YUKIO MISHIMA – LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI E ALTRI SCRITTI

YUKIO MISHIMA – LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI E ALTRI SCRITTI
YUKIO MISHIMA – LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI E ALTRI SCRITTI

YUKIO MISHIMA – LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI E ALTRI SCRITTI
FELTRINELLI – Collana UNIVERSALE ECONOMICA FELTRINELLI n. 1120 – 2004

TRADUZIONE: LYDIA ORIGLIA

LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI p. 5

LA VITA p. 7

Generalmente s’inizia a dedicarsi all’arte dopo aver vissuto. Ho l’impressione che a me sia accaduto il contrarlo, che io mi sia dedicato alla vita dopo avere iniziato la mia attività artistica. Di norma comunque ci si dedica prima alla vita per poi volgersi all’arte. […]
E dunque una contesa, una lotta tra l’arte e la vita. Ci culliamo nell’illusione di poter apprendere cosa sia la vita dagli scrittori, che invece, il più delle volte, vegetano fiaccamente, mentre ben più numerosi sono gli uomini che conducono esistenze ricche ed intense. Ma è probabile che solo uno su cento tra loro proverà il desiderio di scrivere la propria biografia. D’altronde anche per scrivere sono necessari talento, tecnica e un lungo esercizio, come per ogni disciplina sportiva. E non si può godere la vita e contemporaneamente esercitarsi in una disciplina, come non e possibile scrivere mentre si vive un’av ventura. (pp. 7-8)
La fantasia è il più delle volte Suscitata dall’insoddisfazione o dal tedio. Quando ci concentriamo nell’azione affrontando un pericolo, quando riversiamo tutte le nostre energie nel vivere, non rimane quasi spazio per la fantasia. (p. 8)
Pochi sono coloro che si considerano soddisfatti. L’insoddisfazione è comune anche a ogni rivoluzione, sia pur coronata da successo. Ed è da questa insoddisfazione che trae origine l’arte. (p. 9)

SULL’ARTE p. 9

La vita umana è strutturata in modo tale che soltanto guardando in faccia la morte possiamo comprendere la nostra autentica forza e il grado del nostro attaccamento alla vita. Nello stesso modo in cui per saggiare la durezza di un diamante è necessario sfregarlo contro un rubino o uno zaffiro sintetico, per provare la resistenza della vita è inevitabile scontrarsi con la durezza della morte. (pp. 10-11)

Ma noi viviamo in un’epoca di esistenze assolutamente fiacche ed ambigue. Raramente incontriamo la morte, la medicina ha compiuto enormi progressi ed i giovani non temono più né la tisi, che decimava gli organismi più deboli, né l’arruolamento, che intimoriva i ventenni delle epoche trascorse. In mancanza di pericoli mortali, l’unico modo in cui i giovani riescono ad assaporare la sensazione di essere vivi è la ricerca forsennata del sesso, oppure la partecipazione a movimenti politici, motivata semplicemente dal desiderio di esercitare la violenza. Nasce così un’impazienza in cui persino l’arte finisce con il perdere ogni significato. Infatti l’arte è qualcosa da godere quietamente seduti accanto ad un caminetto. E assolutamente impossibile apprezzare un bel dipinto, una musica rasserenante, un romanzo ben scritto se non si dispone di tempo da trascorrere in solitudine. (p. 11)
Si manifestano dunque rispetto all’arte due esigenze contrastanti, che riguardano anche la vita. I periodi di pace e di tedio danno origine, in un certo senso, ad un’arte più matura, ma così sorge una contraddizione poiché quell’arte non possiede il fascino sufficiente per attrarre gli animi incapaci di tollerare le inquietudini di una simile vita. (p. 12)

LA POLITICA p. 12

La medesima contraddizione riscontrabile nell’arte si manifesta nei problemi della stessa esistenza dell’uomo. Nelle epoche e nelle forme di società in cui è impossibile agire liberamente e scoprire la forza, la durezza e lo splendore della propria vita attraverso il confronto diretto con la morte – ossia, per usare parole più esplicite, nei periodi in cui la società non ribolle di guerre, di esplorazioni e di avventure – con il prolungarsi di una situazione così stagnante, gli istinti che dovrebbero rivolgersi all’arte, insoddisfatti di ciò che essa può offrire, ne varcano immediatamente i limiti esprimendosi, com’è naturale, in violenta azione politica. (p. 12)

[…]si incomincia allora a detestare ogni ordine stabilito e ad amare le squallide rovine.
Si presenta quindi il problema dell’arte e della politica. […]
In realtà la figura di uomo politico ligio al mantenimento dell’ordine è degenerata nel simbolo di un tedioso e grigio conformismo, assolutamente privo di alcuna attrattiva. D’altra parte la passione rivoluzionaria ha dato inizio a un’azione violenta in un anarchismo caotico, non più supportato dalla necessaria presenza di atroci contraddizioni sociali o di un’effettiva miseria. (p. 13)
L’arte, dunque, appartiene a un sistema che risulta sempre innocente, mentre l’azione politica ha come suo principio fondamentale la responsabilità. (p. 14)
La situazione politica moderna ha introdotto nella sua sfera d’azione l’irresponsabilità dell’arte, riducendo la vita a un concetto assolutamente fittizio, ha trasformato la società in un teatro, il popolo in una massa di spettatori televisivi, e in definitiva ha prodotto la politicizzazione dell’arte: ormai l’azione politica non assurge più all’antico rigore della concretezza e della responsabilità. (pp. 14-15)

I CORAGGIOSI p. 15

La parola samurai evoca immediatamente, per associazione d’idee, il termine « coraggio ». Ma che cos’è il coraggio? E chi sono i coraggiosi? (p. 16)
Quando la pace dura da troppo tempo si finisce per rimuovere i ricordi della guerra, per scordare come debba comportarsi un uomo nelle situazioni di pericolo. (p. 17)
Nella nostra epoca, infatti, sono le donne a dominare, ed esse tendono a preservare la società da ogni pericolo.
Cercare di rimuovere persino l’idea del pericolo è una caratteristica fondamentale della mentalità femminile: la donna ha l’assoluta necessità di avere un nido tranquillo, nel quale poter amare, sposarsi, generare dei figli ed allevarli. Il desiderio di vivere in pace è un bisogno primario nella vita delle donne, ed esse sono disposte a qualsiasi sacrificio pur di soddisfano.
Ma questo non è uno stile di vita che si addica a un uomo. (pp. 17-18)
Nel Giappone moderno non esiste dunque alcuna possibilità di dimostrarsi realmente coraggiosi, né esiste per un codardo il timore di essere scoperto come tale. In ultima analisi il valore di un uomo si rivela nell’istante in cui la vita si confronta con la morte, ma noi viviamo in modo tale che nulla ci costringe a testimoniare la nostra risolutezza nell’affrontare la morte. E facile dichiarare che si è pronti a morire, ad offrire la propria vita, ma non altrettanto facile è dimostrare che quanto si afferma risponde al vero. (p. 18)
Quando la ragione di vita di un uomo consiste nella pace, allora non gli rimane altro che adeguarsi alla donna, assumendo una posizione subalterna nei suoi confronti. Se invece è il pericolo la sua meta ideale, egli ha la necessità di tendere strenuamente e incessantemente il proprio corpo e la propria vita come un arco. (p. 19)

SUL CORPO p. 22

Tuttavia la diversità della Francia rispetto al Giappone, o meglio dell’Europa rispetto al Giappone, consiste nel considerare il corpo umano come la metafora di un qualcosa che trascende il fisico. […]
Per i giapponesi la bellezza traspariva dalle fattezze di un volto, da uno stato d’animo, dall’eleganza dell’abbigliamento: era una bellezza spirituale[…]. (p. 23)

Più si affermerà la televisione, più le immagini umane verranno trasmesse e assimilate in modo fulmineo e più il valore di un individuo sarà determinato esclusivamente dal suo aspetto. Sarà la logica conclusione del culto del corpo che trionfa, ad esempio, in America: tutte le società finiranno con il determinare il valore di un essere umano dal suo aspetto, diverranno ineluttabilmente società materialiste. Per quanto mi riguarda considero un simile culto del corpo un’aberrazione delle teorie di Platone.
Colui che possiede un fisico attraente non è necessamente dotato anche di valori spirituali. (p. 25)
do per il suo spirito.
Attualmente ci troviamo in un punto equidistante tra due stereotipi estremi di due diverse civiltà. Mentre nel nostro animo dimorano ancora tracce dello spiritualismo giapponese che disprezza il corpo, si sta d’altra parte diffondendo l’edonismo materialistico importato dall’America. Si è incessantemente lacerati, non sapendo quale stereotipo scegliere. Pur essendo un maschio, mi sembra del tutto naturale supporre che un corpo perfetto con tribuisca ad elevare lo spirito e che, nel medesimo tempo, si debba nobilitare il corpo perfezionando lo spirito. (p. 26)

SUL MANTENERE LA PAROLA DATA p. 26

Non si può non stupirsi notando quanto i giovani
moderni siano incuranti della puntualità. Ed è sbalorditivo osservare con quale frequenza non mantengano le
Appuntamenti e promesse non hanno in sé un particolare significato. Incontrarsi alle tre e mezzo piuttosto che alle tre, come si era deciso, non provocherà alcuno sconvolgimento del Giappone. È questo un atto tipico della mentalità di uno studente, che non ha ancora coscienza di essere un ingranaggio della società. Eppure quello stesso studente, una volta immesso nel processo produttivo, si accorgerà dell’importanza della sua funzione nella società e tenderà anzi a valutarla in
modo eccessivo. E così che nascono i prototipi dei burorati, di coloro che pur svolgendo un lavoro mediocre e subalterno trattano gli altri con smisurata arroganza. Di solito sono proprio i giovani che da studenti non rispettavano gli impegni presi a trasformarsi in uomini tronfi della loro funzione di semplici ingranaggi della società. (pp. 26-27)
Quando si è in gara per raggiungere un obiettivo è sempre il tempo a determinare la vittoria o la sconfitta. (p. 27)
In ogni contratto è implicita una latente diffidenza verso l’essere umano, si presuppone la malizia e la colpevolezza di ogni uomo. La finalità reale di ogni contratto è d’impedire, grazie a determinate clausole, la possibilità e nociva da parte dell’avversario, e nello stesso tempo di tollerare ogni altro comportamento ugualmente pericoloso e disumano, purché non violi la validità del contratto. […]
Il tempo, in sé, è privo di ogni significato, una promessa può essere qualcosa di vago, fino all’istante in cui entra in gioco il concetto di lealtà. (p. 28)
Una promessa e sempre un impegno e ha la medesi ma importanza a chiunque venga rivolta. L’unica cosa che conta è la buona fede di chi la pronuncia. (p. 29)

SUL PIACERE p. 30

Nella società moderna una delle condizioni essenziali del piacere è la presenza del denaro.
Probabilmente lavoriamo, c’impegniamo, cerchiamo di conquistare il successo per l’inconscio desiderio di coniugare il sesso al piacere. (pp. 30-31)
Probabilmente, nella sfera del sesso, la passione equivale all’esatto contrario del piacere. E forse è per questo che nei giovani il desiderio sessuale, giunto al suo apice, si trasforma in passione, mentre negli adulti diviene piacere. (pp. 31-32)

SUL PUDORE p. 33

Purtroppo mi accorgo. dolorosamente che dal dopoguerra è scomparso in Giappone non solo il pudore femminile ma persino quello maschile. (p. 34)
Tuttavia questa forma di pudore è strettamente associata alla virilità. Un elemento indispensabile dell’amore romantico era che l’uomo e la donna mantenessero rigorosamente le distanze, e che, sebbene profondamente innamorati, non rivelassero apertamente i loro sentimenti.
Tale comportamento esercitava una notevole influenza sull’intera gamma dei sentimenti: nei tempi antichi si riteneva che mostrare un’ostentata insofferenza fosse la massima espressione dell’amore. (p. 35)
I rapporti tra l’uomo e la donna, a causa dell’influenza americana, sono diventati artificiosamente paritari, e si manifestano in una reciproca e assolutamente disinibita espressione dei propri sentimenti amorosi. (pp. 35-36)
Abitudini di stile americano si sono ovunque diffuse.
E abbiamo l’impressione di vivere in un’epoca di vasta libertà e di estesi diritti individuali. La nostra è un’epoca in cui, basandosi sulla libertà di parola, ciascuno si sente autorizzato a sostenere a gran voce le proprie opinioni immature o insulse, dimenticando ogni doveroso riserbo. La gente esprime ormai senza più alcun ritegno le proprie idee, persino sulla politica. (p. 36)

IL GALATEO p. 37

Pùò sembrare che dar la precedenza .a una donna sia una rilevante manifestazione di rispetto, ma in realtà si tratta di ben altro ed io mi stupisco che nessuna donna si sia mai indignata per una simile norma, in cui si manifesta una forma di protezione per il più debole. (p. 38)

L’ABBIGLIAMENTO p. 40

IL RISPETTO PER GLI ANZIANI p. 44

Ho l’impressione che il concetto di rispetto per gli anziani abbia efficacia soprattutto quando la differenza d’età è minima.[…]
Ora i vecchi non si limitano a chiedere rispetto, hanno appreso il metodo per dominare abilmente i giovani adulandoli e comprimendoli astutamente. A loro volta i giovani, intuita questa tattica, hanno imparato a mostrare deferenza verso gli anziani per semplici motivi di convenienza sociale e d’interesse personale. (p. 45)

GLI EFFEMINATI INTELLETTUALI p. 47

La letteratura è la professione ideale per chi desideri rifugiarsi in una zona sicura, come un granchio si occulta nella sua tana. La letteratura si fonda infatti sulla premessa che il suo mondo non abbia alcun rapporto con la realtà, e così può sfuggire ad ogni criterio di valutazione. I veri intellettuali sono coloro che non hanno altri interessi o impegni all’infuori della letteratura, che pongono deale di vita un’immortalità ed una dissolutezza ammissibili soltanto in un’opera letteraria.
Avverto costantemente il pericolo che la letteratura annienti la morale. E ho più volte analizzato i tranelli in cui cadono inconsciamente coloro che tentano di trovare un’etica ed un obiettivo di vita nella letteratura. Conosco dunque molto bene la pericolosità del fascino che essa esercita sui giovani.
Chi infatti cerca un obiettivo di vita nella letteratura è in qualche modo insoddisfatto dell’esistenza reale. Ma invece di risolvere concretamente la sua insoddisfazione nell’ambito della realtà, anela ad un mondo diverso, con la speranza di poter risolvere in esso i propri problemi, e tenta di scoprire nella letteratura un obiettivo di vita o una morale. (p. 48)

Essa incita l’uomo ad una spiritualità più alta, è molto abilmente costruita alfine di illudere l’essere
umano, dandogli l’impressione di elevarlo, anche se di poco, dal livello della morale comune, e di rischiarare, anche se con una debole luce, la sua vita. Naturalmente simili romanzieri agiscono con astuzia. […]
La vera letteratura è totalmente diversa. Ciò da cui desidero mettere in guardia i giovani intellettuali è il pericolo insito nell’autentica letteratura. Essa ci mostra con durezza, senza alcun eufemismo, quale orribile destino gravi sull’essere umano. (p. 49)
[…]la vita umana non ha alcun significato e che nell’uomo si cela una malvagità che non sarà mai redenta. […]
Da un tale miraggio scaturiscono vari sentimenti. Si comprende la propria impotenza – si è solo degli intellettuali privi di forza, non si può cambiare la propria vita né attuare alcuna rivoluzione – e però si ritiene che la posizione raggiunta consenta di prendersi gioco di tutti. È una conquista ottenuta grazie alla letteratura: e sebbene si abbia coscienza della propria inferiorità fisica, del disprezzo degli altri, dell’assenza di principi morali e della mancanza di’qualche particolare talento, si è ormai preda della strana presunzione di avere il diritto di derire il mondo intero. Si considera quindi ogni cosa con cinismo, si deride ogni impegno, si scoprono grotteschi difetti in chi dedica a qualche ideale tutte le proprie energie, si dileggiala sincerità e la passione, e ci si attribuisce il privilegio di disprezzare tutto ciò che è bello e superiore, le azioni pure ed impetuose che sono una sorta di cristallizzazione dello spirito umano. (p. 50)

Ed è su questo che si fonda il mio biasimo per i giovani intellettuali. Soltanto in anni recenti ho capito che basta praticare il kendò e brandire una spada di bambù per evadere, anche se per brevi istanti, dal pantano del nichilismo. (p. 51)

L’IMPEGNO p. 51

In un certo senso il carattere democratico della società giapponese si rivela nell’assoluta mancanza di dubbi sul valore dell’impegno. Esso infatti è tipicamente antiaristocratico. […]
Ritengo necessario distinguere il piacere dall’impegno. A volte l’essere umano trova più penoso divertirsi che impegnarsi. Chi è nato povero e ha trascorso una vita faticando, liberato infine dall’obbligo di lavorare, si ritrova smarrito, come un posseduto abbandonato dallo spirito che lo tormentava. Chi per decenni si è dedicato (p. 52)
La nostra società fa vivere quotidianamente un dramma così crudele ad una moltitudine di esseri umani. Costoro fingono di divertirsi dedicando il resto della loro vita al giardinaggio o ad altre occupazioni, ma in realtà agiscono così perché non sanno come affrontare il vuoto di un’esistenza priva ormai d’impegni, e preferiscono vivere fino all’ora estrema accumulando altre inutili fatiche.
Ma il tormento maggiore non è lavorare. La tortura più dolorosa ed innaturale è quella subita da chi, pur avendo talento, è costretto a non usarlo o a usarlo in misura inferiore a quanto potrebbe. L’essere umano ha una natura bizzarra: si sente vitale soltanto quando può esprimere al massimo le proprie possibilità. (p. 53)
In generale, dunque, i tempi: imposti dalla società
esigono che le persone in: grado di, correre procedano
con lentezza e che, viceversa,, chi ha difficoltà ad: avanza-
re velocemente sia costretto a: correre:
E forse questa la principale causa delle contraddizioni, in cui si dibatte la società giapponese. Si sta accumulando l’energia repressa di chi potrebbe correre a lungo senza stancarsi, vale a dire giovani che sono invece disprezzati proprio a causa della loro età. (p. 54)

L’ASSOCIAZIONE DEGLI SCUDI p. 57

L’Associazione degli Scudi da me formata è composta da meno di cento membri, non dispone di armi ed è il più piccolo esercito del mondo. Pur accogliendo nuove reclute ogni anno, ho deciso che essa non possa superare i cento affiliati, e non potrò quindi comandare più di cento uomini.
Non viene data alcuna paga. Soltanto una divisa estiva e una invernale, berretti, stivali e un’uniforme da combattimento. […]
La bandiera della nostra Associazione è semplice: uno stemma rosso su seta bianca. Ho disegnato personalmente il nostro emblema: un icerchiocche chiude due antichi elmi giapponesi. Esso compare anche sui berretti e sui bottoni. Per diventare membri dell’Associazione degli Scudi è auspicabile essere studenti universitari. Per un’ovvia ragione: si è giovani e si ha tempo a disposizione. Chi lavora non può arbitrariamente concedersi lunghi periodi di vacanza. Per essere ammessi nell’Associazione è inoltre richiesto un mese di esercitazioni militari in un reggimento di fanteria dell’Esercito di difesa, coronato da un esame che deve essere superato con successo. (p. 59)
L’Associazione degli Scudi è un esercito pronto a intervenire in qualsiasi momento. È impossibile prevedere quando entrerà in azione. Forse mai. O forse domani stesso.
Fino ad allora l’Associazione degli Scudi non compirà alcuna impresa. Non parteciperà neppure alle dimostrazioni di piazza. Non distribuirà volantini. Non getterà bottiglie Molotov. Non scaglierà sassi. Non dimostrerà contro nulla e nessuno. Non organizzerà comizi. Parteciperà soltanto allo scontro decisivo.
E questo l’esercito spirituale più piccolo del mondo, composto da giovani che non posseggono armi bensì muscoli ben temprati. La gente ci insulta chiamandoci «soldatini di piombo». (p. 60)
I fondi di cui disponiamo provengono interamente dai miei diritti d’autore. E questa la ragione economica per cui non posso permettere che gli associati siano più di cento. […]
Sono nauseato dall’ipocrisia del Giappone del dopoguerra. Non penso che il pacifismo sia un’ipocrisia, ma sono convinto che a causa dell’abuso fatto dagli esponenti di sinistra e di destra della nostra pacifica Costituzione, usata come un pretesto politico, non esista al mondo un paese in cui, più del Giappone, il pacifismo sia divenuto sinonimo di ipocrisia. (p. 61)
Nel mio animo si celava già da tempo la convinzione che, come ritenevano i samurai, giustificare se stessi sia un atto di viltà. (p. 62)
Difendere là propria opinione con opinioni rappresenta una contraddizione di metodo, io sono uno di coloro che credono di dover difendere il proprio pensiero con il corpo e con le arti marziali. (p. 63)
Dalle mie esperienze dedussi che in un mese di addestramento giovani ignari di ogni disciplina militare sarebbero stati in grado di guidare piccoli drappelli d’uomini, e con l’aiuto di esperti studiai e perfezionai in sei mesi un razionale piano di esercitazioni. (p. 64)
In seguito, nell’autunno del 1968, battezzai il nostro gruppo Associazione degli Scudi. In Europa un fenomeno del genere sarebbe impensabile, mentre in Giappone, a parte i congedati dall’Esercito di difesa, non esistono giovani civili che abbiano ricevuto un addestramento militare, neppure di un mese, ad eccezione degli iscritti all’Associazione degli Scudi. E dunque, pur essendo solo cento, la loro importanza militare è relativamente alta. In caso di necessità ognuno di loro potrebbe porsi alla testa di cinquanta uomini, e occuparsi di servizi ausiliari, di sorveglianza, d’incursioni, di attività d’informazione.
Ma io mi sono impegnato in tutto questo al fine di riaccendere la fiamma dello spirito dei guerrieri che nel Giappone moderno si sta estinguendo. (p. 65)

INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELL’AZIONE p. 67

CAPITOLO PRIMO – CHE COS’È L’AZIONE p. 69

Per un intellettuale questa logica insita nell’azione è temibile. Infatti, se non si ha l’accortezza di tenersene lontani, si rischia di essere travolti da qualcosa che, iniziata la corsa, non è più possibile fermare. […]
In molti casi l’azione può concludersi senza aver conseguito il suo scopo, ma è comunque sempre
costretta a conformarsi alla legge ed alla logica che la obbligano a dirigersi in linea retta verso l’obiettivo. (p. 70)
[…]e quando un’arma viene usata per uno scopo diverso da quello per cui è stata forgiata, perde istintivamente la sua forza.[…]
L’azione non coincide sempre con l’uso delle armi. Ma fin dai tempi antichi «azione» è sinonimo di «attività bellica» e il suo principio è l’identità tra l’uomo e la sua arma, nel loro procedere in linea retta verso un obiettivo definito. Infatti è impensabile che esista un’azione quando manca un obiettivo, ed è inconcepibile che l’azione fisica di un uomo sia centrata su qualcosa di diverso dalla lotta. […]
Non potendo esistere un’azione senza uno scopo, coloro che vivono senza tendere ad alcun obiettivo, schiavi delle circostanze, detestano e temono la parola «azione». Quando un pensiero, o una teoria, incomincia a strutturarsi intorno ad un obiettivo, esso finisce naturalmente per concludersi in un’azione. Ma non tutte le azioni sono pericolose e temibili. (p. 71)
Caratteristica dell’azione è il minimo dispendio di tempo che essa richiede. […]
L’azione è rapida, mentre il lavoro intellettuale ed artistico impone tempi estremamente lunghi. Anche la vita esige una lunga pazienza, mentre la morte può consumarsi in un istante; a quale delle due gli esseri umani attribuiscono la maggiore importanza? (p. 72)
Si tende a onorare chi ha dedicato una lunga vita ad un unico impegno, e questo è giusto, ma chi brucia tutta la sua esistenza in un fuoco d’artificio che dura un istante testimonia con maggior precisione e purezza i valori autentici della vita umana. (p. 73)

CAPITOLO SECONDO – L’AZIONE MILITARE p. 73

Che s’intende dunque per azione militare? Semplicemente agire in modo organizzato in direzione di un determinato obiettivo bellico. (p. 73)
In un’azione militare è indispensabile un perfetto sistema di comando, una relazione verticale tra gli ufficiali che impartiscono gli ordini e i soldati che li ricevono.[…]
Tutto si tramuta in un imperativo, e chi ha ricevuto un ordine deve eseguirlo fedelmente. Eseguire gli ordini ricevuti è dunque il principio fondamentale dell’esercito e dell’arte militare. (p. 74)
Anche la persona intellettualmente più dotata, quando ad esempio partecipa ad una dimostrazione, non si sente più individuo, ma una parte della massa, che la trascina come in un vortice. E dunque necessario che vi sia un centro che diriga i movimenti in quella massa. (pp. 74-75)
Chi, partendo dall’idea dell’azione, si assume il compito di guidare, d’impartire ordini ed istruzioni, finisce per perdere ogni possibilità di azione fisica diretta. È una strana equazione. (p. 75)
Diversa è la situazione per i guerriglieri. Ognuno di essi è un combattente completo, perfettamente addestrato, dotato di capacità fisiche, rapidità d’azione, facoltà intellettive, conoscenza delle lingue, dei metodi di comunicazione, di elettronica, di pilotaggio, di esplosivi e di ogni aspetto delle tecniche militari. Si potrebbe credere che il campo d’azione di un simile uomo sia illimitato, ed invece egli è severamente controllato dalla totalità dell’organizzazione: più un combattente acquisisce la capacità di agire in tutti i campi e più l’organizzazione esige da lui un’ubbidienza disumana. Questa contraddizione tra la struttura militare e il singolo combattente è dunque costante e inevitabile, ma noi tenteremo di isolare la bellezza delle azioni singole per scoprire il fascino dell’azione umana in generale. Quanto agli obesi, esausti capi, la loro disumana tecnica serve soltanto a favorire, per contrasto, la sacralizzazione e la venerazione dei giovani eroi morti. (p. 76)

CAPITOLO TERZO – LA PSICOLOGIA DELL’AZIONE p. 76

L’azione è solitamente compiuta con una rapidità che non concede spazio al pensiero. L’attività mentale è possibile soltanto prima e dopo l’azione. Tuttavia è connaturato all’uomo pensare al futuro e meditare sul passato, essendo stimolato dalla fantasia, tormentoso talento estraneo agli animali. (p. 76)

La fantasia mina dunque l’azione, riduce il coraggio, suscita esitazioni, e nello stesso tempo è proprio la fantasia a generare tensione e ad incitare l’essere umano all’azione e all’avventura. […]
Quando stiamo per misurarci con una nuova esperienza, tentiamo di prefigurarcela in tutti i particolari già alcune ore prima. La fantasia ci dipinge in modo vivido soprattutto gli aspetti sinistri ed angoscianti dell’azione che affronteremo. (p. 77)

Nella psicologia dell’azione – come io la concepisco – la forza positiva bilancia la forza negativa. La mente non è essenziale né necessaria all’azione. E tuttavia essa agisce, aggredendoci, e le angosce che essa suscita divengono la forza motrice dell’azione. (p. 78)

CAPITOLO QUARTO – I MODELLI DELL’AZIONE p. 79

L’azione può essere, a grandi linee, offensiva o difensiva. Come nell’agonismo a squadre esiste lo schieramento d’attacco e quello di difesa, così nell’azione bellica, almeno secondo l’antica strategia, esistono l’assalto alla postazione nemica e la difesa della propria. In genere assalire è facile, difendersi è arduo. (p. 79)
Viviamo in una società angusta, tentando di non entrare in conflitto tra noi, di armonizzare i nostri egoistici interessi per vivere piacevolmente. E tuttavia nel nostro animo vive una segreta insofferenza per questo tipo di morale, soprattutto nei periodi in cui la pace dura da lungo tempo a causa di un governo democratico. Il popolo soffre per un inappagato desiderio di azione e di lotta, ed è tormentato dalle contraddizioni tra questo desiderio segreto e la morale quotidiana. (pp. 80-81)

CAPITOLO QUINTO – L’EFFETTO DELL’AZIONE p. 82

Se la forza individuale di chi guida si disperde, svanisce anche l’energia della massa. (p. 85)
L’azione pura, i movimenti che si ispirano alla giustizia, devono dunque fondarsi su principi radicalmente opposti a quelli della politica. (p. 87)

CAPITOLO SESTO – L’AZIONE E L’ATTESA DEL MOMENTO PROPIZIO p. 87

Chi ha avuto una qualche esperienza d’azione sa che essa non è, come immaginano molti, un susseguirsi incessante di emozioni. (p. 87)
Il tempo della lunga attesa dell’occasione propizia non concorda con le parole. Chi attende il momento opportuno per agire concentrandosi unicamente nelle parole e nei pensieri fallisce immancabilmente. […]
Mentre agiamo riusciamo ad essere coraggiosi, durante un’attesa passiva è invece difficile non lasciarsi invadere dall’insicurezza. (p. 90)

CAPITOLO SETTIMO – PROGETTARE L’AZIONE p. 91

Tuttavia le azioni importanti ed efficaci esigono piani meticolosi. […]
Un piano non può dunque regolare un’azione al cento per cento, né assicurarne il completo successo: in essa esiste sempre un margine di imponderabilità.
Gli esseri umani sguono dei modelli d’azione, hanno precise abitudini. E compito delle strutture d’informazione raccogliere dati sui modelli di comportamento degli avversari. (p. 91)
Non ho esperienza di combattimenti, tuttavia immagino che non si possa superare una simile prova con un ragionamento logico, ma soltanto con la forza spirituale, e che non basti, come sembrano credere gli americani, la presenza di un capitano armato di pistola. Il significato spirituale del brandire la spada al momento dell’attacco, tipico degli ufficiali giapponesi, era di testimoniare che soltanto l’irrazionale forza dello spirito può superare i limiti dei calcoli logici e dei piani di battaglia. L’essenza dell’azione è infrangere con energie irrazionali il limite a cui è approdata la razionalità. (p. 92)
I progetti, come la mente umana, presentano dei punti di debolezza. La sfida ad essi è il punto di congiunzione tra l’azione ed il piano, ed è anche ciò che più affascina. (p. 93)
CAPITOLO OTTAVO – LA BELLEZZA DELL’AZIONE p. 93

Inoltre, anche quando è impegnato in un’azione collettiva, l’individuo affronta una situazione di assoluta solitudine, e deve trovare soltanto in se stesso la forza per superare l’angoscia ed il terrore: la bellezza dell’azione che si rivela in quell’istante è ineluttabilmente legata alla solitudine. E dunque evidente che la bellezza dell’azione consiste in solitudine, tensione, tragicità, in una pura decisione individuale, in cui nessun altro essere umano può entrare. L’azione non può creare bellezza quando è turbata da un intervento estraneo, dall’irresponsabilità da evasivi compromessi. (p. 95)

CAPITOLO NONO – L’AZIONE E IL GRUPPO p. 97

Viviamo in una società massificata in cui sembra molto più efficace agire in gruppo che isolati. Meglio dieci che uno, meglio cento che dieci, meglio mille che cento: è questa la regola ferrea della società di massa. La forza è sempre calcolata numericamente, e si crede che anche l’energia bellica dipenda soltanto dai numeri. Invece più il numero aumenta e più il voltaggio diminuisce, più il numero decresce più il voltaggio sale: ne è un esempio clamoroso il terrorismo. I terroristi appartengono solitamente ad un piccolo gruppo in cui il numero ha scarsa importanza. Indispensabili sono le capacità individuali, una straordinaria forza di volontà, ed un saldo spirito di corpo.[…]
Noi esseri umani differiamo gli uni dagli altri per psiche, carattere, esperienze e ambiente in cui viviamo: quando procediamo uniti dagli stessi ideali, all’apice dell’azione riusciamo a raggiungere una certa coesione, che si disperde immediatamente non appena l’azione ristagna. Inoltre, sebbene siamo codardi quando siamo soli, in gruppo sappiamo mostrarci coraggiosi: un ardimento che tuttavia si affievolisce non appena i compagni ci abbandonano. (p. 97)
Ognuno di noi è estremamente debole quando si trova isolato. Più siamo forti più le nostre facoltà si acuiscono, più dobbiamo lottare con il rischio che le nostre azioni restino completamente isolate: ci vedremmo allora precipitare nella tenebra profonda dell’angoscia di non avere testimoni ed estimatori delle nostre azioni.[…]
Coraggio ed ardimento sono stimolati dalla presenza di un pubblico, e soprattutto per noi giapponesi la consapevolezza di essere osservati è uno stimolo al nostro ardimento. Tuttavia la massa è un’entità ambigua: nulla può garantire che applaudirà alle nostre azioni. E questo uno dei motivi che inducono a formare un gruppo, in cui è possibile scambiarsi la parte di spettatore e di attore. Sovente il senso dell’onore e il coraggio si fondano sulla vergogna nei confronti dei capi, dei compagni e dei seguaci. Più il gruppo s’ingrossa e più si definiscono le parti: alcuni recitano sempre il ruolo di attori, altri quello di spettatori. (p. 98)
Pertanto l’azione di massa è una realtà che presenta molte e delicate sfumature e che, nel momento cruciale, dipende dalla volontà individuale di un capo. (p. 99)
Sono individui simili che guidano le rivoluzioni. Personalità carismatiche, paragonabili al primo nucleo che suscita la fusione nucleare; sono la forza motrice, il cuore della fiamma, e l’incendio che si sprigiona si estende come in una prateria infuocata. È dunque la volontà individuale, e non l’azione di massa, a sconvolgere la storia: in definitiva le sorti di un intero popolo sono decise dalla volontà di un individuo. Castro, Guevara e Mao Zhe-dong erano individui. E necessario avere coscienza che tutte le rivoluzioni sono suscitate e divampano dalla fiamma che si sprigiona nell’animo di un unico essere umano. (pp. 99-100)

CAPITOLO UNDICESIMO – AZIONE E DISTANZA p. 104

Tra due antagonisti esiste sempre una distanza, sia negli scontri individuali che nelle guerre. Assalire significa ridurre tale distanza, esponendosi contemporaneamente al contrattacco nemico. (p. 104)

CAPITOLO DODICESIMO – LA CONCLUSIONE DELL’AZIONE p. 107

In tutto questo tempo in cui mi sono dilungato ad argomentare sull’azione, ho provato un costante senso di inadeguatezza. L’azione infatti non è esprimibile con parole. L’azione in quanto tale non potrà mai essere esaurita da nessun discorso. Espressa con parole l’azione dilegua come fumo, senza lasciare tracce, e ogni tentativo di costruire un discorso logico su di essa appare assurdo e ridicolo agli occhi di un uomo d’azione. (p. 108)
Se per azione s’intende unicamente quella ammessa dalla legge, lo sport è l’unica forma possibile di azione. Ma ogni impresa sportiva, proprio per la sua assoluta gratuità, risulta estranea al misticismo dell’azione, all’autentico enigma dell’essere umano. (p. 109)
Ciò che un tempo trionfava alla luce del sole ora è nell’ombra, e le azioni che anticamente erano onorate e chiamate eroiche, sono oggi giudicate dai tribunali secondo i criteri dell’umanesimo moderno. […]
L’azione supera l’umanesimo, affronta il rischio mortale, e quindi si scontra con il sistema creato dall’umanesimo moderno. Riusciamo ad impegnarci serenamente negli sport, e a lodare qualcuno chiamandolo « uomo d’azione », proprio perché non abbiamo coscienza del pericolo insito nell’azione. (p. 110)
Com’è possibile definire « uomo d’azione » chi nel suo ufficio di presidente fa centoventi telefonate al giorno per vincere la concorrenza? Ed è forse un uomo d’azione colui che viene osannato perché aumenta i guadagni della propria società viaggiando nei Paesi sottosviluppati e truffandone gli abitanti? Nella nostra epoca sono generalmente questi volgari rifiuti sociali ad essere giudicati uomini d’azione. Insozzati da questo lerciume,siamo costretti ad assistere alla decadenza ed alla morte del modello dell’eroe, che esala ormai un miserabile fetore. (pp. 110-111)

I MIEI ULTIMI VENTICINQUE ANNI p. 113

Quando penso ai miei ultimi venticinque anni mi meraviglio di quanto siano stati vuoti. Non posso dire di avere realmente « vissuto ». Sono soltanto passato oltre turandomi il naso.
Ciò che odiavo venticinque anni fa continua pervicacemente a sopravvivere, sia pur in forma lievemente diversa. Non solo è sopravvissuto ma si è propagato ed infiltrato con enorme virulenza in tutto il Giappone. E il terribile virus della democrazia del dopoguerra e dell ipocrisia che essa ha generato.
Pensavo che ipocrisie ed inganni sarebbero svaniti con la fine dell’occupazione americana, ma m’illudevo. (p. 115)
Gennai Hiraga. 3
Mi domando sovente come mai io, sebbene sia piuttosto rude e fin troppo avventuroso, non riesca ad approdare allo stato del « piacere volgare ». Non amo molto la vita. A meno che lottare continuamente contro i mulini a vento non significhi amare la vita.
In questi venticinque anni ho perso ad una ad una tutte le mie speranze, ed ora che mi sembra di scorgere la fine del mio viaggio, sono stupito dall’immenso sperpero di energie che ho dedicato a speranze del tutto vuote e volgari. Se avessi riversato altrettanta energia nel disperare, avrei forse ottenuto qualcosa di più.
Non posso continuare a nutrire speranze per il Giappone futuro. Ogni giorno si acuisce in me la certezza che, se nulla cambierà, il « Giappone » è destinato a scomparire. Al suo posto rimarrà, in un lembo dell’Asia estremo-orientale, un grande Paese produttore, inorganico, vuoto, neutrale e neutro, prospero e cauto. Con quanti ritengono che questo sia tollerabile, io non intendo parlare. (p. 117)

PROCLAMA p. 119

Abbiamo veduto il Giappone del dopoguerra rinnegare, per l’ossessione della prosperità economica, i suoi stessi fondamenti, perdere lo spirito nazionale, correre verso il nuovo senza volgersi alla tradizione, piombare in una utilitaristica ipocrisia, sprofondare la sua anima in una condizione di vuoto. Siamo stati costretti, stringndo i denti, ad assistere allo spettacolo della politica totalmente perduta in vischiose contraddizioni, nella difesa di interessi personali, nell’ambizione, nella sete di potere, nell’ipocrisia; abbiamo visto i grandi compiti dello Stato delegati a un Paese straniero, abbiamo visto l’ingiuria della disfatta subita nell’ultima guerra non vendicata, ma semplicemente insabbiata, abbiamo visto la storia e la tradizione del Giappone profanate dal suo stesso popolo. (pp. 121-122)
L’esercito, che più di ogni altra istituzione dovrebbe attribuire la massima importanza all’onore, è stato fatto oggetto dei più meschini inganni. L’Esercito di difesa ha continuato a portare la disonorevole croce di una nazione sconfitta. […]
Abbiamo creduto che il risveglio dell’Esercito di difesa potesse coincidere con il risveglio del Giappone. (p. 122)
Quattro anni orsono, io, animato da un simile proposito, mi arruolai nell’esercito, e l’anno seguente costituii l’Associazione degli Scudi. L’idea fondamentale della nostra associazione è il sacrificio delle nostre vite unicamente al fine che l’Esercito di difesa si desti, e si trasformi in un glorioso Esercito nazionale. (p. 123)
Attenderemo ancora solo trenta minuti, gli ultimi trenta minuti. Insorgeremo insieme ed insieme moriremo per l’onore.[…]
Se esiste, che sorga e muoia con noi! Abbiamo intrapreso quest’azione nell’ardente speranza che voi tutti, a cui è stato donato un animo purissimo, possiate ritornare ad essere veri uomini, veri guerrieri. (p. 126)