrebbero miagolato per chiedere il mommo e che non ne avrebbero avuto, o almeno non più da quella bigia pulcella che era la loro padrona. Eccoci qua. Avevo fatto la mia, proprio. E avevo soltanto quindici anni. (p.88)

PARTE SECONDA p.89

1 p.91

Alex viene condannato a quattordici anni di reclusione per la disperazione dei genitori. Trasferito alla Prigione Statale n° 84F con la matricola 6655321, dopo poco più di due anni, si è ambientato diventando assistente del cappellano leggendo passi della Bibbia e mettendo la musica durante le funzioni domenicali. Suo obiettivo è di uscire il più presto possibile e così, tra lavoro e spiate, eccolo chiedere al cappellano di segnalarlo per il Metodo Ludovico, di cui tanto si parla, che consentirebbe di diventare buoni e uscire di prigione subito…
Nella cella già stracolma giunge intanto un settimo recluso…

– Allora che si fa, eh?
Ricomincio da qui, e questa è la parte tipo lacrimo­sa e tragica della storia, fratelli miei e miei unici ami­ci, che inizia nella Prista (Prigione Statale, cioè) Nume­ro 84 f . Non avrete certo molta voglia di snicchiare tut­ta la sguanosa e orribile storia dello shock che man­dò il mio papà a battere le granfie ammaccate e salsose contro l ’ingiustizia di Zio nel Suo Cielo e della mia mamma che allargava il truglio per fare ouuuuu ouuuuu ouuuuu nel suo dolore di madre per l’unico figlio e frutto del suo ventre deprimendo tutti quanti cine­brivido. Poi ci fu il bigio magistrato molto torvo nel­la lower court che sprolò mottate durissime contro il vostro Amico e Umile Narratore, dopo tutte le saloppe e sguanose calunnie vomitate da P. R. Deltoid e dai cerini, che Zio li stramaledica. Poi fui rimesso in una lurida cella insieme a lezzosi pervertiti e sgarroni. Poi ci fu il processo della corte suprema coi giudici e una giuria, poi ci furono molte mottate davvero bruttis­sime sprolate in modo solenne, poi ci fu il Colpevole, e la mia mamma giù a far baaahaaaahaaa quando dissero Quattordici Anni, fratelli miei. Cosf adesso ero qua, due anni giusti da quando ero stato sbattuto a calci e inchiavistellato nella Prista 84 F , vestito all’estremo grido della prigione che era un abito a un pezzo di un colore sporco tipo sguana, e il numero cucito sulle par­ti tuberose proprio sopra il vecchio tictoc e pure sul­la schiena, così che andassi o venissi ero sempre il 6655321 e non più il vostro piccolo soma Alex.
—Allora che si fa, eh?
Non era mica stato edificante, ma neanche un po’, ri­manere in quel saloppo inferno tipo zoo umano per due anni, festato e preso a calci da guardiani bulli e brutali e messo a vivere con lezzosi biechi criminali al­cuni dei quali erano autentici pervertiti pronti a sal­tare con la bava alla bocca addosso a un giovane suc­culento malcico come il vostro cantastorie. (pp.91-92)
Stavo nella Cappella del Braccio dato che era do­menica mattina e il salmiere della prigione stava sprolando la Parola del Signore. Suonare il bigio stereo era sgroppo mio, e mettevo su la musica solenne prima e dopo e a volte anche nel mezzo, quando si cantavano gli inni.(p.93)
Così, fratelli miei, per me era molto importante uscire da quel lezzoso zoo appena possibile. E, come locchierete se andrete avanti a leggere, ci riuscii piuttosto in fretta. (pp.93-94)
Era stato sta­bilito che leggere nel libro doveva far parte della mia futura educazione e anche mettere la musica sullo ste­reo della cappella mentre leggevo, fratelli miei. (p.95)
E cosi stare nella Prista 84 F non era tutto tempo perso e anche il Governa­tore in persona si compiacque parecchio di sapere che avevo preso interesse nella Religione, ed era li che io riponevo le mie speranze. (p.96)
– Ma signore, — dissi io, – cos’è questa cosa nuova di cui parlano? Questo nuovo trattamento che ti fa uscire di prigione in quattro e quattr’otto e ti mette in condizioni di non tornarci mai più? (p.98)
Mi perdoni l’ardire, signore, ma perché non mi pro­pone per questa faccenda?
Si locchiava che stava meditando mentre sfumacchiava a tutt’andare la sua cancerosa, e forse si stava chiedendo se doveva o no dirmi quello che sapeva. Poi disse: – Immagino che tu ti riferisca alla Tecnica Lu­dovico Era ancora molto circospetto. […]
– Non è stata ancora messa in pratica, – disse, non in questa prigione, 6 6 5 5 3 2 1. Lui ha dei seri dub­bi in proposito. E devo confessare che io condivido quei dubbi. Il quesito è se una tecnica del genere possa davvero rendere buoni. La bontà viene da dentro, 6 6 5 5 3 2 1. La bontà è qualcosa che si sceglie. Quando un uomo non può scegliere cessa d’essere un uomo —.(p.99)
Ora, quello che vi voglio far sapere è che questa cel­la era stata costruita per tre e invece noi ci stavamo dentro in sei, tutti stretti pigiati che non ci si rigirava. E in quei giorni tutte le prigioni erano in quelle condi­zioni, fratelli miei, ed era proprio una lezzosa vergo­gna che un disgraziato non avesse posto nemmeno per stirarsi. E voi non ci crederete, ma quella stessa dome­nica scaricarono un altro remigio nella nostra cella. (p.101)

**Georgie nel frattempo è, per la gioia di Alex, morto nel corso di una rapina…

2 p. 102

Il nuovo arrivato è uno sbruffone straparlante che pretende invano di avere il posto di Alex. In piena notte il ragazzo se lo ritrova nel letto a molestarlo, e così lo pesta con gli altri fino all’arrivo delle guardie carcerarie… Calmatasi la situazione, l’uomo continua a provocare gli altri finendo nuovamente pestato, con Alex a dargliene per ultimo. L’indomani, al risveglio, l’uomo risulta morto e così i compagni di cella ne danno a lui la colpa. Alex è nuovamente omicida…
Più tardi giungono il Governatore e un pezzo grosso che, dopo aver deprecato il sistema carcerario, decide di usare Alex come prima cavia di quel carcere per il Sistema Ludovico…

Be’, fu proprio l’entrata di questo nuovo martino che aiutò la mia uscita dalla vecchia Prista, perché era un tipo di remigio così maledettamente litigioso, con la mente così sporca e delle intenzioni così luride, che i guai scoppiarono quel giorno stesso. Era pure spoc­chioso, e cominciò subito a far la biffa sprezzante e a metter su arie. Tirò fuori che lui era l’unico sgarrone veramente cinebrivido di tutto lo zoo, e che aveva fatto questo e quest’altro e che aveva ammazzato dieci rozzi con un crocchio della granfia e questo genere di sgua­na. Ma nessuno faceva una piega, fratelli. E così lui se la prese con me e cercò di dirmi che dato che ero il più giovane dovevo essere io a ciocchire sul pavimento, e non lui. Ma tutti gli altri presero le mie parti e scricciarono: – E lascialo in pace, sguanoso buggarone che non sei altro, – e allora lui cominciò la vecchia lagna che nessuno gli voleva bene e così via. Ma quella not­te mi svegliai di soprassalto e mi trovai quest’orribile remigio nella cuccetta, che era sotto le altre ed era pure molto piccola, e questo qui che mi stava sprolando mottate d’amore tipo sporco e pasticciava con le mani. Allora m’imburianai sul serio e cominciai a me­nar festoni anche se non ci locchiavo per niente […] (p.102)
Naturalmente, i miei compagni di cella si sveglia­rono e si unirono al festaggio menando alla cieca, fin­ché lo sguerzo svegliò l’intero piano e tutti si misero a scricciare e a sbatacchiare i pentolini di latta sul muro come se tutti i remigi di tutte le celle si fossero messi in mente che era arrivata l’ora dell’insurrezione, O fra­telli. Cosi si accesero tutte le luci e arrivarono i guar­diani in maniche di camicia agitando dei gran bastoni […] (p.103)
– Lasciatelo a me, su, ora lasciatelo a me, fratelli
Così il Gran Giudeo disse:
– Sì, sì, ragazzi, è giusto. È tuo, Alex – . E tutti si misero in circolo a locchiarmi crocchiare questo sgarrone nella penombra. Prima lo presi a pugni dapper­tutto, danzandogli intorno anche se avevo le scarpe senza stringhe, e poi lo trappettai e lui, crash, andò giù per terra. Gli detti un bel calcione cinebrivido sul pla­netario e lui fece ohhhhhh, e poi sbuffò tipo uno che s’addormenta, e II Dottore disse:
– Bene, ora credo che basti come lezione, – strizzan­do gli occhi per locchiare questo martino tutto acciac­cato sul pavimento. – Lasciamolo sognare che sta di­ventando un bambino buono.
 Così risalimmo nelle nostre cuccette dato che s’era tutti piuttosto stanchi. (p.105)
Quando arrivarono i satelliti e poi ilCapo Satellite, e poi il Governatore in persona, tutti i miei soma di cella sciolsero volentieri la slappa per raccontare come avevo fatto a sballare quell’indegno pervertito che ora giaceva coperto di salsa sul pavimen­to tipo sacco di stracci. (p.107)
– Va bene, va bene, — disse il gran poldo. Poi si vol­tò al Governatore e disse: – Lui potrà essere il primo.
È giovane, temerario e malvagio. Brodsky si occuperà di lui domani, e lei potrà assistere alla seduta. Funzio­na sempre, non si preoccupi. Questo malvagio teppista verrà così trasformato che sarà irriconoscibile.
E quelle dure mottate, fratelli, furono tipo il prin­cipio della mia libertà.(p.109)

3 p. 110

La sera stessa Alex è condotto dal Governatore che lo informa che l’uomo giunto in visita era il nuovo Ministro degli Interni che ha imposto il trattamento Ludovico sotto la guida del dottor Brodsky. In quindici giorni potrà uscire di prigione. Alex firma, poi è condotto dal cappellano che gli prospetta la negatività di una bontà imposta privando la persona del libero arbitrio. Alex lo ascolta ridendosela dentro di sé, ritenendolo solo il commosso discorso di un alcolizzato…

Quella stessa sera due brutali satelliti mi trascina­rono crocchiandomi e festandomi perbenino giù nel santosantorum dell’ufficio del Governatore. Il Gover­natore mi dette uno sguardo molto stanco e disse:
— Immagino tu non sappia chi fosse l ’uomo di stamat­tina, vero, 665 5 3 2 1? – E senza aspettare che dicessi di no, lui disse: – Era nientemeno che il Ministro degli Interni, il nuovo Ministro degli Interni, e quindi una scopa nuova che scopa bene. Be’, alla fine queste ridi­ cole idee nuove sono state approvate e gli ordini sono ordini, anche se io, in confidenza, non sono affatto d’ac­cordo. Non sono assolutamente d’accordo. Occhio per occhio, dico io. Se qualcuno ti colpisce tu restituisci il colpo, non è vero? Allora perché lo Stato, colpito du­ramente da brutali teppisti come te, non dovrebbe col­pirvi a sua volta? Ma le nuove teorie dicono di no. Se­condo le nuove teorie dobbiamo cambiare i cattivi in buoni. Il che mi sembra altamente ingiusto. (p.110)
 Tu verrai riformato, 6 6 5 5 3 2 1.Domani andrai da questo Brodsky. Sembra che in poco
più di quindici giorni sarai messo in grado di lasciare il penitenziario. […]
 Ora, qui c’è una carta da firmare. Dice che tu accon-senti a farti commutare il resto della pena nella sotto-missione a questa cosa che qui chiamano, che espres­sione ridicola, Trattamento di Redenzione. Vuoi fir­mare?
– Certo che firmo, – dissi, —signore. E moltissimi ringraziamenti —. Così mi dettero una penna e io feci una bella firma con lo svolazzo. (p.111)
Stanno per farti diven­tare un bravo ragazzo, 6 6 5 5 3 2 1. Non sentirai mai più il desiderio di commettere atti violenti o di offendere chicchessia in alcun modo o di turbare la Pace dello Stato. Spero che te ne renda conto. Spero che tutto ciò ti sia assolutamente chiaro —. Io dissi:
– Oh, sarà bellissimo diventare buoni, signore – .
Ma dentro di me mi feci una gufata cinebrivido, fra­telli. Lui disse:
– Essere buoni può non essere affatto bello, piccolo 6 6 5 5 3 2 1. Essere buoni può essere orribile. E mentre te lo dico mi rendo conto di quanto sembri contraddit­torio. So che passerò molte notti insonni per questo.
Che cos’è che Dio vuole? Dio vuole il bene o la scelta del bene? Un uomo che sceglie il male è forse in qual­che modo migliore di un uomo cui è stato imposto il bene?(p.112)
E poi cominciò a piangere. Ma io non ci feci molto caso, fratelli, e anzi dentro di me mi feci una gufatina perché si locchiava benissimo che s’era sgottato il vecchio whisky a tutt’andare, e an­che ora tirò fuori una bottiglia da un cassetto della scri­vania e si versò un tamagno sgotto cinebrivido dentro un bicchiere tutto unto e saloppissimo.[…]

L’indomani il giovane lascia la cella per raggiungere la nuova ala della prigione dove viene preso in consegna dal dottor Bronom, assistente di Brodsky. Durante la visita di controllo l’uomo risponde alle domande di Alex: guarderà film speciali e gli saranno fatte delle iniezioni dopo i pasti. Un vero paradiso, gioisce Alex…
Più tardi, dopo un lauto pasto, un’infermiera gli inietta qualcosa. Poi un infermiere viene a prenderlo sistemandolo su una sedia a rotelle per la prima seduta…

Be’, il mattino dopo dovetti dire addio alla vecchia Prista, e mi sentivo un piccolopoco triste come sempre succede quando dovete lasciare un posto al quale vi siete abituati. Ma non andai molto lontano, fratelli. A pugni e calci mi portarono nel nuovo edificio bianco dietro il cortile dovè si usciva per l’aria. (p.113)
Be’, Alex mio, ex piccolo 6 6 5 5 3 2 1, t’è andata proprio bene. Mi sa che qui te la spassi davvero.[…]tile. – Io mi chiamo dottor Branom, – disse. – Sono l ’assistente del dottor Brodsky. (p.114)
—Ma cos’è esattamente che mi farete, signore?
– Oh, – disse il dottor Branom, con lo steto freddo che mi scendeva giù per la schiena, – è piuttosto sem­plice. Ti facciamo solo vedere dei film.
– Film? – dissi. Non riuscivo a credere ai miei snicchi, fratelli, come potrete benissimo immaginare.
– Vuol dire, – dissi, – che sarà soltanto come andare al cinema?
— Si tratta di film speciali, — disse il dottor Branom.
— Film molto speciali. Faremo la prima seduta questo pomeriggio. Si, – disse, rialzandosi, – sembri proprio un ragazzo in perfetta salute. Un po’ denutrito, maga­ri. Ma è per via del cibo della prigione. Rimettiti pure la giacca. Dopo ogni pasto, – disse, mettendosi a sede­re sul bordo del letto, – ti faremo un’iniezione nel brac­cio, Ti farà bene – . Io mi sentivo molto riconoscente a questo gentilissimo dottor Branom. Dissi:
—Un’iniezione di vitamine, signore?
– Qualcosa del genere, – disse lui, sorridendo cine­brivido e tutto amichevole. – Una punturina dopo i pa­sti – . Poi usci. Io rimasi sul letto pensando che quel­lo era un vero paradiso[….] (p.115)
Mi feci una gran gu­fata cinebrivido pensando all’ ingenuità di tutti quanti, e mi stavo proprio smascellando quando mi portarono la colazione su un vassoio. (p.116)

4 p.118

Debole per l’iniezione, Alex è immobilizzato su una poltrona con tanto di palpebre tenute sollevate a forza per vedere le proiezioni che iniziano all’arrivo di Brodsky. Una serie di violenze inaudite e ininterrotte che portano Alex ad avere sempre più forti conati di vomito e malessere, fino a chiedere invano e tra le risate dei medici l’interruzione delle proiezioni…

E poi la luce si spense e il Vostro Umile Narratore e Amico restò al buio tutto solicello e spaventato, senza che potesse muoversi o chiudere gli occhi o far nulla di nulla. (p.120)
[…] io cominciai a sentirmi male. […]
sarei sentito così male. Ma non potevo chiudere i fari, e anche se cercavo di muovere la palla dell’occhio in giro non uscivo dal campo visivo del film.  (p.122)
Ora il mio mal di pancia e il mal di testa e la sete mi parevano insopportabili e sembrava che venissero proprio fuori da quello schermo. Così scricciai:
– Basta col film! Vi prego, basta! Non lo posso più sopportare! – E allora la ciangotta di questo dottor Brodsky disse:
— Basta? Basta, hai detto? Ma come, abbiamo appe­na cominciato! — E lui e gli altri gufarono forte. (p.123-124)

5 p.125

Nonostante le grida e il malessere di Alex le proiezioni proseguono senza sosta fino a che il soddisfatto Brodsky ne ordina la sospensione. Ricondotto in cella, il ragazzo riceve dopo un po’ la visita di Bronom che gli conferma la normalità del suo malessere nell’osservare quelle scene violente. È il segno della sua lenta guarigione, gli spiega…
Più tardi giunge un addetto alla scarcerazione a chiedergli dove andrà una volta liberato e quale lavoro vorrà fare. Poi, andandosene ridendo, gli propone di dargli un pugno. Alex lo fa, sentendosi però male…
La notte è colto da un incubo che lo vede presente a una delle violenze delle proiezioni…

Perché non credo che nessun mar­tino possa anche solo pensare di fare dei film su quello
che ero obbligato a locchiare tutto legato a quella sedia con i fari tenuti spalancati a forza. Tutto quel che po­tevo fare era scricciare altisuono basta basta basta e questo copriva un piccolopoco il rumore dello squassaggio e dei festoni e anche la musica che ci andava insieme. Potete immaginarvi il terribile sollievo di quan­do locchiai l ’ultimo pezzo di film e questo dottor Brod­sky disse, con una ciangotta tipo annoiata e sbadiglio­sa: — Credo che per il Giorno Primo possa bastare, no, Branom ? (p.125)
– Vuol dire che dovrò di nuovo…? Vuol dire che sarò obbligato a guardare i…? Oh, — dissi. — È stato orribile.
– Certo che è stato orribile, —sorrise il dottor Bra­nom. – La violenza è una cosa orribile. È proprio quel­lo che stai imparando. È il tuo corpo che lo sta impa­rando.
– Ma, – dissi io, – non capisco. Non capisco perché mi sia sentito così male. Non mi sentivo mai male, pri­ma. Anzi, al contrario. Che lo facessi o stessi a guarda­re mi sentivo proprio cinebrivido. Non riesco a capire perché o come o che cosa…
– La vita è una cosa meravigliosa, – disse il dottor Branom con una ciangotta tipo ispirata. – I processi della vita, il comportamento dell’organismo umano, chi può del tutto comprendere questi miracoli? Natu­ralmente, il dottor Brodsky è un uomo notevole. Ciò che ora ti sta accadendo è quello che dovrebbe accade­re a ogni organismo umano sano e normale davanti alle forze del male e al principio di distruzione. Noi ti fac­ciamo diventare sano, ti stiamo rendendo alla norma­lità. (p.127)
– Oggi ti sei sentito male, – disse lui, – perché stai migliorando. Quando siamo sani reagiamo con la pau­ra e la nausea a ciò che è detestabile. Tu stai diventan­do sano, ecco tutto. E domani a quest’ora sarai ancora più sano – . (p.128)
Ma era strano che quel bigio martino mi avesse chiesto di dargli un festone sulla biffa. Ed era strano che mi fossi sentito male in quel modo.
Ma la cosa più strana accadde quando mi addormen­tai, fratelli. Ebbi un incubo e, come c’era da aspettarsi, era uno di quei film che avevo locchiato nel pomerig­gio. (p.130)

6 p.132

Il trattamento prosegue secondo lo stesso copione nei giorni seguenti, con Alex a chiedere basta e a protestare per la presenza per lui oltraggiosa delle note di Beethoven come colonna sonora di quei violenti filmati…
A poco a poco le dosi di farmaco sono ridotte fino a cessare del tutto e così Alex capisce che a farlo sentire male non sono i farmaci, ma le immagini proiettate. In un maldestro tentativo di fuga ne ha la conferma…

—Basta, basta, basta, – continuavo a scricciare. –
Fermatevi, sguanosi bastardi, io non ne posso più. Era il giorno dopo, fratelli, e io avevo fatto sincera­ mente del mio meglio mattina e pomeriggio per com­ piacerli e me n’ero rimasto seduto come un sorriden­te malcico collaboratore sulla sedia di tortura mentre proiettavano i loro lezzosi filmetti d’ultraviolenza sul­lo schermo, gli occhi tenuti aperti con le pinze perché locchiassi bene tutto, macerie e granfie e patte fissate alla poltrona perché non mi muovessi. […]
Ma il martellio e il tum tum tum tum nel planetario e la voglia di vomitare e la terribile sete che mi bruciava il truglio, tutto era peggio del giorno prima. – Oh, ne ho abbastanza, – gridavo. – Non è giusto, lezzosi buggaroni che non siete altro, – e mi dibattevo per liberarmi ma tutto era inu­tile, perché su quella sedia c’ero ben appiccicato. (p.132)
 E poi, nonostante tut­to il mio male e la mia nausea, mi accorsi quale musica fosse quella che gracchiava e rimbombava nella colon­na sonora, ed era il Ludwig van, l’ultimo movimento della Quinta Sinfonia, e allora scricciai da scardinato.
 – Basta! – scricciai. – Basta, buggaroni bastardi disgu­stosi! Questo è un delitto, uno sporco imperdonabile delitto, lezzoni! (p.133)
– Che cos’è un imperdonabile delitto, eh?
— Quello, — dissi, tra la nausea. – Usare Ludwig van in quel modo. Lui non faceva male a nessuno. Beethoven scriveva soltanto della musica E poi vomitai sul serio e dovettero portare un recipiente a forma di rene. (p.134)
E così, naturalmente, locchiai che razza di tonno ero stato a non pensare a quelle iniezioni ipodermiche. – Oh, – scricciai, – oh, è tutto chiaro adesso. Proprio un lurido tiro sguanoso! Una bell’azione da bastardi!
Ma vi assicuro che non lo farete più.
– Sono lieto che tu abbia sollevato le tue obbiezioni adesso, – disse il dottor Brodsky, – così ora possiamo parlar chiaro. Ci sono molte maniere per introdurre nel tuo organismo questa roba di Ludovico. Per via orale, per esempio. Ma il metodo sottocutaneo è il migliore. Ti consiglio di collaborare. Ribellarsi non avrebbe senso. Non puoi avere la meglio su di noi.
– Lezzosi buggaroni, – dissi, tipo frignando. Poi dissi: – Non m’importa dell’ultraviolenza e di tutte quelle sguanate. Quello lo posso anche sopportare. Ma non è giusto per la musica. Non è giusto che io mi sen­ta male quando sto snicchianò il meraviglioso Ludwig van e G. F. Haendel e gli altri. (p.135)
Questi film, fratelli, erano uguali tutti i giorni, sem­pre calci e festoni e salsa rossa che colava dalle biffe e dalle macerie e schizzava fin sulla lente della macchina. (p.137)

7 p.142

Ed eccolo giungere l’ultimo giorno di trattamento per Alex che, di fronte a Ministro, Governatore, Brodsky, Bronom, Cappellano e altri è sottoposto ad alcune prove pratiche che mostrano l’efficacia del metodo Ludovico. Il ragazzo non solo non riesce più a praticare la violenza sugli altri, ma è indotto a subirla e a pensare in modo opposto dal solito. Si lascia infatti picchiare da un indisponente uomo e striscia ai piedi di una donna mozzafiato. Tutti entusiasti quindi, tranne il cappellano che evidenzia come il libero arbitrio sia ora precluso al ragazzo…

Il nostro soggetto, come vedete, è indotto al bene quando, paradossalmente, viene indotto al male. L ’intenzione di compiere atti di violenza è accompa­gnata da sensazioni fisiche molto sgradevoli. Per con­trastarle, il soggetto deve assumere un atteggiamento diametricalmente opposto. Nessuna domanda?
– La scelta, – tuonò una ciangotta profonda. Locchiai che apparteneva al salmiere della prigione. – In realtà lui non ha scelta, vero? (p.146)
– Sarà un vero buon cristiano, – stava scricciando il dottor Brodsky, – pronto a porgere l’altra guancia, pronto a essere crocifisso piuttosto che crocifiggere, profondamente disgustato perfino al pensiero di ucci­dere una mosca – . (p.149)

PARTE TERZA p.151

1 p.153

Dopo interviste e foto, di buon mattino ecco Alex fuori di prigione con qualche soldo datogli dal governo. Che fare?

– Allora che si fa, eh?
Quello, fratelli miei, ero io che me lo chiedevo il mattino dopo, ritto davanti a questo edificio bianco che era come attaccato alla vecchia Prista, vestito con le palandre che avevo quella notte di due anni fa, nel­la luce grigia dell’alba, con una migna borsetta per le mie poche trucche personali e un piccolopoco di tru­ciolo gentilmente offerto dalle lezzose Autorità per l’i­nizio della mia nuova vita. (p.153)

Il ragazzo fa colazione in uno squallido bar operaio dove sul giornale trova un articolo che lo riguarda e in cui si osanna la Tecnica Ludovico, capace di trasformare un delinquente in un bravuomo…

E sulla seconda pagina c’era una fo­to tutta confusa di qualcuno che mi pareva di conosce­re e poi saltò fuori che quello era proprio io io io. (p.155)

Eccolo poi rientrare in casa dove però ai genitori provoca un’amara sorpresa con il suo prematuro ritorno. In sua assenza hanno infatti affittato la sua stanza a un operaio, Joe. Incapace di pestarli, tra le lacrime il ragazzo è così costretto ad andarsene…

– Allora che si fa, eh?
Quello che dovevo fare adesso, fratelli, era di pistonare a casa e fare la bella sorpresa al papapa e alla mamma di riportare il loro unico figlio ed erede in se­no alla famiglia. (pp.155-156)
 Ma infilai la cruccia con decisione nella serratura e girai, poi aprii ed entrai, e dentro incontrai tre paia di fari stupefatti e un piccolopoco spaventati che mi fissavano, ed erano il pi e la emme che facevano cola­zione ma c’era anche un altro martino che non avevo mai locchiato prima nella mia seigiorni, un poldo gros­so e tamagno in camicia e bretelle, tranquillo come se fosse a casa sua, fratelli, che si slurpava il cia al latte e si magnamgnava l’ovetto col toast. E fu questo marti­no straniero che parlò per primo e disse:
— E tu chi sei, amico? Dov’è che ti sei procurata la chiave? Fuori, prima che ti rompa la faccia. Va’ fuori da quella porta e bussa come si deve. E spiega quello che sei venuto a fare, e in fretta. (pp.156-157)
– Questo chi è? – dissi. – Perché non dice nulla?
Cosa sta capitando qui dentro?
– Questo è Joe, – disse mamma. — Abita qui, ades­so. È l’inquilino, ecco chi è. Oh, diodiodio, – faceva. […]
—Bene, — dissi, alzandomi ancora tutto in lacrime.
– Ora so come stanno le cose. Nessuno mi vuole, e nes­suno mi ama. Io ho sofferto sofferto sofferto, ma tutti vogliono che continui a soffrire. Lo so, lo so.
—Tu hai fatto soffrire gli altri, – disse questo Joe. –
È solo giusto che soffri davvero anche tu. (p.160)
— Magari fossi rimasto in prigione, —dissi. —Cara vecchia Prista, ci tornerei volentieri. Be’, ora sgom­bro, – dissi, – e non mi rivedrete mai più. Me la cave­rò da solo e grazie mille. Spero che peserò per sempre sulla vostra coscienza – . Il mio papà disse:
– Non prenderla cosi, figliolo, – e la mia mamma ricominciò col suo bahahaha con una biffa tutta bistor­ta da far paura, e questo Joe le mise di nuovo la gran­fia addosso carezzandola e facendo su su su e così via. E cosf io pistonai tipo barcollando fino alla porta e uscii, lasciandoli con la loro terribile colpa, O fratelli miei. (p.161)

2 p.162

Deluso, Alex va allora al negozio di dischi Melodia per trovare un po’ di conforto nell’amata musica. Ma il negozio è pieno di ragazzini e ragazzine e il commesso è poco più grande di loro e lontano anni luce dal precedente, Andy. Alex chiede di ascoltare la sinfonia n.40 di Mozart. Il commesso lo manda in cabina d’ascolto, mettendo però un altro disco. La cosa più dolorosa per Alex è  il non poter più ascoltare musica dopo il trattamento Ludico. E così eccolo schizzar fuori dal negozio… Meta successiva è il Korova Milkbar dove, dopo visioni psichedeliche dovute al “latte corretto”, realizza che l’unica cosa da fare è togliersi la vita per porre fine alla sua ormai inutile e dolorosa repressa esistenza. Non potendo però usare violenza contro se stesso, decide di recarsi in biblioteca per trovare un metodo indolore per suicidarsi. Ma non trova nulla e foto di ferite e racconti violenti della Bibbia lo fanno star male. È disperato e un vecchio cerca di tirarlo su di morale. Ma ecco che uno di quelli, intento a leggere un libro di cristallografia, disturbato dal chiacchiericcio, lo riconosce. È l’uomo che pestarono due anni prima strappandogli poi i libri… I vecchi iniziano a picchiarlo e mentre l’inserviente chiama la polizia, Alex tenta la fuga. Riacciuffato, è salvato dai sopraggiunti poliziotti…

Questi buggaroni di dottori, cioè, avevano così pasticciato le cose che ora qualsiasi musi­
ca fatta per le emozioni, tipo, mi faceva star male come locchiare la violenza. Era per via che tutti quei film sul­la violenza erano accompagnati dalla musica. E ricor­davo specialmente quell’orribile film nazista con la Quinta di Beethoven, ultimo movimento. E adesso anche il meraviglioso Mozart era diventato orrendo. (p.163)
[…]e poi tutto ghignò e gufò e crollò, tipo, e la gran­de luce calda diventò fredda, e io tornai là dov’ero pri­ma, col bicchiere vuoto sul tavolo e una voglia di pian­gere e la sensazione che solo la morte era la risposta a tutto.
Fu così che locchiai che quella era l’unica cosa da fa­re, solo che non sapevo bene come farla, O fratelli, da­to che non ci avevo mai pensato prima. Nella mia pic­cola borsa di trucche personali c’era la mia lisca tagliagola, ma al pensiero di farmi zac! sul collo e immagi­nando il fiotto di salsa rossa mi venne subito una gran nausea. Avevo bisogno di qualcosa che non fosse vio­lento ma che mi facesse scivolare dolcemente nel son­no e allora sarebbe stata la fine del Vostro Umile Nar­ratore e la fine dei guai per tutti. Forse, pensai, se pistonavo alla Biblio Pubblica là vicino avrei potuto tro­vare qualche libro sul miglior modo di sbaraccare sen­za dolore. Pensai a me stesso morto e a come gli sarebbe dispiaciuto a tutti, al pi e alla emme e a quello sguanoso lezzone di Joe l’usurpatore, e anche al dot­tor Brodsky e al dottor Branom e a quel Ministro In­terno Esterno e a tutti quegli altri martini. E pure a quel fanfarone lezzoso di Governo. (pp.165-166)

3 p.171

Con sommo stupore Alex scopre che due dei tre poliziotti intervenuti sono Bamba e Billyboy che, per vendicarsi del passato, caricatolo sul furgone, lo portano in un campo fuori città abbandonandolo a terra nella buia sera dopo averlo pestato. Alex piange, poi, sotto la gelida pioggia, si incammina pur non sapendo dove andare…

Poi mi dettero un festone finale per uno sulla biffa e io crollai giù e rimasi là disteso sull’erba.[…]
Io rimasi per terra, tutto pesto e mantecato.
Dopo un po’ ero tutto un dolore, e poi cominciò a venir giù la pioggia, ed era proprio ghiacciata. Non c’e­ra un solo poldo in vista, né una luce. Dove potevo an­dare, io che non avevo una casa e con pochissimo tru­ciolo nelle gaioffe? Bahahahaa, piansi per me stesso. Poi mi alzai e cominciai a camminare. (p.175)

4 p.176

Camminando nella buia, gelida e piovosa notte, eccolo raggiungre un cottage isolato con la scritta CASA-MIA. Un uomo gli apre e lo accoglie: è lo scrittore che pichiarono due anni prima violentandone la moglie. Curato e rifocillato, Alex è invitato a raccontare la sua storia. Con alcuni amici, spiega lo scrittore, sarà usato per la lotta al governo autoritario che arriva a disumanizzare un uomo obbligandolo a compiere solamente opere e azioni ritenute socialmente giuste. Lo considera quindi una vittima dei tempi moderni, proprio come la moglie morta per il trauma della violenza subita…

Casa mia, casa mia, casa mia, era casa mia che vole­vo, ed era c a s a m i a quella dove arrivai, fratelli.[…] delle case e là c’era un sosto tipo bar, e proprio al con­fine del villaggio c’era un migno cottage tutto solicello,e aveva una scritta bianca che spiccava sul cancello, c a ­s a m i a , diceva. […] c a s a m i a , diceva, e forse lì qualcuno mi avrebbe aiutato. (p.176)
[…]e poi bussai alla porta, gentile e patetico. Non ven­ne nessuno, cosi bussai un piccolopoco più forte e più a lungo e poi snicchiai uno sguerzo di patte. Poi la por­ta si apri e una ciangotta maschile disse: – Sì? Cosa c’è?
– Oh, — dissi, — mi aiuti, la prego. La polizia mi ha picchiato e mi ha lasciato a morire per la strada. Oh, la prego, mi dia qualcosa da bere e mi faccia scaldare un poco, la prego, signore.
Allora la porta si aprì per bene, e potei locchiare una luce calda e un fuoco che faceva crac crac nel caminet­to. – Entra, – disse questo martino, – chiunque tu sia. Che Dio ti aiuti, povera vittima. Vieni, fammi vede­re – . Così io barcollai dentro e non facevo mica scene, fratelli, mi sentivo davvero più di là che di qua. Que­sto martino gentile mi mise la granfia sulle spalle e mi fece entrare in questa stanza dove c’era il fuoco, e na­turalmente ora capii subito dove mi trovavo e perché quel C A S A m i a sul cancello mi era sembrato così fami­liare. Guardai il poldo e lui guardò me con un’aria gen­tile, e riconobbi pure lui. Certo, lui non poteva rico­noscermi perché in quei giorni spensierati io e i miei cosiddetti soma facevamo i nostri scapricci e i nostri squassaggi più tamagni con delle maschere che ci copri­vano biffa e planetario. (p.177)
– Credo di sapere chi sei, – disse lui. – Se sei chi cre­do tu sia, allora sei capitato proprio nel posto giusto, ami­co mio. Non era tua la foto sui giornali di oggi? Non sei tu la povera vittima di queH’orribile tecnica nuova? Se è cosi è la Provvidenza che ti manda. Torturato in pri­gione e poi sbattuto fuori perché la polizia continui a torturarti. Hai tutta la mia compassione, povero ragaz­zo.
 Fratelli, non riuscivo a infilare una parola anche se avevo il truglio aperto e pronto a rispondere alle sue domande. – Non sei il primo a venire qui in queste condizioni, – disse. – La polizia ama portare le sue vit­time nei dintorni di questo villaggio. (p.179)
Tu hai peccato, immagino, ma la tua punizione è stata davvero sproporzionata. In fondo eri un essere umano, e loro ti hanno cambiato in qualcos’altro. Non sei più in grado di scegliere. Ora sei obbligato a compiere soltanto delle azioni socialmente accettabili, come una macchina capace di fare solo il be­ne. Oh, capisco benissimo… […]
Un uomo che non può scegliere cessa di essere un uomo.(p.180)
[…] domani farò venire qui un po’ di gente. Io credo che potrai esserci utile, povero ragazzo. Credo che potrai aiutarci a destituire questo go­verno autoritario. (p.181)

5 p.183

Alle dieci Alex si alza e, mentre lo scrittore prepara la colazione, ne approfitta per dare una letta ad Arancia Meccanica, libro del suo ospite, tale F. Alexander. Libro noioso sulla trasformazione degli uomini in macchine…
Dopo colazione e dopo aver firmato un articolo scritto da Alexander, ecco giungere tre ospiti che concordano con Alexander: lo useranno contro il Governo. Sarà un martire del Partito. Stufo di tali discorsi, Alex usa sempre più il vecchio gergo e, intuendo che lo scrittore lo abbia infine riconosciuto, fa di tutto per andarsene di lì il più in fretta possibile. Lestamente vestito, eccolo salire in auto con i tre ultimi venuti, mentre un sempre più alienato Alexander cerca di ricordare dove abbia già incontrato qualcuno di nome Bamba…
Alex è condotto e lasciato in un appartamento dove, in breve, si addormenta. Ma ecco della musica a svegliarlo. Invano chiede che sia spenta e così, chiusa a chiave dall’esterno la porta, per cessare il malessere, è infine costretto a buttarsi dalla finestra…

– Sì, ho telefonato a diverse persone che potrebbe­ro interessarsi al tuo caso. Puoi essere un’arma molto potente, capisci , per impedire che questo pessimo Go­verno sia rieletto alle prossime elezioni. […]
– Ma io come c’entro, signore?
– Tu, — disse, sempre con quel suo sguardo scardi­nato, — sei la vivente testimonianza di questi diabolici progetti. (p.185)
—E io che ci ricavo? Potrò guarire dal mio stato?
Potrò snicchiare di nuovo la vecchia Nona senza vomi­tare? Potrò avere ancora una seigiorni normale? Cosa ne sarà di me, signore? (p.186)
– Piantatela di trattarmi come una cosa da usare e basta. Non sono mica un idiota da menare per il naso, stupidi buggaroni che non siete altro. G li sgarroni or­dinari sono stupidi, ma io non sono ordinario e non so­no bamba. Zeccato?
– Bamba, – fece F. Alexander come pensieroso. –
Bamba. Questo era il nome di qualcuno. Bamba. (p.189)
Perché, fratelli, vo­ levo uscire di lì più guizzo che potevo. Ma Z. Dolin
disse:
– Ah, no. Ora ti abbiamo qui, amico caro, e non ti lasceremo andare. Devi venire con noi. (p.190)
– Bamba bamba bamba, – continuava a dire F. Ale­xander tipo mormorio. — Cosa o chi era questo Bam­ba? – Io pistonai di sopra guizzo guizzo e mi vestii in due secondi e mezzo esatti d’orologio. (p.191)
Mi svegliai che c’era una musica al di là della parete, molto altisuono, e doveva essere stata quella a trasci­narmi fuori dal sonno. […] E così io, che avevo tanto amato la musica, ora stavo strisciando fuori dal letto facendo oh oh oh e poi bang bang bang nel muro, scricciando: — Basta, basta! Spegnetelo! – Ma la musica continuò e mi sembrava perfino più forte di prima. (p.192)
Allora pensai che dovevo assolu­tamente andarmene di lì, cosi uscii barcollando dalla migna cameretta e pistonai guizzo alla porta d’ingres­ so, ma questa era stata chiusa a chiave dal di fuori. E intanto la musica diventava sempre più altisuono come se qualcuno volesse deliberatamente torturarmi, O fratelli miei.[…]
Un attimo di dolore, forse, e poi dormire per sempre e per sempre. (p.193)
Scricciai a tutto il mondo: – Addio, addio, che Zio vi perdoni questa vita distrutta – . Poi salii sul davanzale, mentre la musica imperversava alla mia sinistra, chiusi i fari e sentii il vento freddo sulla biffa, poi saltai. (p.194)

6 p.195

Nonostante lo schianto al suolo Alex se la cava con alcune fratture e una commozione cerebrale. La sua vecchia personalità sembra essersi ristabilita, nota subito dopo aver adocchiato la bella infermiera o nel replicare ai genitori giunti a trovarlo. Dopo circa dieci giorni, due medici gli mostrano alcune immagini e le sue risposte confermano il suo ritorno allo stato pre-trattamento Ludovico. Giorno dopo giorno migliora sempre più fino a ricevere la vista del Ministro degli Interni che, a favore di giornalisti, gli promette una sistemazione e la protezione dai politici che l’hanno sfruttato (Alexander è stato già internato), regalandogli infine uno stereo con il quale il ragazzo torna ad estasiarsi sulle note della Nona di Beethoven… Durante l’ascolto gli fanno firmare qualcosa che non si cura neanche di leggere tanto è preso dalla musica…

Saltai, O fratelli, e caddi di schianto sul marciapie- de, ma non sbaraccai, oh no. Se avessi sbaraccato non sarei qui a scrivere ciò che ho scritto. Pare che il salto non fosse da un’altezza sufficiente a uccidere. Ma mi spezzai la schiena e i polsi e le gambe e sentii un dolo­re molto tamagno prima di svenire, fratelli, con le bif­fe stupefatte dei martini della strada che mi guardava­no dall’alto. Ma prima di svenire locchiai chiaro che non c’era un solo martino in questo orrendo mondo che fosse dalla mia parte e che quella musica attraver­so la parete era stata tipo predisposta da quelli che avrebbero dovuto essere i miei nuovi soma e che loro avevano bisogno di una trucca così per quella loro or­ribile politica egoista e fanfarona. (p.195)
Ed ecco che arrivò, e naturalmente non era altri che il Ministro degl’interni o Esterni[…] (p.202)
– Be’, – disse il Ministro Interno Esterno, seden­dosi sul letto. – Io e il governo di cui sono membro vogliamo che tu ci consideri tuoi amici. Amici, sicuro. Ti abbiamo rimesso in sesto, no? Ti abbiamo riservato il trattamento migliore. Non abbiamo mai voluto il tuo male, ma ci sono alcuni che l’hanno fatto e continuano a farlo. Credo che tu sappia chi sono.
– Tutti quelli che mi trattano male, – dissi, – sono miei nemici.
– Si si sì, – disse. – Ci sono degli uomini che vole­vano servirsi di te, sicuro, servirsi di te per i loro fini politici. Sarebbero stati lieti, sicuro, lieti che tu moris­si, perché credevano di poterne dare tutta la colpa al governo. Credo che tu sappia chi sono questi uomini. (p.203)
– Ci si aiuta sempre tra amici, non è vero? – E poi mi prese la granfia e un martino scricciò: — Sorridi! — e io senza pensarci feci un sorriso da scardinato, e poi flash flash plop flash crac, presero un sacco di foto di me e l’interno Esterno insieme come due soma. – Bra­vo ragazzo, – disse il gran poldo. – Bravissimo ragazzo.
E adesso, guarda, eccoti un regalo.
Ciò che mi portarono dentro, fratelli, era una gran­de scatola lucida, e io locchiai subito di che trucca si trattava. Era uno stereo. (p.204)
– La Nona, – dissi. – La gloriosa Nona.
E la Nona fu, O fratelli. Tutti cominciarono a uscire zitti e cheti mentre io stavo lì a snicchiare quella bellis­sima musica coi fari chiusi. Il Min disse: – Bravo, bra­vo ragazzo, – battendomi la granfia sulla mestola, e poi pistonò via. Rimase soltanto un martino che disse:
– Una firma qui, per piacere – . Io aprii un momento i fari per firmare senza sapere cosa stavo firmando e an­che fregandomene di saperlo, O fratelli. Poi fui lascia­to solo con la gloriosa Nona di Ludwig van.
Oh, era magnificenza e gnamgnamgnam. Quando ar­rivò lo Scherzo locchiai molto chiaramente me stesso che correvo e correvo su patte tipo luminose e miste­riose tagliando l’intera biffa del mondo scricciante con la mia lisca tagliagola. E l ’adagio e l’ultimo movimen­to cantato dovevano ancora venire. Ero guarito dav­vero. (p.205)

7 p.206

È una buia e fredda sera d’inverno e al Korova Milkbar, dopo aver bevuto il solito “latte corretto”, Alex e i suoi tre nuovi compagni di violenza (Len, Rick e Toro), si arrovellano su come passare la serata. Il capo è Alex, per via della sua fama e del suo strapagato lavoro agli Archivi Nazionali Grammodisc… D’un tratto Alex dice di uscire, sebbene in quei giorni si senta un po’ annoiato e fiacco. Dopo aver ordinato agli altri di pestare un tizio, eccoli al Duke of New York dove non paga da bere alle solite vecchie alcolizzate, iniziando a voler risparmiare i soldi guadagnati lavorando. Alla fine paga per tutti, decidendo però di andarsene dopo esser stato deriso per la foto di un neonato che teneva in tasca…

—Allora che si fa, eh?
C ’ero io, il Vostro Umile Narratore, e i miei tre so­ma, cioè Len, Rick e Toro, Toro chiamato Toro per via del grosso collo tamagno e della ciangotta altisuono ti­po qualche tamagno toro che mugghiasse auuuuuuuuuh. Stavamo al Korova Milkbar a rovellarci il cardi­ne su come passare la serata, una sera buia fredda ba­starda d’inverno, ma asciutta. (p.206)
 – V i a via via via via.
– Via dove? – disse Rick, che aveva una biffa tipo rospo.
– Oh, solo a locchiare quel che succede nel vasto mondo, – dissi. Ma non so come, fratelli, ero molto an­noiato e un piccolopoco disperato, come mi capitava spesso in quei giorni.[…]
In quei giorni mi limitavo sempre a dare ordini e a starmene da parte a locchiare mentre venivano ese­guiti. (p.208)
Mi era venuto il desiderio, tipo, di te­nermi tutta la mia bella maria per me, di farmi un gruz-
zoletto e tenermelo da parte per chissà quale scopo.
Toro disse:
– Che capita, bimbo? Che succede al vecchio Alex?
– Oh, al diavolo, – dissi. – Non lo so. Non lo so. Il fatto è che non mi garba buttar via il truciolo che mi son guadagnato, ecco tutto. (p.209)

Strada facendo pensa di esser cambiato e, entrato in una caffetteria per un tè, si imbatte in Pete. Il vecchio compagno di violenza ha messo la testa a posto e si è sposato da due mesi. Forse, riflette, è diventato troppo grande anche lui per proseguire quella vita… Più tardi, camminando in strada, pensa a cosa fare con continue visioni di lui adulto intento a condurre una vita normale e tranquila. Vorrebbe una moglie e un figlio… Sta dunque maturando… Si cercherà una donna da sposare e con la quale avere un figlio…

Ma in quei giorni il mio problema era il fatto che non m’importava nulla di nul­la. Era come se qualcosa di molle mi fosse entrato den­tro e non riuscivo a zeccare il perché. Non sapevo quel­lo che volevo. […]
Qualcosa mi stava accadendo dentro e mi chiedevo se era tipo qualche malattia o se forse stavo per diventare scardinato sul serio dato che mi avevano tanto pasticciato il planetario. (p.212)
Arrivai in uno di questi sosti dove si va a glutare tè e caffè, fratelli, e attraverso la grande vetrina locchiai che era pieno di grega comune, tipo incolore[…]
Era Pete, uno dei miei tre soma dei giorni di Geòrgie e Bamba e lui e me. (p.213)
Forse era questo, pensavo. Forse stavo diventando troppo vecchio per quel genere di seigiorni che stavo facendo, fratelli. Ormai avevo diciotto anni compiuti. […]
Quindi a diciotto anni non si era poi così gio­vani. Ma che dovevo fare? (p.216)
Sapevo quello chemi accadeva, O fratelli miei. Io stavo tipo maturando. (p.217)
Ma ora che sto finendo questa storia, fratelli, non so­no giovane, non più, oh no. Alex tipo maturando sta, oh sì.
Ma dove pistono adesso, O fratelli miei, solo soli­cello, voi non ci potete venire. Il domani è tutto tipo fiori profumati e la lezzosa terra continuerà a girare con le stelle e con la vecchia Luna lassù e col vostro vecchio soma Alex tutto solicello che si cerca tipo una compagna. E tutta quella sguana. Un terribile mondo lezzoso e buggarone per davvero, O fratelli miei. E così adieu dal vostro piccolo soma. E a tutti gli altri personaggi di questa storia profondi sguerzi di musica labiale prrrrrr. E possono baciarmi le bacche. Ma voi, O fratelli miei, ricordatevi qualche volta di me che fui il piccolo Alex vostro. Amen. E tutta quella sguana. (p.218)

APPENDICE p.219

LETTERA DI ANTHONY BURGESS AL  «LOS ANGELES TIMES»
21 Febbraio 1972, da Postif n.139 p.221

INTERVISTA A STANLEY KUBRICK di Michel Ciment

La traduzione, come già avvenuto per i libri di Louis-Ferdinand Céline editi dalla Einaudi, utilizza un linguaggio troppo regionalistico, del nord Italia. Buggarone, patte (scarpe); rozzi (poliziotti); granfia (mano); trucca (roba); malcichi (ragazzi); truglio (bocca); gaioffe (tasche) valgano d’esempio… Poteva essere aggiunto un dizionario ad hoc a fine libro…