GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO – L’ARTE DI AMARE LA VITA
ACQUAVIVA – APRILE 2004
UN POLLO, QUASI UNA CORNACCHIA
Cammino.
Vengo. Vado.
Come un perfetto pollo metropolitano.
Non lascio tracce.
Non pago le tasse.
Me ne fotto del governo.
Di qualunque colore stracazzuto esso sia.
Non so riconoscere i volponi bastardi dalla brava gente.
Così faccio tutto a modo mio
e non mi faccio mai
neanche minimamente
potare a spasso da nessuno.
Sono un pollo, ma di quelli all’antica.
Ogni tanto provo a volare.
La maggior parte delle volte non ci riesco.
Ma qualche volta mi stacco da terra mica male.
Allora sembro una cornacchia.
Di quelle stupide,
grosse,
con la faccia contadina,
quasi cafona.
Ma volo. (p. 21)
ESULI
Il bosco di case del mio quartiere,
senza un albero,
senza una palma in riva al mare,
senza nemmeno una nuvola in cielo.
Solo i cani per i marciapiedi
colorano la nebbia di una pesantezza
che ucciderebbe anche la luna,
se solo volasse un po’ più bassa.
Tutte le anime
e tutti i cuori
portano scritto sui loro berretti:
ESULI IN TERRA STRANIERA.
Io davvero vorrei cambiare nave
con tutto me stesso.
Ma è terribile:
oggi non c’è nemmeno un alito di vento.
Non riuscirei ad andare da nessuna parte comunque.
E allora me ne vado sul mio palazzo.
Al quarto piano.
A covare almeno un panino di bene comune
nel forno sempre accesso del mio destino straripato. (p. 25)
UN MONACO ZEN STRETTAMENTE IN INCOGNITO
Non ho davvero fatto niente
per tutto il giorno.
Forse sono un monaco zen illuminato
e non lo so nemmeno io.
Dopo cena mi sdraio sul letto
e chiudo gli occhi.
Ma chi cazzo sono veramente io?
Sorrido a intuire chi:
un poeta miserabile
che si gode la vita
senza nemmeno un soldo in tasca. (p. 28)
LA FORMA DEL NIENTE
Siamo sempre invisibili agli altri
nella nostra verità
come aria trasparente,
come venti mattutini.
Eppure siamo grossi come montagne
davanti a loro
con i nostri problemi,
le nostre paure
le nostre aspettative.
Preferiscono vedere tutt’altro
perfino il niente
piuttosto che la nostra infinita
miserabile umanità. (p. 31)
IN ALTO MARE
Nella mia testa
tempeste di risentimento,
nel mio cuore
ghiaccio di rimpianti,
sulle mie mani
nebbie di sordi rancori. […]
La mia barba s’imbianca,
parlo a vanvera con tutti,
i miei libri se ne vanno all’estero
solo per affondare per mare
appena fuori il porto. (p. 39)
SENZA CAPIRE NIENTE
Senza capire niente
diventiamo tutti gli ostacoli insormontabili
gli uni agli altri.
Siamo come barche
che cercano la collisione anche con il mare,
siamo come nuvole
che vogliono mettersi a combattere
anche con il vento.
Siamo così stupidi
che arriviamo perfino a crederci
gli esseri più intelligenti dell’universo. (p. 44)
IL MATTO POETA IN GROPPA AL SUO ASINO SPELACCHIATO
[…]
Senza mai nessuno che l’aiuti,
senza mai nessuno che lo saluti nemmeno.
Lui semplicemente non vede nessun pericolo.
E lento e calmo
se ne va verso il suo destino di solitudine,
che è pure il destino di tutti,
ma lui almeno non s’affanna
e qualche volta
gli capita pure di sorridere. (pp. 56-57-58)
LA FORZA DELLA PRIMAVERA
Io abito in un quartiere malandato,
estrema periferia,
palazzi malmessi e anonimo,
delinquenza, spaccio,
accattonaggio.
Qui anch’io trovo il mio alloggia.
Ma non mi sento per nulla
un uccello in gabbia.
La primavera ha forza
di arrivare anche qui
e il mio cuore è contento. (p. 71)
IL MIO MAESTRO
[…]
Io allora penso che tutti gli affari
di questa nostra forsennata epoca capitalista
non siano altro che una furiosa pazzia
di una massa ssterminata di fantasmi infelici
che si son messi tutt’insieme contemporaneamente
a credere in un dio freddo e indifferente:
il denaro.
Mentre ogni uomo intanto si scorda perfino
di cercare un po’ di pace e di tranquillità
anche solo per se stesso. (p. 128)
PIOGGIA DI PRIMAVERA IMPROVVISA
Sogni di cielo
e di fiumi rotti.
Io guardo fuori della mia finestra.
Me ne sto al buio
e penso all’infinito lento della vita.
A galoppo sfrenato se ne arrivo di botto
una pioggia improvvisa primaverile.
Il grande tempio della terra si allaga tutto in un baleno.
Io sento coem se ogni goccia che cade
mi consoli dela mia grande tristezza. (p. 140)
LE AUTO ORMAI GOVERNANO LA CITTÀ
Le auto ormai governano la città.
Giallastri animali ferrosi senza cervello
e senza anima
si sbattono giù per tutte le nostre strade.
La nostra vita completamente inquinata
da montagne di ferraglia gironzolante.
Una volta, per un forte temporale,
un grosso platano s’è schiantato
sulla circonvallazione,
schiacciando come cartocci
sotto la sua enorme mole
sei o sette atuo.
A me è sembrata una vendetta della natura. (p. 144)
LA LINGUA DELL’IMMAGINE
[…]
Perché il mondo parla con la lingua dell’immagine
e così come te ne vai vestito
così sarai trattato,
anche se non dirai mai nessuna parola
né di bene né di male. (p. 148)
COME UN PAZZO RAGAZZO LUSSURIOSO
[…]
Le cose più importanti per gli uomini
non son mai le stesse
nelle varie stagioni che si susseguono.
Ma il loro sbattersi sempre indaffarati
credo proprio che non cambi mai. […]
Ora e allora e sempre
a giocare come bambini
con pupazzetti di vetro
che s’infrangono senza pietà
al più debole urto. […]
Quando l’uomo zelantemente si scorda
di amare la vita
il suo grande sforzo si rivolge
solamente a rendere mostruosamente senza fine
i suoi stupidi errori. (pp. 149-150)
LA CITTÀ BIANCA
L’uomo è solo,
così completamente solo,
che si costruisce la sua gabbia ovunque. (p. 162)