UMBERTO ECO – STORIA DELLA BELLEZZA

UMBERTO ECO – STORIA DELLA BELLEZZA
BOMPIANI – IV Edizione – Marzo 2005

INTRODUZIONE p. 8

“Bello” – insieme a “grazioso”, “carino”, oppure “sublime”, “meraviglioso”, “superbo” ed espressioni consimili – è un aggettivo che usiamo sovente per indicare qualcosa che ci piace. Sembra che, in questo senso, ciò che è bello sia uguale a ciò che è buono e infatti in diverse epoche storiche si è posto uno stesso legame tra il Bello e il Buono.[…]
Spesso, per indicare azioni virtuose che preferiamo ammirare anziché compiere, parliamo di una “bella azione”. (p. 8)
È bello qualcosa che, se fosse nostro, ci rallegrerebbe, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro. […]
Queste forme di passione, gelosia, voglia di possesso, invidia o avidità, non hanno nulla a che fare col sentimento del Bello. […] Per questo il senso della Bellezza è diverso dal desiderio. […]
In questa rassegna delle idee di Bellezza attraverso i secoli, si cercherà dunque di identificare anzitutto quei caxsi in cui una data cultura o una data epoca storica hanno riconosciuto che ci sono cose che risultano piacevoli da contemplare indipendentemente dal desiderio che proviamo nei loro confronti. In tal senso non partiremo da un’idea preconcetta di Bellezza: passeremo in rassegna le cose che gli esseri umani hanno considerato (nel corso dei millenni) come belle. (p. 10)
Per queste ragioni questo libro si occupa solo dell’idea di Bellezza nella cultura occidentale.[…]
In linea di principio, grandi opere d’arte e documenti di scarso valore estetico avranno per noi la stessa importanza, purché ci aiutino a capire quale fosse l’ideale di Bellezza in un certo momento. Detto questo, il nostro libro potrà essere accusato di relativismo, come se si volesse dire che ciò che è ritenuto bello dipende dall’epoca e dalle culture. (p. 12)
Questo libro parte dal principio che la Bellezza non è mai stata qualcosa di assoluto e immutabile ma ha assunto volti diversi a seconda del periodo storico e del paese: e questo non solo per quanto riguarda la Bellezza fisica (dell’uomo, della donna, del paesaggio) ma anche per quanto riguarda la Bellezza di Dio o dei santi, o delle idee. (p. 14)

I – L’IDEALE ESTETICO NELLA GRECIA ANTICA p. 37

Infatti, nella Grecia antica la Bellezza non aveva uno statuto autonomo: potremmo anche dire che ai greci, almeno fino all’età di Pericle, mancassero una vera e propria estetica e una teoria della Bellezza.[…]
Anche nel periodo aureo dell’arte greca, la Bellezza è sempre associata ad altri valori, quali la “misura” e la “convenienza”. (p. 37)

La stessa parola Kalon, che solo impropriamente può essere tradotta col termine “bello”, ci deve mettere sull’avviso: Kalon è ciò che piace, che suscita ammirazione, che attrae lo sguardo. L’oggetto bello è un oggetto che in virtù della sua forma appaga i sensi, e tra questi in particolare l’occhio e l’orecchio. Ma non sono solo gli aspetti percepibili con i sensi a esprimere la Bellezza dell’oggetto: nel caso del corpo umano assumono un ruolo rilevante anche le qualità dell’anima e del carattere, che vengono percepite con l’occhio della mente piuttosto che con quello del corpo. (pp. 39-41)

Nel periodo dell’ascesa di Atene come grande potenza militare, economica e culturale si forma una percezione più chiara del bello estetico. (p. 42)

Contrariamente a quanto in seguito si crederà, la scultura greca non idealizza un corpo astratto, ma ricerca piuttosto una Bellezza ideale operando una sintesi di corpi vivi, nella quale si esprime una Bellezza psicofisica che armonizza l’anima e il corpo, ovvero la Bellezza delle forme e la bontà dell’animo: è questo l’ideale della Kalokagathia, la cui espressione più alta sono i versi di Saffo e le sculture di Prassitele.
Questa Bellezza si esprime al meglio in forme statiche, nelle quali un frammento di azione o movimenta trova equilibrio e riposo, e per le quali la semplicità espressiva è più appropriata della ricchezza di particolari. (p. 45)

Il tema della Bellezza viene elaborato ulteriormente da Socrate e da Platone. (p. 48)

Per Platone e la Bellezza ha un’esistenza autonoma, distinta dal rapporto fisico che accidentalmente la esprime; essa non è dunque vincolata a questo o quell’oggetto sensibile, ma risplende ovunque. […]
Poiché il corpo è per Plutone una caverna buia che imprigiona l’anima, la visione sensibile deve essere superata dalla visione intellettuale, che richiede l’apprendimento dell’arte dialettica, ossia della filosofia. (p. 50)

II – APOLLINEO E DIONISIACO p. 53

L’Armonia serena, intesa come ordine e misura, si esprime in quella che Nietszche denomina Bellezza apollinea. Ma questa Bellezza è al tempo stesso uno schermo che cerca di cancellare la presenza di una Bellezza dionisiaca, conturbante, che non si esprime nelle forme apparenti, ma al di là delle apparenze. È questa una Bellezza gioiosa e pericolosa, antitetica alla ragione e spesso raffigurata come possessione e follia […]. (p. 58)

III – LA BELLEZZA COME PROPORZIONE E ARMONIA p. 61

Secondo il senso comune giudichiamo bella una cosa ben proporzionata. È pertanto spiegabile perché sin dall’antichità si fosse identificata la Bellezza con la proporzione[…]. […]
Questo significa anche pensare al mondo come a una forma, e i greci avvertono nettamente l’identità tra Forma e Bellezza.[…]
Pitagora (che probabilmente nel corso dei suoi viaggi era venuto in contatto con le riflessioni matematiche degli egizi) è il primo a sostenere che il principio di tutte le cose è il numero. I pitagorici avvertono una sorta di sacro terrore di fronte all’infinito e a ciò che non può essere ricondotto a un limite, e perciò cercano nel numero la regola capace di limitare la realtà, di darle ordine e comprensibilità. Con Pitagora nasce una visione estetico-matematica dell’universo: tutte le cose esistono perché in esse si realizzano leggi matematiche, che sono insieme condizione di esistenza e di Bellezza. (p. 61)

L’idea dell’armonia musicale si associa strettamente a ogni regola per la produzione del Bello. Questa idea della proporzione attraversa tutta l’antichità e si trasmette al Medioevo attraverso l’opera di Boezio tra IV e V secolo d. c. (p. 63)

I rapporti che regolano le dimensioni dei templi greci, gli intervalli tra le colonne o i rapporti tra le varie parti della facciata corrispondono agli stessi rapporti che regolano gli intervalli musicali. L’idea di passare dal concetto aritmetico di numero al concetto geometrico-spaziale di rapporto tra vari punti, è appunto pitagorica. (p. 64)

Il De architectura di Vitruvio (I secolo a.c.) tramanderà sia al Medioevo che al Rinascimento istruzioni per la realizzazione di proporzioni architettoniche ottimali. (p. 66)

Il principio di proporzione riappare nella pratica architettonica anche come allusione simbolica e mistica. (p. 69)

Per la tradizione pitagorica (e il concetto sarà ritrasmesso al Medioevo da Boezio), l’anima e il corpo dell’uomo sono soggetti alle stesse leggi che regolano i fenomeni musicali, e queste stesse proporzioni si ritrovano nell’armonia del cosmo, così che micro e macrocosmo (il mondo in cui viviamo e l’intero universo) appaiono legati da un’unica regola matematica ed estetica insieme. (p. 82)

L’estetica della proporzione ha assunto varie forme sempre più complesse e la ritroviamo anche in pittura. (p. 86)

Gli studi matematici raggiungono la massima precisione nella teoria e nella pratica rinascimentale della prospettiva. (p. 87)

Nella fase più matura del pensiero medievale, Tommaso d’Aquino dirà che, perché ci sia Bellezza, occorre che ci sia non solo una debita proporzione, ma anche integrità (e cioè che ogni cosa abbia tutte le parti che le competono, per cui brutto sarà detto un corpo mutilato e splendore […] (p. 88)

Quindi pare che in tutti i secoli si sia parlato della Bellezza e della proporzione, ma che a seconda delle epoche, malgrado i principi aritmetici e geometrici che si asservivano, il senso di questa proporzione sia cambiato. […]
Nel corso del tempo si sono avuti così diversi ideali di proporzione. (p. 94)

Quando si intende la proporzione come regola rigorosa, allora ci si accorge che in natura essa non esiste, e si può arrivare alle argomentazioni settecentesche di Burke, che prende posizione contro la proporzione, negando che questa possa essere criterio di Bellezza.
Il fatto significativo è piuttosto quello per cui, al tramonto della civiltà rinascimentale, si fa strada l’idea che la Bellezza, anziché da equilibrata proporzione, nasca da una sorta di torsione, di tensione inquieta verso qualcosa che sta al di là delle regole matematiche che governano il mondo fisico. (p. 95)

Così all’equilibrio rinascimentale farà seguito l’inquietudine del manierismo. (p. 96)

IV – LA LUCE E IL COLORE NEL MEDIOEVO p. 99

Una delle origini dell’estetica della claritas deriva certamente dal fatto che in numerose civiltà Dio veniva identificato con la luce […]. (p. 102)

Alla base della concezione della claritas non vi sono solo ragioni filosofiche. (p. 105)

La ricchezza dei colori e lo splendore delle gemme sono segno di potere, e dunque oggetto di desiderio e di meraviglia. (p. 106)

Nei poeti questo senso del colore squillante è sempre presente: l’erba è verde, il sangue rosso, il latte candido. Esistono superlativi per ogni colore[…] e uno stesso colore possiede molte gradazioni, ma nessun colore muore in zone d’ombra. (p. 114)

Questo gusto per il colore si manifesta al di fuori dell’arte, nella vita e nel costume quotidiano, negli abiti, negli addobbi, nelle armi. (p. 118)

Si è così portati ad attribuire significati positivi o negativi anche ai colori, nonostante gli studiosi talora riportino opinioni contraddittorie sul significato di un certo colore. (p. 121)

V – LA BELLEZZA DEI MOSTRI p. 131

Ogni cultura, accanto a una propria concezione del Bello, ha sempre affiancato una propria idea del Brutto[…]. (p. 131)

[…]esiste il Brutto che ci ripugna in natura ma che diventa accettabile e persino piacevole nell’arte che esprime e denuncia “bellamente” la bruttezza del Brutto, inteso in senso fisico e morale. Ma sino a che punto una bella rappresentazione del Brutto (e del mostruoso) non lo rende in qualche misura affascinante? (p. 133)

C’è poi un’altra fonte di attrazione verso il Brutto. Nell’età ellenistica s’intensificano i contatti con terre lontane e se ne diffondono descrizioni, talora apertamente leggendarie, talora con pretese di realismo. (p. 138)

È l’ordine nel suo insieme che è bello, ma da questo punto di vista viene redenta anche la mostruosità che contribuisce all’equilibrio di quell’ordine. (p. 148)

Nel passaggio tra Medioevo ed età moderna muta l’atteggiamento nei confronti del mostro. […]
Tuttavia il mostro perde la sua carica simbolica e viene visto come curiosità naturale. Il problema non è più di vederlo come bello o brutto, ma di studiarlo nella sua forma, talora nella sua anatomia. Il criterio, se pure ancora fantasioso, è ormai “scientifico”, l’interesse non è mistico ma naturalistico. (p. 152)

VI – DALLA PASTORELLA ALLA DONNA ANGELICATA p. 154

Ed ecco che si possono trovare nei testi dottrinali accenni alla Bellezza muliebre che rivelano una sensibilità non del tutto sopita. (p. 154)

VII – LA BELLEZZA MAGICA TRA QUATTRO E CINQUECENTO p. 176

[…]la Bellezza viene concepita secondo un duplice orientamento che a noi moderni appare contraddittorio, ma che agli uomini del tempo parve invece coerente. La Bellezza è infatti intesa sia come imitazione della natura secondo regole scientificamente accertate, sia come contemplazione di un grado di perfezione sovrannaturale, non percepibile con la vista perché non compiutamente realizzato nel mondo sublunare. (p. 176)

L’artista è perciò al tempo stesso – e senza che questo appaia contraddittorio – creatore di novità e imitatore della natura. (p. 178)

L’uso della prospettiva in pittura implica di fatto la coincidenza di invenzione e imitazione: la realtà viene riprodotta con precisione, ma al tempo stesso secondo il punto di vista soggettivo dell’osservatore, che in un certo senso “aggiunge” all’esattezza dell’oggetto la Bellezza contemplata dal soggetto. (p. 180)

Non la Bellezza delle parti, ma quella Bellezza sovrasensibile che si contempla nella Bellezza sensibile (pur essendole superiore) costituisce la vera natura della Bellezza. La Bellezza divina si diffonde non solo nella creatura umana, ma anche nella natura. (p. 184)

VIII – DAME ED EROI p. 193

IX – DALLA GRAZIA ALLA BELLEZZA INQUIETA p. 214

Nel Rinascimento giunge a un alto grado di perfezione la cosiddetta “Grande Teoria”, secondo la quale la Bellezza consiste nella proporzione delle parti. Nello stesso tempo, però, assistiamo all’insorgere di forze centrifughe che spingono in direzione di una Bellezza inquieta, sorprendente. Si tratta di un movimento dinamico, che solo a fini espositivi può essere ricondotto a categorie scolastiche come classicismo, manierismo, barocco e rococò. (p. 214)

Imitando apparentemente i modelli della Bellezza classica, i manieristi ne dissolvono le regole. La Bellezza classica è vista come vuota, priva di anima: ad essa i manieristi oppongono una spiritualizzazione che, per sfuggire al vuoto, si lancia verso il fantastico: le loro figure si muovono all’interno di uno spazio irrazionale, e lasciano emergere una dimensione onirica o, in termini contemporanei, “surreale”. (p. 220)

Uno dei tratti della mentalità barocca è la combinazione d’immaginazione esatta ed effetto sorprendente, che assume diversi nomi – agudeza, concettismo, Wit, marinismo – e che trova la più alta espressione in Gracian. […]
L’acutezza richiede una mente sveglia, ingegnosa, creativa, capace di vedere connessioni invisibili all’occhio comune con la facilità dell’ingegno. (p. 229)

Il reticolo di relazioni e di forme, da crearsi e ricrearsi ogni volta, prende il posto dei modelli naturali, vincolanti e oggettivi: il secolo barocco esprime una Bellezza, per così dire, al di là del bene e del male. Essa può dire il Bello attraverso il Brutto, il vero attraverso il falso, la vita attraverso la morte. (p. 233)

X – LA RAGIONE E LA BELLEZZA p. 237

Potremmo dire che nel Settecento la persistenza della Bellezza barocca trova ragione nel gusto aristocratico dell’abbandono alla dolcezza del vivere, mentre il severo rigore neoclassico si addice al culto della ragione, della disciplina e della calcolabilità tipici della borghesia in ascesa. Tuttavia, uno sguardo più attento non farà fatica a scorgere, accanto alla vecchia nobiltà di corte, una nobiltà imprenditrice più giovane e dinamica, dai gusti e costumi ormai borghesi di fatto, modernizzatrice e riformista, che legge l’Encyclopedie e discute nei salotti. […]
A questa complessa dialettica di ceti e classi corrisponde una altrettanto complessa dialettica di ceti e classi corrisponde una altrettanto complessa dialettica del gusto: alla variegata Bellezza rococò non si oppone un solo classicismo, ma molti classicismi, rispondenti a esigenze diverse, talvolta in contraddizione tra loro. (p. 239)

Nel neoclassicismo si incontrano due esigenze distinte ma convergenti, proprie dello spirito borghese: il rigore individualistico e la passione archeologica. […]
[…]la ricerca dello stile originario comporta la rottura con gli stili tradizionali e il rifiuto dei soggetti e delle pose convenzionali, in favore di una maggiore libertà espressiva. (p. 244)

[…]il piacere disinteressato che si produce contemplando la Bellezza. Bello è ciò che piace in maniera disinteressata senza essere originato da o riconducibile a un concetto: il gusto è perciò la facoltà di giudicare disinteressatamente un oggetto (o una rappresentazione) mediante un piacere o un dispiacere; l’oggetto di questo piacere è ciò che definiamo come bello. (p. 264)

XI – IL SUBLIME p. 275

Nel Settecento, tuttavia, iniziano a imporsi alcuni termini quali “genio”, “gusto”, “immaginazione” e “sentimento” che ci fanno comprendere come si stia formando una nuova concezione del Bello. (p. 275)

In questo scorcio del Settecento, invece, l’idea del Sublime si associa anzitutto a un’esperienza non legata all’arte bensì alla natura, e in questa esperienza vengono privilegiati l’informe, il doloroso e il tremendo. (p. 281)

Si sviluppa così un gusto per l’esotico, l’interessante, il curioso, il diverso, lo stupefacente. Nasce in questo periodo quella che potremmo chiamare la “poetica delle montagne”: il viaggiatore che si avventura nella traversata delle Alpi è affascinato da rupi impervie, ghiacciai senza fine, abissi senza fondo, distese senza confini. (p. 282)

Il gusto del gotico e delle rovine non caratterizza solo l’universo del visivo ma anche la letteratura: è in questa seconda metà del secolo che fiorisce il romanzo “gotico”, popolato di castelli e monasteri in decadenza, sotterranei inquietanti, propizi a visioni notturne, delitti tenebrosi e fantasmi.
Parallelamente fioriscono la poesia cimiteriale, l’elegia funebre, una sorta di erotismo mortuario […]. (p. 288)

XII – LA BELLEZZA ROMANTICA p. 299

Infine, i primi romantici tedeschi ampliano la portata dell’indefinibile e del vago coperto dal termine romantisch: esso include tutto ciò che è lontano, magico, sconosciuto, compreso il lugubre, l’emozionale, il mortuario. Soprattutto, è specificamente romantica l’aspirazione a tutto ciò[…]. La Bellezza cessa di essere una forma e diventa bello l’informe, il caotico. (p. 303)

La Bellezza amorosa è una Bellezza tragica, di fronte alla quale il protagonista è inerme e indifeso. (p. 304)

La Bellezza romantica eredita dal romanzo sentimentale il realismo della passione e sperimenta al suo interno il rapporto dell’individuo col destino che caratterizza l’eroe romantico. (p. 307)

Come in Rousseau, questa ribellione si lascia esprimere attraverso il sentimentalismo, la ricerca delle emozioni e delle commozioni, la valorizzazione degli effetti sorprendenti. (p. 313)

[…]l’uomo romantico vive la propria vita come un romanzo, trascinato dalla potenza dei sentimenti a cui non può resistere. È da qui che scaturisce la malinconia dell’eroe romantico. (p. 314)

I romantici […] non cercano una Bellezza statica e armonica, ma dinamica, in divenire, dunque disarmonica, nella misura in cui […] il bello può scaturire anche dal brutto, la forma dell’informe, e viceversa. (p. 315)

La rivolta di Rousseau contro la civiltà si esprime, dal punto di vista artistico, come rivolta contro le regole e gli artefici classici e soprattutto contro il classicista per eccellenza, Raffaello[…].
[…]
La Bellezza può ora esprimersi facendo convergere gli opposti: il Brutto non è la negazione, l’altra faccia del Bello.
Opponendosi alla Bellezza idealizzata e impersonale dei classicisti, Friedrich Schlegel rivendica per la Bellezza i caratteri dell’interessante e del caratteristico e pone di fatto il problema di un’estetica del brutto. (p. 321)

XIII – LA RELIGIONE DELLA BELLEZZA p. 329

L’artista, di fronte all’oppressività del mondo industriale, all’ampliarsi delel metropoli percorse da folle immense e anonime, all’insorgenza di nuove classi tra i cui bisogni urgenti non s’impone certamente quello estetico, offeso dalla forma delle nuove macchine che ostentano la pura funzionalità di nuovi materiali, sente minacciati i propri ideali, avverte come nemiche le idee democratiche che si fanno gradatamente strada, decide di farsi “diverso”. Così prende forma una vera e propria religione estetica, e all’insegna dell’Arte per l’Arte s’impone l’idea che la Bellezza sia un valore primario da realizzare a ogni costo, a tal punto che per molti la vita stessa andrà vissuta come opera d’arte. E mentre l’arte si separa dalla morale e dalle esigenze pratiche, si sviluppa l’impulso, già presente nel Romanticismo, a conquistare al mondo dell’arte gli aspetti più inquietanti della vita, la malattia, la trasgressione, la morte, il tenebroso, il demoniaco, l’orrendo. […]
Entra in scena una generazione di sacerdoti della Bellezza che porta alle estreme conseguenze la sensibilità romantica; ne esaspera ogni aspetto, spingendola a un punto di consunzione di cui i suoi rappresentanti sono stati così consapevoli ad accettare il parallelo tra la loro arte e quella delle grandi civiltà antiche al momento della decadenza – l’agonia della civiltà di Roma ormai preda dei barbari e quella (millenaria) dell’impero di Bisanzio.
Questa nostalgia per i periodi della decadenza ha valso il nome dei decadentismo alla temperie culturale che si suole fare iniziare nella seconda metà dell’Ottocento e che si prolunga in modo consistente sino ai primi decenni del XX secolo. (pp. 329-330)

Le prime avvisaglie di un culto dell’eccezionale si erano avute con il dandismo. […]
L’eleganza, che si identifica con la semplicità (spinta sino alla bizzarria), si unisce al gusto per la battuta paradossale e per il gesto provocatorio. (p. 333)

La Bellezza del decadentismo è pervasa da sensi di disfacimento, di deliquio, di sfinimento, di languore[…]. […]tutto è già stato detto, tutti i piaceri sono stati provati e bevuti, all’orizzonte si profilano le onde dei barbari che la civiltà malata non saprà arrestare: non rimane che tuffarsi nelle gioie sensuose di una immaginazione sovraeccitata e sovraeccitabile, elencare i tesori dell’arte, passare le mani stanche tra i gioielli accumulati dalle generazioni passate.[…]
Il movimento letterario e artistico più significativo del decadentismo è il simbolismo, la cui poetica ha imposto al tempo stesso una visione dell’arte e una visione del mondo. Alle origini del simbolismo si pone l’opera di Charles Baudelaire. (p. 346)
Il poeta diventa il decifratore di questo linguaggio segreto dell’universo, la Bellezza è la Verità nascosta che egli porterà alla luce: e si capisce allora come, se tutto possiede questa potenza di rivelazione, si debba intensificare l’esperienza laddove è sempre apparsa tabù, negli abissi del male e della sregolatezza, dove potranno scaturire gli accostamenti più fecondi e violenti, e le allucinazioni saranno più rivelatrici che altrove. (p. 349)

Il simbolismo sta ormai dando vita a nuove tecniche di contatto con la realtà, la ricerca della Bellezza abbandona il cielo e porta l’artista a immergersi nel vivo della materia. A mano a mano che procederà, l’artista dimenticherà persino l’ideale del Bello che lo guidava, e intenderà l’arte non più come registrazione e provocazione di un’estasi estetica ma come strumento di conoscenza. (p. 359)

XIV – IL NUOVO OGGETTO p. 361

Questa semplificazione in senso pratico non viene sentita come ambiguità: al contrario, si rispecchia anche nell’autorappresentazione domestica della casa borghese in oggetti, mobili e cose che devono necessariamente esprimere una Bellezza al tempo stessa lussuosa e solida. (p. 362)

La Bellezza finisce per coincidere non più col superfluo, ma col valore: lo spazio una volta occupato dal vago, dall’indeterminato viene ora riempito dalla funzione pratica dell’oggetto. (p. 363)

Gli elementi formali dell’Art Nouveau vengono sviluppati, a partire dal 1910, dallo stile Deco, che ne eredita i caratteri di astrazione, distorsione e semplificazione formale verso un più marcato funzionalismo. (p. 371)

I tratti comuni di questa Bellezza funzionalistica sono l’accettazione decisa dei materiali metallici e vitrei e l’esasperazione della linearità geometrica e degli elementi di razionalità. […] (p. 372)

Si è visto come lo stile Libery abbia contribuito […] ad abbattere un canone dell’età vittoriana: la distinzione netta e rassicurante tra interno ed esterno. Questa tendenza trova nell’architettura del Novecento, e in particolare in quella di Frank Lloyd Wright, la sua più compiuta espressione. […] dove lo spazio interno si allarga e si prolunga nello spazio esterno[…] (p. 374)

L’Arte del Novecento ha tra i suoi tratti caratterizzanti una costante attenzione verso gli oggetti d’uso nell’epoca della mercificazione della vita e delle cose. La riduzione di ogni oggetto a merce e la progressiva scomparsa del valore d’uso in un mondo regolato dal solo valore di scambio modificano radicalmente la natura degli oggetti quotidiani: l’oggetto deve essere utile, pratico, relativamente,m economico, di gusto comune, prodotto in serie. Questo significa che nel circuito delle merci gli aspetti qualitativi della Bellezza si rovesciano sempre più frequentemente, negli aspetti quantitativi[…]. (p. 376)

La nuova Bellezza è riproducibile, ma anche transitoria e deperibile: deve indurre il consumatore a una rapida sostituzione, per consunzione o disaffezione, per non arrestare la crescita esponenziale del circuito della produzione, distribuzione e consumo delle merci. […]
A questa tendenza risponde, con una critica ironica e feroce dell’oggetto d’uso, il dadaismo, e soprattutto il suo più lucido esponente, Marcel Duchamp, con i suoi Ready Made. Duchamp […] denuncia in modo paradossale l’asservimento dell’oggetto alla funziona: se è il processo di mercificazione a creare la Bellezza degli oggetti, allora qualunque oggetto comune può essere defunzionalizzato come oggetto d’uso e rifunzionalizzato come opera d’arte.[…]
Con occhi lucido e freddo, talvolta unito a un dichiarato cinismo, i “popular artists” prendono atto della perdita da parte dell’artista del monopolio delle immagini, della creazione estetica e della Bellezza. (p. 377)

[…]gli oggetti sono estrapolati da una serie o già predisposti all’inclusione seriale. (p. 378)

XV – LA BELLEZZA DELLE MACCHINE p. 381

XVI – DALLE FORME ASTRATTE AL PROFONDO DELLA MATERIA p. 401

Con la pittura detta “informale” si assiste al trionfo delle macchie, delle screpolature, dei grumi, delle falde, degli sgocciolii… Talora l’artista lascia fare ai materiali stessi, al colore che sprizza liberamente sulla tela, al sacco o al metallo che parlano con l’immediatezza di una lacerazione casuale e inopinata. Così, l’opera d’arte è parsa spesso rinunciare a ogni forma, per lasciare che il quadro o la scultura divenisse quasi un fatto natural,e un dono del caso, come quelle figure che l’acqua del mare disegna sulla rena, o le gocce di pioggia incidono sul fango. (p. 405)

Altre volte l’artista non trova, bensì riproduce di mano propria il tratto di strada, il graffito sul muro[…]. Qui l’operazione artista è più palese, l’artista rifà coscientemente e con tecnica raffinata ciò che però deve apparire come casuale, materia allo stato brado. Altre volte ancora la materia non è naturale, ma è già detrito industriale, o oggetto commerciale che ha terminato il suo ciclo d’uso ed è stato recuperato dal bidone della spazzatura. (p. 407)

XVII – LA BELLEZZA DEI MEDIA p. 413

[…]qual è l’idea di Bellezza che domina il XX secolo? (p. 413)

La Bellezza della provocazione è quella proposta dai vari movimenti d’avanguardia e dallo sperimentalismo artistico: dal futurismo al cubismo, dall’espressionismo al surrealismo, da Picasso siano ai grandi maestri dell’arte informale e oltre.
L’arte delle avanguardie non pone il problema della Bellezza[…].
L’arte non si propone più di fornire un’immagine della Bellezza naturale, né vuole procurare il pacificato piacere della contemplazione di forme armoniche. Al contrario, essa vuole insegnare a interpretare il mondo con occhi diversi, a godere del ritorno a modelli arcaici o esotici: l’universo del sogno o delle fantasie dei malati di mente, le visioni suggerite dalla droga, la riscoperta della materia, la riproposta stralunata di oggetti d’uso in contesti improponibili[…], le pulsioni dell’inconscio.
Una sola corrente dell’arte contemporanea ha recuperato un’idea di armonia geometrica che può ricordarci l’epoca delle estetiche della proporzione, ed è l’arte astratta.(pp. 415-417)

A questo punto il visitatore del futuro dovrà cercare di chiedesi quale è stato il modello di Bellezza proposto dai mass media, e scoprirà che il secolo è attraversato da una doppia cesura. (p. 425)

Il nostro esploratore del futuro non potrà più individuare l’ideale estetico diffuso dai mass media del XX secolo e oltre. Dovrà arrendersi di fronte all’orgia della tolleranza, al sincretismo totale, all’assoluto e inarrestabile politeismo della Bellezza. (p. 428)