UMBERTO ECO – IL CIMITERO DI PRAGA

UMBERTO ECO – IL CIMITERO DI PRAGA
BOMPIANI – Collana NARRATORI ITALIANI – VII ed Novembre 2012

***Riassunto dedicato a Silvia di Carugate***

1 – IL PASSANTE CHE IN QUELLA GRIGIA MATTINA p.7

Marzo 1897. Nel quartiere malfamato di Parigi, la Maub, alla metà esatta di un vicolo cieco appellato Impasse Maubert, si trova l’anonima bottega di un misterioso rigattiere. Invero squallido il negozio, dalle sporche vetrine e dal numero incalcolabile di invendibili cianfrusaglie ammassate nel salone d’ingresso…

A metà di quel vicolo passava del tutto inosservata la vetrina di un rigattiere che un’insegna sbiadita celebrava come Brocantage de Qualité – vetrina ormai opaca per la polvere spessa che ne lordava i vetri, i quali già poco rivelavano delle merci esposte e dell’interno, perché ciascuno di essi era un riquadro di venti centimetri per lato, tutti tenuti insieme da una intelaiatura di legno. (p.8)

Ma oggetti ben lussuosi trovansi invece in altre due stanze…
Un uomo anziano, il proprietario, è intento a scrivere qualcosa seduto al tavolino illuminato dalla poca luce che riesce a penetrare dall’unica finestra presente, uno scritto che il Narratore va a proporre al lettore, riassumendone qua e là alcune parti per non tediarlo…

Tornato nel salone d’ingresso, il visitatore avrebbe individuato, davanti alla sola finestra da cui penetrava la poca luce che rischiarava l’impasse, seduto al tavolo, un individuo anziano avvolto in una veste da camera, il quale, per tanto che il visitatore avesse potuto sbirciare sopra le sue spalle, stava scrivendo quello che ci accingeremo a leggere, e che talora il Narratore riassumerà, per non tediar troppo il Lettore. (p.10)

2 – CHI SONO? p.11
24 marzo 1897

[Pagine del diario dell’antiquario]
L’uomo inizia a scrivere un diario su suggerimento di un ebreo austriaco o forse tedesco, non ricorda, proprio per capire chi sia… Lui che in un ambiente antisemita è cresciuto, influenzato dalle descrizioni fatte dal nonno riguardo i difetti degli ebrei… Confessa però di non averne mai incontrati, a parte una prostituta con cui ha scambiato qualche parola a Torino e del dottore austriaco o tedesco che lo ha spinto a scrivere…

Provo un certo imbarazzo nel pormi a scrivere, come se mettessi a nudo la mia anima, per ordine – no, perdio! diciamo su suggerimento – di un ebreo tedesco (o austriaco, ma fa lo stesso). Chi sono? Forse è più utile interrogarmi sulle mie passioni che sui fatti della mia vita. Chi amo? Non mi vengono in mente volti amati. So che amo la buona cucina: al solo pronunciare il nome de La Tour d’Argent provo come un fremito per tutto il corpo. È amore?
Chi odio? Gli ebrei, mi verrebbe da dire, ma il fatto che stia cedendo così servilmente alle istigazioni di quel dottore austriaco (o tedesco) dice che non ho nulla contro i maledetti ebrei.
Degli ebrei so solo ciò che mi ha insegnato il nonno: – Sono il popolo ateo per eccellenza, mi istruiva. Partono dal concetto che il bene deve realizzarsi qui, e non oltre la tomba. Quindi operano solo per la conquista di questo mondo.
Gli anni della mia fanciullezza sono stati intristiti dal loro fantasma. (p.11)
Io, gli ebrei, me li sono sognati ogni notte, per anni e anni.
Per fortuna non ne ho mai incontrati, tranne la puttanella del ghetto di Torino, quand’ero ragazzo (ma non ho scambiato più di due parole), e il dottore austriaco (o tedesco, fa lo stesso). (p.12)

Con i tedeschi ha invece avuto a che fare, popolo inferiore anch’esso… Per colpa del nonno ha però dovuto impararne la lingua, il vuoto tedesco…

I tedeschi li ho conosciuti, e ho persino lavorato per loro: il più basso livello di umanità concepibile. Un tedesco produce in media il doppio delle feci di un francese. Iperattività della funzione intestinale a scapito di quella cerebrale, che dimostra la loro inferiorità fisiologica. (p.12)
L’abuso di birra li rende incapaci di avere la minima idea della loro volgarità, ma il superlativo di questa volgarità è che non si vergognano di essere tedeschi.[…]
Si ritengono profondi perché la loro lingua è vaga, non ha la chiarezza di quella francese, e non dice mai esattamente quel che dovrebbe, così che nessun tedesco sa mai quello che voleva dire – e scambia questa incertezza per profondità. Con i tedeschi è come con le donne, non si arriva mai al fondo. (p.14)
E così questa lingua l’ho odiata, tanto quanto il gesuita che veniva a insegnarmela a colpi di bacchetta sulle dita. (p.15)

Ma tocca poi anche ai francesi, lui che francese lo è diventato essendolo per metà…

Da quando quel Gobineau ha scritto sulla diseguaglianza delle razze pare che, se qualcuno parla male di un altro popolo, è perché ritiene superiore il proprio. Io non ho pregiudizi. Da quando sono diventato francese (e lo ero già a metà per via di madre) ho capito quanto i miei nuovi compatrioti fossero pigri, truffatori, rancorosi, gelosi, orgogliosi oltre ogni limite al punto di pensare che chi non è francese sia un selvaggio, incapaci di accettare rimproveri. (p.15)

…poi agli italiani, lui per metà piemontese…

Se mi son fatto francese è perché non potevo sopportare di essere italiano. (p.17)
L’italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento – e ho visto che cosa è accaduto ai generali borbonici non appena sono apparsi gli avventurieri di Garibaldi e i generali piemontesi. (p.17)

I preti, e i gesuiti in particolare…

I preti… Come li ho conosciuti? A casa del nonno, mi pare, ho il ricordo oscuro di sguardi fuggenti, dentature guaste, aliti pesanti, mani sudate che tentavano di accarezzarmi la nuca. Che schifo. Oziosi, appartengono alle classi pericolose, come i ladri e i vagabondi. Uno si fa prete o frate solo per vivere nell’ozio, e l’ozio è garantito dal loro numero.[…]
Ti parlano con orrore del sesso ma tutti i giorni li vedi uscire da un letto incestuoso senza neppure essersi lavati le mani, e vanno a mangiare e bere il loro signore, per poi cacarlo e pisciarlo.
Ripetono che il loro regno non è di questo mondo, e mettono le mani su tutto quello che possono arraffare. La civiltà non raggiungerà la perfezione finché l’ultima pietra dell’ultima chiesa non sarà caduta sull’ultimo prete, e la terra sarà libera da quella genia. (p.18)
Peggiori di tutti, certamente i gesuiti. […]
Massoni e gesuiti. I gesuiti sono massoni vestiti da donna.

Le donne e le prostitute delle birrerie…

Odio le donne, per quel poco che ne so. Per anni sono stato ossessionato da quelle brasseries à femmes, dove si radunano malfattori di ogni categoria. Peggio delle case di tolleranza. (p.20)
Non sono mai salito al piano superiore. Qualcuno ha detto che le donne sono solo un surrogato del vizio solitario, salvo che ci vuole più fantasia. Così torno a casa e le sogno di notte, non so no mica fatto di ferro, e poi sono loro che mi hanno provocato. (p.22)

La sua vera attività è quella di falsario, redattore di carte per conto di clienti che lautamente lo ripagano…

È dunque questo il mio mestiere? È bello costruire dal nulla un atto notarile, forgiare una lettera che sembra vera, elaborare una confessione compromettente, creare un documento che condurrà qualcuno alla perdizione. Il potere dell’arte… Da premiarmi con una visita al Café Anglais. (p.23)

Scrive su consiglio del dottore per scavare al meglio nella memoria, tra ricordi rimossi ed altri che continuamente, e spesso inaspettatamente, si riaffacciano al pensiero… Un evento traumatico deve averlo infatti portato a cancellare una parte del suo passato, ritiene il medico…

Secondo quel dottore austriaco dovrei arrivare a un momento veramente doloroso per la mia memoria, che spiegherebbe perché di colpo ho cancellato tante cose. (p.24)

Simone Simonini, il suo nome, piemontese di madre savoiarda, vecchio falsario e antiquario di sessantasette anni… Capitano, per presunta appartenenza del nonno ai Garibaldini…
Ieri, quello che ritenevo il martedì 22 marzo, mi ero svegliato come se sapessi benissimo chi fossi: il capitano Simonini, sessantasette anni suonati ma portati bene (sono grasso quanto basta per esser considerato quel che si dice un bell’uomo), e avevo assunto in Francia quel titolo per ricordo del nonno, adducendo vaghi trascorsi militari nelle file dei Mille garibaldini, cosa che in questo paese, dove Garibaldi è stimato più che in Italia, frutta un certo prestigio. Simone Simonini, nato a Torino, da padre torinese e da madre francese (o savoiarda, ma dopo pochi anni dalla sua nascita il Regno di Sardegna aveva ceduto la Savoia alla Francia). (p.24)

Com’è iniziato il tutto?… Il 22 marzo 1897 decide dunque di uscire nei panni del capitano Simonini per andare a comprare della carne con cui preparare uno dei suoi piatti preferiti, lui incallito buongustaio…
Per farlo attraversa la malfamata e pittoresca piazza Maubert, affollata di sordide prostitute, protettori, ladri, fumatori oziosi e spie della polizia… Acquistata carne e formaggio, eccolo rincasare, con la sorpresa di un abito da abate e di una parrucca castana a lui inedite ad attenderlo…

Domandandomi che giorno allora fosse, sono risalito in casa. Ho pensato di togliermi baffi e barba, come faccio quando sono solo, e sono entrato in camera da letto. E solo allora mi ha colpito qualcosa che sembrava fuori posto: da un attaccapanni accanto al cassettone pendeva una veste, una tonaca indubbiamente pretesca. Avvicinandomi ho visto che sul ripiano del cassettone vi era una parrucca di colore castano, quasi biondastro. (p.29)

Indumenti di cui non ha memoria e che gli danno l’idea di star vivendo con i ricordi di un altro, di star ad osservarsi dall’esterno insomma…

Avvertivo un vuoto nella testa, come se vedessi qualcosa di cui avrei dovuto ricordarmi ma di cui non mi ricordavo, voglio dire come qualcosa che appartenesse ai ricordi altrui. Credo che parlare di ricordi altrui sia l’espressione giusta. In quel momento ho avuto la sensazione di essere un altro che si stava osservando, dal di fuori. Qualcuno osservava Simonini il quale di colpo aveva la sensazione di non sapere esattamente chi fosse. (p.30)

Che abbia dato ospitalità a qualcuno?, si chiede… Inizia a girare per casa, fino a che una vecchia suona per un altro lavoro da commissionargli… Con sua sorpresa, apprende di aver richiesto delle ostie per delle messe nere, ostie che la vecchia ha ottenuto in varie chiese… Pagati duecento franchi per la consegna, Simone riprende l’esplorazione dell’abitazione…

Ma che avessi scordato a chi davo rifugio, questo non mi suonava normale.
Sentivo il bisogno di guardarmi alle spalle e di colpo la mia stessa casa mi appariva un luogo estraneo che forse nascondeva altri segreti. Mi sono messo a esplorarla come fosse un alloggio altrui. (p.30)
Stavo proprio cercando di ricordare a che cosa servisse, quando ho sentito suonare da basso. Sono sceso per scacciare qualsiasi importuno, e ho visto una vecchia che mi pareva di conoscere. Attraverso il vetro mi ha detto: – Mi manda Tissot, e ho dovuto farla entrare, chissà mai perché ho scelto quella parola d’ordine.
È entrata e ha aperto un panno che teneva stretto al petto, mostrandomi una ventina di ostie.
– L’abate Dalla Piccola mi ha detto che eravate interessato.
Mi sono sorpreso a rispondere “Certo”, e ho chiesto quanto. Dieci franchi l’una ha detto la vecchia. […]
– Lasciamo perdere, le prendo, ho detto, e ho pagato. E ho capito che dovevo riporre le particole nel tabernacolo del mio studio, aspettando qualche cliente affezionato. Un lavoro come un altro. (p.31)

Al fondo di un corridoio, eccolo ritrovarsi in un monolocale con finestra su rue Maitre-Albert, stanza evidentemente appartenente a un prete e che però, sul momento, gli sembra di visitare per la prima volta…

Era evidentemente il pied-à-terre di un ecclesiastico, con cui avrei dovuto avere una qualche dimestichezza, giacché i nostri due appartamenti comunicavano. Ma, benché il tutto sembrasse ricordarmi qualcosa, di fatto avevo l’impressione di visitare quella stanza per la prima volta. (p.32)

Sul tavolo una serie di lettere, tutte indirizzate alla stessa persona, l’abate Dalla Piccola… Un foglio di appunti sul tavolo, foglio su cui lo scrivente ha messo nero su bianco la sensazione di sentirsi un estraneo, di osservarsi dall’esterno, e di non trovare più tonaca e parrucca… Di aver visto una porta in fondo a un corridoio, ma di non aver avuto il coraggio di attraversarla. Che lo abbiano narcotizzato? I massoni? Gli ebrei? Qualcuno sta forse spacciandosi per lui? Meglio rifugiarsi ad Auteuil e chiedere a Diana, che non ricorda però chi sia…

Mi sono avvicinato al tavolo e vi ho visto un fascio di lettere con le loro buste, tutte indirizzate alla stessa persona: Al Reverendissimo, o al Molto Reverendo Signor Abate Dalla Piccola.[…]

(Dagli appunti di Dalla Piccola)
Oggi è il 22 marzo.

Dove sono la tonaca e la parrucca?
Cosa ho fatto ieri sera? Ho come una nebbia nella testa.
Non ricordavo neppure dove portasse la porta in fondo alla stanza. (p.33)

Simone torna nel proprio appartamento, chiedendosi in che modo la sua vita possa incrociarsi con quella del curato…

Sono rientrato nell’appartamento dell’impasse Maubert e mi sono seduto al mio tavolo da lavoro. In che modo la vita dell’abate Dalla Piccola s’incrociava con la mia? (p.34)

Scorrendo gli appunti dell’agenda, nota di essere andato a messa il 21 e di non ricordare nulla del 22 che reca la nota di Taxil… Tra le ipotesi, la più plausibile è che lui e l’abate siano la stessa persona, affetti da smemoratezza, disturbo di cui parlava dieci anni prima da Magny…

Pertanto Dalla Piccola era andato a letto sapendo di essere Simonini mentre il mattino dopo Simonini si era svegliato senza sapere di essere Dalla Piccola. Come a dire che prima perde la memoria Dalla Piccola, poi la riacquista, ci dorme sopra e passa a Simonini la sua smemoratezza.
Smemoratezza… Questa parola, che significa il non-ricordo, mi ha aperto come una breccia nella nebbia del tempo che ho dimenticato. Io parlavo di smemorati da Magny, più di dieci anni fa. È là che ne parlavo con Bourru e Burot, con Du Maurier e col dottore austriaco. (p.37)

3 – CHEZ MAGNY p.39

25 marzo 1897 all’alba

Chez Magny, ottimo ed economico ristorante di rue de la Contrescarpe-Dauphin, frequentato da Simonini a partire dal 1880… Ristorante di cui erano clienti molti medici e scienziati. Proprio un medico, l’odioso Du Maurier, è il primo con cui stringe un legame, proseguendo poi con altri due psichiatri, Bourru e Burot, scettici in merito alla cura con l’ipnosi propugnata dal rinomato Charcot per la cura dell’isteria… I due si occupavano di casi di variazione della personalità con dissociazione totale, smemoratezza e incoscienza di tale dualismo…

Ci stiamo occupando di casi di variazione della personalità, cioè di pazienti che un giorno pensano di essere una persona e un altro giorno un’altra, e le due personalità s’ignorano l’una con l’altra. (p.43)

La loro tecnica è quella del magnetismo…

L’ipnotismo fa perdere conoscenza al soggetto, mentre con il magnetismo non vi è commozione violenta su di un organo ma una carica progressiva dei plessi nervosi.
Ho tratto da quella conversazione la persuasione che Bourru e Burot fossero due imbecilli che tormentavano con sostanze urticanti dei poveri dementi, ed ero stato confortato nella mia persuasione vedendo il dottor Du Maurier, che seguiva quella conversazione dal tavolo vicino, scuotere il capo più volte. (p.44)

Parlandone con Du Maurier, questi gli dice di avere in cura un’orfana, Diana, che vive di fatto due vite. Nella condizione normale, probabilmente influenzata da vicende d’infanzia, è sboccata, perversa, satanista, in quella secondaria è pia e religiosa. In stato normale non ricorda il suo stato secondario, viceversa ricorda tutto e si punisce con un silicio per questo. Secondo il dottore le basi di ipnotismo e magnetismo sono dunque errate, non agendo sulle cause dello sdoppiamento… Simonini ricorda di aver risposto ai tempi al medico di poter far accogliere Diana dal suo conoscente, l’abate Dalla Piccola!… Deve dunque proseguire a metter per iscritto i propri ricordi e capire chi sia questo abate…

Invece nella condizione normale Diana non si ricorda nulla di quanto fa nella condizione seconda. I due stati si alternano a intervalli imprevedibili, ed essa talora rimane nell’una o nell’altra condizione per parecchi giorni. Sarei d’accordo col dottor Azam nel parlare di sonnambulismo perfetto. (p.46)
Non so perché il racconto della malattia di Diana mi avesse così intrigato, ma ricordo di aver detto a Du Maurier: – Ne parlerò a un mio conoscente che si occupa di casi pietosi come questo e sa dove fare ospitare una fanciulla orfana. Vi manderò l’abate Dalla Piccola, un religioso molto potente nell’ambito delle pie istituzioni.
Dunque quando io parlavo con Du Maurier conoscevo, come minimo, il nome di Dalla Piccola. Ma perché mi ero tanto preoccupato per quella Diana? (p.47)

Il dottore austriaco, o tedesco, lo ha conosciuto al ristorante nel 1885 o 1886… Froide, se non erra, il suo nome, ai tempi apprendista presso Charcot… Un ebreo, pensa subito con Du Maurier…

In quegli anni (mi pare che fosse l’Ottantacinque o l’Ottan-tasei) da Magny avevo conosciuto quello che continuo a ricordare come il dottore austriaco (o tedesco). (p.47)
C’è chi, tra gli intellettuali parigini, prima di esprimere la propria ripugnanza verso i giudei, concede che alcuni dei suoi migliori amici siano ebrei. Ipocrisia. Non ho amici ebrei (Dio me ne scampi), in vita mia ho sempre evitato gli ebrei. Forse li ho evitati d’istinto, perché l’ebreo (guarda caso, come il tedesco) lo si sente dalla puzza (lo ha detto anche Victor Hugo, fetor judaica), che li aiuta a riconoscersi, per questi e altri segni, come accade ai pederasti. (p.48)
Io gli ebrei li ho sempre evitati anche perché sto attento ai nomi. (p.49)

Sigmund Froide, sicuramente ebreo… Ma, un giorno, rovesciata dallo straniero la saliera, Simonini è costretto per cortesia a porgergli la sua e così da lì in avanti a scambiarci qualche parola…

Sigmund è un nome ebreo? Avevo deciso per istinto di non dare confidenza a quel mediconzolo, ma un giorno, mentre prendeva la saliera, Froïde l’aveva rovesciata. Tra vicini di tavolo si debbono rispettare certe norme di cortesia e gli ho porto la mia, osservando che in certi paesi rovesciare il sale era di cattivo auspicio, e lui ridendo aveva detto che non era superstizioso. Da quel giorno avevamo iniziato a scambiare qualche parola. Lui si scusava per il suo francese, che diceva troppo stentato, ma si faceva capire benissimo. Sono nomadi per vizio e debbono adattarsi a tutte le lingue. Ho detto gentilmente: – Dovete solo abituare ancora l’orecchio. E lui mi aveva sorriso con gratitudine. Viscida. (p.49)

Una sera poi, su di giri per tre birre bevute, Froide rovescia ancora una volta la saliera, iniziando a raccontare di esser preoccupato per la propria fidanzata, Martha, che da tre giorni non gli scrive. Lui, che sere prima era stato invita a cena da Charcot, si era recato alla cena dopo aver assunto cocaina, sostanza dai molti pregi medici che gli consente di tirare avanti nonostante il suo stato di depressione malinconica. Ma ora ha esaurito la propria scorta… Ritenendo la sostanza un veleno, Simonini si propone di aiutarlo a reperirne una scorta al solo scopo di danneggiarlo…

E soprattutto è meravigliosa per infondere fiducia nei depressi, sollevare lo spirito, rendere attivi e ottimisti. (p.51)
Frattanto Froïde continuava: – Il problema mio è piuttosto che ho esaurito la mia riserva di cocaina e sto ripiombando nella malinconia, i dottori antichi avrebbero detto che ho un travaso di bile nera. (p.52)
Per me la cocaina è un veleno, mi dicevo, e contribuire ad avvelenare un giudeo non mi dispiace. Così avevo detto al dottor Froïde che nel giro di qualche giorno gli avrei fatto avere una buona riserva del suo alcaloide. (p.54)

Con Froide entra quindi sempre più in confidenza, parlandogli anche del caso di Diana. Secondo il medico straniero, i motivi dell’isteria vanno ricercati in traumi psichici, traumi spesso rimossi dal paziente e che, con il raccontare, possano però tornare alla luce…

– Caro amico, aveva risposto Froïde, in molti dei casi che esaminiamo si dà troppo rilievo all’aspetto fisico, scordando che se il male insorge esso ha molto più probabilmente origini psichiche. E se ha origini psichiche è la psiche che bisogna curare, non il corpo. In una nevrosi traumatica la vera causa della malattia non è la lesione, in sé di solito modesta, bensì il trauma psichico originario. Non accade che provando una forte emozione si svenga? E allora, per chi si occupa di malattie nervose, il problema non è come si perdano i sensi, ma quale sia l’emozione che ce li ha fatti perdere. (p.54)
Ho il sospetto che se un malato potesse parlare, e parlare a lungo, per giorni e giorni, con una persona che sapesse ascoltarlo, magari raccontando persino che cosa ha sognato, il trauma originario potrebbe di colpo affiorare, e farsi chiaro. (p.55)

Memore di quel lontano colloquio con Froide, Simonini ha dunque iniziato la redazione del diario, al fine di poter far affiorare i propri ricordi con la speranza di trovarvi quello traumatico…

Così ho deciso di tenere questo diario, se pure a ritroso, raccontandomi il mio passato a mano a mano che riesco a farmelo tornare in mente, anche le cose più insignificanti, sino a che l’elemento (come si diceva?) traumatizzante non venga fuori. Da solo. E da solo voglio guarire, senza mettermi nelle mani dei medici delle pazze. (p.57)

4 – I TEMPI DEL NONNO p.59
26 marzo 1897

Abbandonato fin da piccolo dalla madre, Simone cresce di fatto sotto la guida del nonno, Giovan Battista Simonini, reazionario ex ufficiale dell’esercito sabaudo. E così eccolo apprendere nozioni sulle presunte nefaste conseguenze della rivoluzione francese e della modernizzazione, a sentirsi citare continuamente l’abate Barruel (che nei templari vedeva gli organizzatori della Rivoluzione per vendicarsi dei Re di Francia, rei di averli messi al bando anni prima per incamerarne i beni)…

La mia infanzia è stata mio nonno, più che mio padre e mia madre. Ho odiato mia madre, che se ne era andata senza avvertirmi, mio padre che non era stato capace di far nulla per impedirglielo, Dio perché aveva voluto quella cosa e il nonno perché gli pareva normale che Dio volesse cose così. Mio padre è sempre stato da qualche altra parte – a far l’Italia, diceva lui. Poi l’Italia lo ha sfatto.
Il nonno. Giovan Battista Simonini, già ufficiale dell’esercito sabaudo, mi sembra di ricordare che l’avesse abbandonato ai tempi dell’invasione napoleonica, arruolandosi sotto i Borboni di Firenze e poi, quando anche la Toscana era passata sotto controllo di una Bonaparte, era tornato a Torino, capitano a riposo, coltivando le proprie amarezze. (p.61)

Ma il nonno gli faceva anche leggere la lettera da lui indirizzata al Barruel, lettera nella quale dimostrava che erano gli ebrei quelli che controllavano e coordinavano le varie sette massoniche…

Quando ho potuto leggere il libro del Barruel, non ho esitato a scrivergli una lettera. Vai lì in fondo, ragazzo, prendi quello scrigno che c’è laggiù. (p.64)

Lui, Giovan Battista Simonini, tutto ciò affermava di averlo appreso dagli stessi ebrei… Costretto infatti a trovare rifugio nel Ghetto di Torino per sfuggire ai bonapartisti, Giovan Battista avevo finito per conoscere un ebreo siriano, Mordecai, sfuggito al linciaggio a Damasco dopo aver fatto condannare altri ebrei in sua vece per un omicidio rituale, sedicente capo di una potentissima setta della quale gli svela i piani di conquista mondiale e di assoggettamento dei cristiani… Ma Barruel non pubblica la sua lettera, limitandosi a diffonderla ad ecclesiastici e funzionari statali…

A quattordici anni Simone si invaghisce di una bella ragazza che tutte le mattine esce dal ghetto per portare qualcosa in una bottega con una cesta coperta… Si propone un giorno di aiutarla, ma lei lo umilia appellandolo ragazzino… Da allora ha in spregio anche le donne, oltre che gli ebrei…

Non l’ho più cercata, non l’ho più vista. Sono stato umiliato da una figlia di Sion. Forse perché sono grasso? Sta di fatto che è lì che è iniziata la mia guerra con le figlie di Eva. (p.74)

Il nonno lo costringe a rimanere solo in casa per ricevere lezioni da un istruttore gesuita, mentre il padre continuamente parla male proprio dei preti e dei gesuiti in particolare, citando Gioberti che a sua volta ha preso spunto dal libro L’Ebreo Errante di Eugène Sue… Il padre, un carbonaro inviso a tutti i familiari per le sue posizioni unitarie…

Mio padre. La bestia nera della famiglia. A dare ascolto al nonno, si era invischiato coi carbonari. (p.76)

A metterlo in guardia contro la carboneria, le cui riviste indirizzate al padre sovente Simone riesce a intercettare prima che il nonno le distrugga, e il comunismo, è il giovane padre Bergamaschi… È lui a narrargli continuamente la storia della falsaria e seducente Babette d’Interlaken, comunista svizzera e a insinuargli così sogni di maestria falsificatoria… Dal nonno e dai gesuiti apprende inoltre i piaceri del mangiar bene… Ma ricorda anche che Bergamaschi gli fece delle avances…

Ai miei maestri piaceva mangiar bene, e questo vizio deve essermi rimasto anche nell’età adulta. (p.79)
Da allora non mi lascio più toccare da un prete. Forse mi travesto da abate Dalla Piccola per toccare io gli altri? (p.80)

A diciotto anni, per permettergli di frequentare gli studi di giurisprudenza, il nonno lo fa uscire di casa… Simone, segnato da anni di solitudine, passa il tempo a leggere in disparte… L’opera di Sue è la prima di tante altre opere letterarie e saggistiche che trafuga tra i libri celati dal padre al nonno…

Ma verso il mio diciottesimo anno il nonno, che mi voleva avvocato (in Piemonte si chiama avvocato chiunque abbia fatto studi di diritto), si era rassegnato a farmi uscire di casa e mandarmi all’università.[…]
Preferivo stare da solo a leggere. (p.80)

È il 1848 e i moti rivoluzionari si propagano in tutta Europa, mentre il manifesto del partito comunista inizia a circolare… Il padre scompare, forse l’anno seguente tra i protagonisti della Repubblica Romana… Il 1849, anno della soppressione dei gesuiti da parte dello stato piemontese, come nelle previsioni del nonno e coma da racconto di Mordechai…

– Siamo all’avvento dell’Anticristo, lamentava il nonno, e naturalmente attribuiva ogni evento alle mene degli ebrei, vedendo avverarsi le più triste profezie di Mordechai. (p.83)

In quel 1849 numerosi sono così i gesuiti transfughi che il nonno accoglie in casa, antimodernisti come lo sciatto padre Pacchi…

Il nonno dava rifugio ai padri gesuiti che cercavano di sottrarsi al furor popolare, in attesa di reintegrarsi in qualche modo al clero secolare, e ai primi del 1849 molti di essi arrivavano clandestini in fuga da Roma, riferendo cose atroci su quanto avveniva laggiù. (p.83)

Profittando dei numerosi giorni dell’anno in cui padre Bergamaschi si assenta in abiti borghesi per recarsi chissà dove, Simone si diletta ad indossarne la tunica per girarvi in città… Un giorno, rinvenuto del denaro in una tasca, si reca così abbigliato da gesuita nel quartiere malfamato di Porta Palazzo fino a gustare l’adorata cioccolata calda al Caffè al Bicerin. L’ebrezza maggiore per quelle sortite era però dovuta al fatto che la gente non sapesse chi realmente fosse, di apparire un altro…
Spesso padre Bergamaschi si metteva in abiti borghesi e se ne andava dicendo che si sarebbe assentato per alcuni giorni
– né diceva come e perché. Allora entravo nella sua camera, m’impadronivo della sua tonaca, l’indossavo, e andavo poi a rimirarmi in uno specchio, accennando a movimenti di danza.
Come se fossi, il cielo mi perdoni, una donna; o lo fosse lui che imitavo. Se emergesse che l’abate Dalla Piccola sono io, ecco che avrei individuato le origini lontane di questi miei gusti teatrali. (p.86)
Vestito da gesuita, e godendo con malizia dello stupore che suscitavo, mi recavo al Caffè al Bicerin, vicino alla Consolata, a prendere quel bicchiere con protezione e manico di metallo, odoroso di latte, cacao, caffè e altri aromi. (p.87)
Ma, piaceri del caffè e del cioccolato a parte, ciò che mi dava soddisfazione era apparire un altro: il fatto che la gente non sapesse chi ero davvero mi dava un senso di superiorità.
Possedevo un segreto. (p.88)

Dopo un po’ Simone interrompe però queste sortite per non rischiare di compromettersi con i compagni di studi carbonari con i quali si incontra abitualmente all’Osteria del Gambero D’Oro…

Avevo poi dovuto limitare e infine interrompere quelle avventure, perché temevo d’imbattermi in uno dei miei compagni, che certamente non mi conoscevano come baciapile e mi ritenevano infiammato del loro stesso ardore carbonaro.
Con questi aspiranti alla patria riscossa ci s’incontrava di solito all’Osteria del Gambero d’Oro. (p.88)

Una sera uno di essi gli lascia un libro francese rilegato pieno di illustrazioni pornografiche, libro che scuote il ragazzo, soprattutto perché l’indomani il nonno viene rinvenuto rantolante con un foglio in mano, la lettera con cui lo si avvisa della morte del figlio durante la repressione della Repubblica Romana…

Avevo trovato il nonno riverso sulla sua poltrona, rantolante con un foglio spiegazzato tra le mani. Avevamo chiamato il medico, avevo raccolto la lettera e avevo letto che mio padre era stato mortalmente trafitto da una palla francese nella difesa della Repubblica Romana[…] (p.92)

Morto dunque il padre, Simone seguita a leggerne i libri che riesce a sottrarre alla cattura del nonno. Tra di essi, Giuseppe Balsamo di Dumas, suo scrittore preferito, dove ancora una volta si parla di complotti e di Cagliostro…

Poiché nessuno pensa che le sue sventure possano essere attribuite a una sua pochezza, ecco che dovrà individuare un colpevole. Dumas offre alla frustrazione di tutti (ai singoli come ai popoli) la spiegazione del loro fallimento. È stato qualcun altro, riunito sul monte del Tuono, a progettare la tua rovina…
A pensarci bene, poi, Dumas non aveva inventato nulla: aveva dato soltanto forma di narrazione a quanto, secondo il nonno, aveva svelato l’abate Barruel. (p.96)

1855. A venticinque anni Simone è un neolaureato in giurisprudenza che non sa cosa farne del proprio futuro…

Era il 1855, avevo ormai venticinque anni, avevo conseguito una laurea in giurisprudenza e non sapevo ancora cosa fare della mia vita. (p.96)

Il nonno, sempre meno lucido con il passar degli anni e la morte del figlio, prosegue con i deliranti interventi avversi alla legislazione anticlericale dei governi sabaudi. Una sera, al termine di uno di questi monologhi, terminata la cena, muore…
È mezzanotte e, non ricordando per il momento altro, stanco per aver scritto ininterrottamente fino a mezzanotte, Simone sospende la redazione del diario…

La pendola batte la mezzanotte e mi avverte che è da troppo tempo che scrivo quasi ininterrottamente. Ora, per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare più nulla degli anni che sono seguiti alla morte del nonno.
Mi gira la testa. (p.100)

5 – SIMONINO CARBONARO p.101

Notte del 27 marzo 1897

Dalla Piccola scrive a Simonini di essersi risvegliato nel suo letto, dimentico di quanto capitatogli. Ne ha letto gli appunti. Sono forse la stessa persona? Lui sa molte del cose del capitano che, però, sembra ricordare molto di se stesso, mentre lui di sé non serba ricordo… O forse quelle notizie le ha apprese in confessione dal capitano che ha rimosso fatti poco onorevoli della propria vita accaduti dopo la morte del nonno?… Stila allora una serie di appunti dai quali Simone riesce a ricostruire molti fatti del passato, fatti che il narratore propone al lettore…

Scusatemi, capitan Simonini, se m’intrometto nel vostro diario che non ho potuto fare a meno di leggere. Ma non è per mia volontà che stamane mi sono risvegliato nel vostro letto. Avrete capito che sono (o almeno mi ritengo) l’abate Dalla Piccola. (p.101)
È curioso. Voi sospettate che noi due siamo la stessa persona. Però voi ricordate molte cose della vostra vita e io pochissime della mia. Di converso, come prova il vostro diario, voi di me non sapete nulla, mentre io sto accorgendomi di ricordare altre cose, e non poche, di quanto è accaduto a voi e – guarda caso – esattamente quelle di cui pare voi non riusciate a ricordarvi. Dovrei dire che, se posso ricordare tante cose di voi, allora io sono voi? […]
Comunque sia, è mio sacerdotale dovere richiamarvi a ciò che vi è accaduto dopo la morte del vostro signor nonno, che Dio abbia accolto la sua anima nella pace dei giusti. (p.102)

Stando dunque al Dalla Piccola, Simone non è poi scosso più di tanto dalla morte del nonno, i cui debiti lo costringono a mettersi al servizio del losco notaio Rabaudengo, che sospetta di aver di fatto incamerato illecitamente i beni dell’avo… Con il tempo i suoi sospetti si concretizzano: l’uomo non fa altro che produrre atti falsi con l’ausilio di testimoni assoldati nelle bettole, simulando le calligrafie delle vittime…

In altre parole il notaio Rebaudengo, per somme ragionevoli, costruiva atti fasulli, imitando quando necessario la calligrafia altrui, e provvedendo i testimoni che arruolava nelle bettole circostanti. (p.104)

Proprio nell’arte di imitare le calligrafie Simone si rivela ben presto maestro…

Simone non era rimasto del tutto convinto che quello di Rebaudengo fosse un mestiere che altri avrebbero definito onesto ma, da che era stato iniziato ai segreti dello studio, aveva partecipato alle falsificazioni, superando in breve il maestro e scoprendosi prodigiose abilità calligrafiche. (p.105)

Con il passare degli anni e l’invecchiare del notaio, l’opera del ragazzo si rivela sempre più indispensabile, fino a portarlo in contatto con gli esponenti governativi che spesso si recano allo studio per la produzione di documenti in grado di far condannare dei sospettati… Tra di essi il cavalier Bianco che, informatissimo sulla sua famiglia e sulla sua frequentazione di carbonari e garibaldini, gli commissiona un documento di convocazione in armi per i congiurati in modo da poterli arrestare senza spargimenti di sangue…

Uno di questi signori era il cavalier Bianco, che si era dichiarato un giorno molto soddisfatto del modo in cui Simone aveva prodotto un certo inconfutabile documento. (p.108)

Simone accetta in cambio della denuncia e dell’arresto del Rabaudengo da cui erediterà l’ufficio previa redazione di un atto con cui, prima dell’arresto, lo nomina erede. Simulando peraltro un tentativo di fuga del maestro nel regno borbonico…

– E poi, una volta il notaio in carcere, io esibirei un con –
tratto, datato proprio pochi giorni prima del suo arresto, da cui emergerebbe che, terminato di pagargli una serie di rate, io gli ho definitivamente acquistato lo studio, di cui divengo il titolare. (p.110)

E così, creata una lettera sfruttando e manipolando racconti uditi da padre Bergamaschi, Simone fa radunare i propri compagni che vengono arrestati. Lui vien fatto fuggire e può così poi attuare il piano che lo porta a diventare notaio al posto dell’arrestato Rabadeungo che, dopo un anno di carcere, muore…

Sino a che un giorno aveva mostrato una lettera, che gli era costato pochissimo fabbricare, in cui Nubius annunciava una insurrezione imminente in tutto il Piemonte, città per città. (p.114)
Per i suoi compagni, che frattanto venivano trascinati via, egli era fuggito e, siccome erano stati arrestati in massa e subito posti in modo da mostrar le spalle, era ovvio che nessuno degli uomini della legge potesse ricordare il suo volto. […]
Non restava che passare alla liquidazione del notaio Rebaudengo, avvenuta secondo i modi previsti. Al vecchio si era poi schiantato il cuore un anno dopo, in carcere, ma Simonini non se ne era sentito responsabile: erano in pari, il notaio gli aveva dato un mestiere e lui era stato il suo schiavo per qualche anno, il notaio aveva rovinato il nonno e Simone aveva rovinato lui. (p.115)

6 – AL SERVIZIO DEI SERVIZI p.117

28 marzo 1897

Con un breve lettera Simone replica al presunto Dalla Piccola, proseguendo poi la redazione del diario…
Gli anni seguenti lo vedono dunque proseguire l’opera di falsario presso lo studio notarile di cui è ora a capo…

Riprendo i miei ricordi, se permettete. Mi rivedo a capo dell’ufficio del fu Rebaudengo, e che già col Rebaudengo vi forgiassi falsi atti notarili non mi stupisce perché è esattamente quello che ancora faccio qui a Parigi. (p.117)

Bianco continua a farsi vivo, per far sì che si sondi per il governo le condizioni dei gesuiti, banditi dal Regno ma a suo dire ancora ben presenti e intenti a tramare come nel resto d’Europa… A fornire a Simone altre ipotesi di complotto gesuitiche, il libro di Sue I misteri del popolo, secondo cui Napoleone III è salito al potere proprio grazie ad essi… Sfruttando l’opera letteraria dell’autore transalpino, Simone fabbrica così un documento che riporta come trascrizione delle informazioni di un attendibile confidente, vecchio amico del nonno, informazioni che prevedono un complotto gesuitico con a capo il suo ex precettore, padre Bergamaschi… Per tirarci in qualche modo dentro anche gli ebrei, ambienta la presunta riunione dei gesuiti nel Cimitero di Praga…

Da cui l’idea che a Bianco potevo vendere non soltanto qualche pettegolezzo orecchiato qua e là, ma un intero documento sottratto ai gesuiti. […]
Il documento avrebbe dovuto apparire come la trascrizione quasi letterale di quanto riferito da un informatore attendibile, né l’informatore avrebbe dovuto apparire come un delatore (perché si sa che i gesuiti non tradiscono mai la Compagnia) ma piuttosto come un vecchio amico del nonno che gli aveva confidato quelle cose a prova della grandezza e invincibilità del suo ordine. (p.120)
Dunque il mio presunto informatore raccontava che quella notte i rappresentanti della Compagnia di vari paesi fossero convenuti a Praga per ascoltare padre Bechx, il quale aveva presentato agli astanti padre Bergamaschi, che per una serie di eventi provvidenziali era divenuto consigliere di Luigi Na –
poleone. (p.122)

Bianco capisce subito trattarsi di un falso, ma lo accetta ben volentieri proprio perché si prospetta a breve un intervento nel meridione da parte dello stato sabaudo…

Infatti Bianco aveva letto con attenzione il rapporto, aveva sollevato gli occhi da quei fogli, mi aveva fissato in viso, e aveva detto che si trattava di materiale della massima importanza.[…]
Naturalmente è tutta roba inventata da lei.[…]
– La prego! gli avevo detto scandalizzato. Ma lui mi aveva fermato alzando la mano: – Lasci stare, avvocato. Anche se questo documento fosse farina del suo sacco, a me e ai miei superiori conviene presentarlo al governo come autentico. (p.125)

Giunge così il 1860 e più che sui giornali, Simone si tiene informati sui fatti italiani ascoltando le discussioni animate degli avventori dei bar, notizie che gli sarebbero tornate utili per la fabbricazione di eventuali ulteriori documenti politici…
In maggio Garibaldi termina la conquista della Sicilia, mentre ai primi di giugno Bianco lo preleva portandolo al cospetto di tre illustri personaggi…

E proprio ai primi di giugno ricevevo un biglietto del cavalier Bianco, che mi diceva di attendere a mezzanotte di quel giorno una carrozza che mi avrebbe prelevato alla porta del mio studio. (p.129)
– Si accomodi, avvocato. Il signore alla sua destra è il generale Negri di Saint Front, questo alla sua sinistra l’avvocato Riccardi e il signore di fronte a lei è il professore Boggio, deputato per il collegio di Valenza Po. (p.131)

Quel che gli si chiede è recarsi nelle terre liberate da Garibaldi a raccogliere informazioni. Nello specifico, volendo impedire lo stato piemontese che Garibaldi finisca per cedere alle lusinghe repubblicane di Mazzini una volta raggiunto lo stato pontificio, divenendo così il suo esercito più forte dello stesso Piemonte, c’è da diffondere voci non contro la spedizione, ma contro chi ne tira le redini, in modo tale da far intervenire i piemontesi e annettere i territori liberati… Per provare le mire repubblicane, sarà affiancato al La Farina, siciliano stretto collaboratore di Cavour, raccogliendo informazioni per essi negative e fabbricandone ove mancanti… È con Dumas, in marcia con il suo veliero Emma per raggiungere la Sicilia che arriverà sull’isola…
E così, il giorno dopo, chiuso lo studio, ecco Simone in marcia per Genova da cui sarebbe salpato alla volta della Sardegna per esser caricato sulla nave di Dumas…

[…]intenderemmo affidarle una missione di grande delicatezza nelle terre appena conquistate dal generale Garibaldi. Non faccia quell’aria preoccupata, non intendiamo incaricarla di condurre le camicie rosse all’assalto. Si tratta di procurarci notizie. (p.131)
– Insomma, aveva detto l’avvocato Riccardi, che non aveva ancora parlato, non bisogna minare la fiducia nella spedizione garibaldina ma indebolire quella nell’amministrazione rivoluzionaria che è conseguita. (p.133)
Lei avrà una lettera di presentazione per il La Farina e si appoggi pure a lui, ma si muoverà con maggiore libertà, non sarà tenuto a raccogliere solo dati documentati, ma (come ha già fatto altre volte) a fabbricarne quando ve ne sia difetto. (p.134)
Lei partirà dopodomani mattina all’alba per Genova e si imbarcherà su un nostro battello che la porterà in Sardegna, dove raggiungerà Dumas, munito di una lettera di credito firmata da qualcuno a cui Dumas deve molto e a cui presta fiducia. Lei apparirà come inviato del giornale diretto dal professor Boggio, mandato in Sicilia per celebrare e l’impresa di Dumas e quella di Garibaldi. Entrerà così a far parte dell’ entourage di questo novellie-re e con lui sbarcherà a Palermo. Arrivare a Palermo con Dumas le conferirà un prestigio e una insospettabilità di cui non godrebbe se arrivasse da solo. Laggiù potrà mescolarsi ai volontari e al tempo stesso aver contatto con la popolazione locale. Un’altra lettera di persona nota e stimata l’accrediterà presso un giovane ufficiale garibaldino, il capitano Nievo, che Garibaldi dovrebbe aver nominato viceintendente generale. Si figuri che già alla partenza del Lombardo e del Piemonte, le due navi che hanno condotto Garibaldi a Marsala, gli erano state affidate 14.000 delle 90.000 lire che costituivano la cassa della spedizione. Non sappiamo bene perché abbiano incaricato di compiti amministrativi proprio il Nievo che è, ci dicono, uomo di lettere, ma pare goda fama di persona integerrima. Sarà felice di conversare con qualcuno che scrive per i giornali e si presenta come amico del famoso Dumas. (pp.134-135)

7 – COI MILLE p.137
29 marzo 1897

Simone rievoca il periodo siciliano grazie a una serie di carte con appunti relativi al viaggio ritrovati in cantina…

Non so se sarei riuscito a ricordare tutti gli eventi, e soprattutto le sensazioni del mio viaggio siciliano tra il giugno 1860
e il marzo 1861, se ieri notte, frugando tra vecchie carte nel fondo di un canterano giù in negozio, non avessi trovato un fascicolo di fogli accartocciati, dove di quelle vicende avevo tenuto un brogliaccio, probabilmente per poter poi fare un rapporto dettagliato ai miei mandanti torinesi. Sono note lacu-nose, evidentemente avevo segnato solo ciò che ritenevo saliente, o che volevo apparisse saliente. Che cosa avessi taciuto non so. (p.137)

Il 6 giugno eccolo accolto cordialmente da Dumas a bordo dell’Emma… Il 13 giugno, raggiunta Palermo, possono così incontrarsi con Garibaldi… Mescolato tra la folla, Simone inizia poi il suo lavoro di spia e subito comprende che il successo della spedizione è dovuto al carisma dei leader, Garibaldi e Bixio… In breve, fatta la conoscenza di Abba e Bandi, due giovani volontari, riesce a ricostruire le fasi dello sbarco a Marsala, la battaglia di Calatafimi, sul Ponte dell’Ammiraglio… Ma gli sembrano troppo romanzate e il dubbio che alberga nella sua mente è che Garibaldi lo abbiano voluto far vincere i borbonici stessi… Decide allora, travestito con la tunica da gesuita che ha portato con sé, di recarsi a colloquio dal notaio Don Fortunato Musumeci, apparentemente ben informato su tutto…

Mi sono mescolato alla folla e ho cercato di capire che cosa dices-sero in quel loro dialetto incomprensibile come la parlata degli africani, ma un breve dialogo non mi è sfuggito: uno chiedeva all’altro chi fosse quel Dumas a cui stava gridando evviva, e l’altro rispondeva che era un principe circasso che nuotava nell’oro e veniva a mettere il suo denaro a disposizione di Garibaldi.[…]
Ora agli occhi dei siciliani sono un garibaldino, agli occhi del corpo di spedizione un libero cronista. (p.142)
È chiaro che Garibaldi e i suoi luogotenenti hanno ipnotiz-zato questi volontari. Male. I capi con troppo fascino vanno decapitati subito, per il bene e la tranquillità dei regni. I miei padroni di Torino hanno ragione: bisogna che questo mito di Garibaldi non si diffonda anche al Nord, altrimenti tutti i regnicoli di lassù si metteranno in camicia rossa, e sarà la repubblica. […]
Attraverso i loro racconti ho ricostruito l’arrivo dei garibaldini, e le loro prime battaglie.(p.143)
A quel punto Abba e Bandi cominciavano a parlare della battaglia di Calatafimi, una vittoria miracolosa, mille volontari da una parte e venticinquemila borbonici bene armati dall’altra. (p.146)

15 giugno. Spacciandosi per inviato dalla Curia al fine di capire la situazione in loco, Simone riesce facilmente ad entrare in confidenza con Don Fortunato. Questi sostiene che il successo ottenuto agevolmente dalla spedizione garibaldina sia dovuto ai soldi pagati dalla Massoneria inglese agli ufficiali borbonici, il tutto con l’intento di abbattere il papato… In un secondo colloquio Musumeci conferma i dubbi di Simone, ovvero che anche gli ebrei siano invischiati nell’impresa…

Queste idee già mi giravano in testa per alcuni borbottii che avevo colto dal mio locandiere, che deve aver girato altre regioni della penisola, e parla un linguaggio quasi comprensibile. Ed è da lui che ho avuto il suggerimento di fare due chiacchiere con don Fortunato Musumeci, un notaio che pare sappia tutto di tutti, e in varie circostanze ha mostrato la sua diffidenza verso i nuovi arrivati.
Non potevo certo avvicinarlo in camicia rossa, e mi è venuta in mente la tonaca di padre Bergamaschi che portavo con me. (p.150)
Mi sono detto inviato dalla curia romana per capire che cosa stesse accadendo da quelle parti, e questo ha permesso al Musumeci di parlare liberamente. (p.151)
– Ma da dove vengono tutti questi soldi?
– Reverendissimo Padre! Mi stupisco che a Roma ne sap –
piate così poco! Ma è la massoneria inglese! Vedete il nesso?
Garibaldi massone, Mazzini massone, Mazzini esule a Londra in contatto coi massoni inglesi, Cavour massone che dalle logge inglesi riceve gli ordini, massoni tutti gli uomini intorno a Garibaldi. È un piano non tanto per distruggere il regno delle Due Sicilie, ma per recare un colpo mortale a Sua Santità, perché è chiaro che, dopo le Due Sicilie, Vittorio Emanuele vorrà anche Roma. […]
– E chi tiene quest’oro?
Il massone di fiducia del generale, quel capitano Nievo, uno sbarbatello di meno di trent’anni il quale non deve fare altro che l’ufficiale pagatore. Ma questi diavoli pagano generali, ammiragli e chi vuole lei, e stanno affamando i contadini. (p.153)
Sarà che mi trascino dietro quest’ossessione sin dai tempi di mio nonno, ma mi è venuto spontaneo di chiedermi se nel complotto per sostenere Garibaldi non c’entrassero anche gli ebrei. Di solito c’entrano sempre. Mi sono ancora rivolto a Musumeci.
– E come no? mi ha detto. Anzitutto, se non tutti i massoni sono ebrei, tutti gli ebrei sono massoni. (p.154)

16 giugno. Con la lettera di presentazione ricevuta alla partenza da Torino, Simone si presenta a Nievo. Poi da La Farina, che si mostra critico verso l’operato approssimativo di Garibaldi. Il 7 luglio l’uomo viene arrestato e rispedito a Torino e così è il solo Simone a poter inviare informazioni ai piemontesi…
8 settembre. Arrivato Garibaldi a Napoli, è tempo per Simone di chiudere il rapporto e inviarlo a Torino, rapporto che sarà il più possibile antigaribaldino ponendo l’accento sui legami con la massoneria, le violenze, gli abusi e le ruberie commesse dai volontari, lo sperpero di denaro, la presenza di stranieri ed ebrei tra i volontari stessi… E così, fabbricatosi un falso foglio d’imbarco, eccolo salpare a bordo di una nave militare piemontese…

Il 7 luglio ho saputo che La Farina è stato arrestato e rispe-dito a Torino. Per ordine di Garibaldi, evidentemente sobilla-to da Crispi. Cavour non ha più un informatore. Tutto dipenderà allora dal mio rapporto. È inutile che mi travesta ancora da curato per raccogliere pettegolezzi: si spettegola nelle taverne, e talora sono proprio i volontari a lamentarsi dell’andazzo generale. (p.158)
(8 settembre) Garibaldi è entrato a Napoli, senza trovare alcuna resistenza. Evidentemente si sente ringalluzzito perché Nievo mi dice che ha chiesto a Vittorio Emanuele la cacciata di Cavour. A Torino avranno ora bisogno del mio rapporto, e capisco che deve essere il più possibile antigaribaldino. Dovrò caricare le tinte sull’oro massonico, dipingere Garibaldi come uno sconsiderato, insistere molto sul massacro di Bronte, parlare degli altri delitti, dei rubamenti, delle concussioni, della corruzione e degli sprechi generali. Insisterò sul comportamento dei volontari secondo i racconti di Musumeci, gozzo-vigliano nei conventi, sverginano le fanciulle (forse anche le monache, calcare le tinte non guasta). (p.164)

8 – L’ERCOLE p.167

Dai diari del 30 e 31 marzo e 1° aprile 1897

Il diario di Simone, alla data del 30 marzo, ci informa il narratore, appare pieno di correzioni e parti illeggibili; alla data del 31 è l’abate Dalla Piccola a descrivere i fatti che il falsario non vuole ricordare mentre, alla data del 1 aprile, è ancora Simonini ad intervenire confutando quanto scritto dall’abate… Il narratore provvede così a una sua ricostruzione di quanto capitato a Simone dal suo ritorno a Torino…
Fatto pervenire al Bianco il proprio resoconto, il giorno seguente Simone è da questi convocato nuovamente al cospetto di Riccardi e Negri… I governativi biasimano duramente il suo operato, diffamatorio nei confronti di Garibaldi e dei suoi dai quali il re dovrà ricevere le terre liberate e i cui volontari potranno entrare nei ranghi dell’esercito del nuovo regno. Gli rimproverano altresì di aver coinvolto massoni ed ebrei. Nonostante il fallimento della missione, lo incaricano di tornare in Sicilia per far sparire i registri contabili che il Nievo sta compilando e che potrebbe divulgare…

Appena arrivato a Torino Simonini aveva fatto pervenire il suo rapporto al cavalier Bianco e dopo un giorno gli era pervenuto un messaggio che di nuovo lo convocava in un’ora serale nel luogo in cui una carrozza lo aveva condotto la volta prima, dove lo attendevano Bianco, Riccardi e Negri di Saint Front. (p.167)
E lei vuole che, dando il suo sciagurato rapporto in pasto alla stampa e alla pubblica opinione, noi diciamo che questi garibaldini che stanno per diventare nostri soldati e ufficiali, erano una masnada di mascalzoni, per lo più stranieri, che hanno depredato la Sicilia? (p.168)
Pertanto lei se ne torna in Sicilia, sempre come inviato del deputato Boggio per rendere conto dei nuovi e mirabili eventi, si attacca al Nievo come una sanguisuga e fa in modo che questi registri scompaiano, svaniscano nell’aria, vadano in fumo, e nessuno ne senta più parlare. (p.170)

Da fine settembre a marzo 1861 Simonini torna così presso Nievo che custodisce però gelosamente i registri. Il falsario se lo fa sempre più amico ma, quando il garibaldino sale a Milano a metà dicembre, non trova comunque il modo di impossessarsene. Passa così il tempo a girare vestito da gesuita in cerca di pettegolezzi e carpendo i segreti della cucina locale… In un’osteria alle porte di Bagheria fa conoscenza con due strani individui: Il Bronte, pazzoide scampato ai massacri di Bronte che arde dalla voglia di uccidere Nino Bixio per vendicare il capopopolo da quello fatto fucilare, e Ninuzzo, grande esperto di cucina e custode della polveriera già borbonica. In attesa del giorno della lotta agli invasori piemontesi, un giorno l’uomo conduce Simone alla casamatta, dandogli una bozza di progetto su come liberarsi di Nievo e dei registri: far saltare in aria e affondare la nave che dovrà condurre a Torino il garibaldino e le sue carte… Con una miccia lenta, gli spiega l’artificiere, potrà far splodere la nave dopo averne calcolato i voluti tempi di combustione. Ma chi far sacrificare per l’impresa?…

Non rimane che una soluzione, fare scomparire Nievo, registri, e tutto quello che sta con lui, mentre si sposta in mare da Palermo a Torino. In una tragedia del mare in cui vanno a fondo cinquanta o sessanta persone nessuno penserà che il tutto fosse finalizzato alla eliminazione di quattro scartafacci. (p.178)

Rientrato a Palermo il Nievo a fine gennaio, Simone scopre che l’uomo ripartirà per Torino a marzo a bordo di una nave di fabbricazione inglese, L’Ercole. Carpitone i segreti parlando con i marinai, il falsario si reca infine a Bagheria per contattare Il Bronte, colui il quale provocherà l’esplosione… Per convincerlo gli spiega che elimineranno l’odiato Bixio e che sarà proprio lui, Il Bronte, a dar fuoco alle micce dopo che la polvere contenuta in una cassa fatta caricare da tale capitano Simonini, sarà pronta nella stiva. Ad attenderlo dopo l’accensione con una scialuppa calata in mare, lo stesso capitano. Entusiasta l’uomo accetta… Il giorno della partenza, grazie al falso salvacondotto da lui stesso redatto, Simone sale a bordo con una cassa che un suo uomo di fiducia dovrà guardare a vista, cassa contenente materiale segretissimo da far recapitare a Napoli per ordine di Vittorio Emanuele… A far sistemare Il Bronte nella stiva, il corrotto marinaio Almalà che, in vista di Stromboli, luogo convenuto per l’esplosione, dovrà avvertire il passeggero di agire…
Salutato calorosamente il Nievo, Simone la sera va a cenare alla solita locanda di Bagheria, gustando il successo della propria missione che, verso le nove, avrebbe portato all’affondamento dell’Ercole… Dopo cena, eccolo recarsi alla polveriera dove, con la scusa di celebrare il successo della missione, pugnala, sempre nei panni di gesuita, il povero Ninuzzo…

Poi aveva pensato a mastro Ninuzzo… Non conveniva
lasciare un testimone così pericoloso a piede libero. Era risalito sulla sua mula e si era portato alla polveriera. Mastro Ninuzzo stava sulla porta fumando una sua vecchia pipa e l’aveva accolto con un bel sorriso: – Pensate che sia fatta, padre?
– Penso di sì, dovreste essere fiero mastro Ninuzzo, aveva detto Simonini, e l’aveva abbracciato dicendo: “Viva lo re”, come si usava da quelle parti. Nell’abbracciarlo gli aveva infilato nel ventre due spanne di pugnale. (p.187)

Tornato a Torino verso la metà di marzo, è solo dopo qualche giorno che, un pomeriggio, al suo cospetto si presenta Bianco. Ancora una volta gli si rimprovera un errore nell’esecuzione del piano, giacché la scomparsa del Nievo si accompagna a quella delle sue carte. Associando il colonnello scomparso alla sua figura e a quella di Boggio, le voci sul possibile coinvolgimento del governo nella sciagura sarebbero inevitabili. Simonini deve così lasciare Torino e stabilirsi a Parigi dove riceverà altri incarichi da altre persone…

Simonini era rientrato a Torino verso la metà di marzo, attendendo di vedere i suoi mandanti perché era ora che saldassero i loro conti. E Bianco era entrato un pomeriggio nel suo studio, si era seduto davanti alla sua scrivania, e aveva detto:
Simonini, lei non ne combina mai una giusta. (p.187)
Lei chiude qui a Torino baracca e burattini e si eclissa all’estero. Va a Parigi. Per le prime spese le dovrà bastare la metà del compenso che avevamo pattuito. In fondo ha voluto stra-fare, ed è lo stesso che fare un lavoro a metà. E siccome non possiamo pretendere che, arrivato a Parigi, possa sopravvivere a lungo senza combinare qualche guaio, la mettere-mo subito in contatto con dei nostri colleghi di laggiù, che possano affidarle qualche incarico riservato. Diciamo che lei passa al soldo di altra amministrazione. (p.188)

9 – PARIGI p.189

2 aprile 1897, tarda sera

Impossibilitato a proseguire con la propria “astinenza” da ristorante, Simone decide di recarsi in una locanda, che ristorante poi non è, dove si può mangiare qualcosa ma soprattutto bere molto. Gli avventori son tutti ubriachi e, di conseguenza, nessuno potrà riconoscerlo… Cabaret Père Lunette, il nome del locale… Lì finisce per parlare e bere con una disegnatrice, ormai dedita all’assenzio dopo aver scoperto di avere la tisi… Con la mente offuscata dai fumi dell’alcol, rientrato in casa, Simone riprende il racconto della propria vita dall’arrivo a Parigi…

Ho scambiato con lei qualche parola (da dieci giorni vivo così rintanato che ho potuto trovar sollievo persino nella conversazione con una donna) e per ogni bicchierino d’assenzio che le offrivo non potevo evitare di prenderne uno per me.
Ed ecco che ora scrivo con la vista, e la testa, offuscati: condizioni ideali per ricordare poco e male. (p.190)

Nella capitale parigina Simone si ambienta subito, decidendo di eleggerla a dimora per il resto della vita…

So solo che al mio arrivo a Parigi ero preoccupato, naturalmente (in fin dei conti andavo in esilio), ma la città mi ha conquistato e ho deciso che qui avrei vissuto il resto della mia vita. (p.190)

Affittata una stanza in un malfamato hotel e costretto a cibarsi della carne avariata di una locanda dai prezzi bassi, il falsario migliora il proprio stile di vita grazie ai lavori che esegue per i committenti cui il Bianco lo ha indirizzato… Può così mangiare alla tavola calda Noblot, felice comunque del suo primo periodo di miseria per aver potuto addentrarsi nell’ambiente malfamato che gli sarebbe poi servito in seguito per i propri lavori… Passa così il tempo a girare per le strade della grande Parigi, dove quasi tutti non fanno altro che camminare per osservare gli altri…

Peraltro, anche prima di poter entrare da Noblot, non mi sono mai pentito di quelle prime settimane all’inferno: ho fatto utili conoscenze e mi sono familiarizzato con un ambiente in cui dopo avrei dovuto nuotare come un pesce nell’acqua. […]
Cercavo di stare in camera il meno possibile e mi concedevo i soli piaceri riservati al parigino con le tasche vuote: passeggiavo per i boulevard. Non mi ero reso conto sino ad allora quanto Parigi fosse più grande di Torino. Ero estasiato dallo spettacolo di gente di tutti i ceti che mi passava accanto, pochi che andassero per sbrigare qualche commissione, i più per guardarsi tra loro. (p.192)

Suo committente è tale Clément Fabre de Lagrange che, dopo avergli prodotto un documento, lo nomina informatore con tanto di stipendio fisso e rimborso spese… Il resto lo guadagna a poco a poco con lavori di falsificazione svolti per privati…

Intanto avevo preso contatto con Clément Fabre de Lagrange. […]
Lagrange aveva giusto bisogno in quei giorni di un certo documento, glielo avevo prodotto in modo perfetto, mi aveva subito giudicato favorevolmente, e da quel giorno avevo iniziato a lavorare per lui come indicateur, come si dice infor-malmente da queste parti, e ricevevo ogni mese trecento franchi più centotrenta di spese (con qualche regalia in casi ecce-zionali, e produzione di documenti a parte). (p.195)

In attesa di poter vivere di rendita, Simone inizia a frequentare i luoghi che gli danno il massimo del piacere: i ristoranti… Si reca spesso nei passages, dove segue e annota gli indirizzi di molti borghesi di mezza età che si intrattengono con presunte giovani operaie. Un giorno potrebbe ricattarli…
Non ricorda molto dei primi incarichi affidatigli da Lagrange, forse un tale padre Boullan…

10 – DALLA PICCOLA PERPLESSO p.199
3 aprile 1897

Dalla Piccola scrive a Simonini di essersi risvegliato nel proprio letto con sapore di assenzio in bocca, ma forse si è solo suggestionato leggendone le memorie? Di Boullan forse ricorda qualcosa e alla mente gli torna l’immagine di un prete che sputa in bocca a un’indemoniata…

Ho visto come l’immagine di un prete che sputava in bocca a una indemoniata. (p.200)

11 – JOLY p.201

Dal diario del 3 aprile 1897, a tarda notte

Nella primavera del 1865 Lagrange convoca Simone ai giardini Lussemburgo, mostrandogli il libro di un tale Maurice Joly, un tomo di cinquecento pagine, con il quale l’autore getta discredito sull’operato antirepubblicano di Napoleone III. Compito del falsario-informatore, cui la copia viene regalata, è quello di scoprire chi sia stata la fonte del Joly, attualmente recluso, ossia della talpa che dal ministero lascia trapelare informazioni segrete…

Lagrange, nella primavera del 1865, aveva convocato una mattina Simonini su una panchina del giardino del Lussemburgo, e gli aveva mostrato un libro gualcito dalla copertina giallastra, che appariva pubblicato nell’ottobre 1864 a Bruxelles, senza il nome dell’autore, col titolo Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu ou la politique de Machiavel au XIXe siècle, par un contemporain.
– Ecco, aveva detto, il libro di tal Maurice Joly. (p.201)

Ha attinto al libro di Sue, pensa con certezza Simone che in passato lo ha sfruttato per creare il suo rapporto antigesuitico per i servizi segreti piemontesi… Lagrange gli comunica di dover partire per il carcere di Sainte-Pélaige dove, recluso come fuoriuscito mazziniano, si metterà in contatto con un altro italiano, Gaviali, grazie al quale potrà arrivare a Joly… Ecco dunque Simone alle prese con la vita in carcere…
Dunque era evidente che Joly si era ispirato alla stessa fonte a cui si era ispirato lui, e cioè alla lettera di padre Rodin a padre Roothaan ne I misteri del popolo di Sue.
– Pertanto, stava continuando Lagrange, vi faremo
tradurre a Sainte-Pélagie come fuoriuscito mazziniano sospettato di aver avuto rapporti con ambienti repubblicani francesi. Vi è detenuto un italiano, tale Gaviali, che ha avuto a che fare con l’attentato dell’Orsini. Naturale che cerchiate di contattarlo, voi che siete garibaldino, carbonaro e chissà quant’altro ancora. Attraverso Gaviali conosce-rete Joly. (p.203)

Grazie all’imbeccata di un mite detenuto, l’assassino Oreste, riesce ad avvicinare Gaviali. Questi lo indirizza a Joly, del quale, poco a poco si fa amico e confidente… Le sue supposizioni si rivelano esatte: Joly ha semplicemente analizzato la situazione politica attuale inserendola nella cornice del libro di Sue…

Lagrange può ben credere che Joly abbia avuto degli ispiratori, ma è chiaro che si è limitato ad analizzare fatti che sono sotto gli occhi di tutti, così da anticipare le mosse del dittatore. Piuttosto vorrei capire quale sia stato davvero il suo modello. (p.210)

Per mantenere in vita quel modello accusatorio, Simone pensa allora di far uscir di scena Lacroix, l’unico ad aver letto per intero e riassunto il libro di Joly… E così, uscito di prigione, Simone si reca da Lagrange per fare rapporto sul caso Joly: lo scrittore è un misero idealista, probabilmente stimolato dall’opera di un governativo e, nello specifico, da Lacroix… Lagrange dichiara quindi che l’infido collaboratore sarà eliminato…

Bastava pertanto eliminare Lacroix ed era fatta. (p.211)
Appena lasciata la prigione Simonini si era precipitato a fare il suo rapporto a Lagrange.  (p.212)
Lacroix sarà vittima di un incidente. La vedova avrà una giusta pensione. (p.213)

Felice di poter tornare a frequentare ristoranti, con il proposito di recarsi alla libreria di mademoiselle Beuque, in rue de Beaune, per chiedere a nome di Joly a tale Guédon di far avere al recluso pasti decenti, libreria sede dei foureristi, Simone decide di dedicarsi all’ideazione di un complotto da poter poi smascherare per carpire ancor di più la fiducia dei servizi segreti francesi… Per l’incombenza poteva tornargli utile il Gaviali, rintracciabile in rue de la Huchette, al cabaret del père Laurete… E lì trova Gaviali circondato da una serie di dinamitardi esaltati che per ore parlano di esplosivi tracannando vino… Il genere di individui che, propugnando la morte di Napoleone III e impazienti di far esplodere ordigni, fanno proprio al caso suo…

In sintesi, Simonini avvertiva che per qualificarsi agli occhi dei servizi imperiali doveva dare a Lagrange qualcosa di più. Che cosa rende veramente attendibile un informatore della polizia? La scoperta di un complotto. Doveva dunque organizzare un complotto per poterlo denunciare.
L’idea gliela aveva data Gaviali. Si era informato a Sainte-Pélagie e aveva saputo quando sarebbe uscito. E ricordava dove avrebbe potuto trovarlo, rue de la Huchette, al cabaret del Père Laurette. (pp.213-214)
Lì Simonini aveva trovato Gaviali, intorno a una tavola di camerati che parevano condividere le sue idee regicide, quasi tutti fuoriusciti italiani, e quasi tutti esperti di esplosivi, od ossessionati dal tema. (p.215)
Erano peraltro il tipo di ossessi che lui cercava. (p.216)

Proponendosi come carbonaro, Simone si offre di lasciargli in uso un suo locale in via Huchette dove poter condurre in libertà gli esperimenti sugli esplosivi, locale in cui avrebbero però dovuto detenere una serie di stampati annuncianti la morte dell’imperatore e rivendicanti il futuro attentato, manifestini da distribuire poi dopo l’attentato stesso…

Lui era in grado di offrire un locale tranquillo, proprio in rue de la Huchette, e tutti i denari necessari per le spese.[…]
Napoleone ucciso, il gruppo doveva occuparsi di far circolare i manifestini in vari luoghi della città, e di depositarne alcuni nelle portinerie dei grandi giornali. (p.217)

La sera stessa dell’accordo però, percorrendo Rue Saint-Séveron, ode dei passi alle sue spalle. Il sospetto si volge in breve in certezza, qualcuno lo sta inseguendo, raggiungendolo infine all’impasse della Salembrière dove gli punta un coltello alla gola dopo averlo spinto contro il muro… È Ninuzzo!, incredibilmente sopravvissuto all’accoltellamento e da sei anni sulle sue tracce… Con giri di parole Simone riesce a placarlo… Vuole una rendita mensile che gli consenta di vivere da buon borghese, il buon Ninuzzo… Simone gli propone allora di associarsi ai congiurati che stanno preparando un attentato dinamitardo contro Napoleone III. Dovrà presentarsi di lì a due giorni in Rue da la Huchette, a nome di Lacroix, alle sei di sera e con un garofano rosso all’occhiello. Lui arriverà alle sette con il denaro…

Ma quella sera, mentre percorreva rue Saint-Séverin, che a quell’ora era deserta, aveva avuto l’impressione di udire dei passi che lo seguivano, salvo che appena lui si fermava anche quel calpestio cessava. Aveva affrettato la sua marcia, ma il rumore si era fatto sempre più vicino sino a che era divenuto chiaro che qualcuno, più che pedinarlo, lo inseguiva. (p.218)
– Sei anni ci misi a ritrovare le vostre tracce, mio buon padre, ma ce la feci!
Era la voce di mastro Ninuzzo, che Simonini era convinto di aver lasciato con due spanne di pugnale nel ventre alla polveriera di Bagheria. (pp.218-219)
Diciamo che vi lascio la vita in cambio di una somma ogni mese, che mi consenta di mangiare e dormire come voi, e meglio ancora. (p.221)
– Mastro Ninuzzo, io vi prometto più di una piccola somma ogni mese. Sto preparando un attentato all’imperatore francese, e ricordate che se il vostro re ha perduto il trono è perché Napoleone ha aiutato sottomano Garibaldi.
Voi che sapete tanto di polveri, dovreste incontrare il manipolo di valorosi che si è riunito in rue de la Huchette per preparare quella che veramente si dovrà chiamare una macchina infernale. Se vi uniste a loro non solo potreste partecipare a una azione che passerà alla storia, e dar prova della vostra straordinaria abilità di artificiere ma – tenendo presente che questo attentato è incoraggiato da personalità di altissimo rango – avreste la vostra parte di un compenso che vi farebbe ricco per tutta la vita.
Solo a sentir parlare di polveri, a Ninuzzo era sbollita quella rabbia che aveva covato da quella notte a Bagheria, e Simonini aveva avvertito di averlo in pugno quando quello aveva detto: – Che dovrei fare, allora?
– È semplice, tra due giorni verso le sei vi recate a questo indirizzo, bussate, entrerete in un magazzino, e direte che vi manda Lacroix. Gli amici saranno già avvisati. Ma dovrete, per essere riconosciuto, portare un garofano all’occhiello di questa vostra giacchetta. Verso le sette arriverò anch’io.
Con il denaro. (pp.221-222)

L’indomani Simone si reca da Gaviali chiedendogli di far radunare tutti a rue la Huchette alle sei, dove un artificiere siciliano avrebbe valutato gli ordigni preparati. Più tardi sarebbero arrivati lui e Lacroix… Poi eccolo a rapporto da Lagrange, cui svela la scoperta del complotto con la richiesta di eliminare il pericoloso siciliano che avrà un fiore rosso all’occhiello…

La mattina dopo Simonini tornava da Gaviali e lo avvertiva che il tempo stringeva. Che si trovassero tutti riuniti per le sei del pomeriggio del giorno dopo. Prima sarebbe arrivato un artificiere siciliano mandato da lui stesso, per controllare lo stato dei lavori, poco dopo sarebbe arrivato lui, e poi il signor Lacroix stesso, per dare tutte le garanzie del caso.
Poi era andato da Lagrange e gli aveva comunicato di essere a conoscenza di un complotto per uccidere l’imperatore. Sapeva che i congiurati si sarebbero riuniti alle sei del giorno seguente in rue de la Huchette, per consegnare gli esplosivi ai loro mandanti. (pp.222-223)
E siccome è pericoloso anche per me, vorrei che succedesse un piccolo pandemonio e che il tizio non fosse arrestato ma ucciso sul posto. (p.223)

L’indomani, all’ora convenuta, ecco il blitz dei gendarmi che fanno fuoco su Ninuzzo, poi finito da Simone stesso, e su un altro congiurato. Colti in flagrante, i repubblicani sono internati alla Cayenna e Lacroix, indicato dagli stessi come collaboratore, viene eliminato ma fatto passare come deceduto durante l’irruzione. Simone ne esce alla grande: trentacinquemila franchi netti in tasca e la morte di Ninuzzo… L’obiettivo di trecentomila franchi di depositi per poter vivere poi di rendita si fa per lui sempre più vicino…

Ninuzzo era arrivato alle sei in rue de la Huchette col suo bravo garofano, Gaviali e gli altri gli avevano mostrato con orgoglio i loro ordigni, Simonini era arrivato mezz’ora dopo annunciando l’arrivo di Lacroix, alle sei e quarantacinque la forza pubblica aveva fatto irruzione, Simonini gridando al tradimento aveva tratto una pistola puntandola verso i gendarmi ma sparando un colpo in aria, i gendarmi avevano risposto e colpito Ninuzzo al petto, ma siccome le cose vanno fatte in modo pulito, avevano ucciso anche un altro congiurato. Ninuzzo ancora si rotolava al suolo proferendo sicilianissime bestemmie e Simonini, sempre fingendo di sparare ai gendarmi, gli aveva tirato il colpo di grazia.
Gli uomini di Lagrange avevano sorpreso Gaviali e gli altri con le mani nel sacco, ovvero con i primi esemplari delle bombe mezzo costruiti e un pacco di manifestini che spiegavano perché le stavano costruendo. Nel corso di interrogatori pressanti Gaviali e compagni avevano fatto il nome del misterioso Lacroix che (ritenevano) li aveva traditi. Motivo di più perché Lagrange decidesse di farlo scomparire. Nei verbali di polizia, appariva che avesse partecipato all’arresto dei congiurati e fosse stato freddato da un colpo tirato da quei miserabili. Menzione di elogio alla memoria. (pp.223-224)
Salvare la vita all’imperatore frutta parecchio. Se il lavoro su Joly gli era valso ben diecimila franchi, la scoperta del complotto gliene aveva resi trentamila. Calcolato che l’affitto del locale e l’acquisto del materiale per la fabbricazione delle bombe gli era costato cinquemila franchi, gli rimanevano netti trentacinquemila franchi, più di un decimo di quel capitale di trecentomila a cui aspirava. (p.224)

12 – UNA NOTTE A PRAGA p.225
4 aprile 1897

Alla libreria di rue de Beaune Simone incontra il disincantato Guédon che, dopo essersi dichiarato lieto di poter inviare cibo e denaro a Joly, gli mostra alcuni personaggi interessanti: Juliette Lamessine e Toussenel, socialista, anticapitalista, antisemita e antibritannico… Ed ecco quindi prospettarsi nella fervida mente di Simone la possibilità di creare nuovi dossier antiebraici…

Non mi restava che avvicinare quel Guédon di cui mi aveva parlato Joly. La libreria di rue de Beaune era diretta da una vecchia zitella raggrinzita, vestita sempre con una immensa gonna in lana nera e una cuffia alla Cappuccetto Rosso che le copriva metà del volto – e per fortuna.
Lì avevo subito incontrato Guédon, uno scettico che guardava con ironia al mondo che lo circondava. Mi piacciono i miscredenti. Guédon aveva subito reagito favorevolmente all’appello di Joly: gli avrebbe mandato cibo e anche un po’ di denaro. (p.225)
Toussenel mi parlava del capitalismo, che stava avvelenan-do la società moderna.
– E chi sono i capitalisti? Gli ebrei, i sovrani del nostro tempo. La rivoluzione del secolo scorso ha tagliato la testa a Capeto, quella del nostro secolo dovrà tagliare la testa a Mosè.
Scriverò un libro sull’argomento. Chi sono gli ebrei? Tutti quelli che succhiano il sangue degli indifesi, del popolo. Sono i protestanti, i massoni. E naturalmente i giudei. (p.226)
Non ero sicuro che Toussenel avesse ragione, ma le sue filippiche, che mi dicevano ciò che si pensava nei circoli più rivoluzionari, mi suggerivano alcune idee…[…]
Chi rimaneva? Gli ebrei, santiddio. In fondo avevo pensato che ossessionassero solo mio nonno, ma dopo aver ascoltato Toussenel mi rendevo conto che un mercato antiebraico si apriva non solo dal lato di tutti i possibili nipoti dell’abate Barruel (che non erano pochi) ma anche da quello dei rivoluzionari, dei repubblicani, dei socialisti. Gli ebrei erano nemici dell’altare, ma lo erano anche delle plebi, di cui succhiava-no il sangue e, a seconda dei governi, anche del trono.
Bisognava lavorare sugli ebrei. (p.228)

Incredibilmente, alcuni giorni dopo, Lagrange lo convoca nuovamente (al cimitero Pere-Lachaise stavolta): dovrà incontrare il colonnello russo Dimitri, incaricato di raccogliere informazioni sugli ebrei, numerosi in Russia e spesso membri di associazioni eversive nonché periodico capro espiatorio per i malumori delle masse…

Dunque, Simonini, desidero farvi incontrare col colonnello Dimitri, l’unico nome con cui è noto nel nostro ambiente.[…]
Sta raccogliendo documenti, come dire… compromettenti, sul problema ebraico. (p.229)
I miei colleghi russi hanno un duplice problema: da un lato guardarsi dagli ebrei, qualora e là dove rappresentino un pericolo reale, e dall’altro orientare verso di loro il malcontento delle plebi contadine. (p.230)

Dovrà subito mettersi in contatto con un ebreo convertito all’ortodossia, tale Jakob Brafmann, che ha contatti con la Alliance Israelite Universelle, fondata a Parigi sei anni prima, della quale farà rapporto a Dimitri… E così, l’indomani, eccolo a contatto per la prima volta con un ebreo, invero decisamente distante dalle descrizioni ricevute dal nonno durante l’infanzia e l’adolescenza… Durante il pranzo, il convertito gli spiega di aver trovato le prove dell’esistenza di un governo occulto ebraico, il Kahal, che ha sempre consentito agli ebrei di sopravvivere seppur dispersi e perseguitati in tutto il mondo… I documenti che reca seco e che gli mostra, lo attestano e sono relativi al Kahal di Minsk (anni dal 1794 al 1830)… Sapendolo abile falsario, gli chiede di riprodurli nella versione francese da lui stesso tradotta… Con quei documenti, facendoli passare come tenuti in conto dall’Alliance Parigina, avrebbero così dato fondamento alla tesi dell’esistenza di un Kahal mondiale… Dopo essersi ingozzato tra un’invettiva e l’altra, Brafmann si accommiata pagando il conto e chiedendo a Simone di contattarlo in caso di difficoltà nel reperimento di carta e inchiostri…

Ora, Brafmann, che aveva già tradotto i documenti in francese e in tedesco, aveva saputo da Lagrange che io ero in grado di produrre documenti autentici, e mi chiedeva di produrgli una versione francese, che sembrasse risalire agli stessi periodi dei testi originali. Era importante avere questi documenti anche in altre lingue per dimostrare ai servizi russi che il modello del Kahal era preso sul serio nei vari paesi europei, e fosse in particolare apprezzato dall’Alliance Israélite parigina. (p.234)

Perplesso, Simone rincasa… Come far passare quel documento, vecchio di cinquant’anni, redatto da ebrei di Minsk per regolare usi e costumi della locale comunità, volti al dominio del mondo? Il falsario ha allora un’idea geniale: inserire il tutto nel contesto di un raduno come quello descritto per i massoni nel Monte del Tuono e la notte dei gesuiti nel Cimitero di Praga… Recatosi in biblioteca nei giorni seguenti, Simone trova delle illustrazioni interessanti ed estremamente utili a dargli l’ambientazione per il complotto: raduno notturno di rabbini tra le tombe sovrapposte dell’affollato cimitero di Praga!, nei pressi della tomba di Law, rabbino che nel Seicento creò il mitologico Golem… A raccontargli la storia, un testimone oculare che, travestito da rabbino, nascosto dietro le lapidi, a mezzanottte ha visto riunirsi dodici rabbini in rappresentanza delle dodici tribù d’Israele, ognuno dei quali proveniente da una diversa Nazione… Calcolate le ricchezze in possesso degli ebrei europei, i convenuti si separano dopo l’apparizione e la scomparsa dello spirito di Law… Un falso perfetto per Simone… A mancargli il solo punto di vista di un cattolico fervente… Ancora una volta è Lagrange a indirizzarlo dalla persona giusta, il giornalista Gougenot des Mousseaux, prossimo alla conclusione di un libro sulla giudeizzazione dei popoli cristiani, incontro caldeggiato per avere ulteriori notizie da poter poi spacciare ai russi, ma anche per sondare il terreno affinché lo scritto non vada ad incrinare in Francia i rapporti con la finanza giudaica… Potrà incontrarlo grazie all’intercessione di un abate, tale Dalla Piccola (!) che già in passato ha con loro collaborato…

Dunque, Dumas, Sue, Joly, Toussenel. Mi mancava, oltre al magistero di padre Barruel, mia guida spirituale in tutta quella ricostruzione, il punto di vista di un cattolico fervente.
Proprio in quei giorni Lagrange, incitandomi ad affrettare i miei rapporti con l’Alliance Israélite, mi aveva parlato di Gougenot des Mousseaux. Ne sapevo qualcosa, era un giornalista cattolico legittimista, che sino ad allora si era occupato di magia, pratiche demoniache, società segrete e massoneria.
– A quanto ci risulta sta per finire, diceva Lagrange, un libro sui giudei e la giudeizzazione dei popoli cristiani, non so se mi spiego. A voi potrebbe far comodo incontrarlo per raccogliere materiale sufficiente a soddisfare i nostri amici russi. A noi farebbe comodo aver notizie più precise su quello che sta preparando, perché non vorremmo che i buoni rapporti tra il nostro governo, la chiesa e l’ambiente della finanza ebraica si offuscassero. Potrete avvicinarlo dicendovi studioso di cose ebraiche che ammira i suoi lavori. C’è chi può introdurvi presso di lui, un certo abate Dalla Piccola che ci ha già reso non pochi servizi. (pp.238-239)

Ed eccolo tornargli in mente il suo primo incontro con il quasimodesco abate, di origini tedesche, gobbo, strabico, con i denti sporgenti e sulla sessantina… Non sono di certo la stessa persona!…

Ora (di colpo!) ricordo quel mio primo incontro con l’abate Dalla Piccola. Lo vedo come se mi stesse di fronte. E nel vederlo capisco che non è un mio doppio o sosia che dir si voglia, perché dimostra almeno sessant’anni, è quasi gobbo, strabico e coi denti sporgenti. L’abate Quasimodo, mi ero detto, vedendolo allora. In più aveva un accento tedesco.(p.239)

Il religioso si offre di fornirgli notizie sulla Massoneria, essendo lui stesso affiliato in una loggia… Grazie all’abate, ecco dunque Simone incontrare Gougenot, logorroico settantenne preso dal risentimento nei confronti degli ebrei e dai suoi studi su magia, satanismo ed esoterismo… Troppo vaghi e fantasiosi i rimandi per inserirli nel rapporto, giudica Simone… E così, sulla base del progetto già abbozzato, eccolo principiare la redazione dell’incontro dei tredici ebrei nel cimitero di Praga, inserendo nei loro dialoghi tutti i luoghi comuni e gli stereotipi sulla cospirazione ebraica volta al dominio del mondo… Terminata la redazione del testo, Simone è soddisfatto e passa al livello successivo di quella che è ormai per lui una missione: vendere a caro prezzo il rapporto per renderlo ancora più credibile…

Nel mio cimitero di Praga i rabbini dovevano dire qualcosa di facile comprensione, di presa popolare, e in qualche modo nuovo, non come l’infanticidio rituale che era secoli che se ne parlava e ormai la gente ci credeva quanto alle streghe, bastava non permettere ai bambini di girare intorno ai ghetti.
E così avevo ripreso a stendere il mio rapporto sui nefasti di quella fatidica notte. (p.244)
Oh davvero, bisognava essere stato quella notte nel cimitero di Praga, perdio, o almeno occorreva leggere la mia testimonianza di quell’evento, per capire come non si potesse più sopportare che quella razza maledetta avvelenasse la nostra vita!
Solo dopo che avevo letto e riletto quel documento com –
prendevo appieno come la mia fosse una missione. Dovevo riuscire a ogni costo a vendere a qualcuno il mio rapporto, e solo se l’avessero pagato a peso d’oro l’avrebbero creduto e avrebbero collaborato a renderlo credibile… (p.248)

13 – DALLA PICCOLA DICE DI NON ESSERE DALLA PICCOLA p.249

5 aprile 1897

Il sedicente Dalla Piccola scrive a Simonini di non essersi riconosciuto nella descrizione che ha fatto del suo omonimo nel corso della sua ricostruzione dei fatti di Parigi… Chi era colui? Chi è lui, si chiede?

Ma chi è allora l’abate che voi avete incontrato col mio nome? E chi sono io, a questo punto? (p.249)

14 – BIARRITZ p.251

5 aprile 1897, tarda mattinata

Simone commenta la breve annotazione lasciata dal sedicente Dalla Piccola sul suo diario. Vuol saperlo chi sia realmente, dato che ora ricorda distintamente di aver ucciso l’abate prima del 1870…

Ma chi siete voi davvero? Perché proprio ora io mi ricordo di avervi ucciso, ancor prima della guerra! Come posso parlare a un’ombra? (p.251)

Completato il rapporto, Simone invita al Rocher de Cancale il colonnello Dimitri. Questi legge con interesse il resoconto, chiedendogli quanto voglia farselo pagare. Cinquantamila franchi son troppi per il suo budget, ma gliene pagherà venticinquemila in oro facendogli piazzare un secondo originale ai prussiani mettendolo in contatto con il suo collega Stieber…

Dopo che avevo finito il mio rapporto sulla riunione nel cimitero di Praga, ero pronto a incontrare il colonnello Dimitri. (p.251)
Siamo in buoni rapporti con i servizi prussiani, e anche loro hanno un problema ebraico. Io vi pago venticinquemila franchi, in oro, e vi autorizzo a passare copia di questo documento ai prussiani, che vi daranno l’altra metà. Ci penso io a informarli. Naturalmente vorranno il documento originale, come quello che state dando a me, ma da quanto mi ha spiegato l’amico Lagrange voi avete la virtù di moltiplicare gli originali. La persona che prenderà contatti con voi si chiama Stieber. (p.252)

Simone chiede a Lagrange un nuovo incontro parlandogli dell’affare e il capo lo autorizza a trattare con il prussiano, sebbene secondo lui sia stato truffato dal russo…
Una settimana dopo Stieber gli fa pervenire un biglietto con il quale gli chiede di consegnare il rapporto sugli ebrei al suo uomo di fiducia, Goedsche, a Monaco di Baviera… Ex membro dei servizi segreti, allontanato per esser stato condannato per la diffusione di lettere false prodotte per incastrare il capo dei democratici durante le sommosse del 1848, l’uomo vive scrivendo libri antiebraici con lo pesudonimo di John Retcliffe.

Una settimana dopo mi era pervenuto un biglietto firmato da questo Stieber. Mi chiedeva se non mi sarebbe stato di grande incomodo recarmi a Monaco di Baviera, per incontrare un suo uomo di fiducia, certo Goedsche, a cui consegnare il rapporto. Certo che mi era d’incomodo, ma mi interessava troppo l’altra metà del compenso.[…]
Si era riciclato scrivendo romanzacci storici, che firmava col nome di sir John Retcliffe e continuando a collaborare al Kreuzzeitung, un giornale di propaganda antigiudaica. E i servizi lo usavano ancora solo per la diffusione di notizie, false o vere che fossero, sul mondo ebraico. (p.255)

Per due giorni eccolo quindi nell’odiata e volgare Germania, incontrando il viscido Goedsche in una birreria. L’uomo gli rivela di star completando un romanzo storico dal titolo Biarritz, nel quale, prendendo spunto dalle vicende italiche, mostra come ebraismo, gesuiti e massoni stiano corrompendo la purezza della razza tedesca… I soli veri ariani sono appunto i teutonici, tutti gli altri giudaizzati o latinizzati… Goedsche gli chiede di lasciargli in visione per alcune settimane il testo, ma Simone rifiuta, costretto infine a permettergli di ricopiarne il testo. Come anticipatogli da Lagrange, Dimitri lo ha ingannato…

Che stupido, mi sono detto, Dimitri già sapeva che Stieber non avrebbe mai pagato e si era semplicemente assicurato il mio testo a metà prezzo. Lagrange aveva ragione, non dovevo fidarmi di un russo. Forse avevo domandato troppo e avrei dovuto essere soddisfatto di aver incassato la metà. (p.262)

Tornato a Parigi dopo lo smacco subito, Simone chiede a Lagrange di metterlo in contatto con Dalla Piccola per cercare di vendere ai gesuiti il rapporto antiebraico. Dalla Piccola si presenta in negozio, facendosi lasciare il materiale da sottoporre alla Compagnia di Gesù…

L’unico tramite coi gesuiti poteva essere l’abate Dalla Piccola. Chi mi aveva messo in contatto con lui era stato Lagrange e a Lagrange mi sono rivolto. Lagrange mi ha detto che gli avrebbe fatto sapere che lo cercavo. E infatti tempo dopo Dalla Piccola è venuto nel mio negozio. Gli ho presentato, come si dice nel mondo del commercio, la mia mercanzia, e mi è sembrato interessato. (p.263)

Una settimana più tardi l’uomo torna furioso in negozio: il materiale è un falso copiato dal libro Biarritz di Retcliffe!…

[…] il mio documento riservatissimo era già apparso come materia d’invenzione su questo Biarritz, il romanzo di un certo John Retcliffe. (p.265)

Il tedesco ha così inserito nel suo libro quanto ricopiato a Monaco di Baviera. Il furente Dalla Piccola gli prospetta morte quasi certa dopo che avrà informato i suoi superiori del fatto che vende falsi spacciandoli per veri…

Tutto era chiaro, quel manigoldo di Goedsche (e Lagrange mi aveva detto che pubblicava feuilletons sotto lo pseudonimo di Retcliffe) non aveva mai consegnato il mio documento a Stieber: aveva rilevato che l’argomento andava a puntino per il romanzo che stava finendo di scrivere e soddisfaceva i suoi furori antigiudaici, si era impadronito di una storia vera (o almeno avrebbe dovuto crederla tale) per farla diventare un pezzo di narrativa – la sua. Lagrange mi aveva pur prevenuto che il furfante si era già distinto nella falsificazione di documenti ed essere caduto così ingenuamente nella trappola di un falsario mi rendeva folle di rabbia.
Ma alla rabbia si aggiungeva la paura. Quando Dalla Piccola parlava di pugnalate nella schiena forse pensava di usare metafore, ma Lagrange era stato chiaro: nell’universo dei servizi quando qualcuno risulta ingombrante lo si fa scomparire.
Immaginiamoci un collaboratore che risulta pubblicamente inattendibile perché vende cascame romanzesco come informazione riservata, e che inoltre ha rischiato di far fare ai servizi una figura ridicola con la Compagnia di Gesù, chi vuole averlo ancora tra i piedi? Una coltellata, e via a galleggiare nella Senna.
Questo mi stava promettendo l’abate Dalla Piccola, e non serviva a nulla che io gli spiegassi la verità, non c’erano ragioni per cui dovesse credermi, visto che lui non sapeva che avevo dato il documento a Goedsche prima che l’infame finisse di scrivere il suo libro, e sapeva invece che io l’avevo dato a lui (dico a Dalla Piccola) dopo che era già apparso il libro di Goedsche.
Ero in un vicolo senza uscita.
A meno di impedire a Dalla Piccola di parlare. (pp.265-266)
Ho guardato quel cadavere e non mi sono sentito minimamente colpevole. Se l’era cercata.
Si trattava solo di fare scomparire quella salma importuna. (p.266)

Agisce così d’istinto, uccidendo l’abate con un candeliere in ferro battuto… Come disfarsi del corpo? Memore di quanto mostratogli e dichiaratogli dal precedente proprietario, Simone trasporta il cadavere lungo la piccola galleria collegata al condotto fognario. Occultato dunque il cadavere, Simone torna nello studio leggendo la parte del romanzo che il plagiario ha tratto modificando il suo resoconto…
La redazione del diario si interrompe, essendosi Simone ubriacato con la speranza di evocare ancora il Dalla Piccola, da lui certamente assassinato anni prima…

Tra la parete e il canale vero e proprio –
che certamente era molto più antico del barone Haussmann –
c’era un marciapiede alquanto stretto, e lì ho deposto il cadavere. Calcolavo che con quei miasmi e quell’umidità si sarebbe decomposto abbastanza presto, e dopo sarebbe rimasto solo dell’ossame non identificabile. (p.269)

15 – DALLA PICCOLA REDIVIVO p.271
6 aprile 1897, all’alba

Letto il racconto dell’uccisione dell’abate, il sedicente Dalla Piccola dichiara di non poter essere quello assassinato, pur chiedendosi come mai esistano due abati… Forse è solo pazzo… Dovrebbe uccidersi? Perché farlo se quello vero è morto da oltre venti anni?…

Chi sono allora io? Non il Dalla Piccola che avete ucciso (che oltre-tutto non mi assomigliava), ma com’è che esistono due abati Dalla Piccola? (p.271)

7 aprile

Simone riprende la redazione del diario…

Subito dopo l’uccisione dell’abate, ecco una nuova convocazione di Lagrange: dovrà seguire un abate satanista, Boullan, che, dopo esser stato scarcerato, ha ripreso la propria attività assieme a tale Vintras. Prima dell’arresto aveva iniziato la propria opera di liberatore dal peccato mediante il peccato, dando il via a un gruppo dedito ad orge e sottrazione di denaro alle adepte, assieme alla conversa Adele Chevalier, gruppo che ha finito per inglobare anche mogli di funzionari e quella di un ministro!… Lagrange gli suggerisce di avvicinarlo travestendosi da prete…

Capitano Simonini, mi ha detto, abbiamo bisogno che voi teniate d’occhio un tipo curioso, un ecclesiastico… come dire… satanista.[…]
Dunque, è un certo abate Boullan, che anni fa conosce una Adèle Chevalier, una conversa del convento di Saint-Thomas-de-Villeneuve a Soissons. (p.272)
Sta a voi tenerlo d’occhio e farci sapere cosa sta combinando. (p.274)

16 – BOULLAN p.275
8 aprile

Dalla Piccola scrive… Ricorda i suoi primi incontri con Boullan, assistendo peraltro alle sue pratiche esorcistiche… Gli chiede delle ostie per celebrare messe nere e lo spretato lo indirizza da Simonini. È dunque così che si sono incontrati?…

– Ho capito. Ho sentito che un tizio, che tiene una botteguccia di bric-à-brac dalle parti di place Maubert, si occupava anche del commercio di ostie. Potreste provare con lui.
È in quell’occasione che noi due ci siamo incontrati? (p.276)

17 – I GIORNI DELLA COMUNE p.279
9 aprile 1897

Simone ha dunque ucciso Dalla Piccola nel settembre del 1869. In ottobre è stato invece convocato nuovamente da Lagrange…

Ho ucciso Dalla Piccola nel settembre 1869. In ottobre un biglietto di Lagrange mi convocava, questa volta, su un quai lungo la Senna. (p.279)

L’incomprensibile progresso avanza senza sosta in quegli anni, rammenta nel diario, ma militarmente la Francia di Napoleone III resta decisamente arretrata rispetto alla rampante Prussia…

Nell’incontro Lagrange chiede espressamente a Simone cosa ne sia stato del Dalla Piccola, incaricato di svolgere una missione, ma scomparso nel nulla. Presumibilmente l’ultimo a vederlo in vita è stato lui, il falsario, tant’è che l’abate gli aveva indirizzato un biglietto in cui chiedeva un incontro per rivelargli qualcosa sul suo conto…

– Simonini, un mese fa ho ricevuto un biglietto dell’abate, che diceva a un dipresso: debbo vedervi al più presto, ho da raccontarvi qualcosa di interessante sul vostro Simonini. Dal tono del suo messaggio quello che voleva raccontarmi su di voi non doveva essere molto elogiativo. Allora: che cosa c’è stato tra voi e l’abate? (p.282)

Lagrange accetta momentaneamente le scuse che Simone gli propone, ma ponendolo sicuramente sotto sorveglianza… Per cautelarsi, il falsario acquista allora un bastone animato, utile in caso di aggressione per uccidere o mettere in fuga all’arma bianca l’attaccante di turno…
Un po’ di tempo dopo, davanti al negozio, Simone trova una sera ad attenderlo Lagrange che, dopo essersi complimentato per il bastone animato, gli comunica dell’ormai prossima guerra franco-prussiana. Stieber ha piazzato in città numerose spie, tra cui Goedsche. Ritenendolo corruttibile, sicuramente Stieber lo farà avvicinare proprio dallo scrittore e lui, Simonini, dovrà passargli false informazioni… Compito rischiosissimo (fucilato dai francesi se scoperto a passare informazioni, ucciso dai prussiani se scoperto a fare il doppio gioco), che è però costretto ad accettare…

– Temete noi, lo so, perché sapete che ci siete diventato sospetto. Ora permettetemi di essere breve. È imminente una guerra franco-prussiana e l’amico Stieber ha riempito Parigi di suoi agenti.
– Li conoscete?
– Non tutti, e qui entrate in gioco voi. Poiché avevate offerto a Stieber il vostro rapporto sugli ebrei, egli vi considera una persona, come dire, acquistabile… Bene, è arrivato qui a Parigi un suo uomo, quel Goedsche che mi pare abbiate già incontrato. Crediamo che vi cercherà. Diventerete la spia dei prussiani a Parigi.
– Contro il mio paese?
– Non siate ipocrita, non è neppure il vostro paese. E, se la cosa vi turba, lo farete proprio per la Francia. Trasmetterete ai prussiani false informazioni, che vi provvederemo noi.
– Non mi sembra difficile…
– Al contrario, è pericolosissimo. Se venite scoperto a Parigi noi dovremo fingere di non conoscervi. Pertanto verre-te fucilato. Se i prussiani scopriranno che voi fate il doppio gioco, vi uccideranno, se pure in modo meno legale. Pertanto in questa vicenda voi avete – diciamo – cinquanta probabilità su cento di rimetterci la pelle. (pp.283-284)

Una settimana dopo Goedsche si presenta in negozio, ribattendo senza esitazioni all’accusa di plagio rinfacciatagli all’ospite… Il prussiano lo conduce quindi sul tetto di una casa dove un vecchio tiene le sue colombaie. Simone dovrà inviare i suoi messaggi attraverso i piccioni e dal vecchio riceverà quelli a lui destinati. Quali notizie inviare? Quelle su movimenti di truppe, dell’imperatore, sugli umori della folla e, soprattutto, mappe e cartine…

Ed ecco che la guerra inizia e Lagrange inizia a passargli notizie varie… La situazione precipita in settembre, dopo la disfatta di Sedan e la proclamazione della repubblica. Parigi finisce sotto assedio e il problema del cibo diviene il più assillante, soprattutto per un buongustaio come Simone, costretto a spendere una fortuna in ristoranti più o meno leciti, pur di addentare qualche fresca prelibatezza… In gennaio viene firmato un armistizio e a capo del governo repubblicano posto Thiers… Ma i popolari si appropriano di armi e munizioni, proclamando la Comune e costringendo i governativi a ritirarsi a Versailles e a cingere d’assedio la città, peggio che i prussiani in precedenza…
Goedsche informa Simone della fine della collaborazione, ma la sera stessa Lagrange gli dice di averlo arrestato e di volere che sia ora lui a fornirgli informazioni sui comunardi…

Mentre si annunciava il ritiro del governo francese a Versailles, ricevevo un biglietto da Goedsche che m’informava che ai prussiani non interessava più quello che avveniva a Parigi e pertanto colombaia e laboratorio fotografico sarebbero stati smantellati. Ma nello stesso giorno mi visitava Lagrange, che aveva l’aria di aver indovinato quel che mi scriveva Goedsche.
– Caro Simonini, mi aveva detto, dovreste fare per noi quello che stavate facendo per i prussiani, tenerci informati. Ho già fatto arrestare quei due miserabili che collaboravano con voi. (290)

Caotica la situazione, impossibile per Simone ricavarne notizie certe da passare a Lagrange…
Un giorno, camminando per le vie di Parigi, eccolo incontrare Joly, deluso per l’andamento delle cose, lontane anni luce dal vero spirito rivoluzionario e repubblicano…

Come la situazione fosse confusa l’ho capito incontrando un giorno, tra la folla confusa di una manifestazione altrettanto confusa, Maurice Joly. (p.292)

Lagrange si rifà vivo, chiedendo a Simone di interrogare i malavitosi al fine di reperire il maggior numero d’informazioni possibile per orientarsi nelle fogne di Parigi…

Il mio compito era interrogare quanti più lestofanti possibile per orientar-mi in quei condotti. (p.296)

Simone si mette subito all’opera e, in cambio di lauti pasti, ottiene dai suoi informatori, tra fine marzo e fine maggio, mappe piuttosto dettagliate della Parigi sotterranea, trasmettendole a Lagrange…

E quelli non solo parlavano, ma mi facevano fare affascinanti passeggiate sotterranee. (p.296)
Breve, tra fine marzo e fine maggio mi ero fatto una certa competenza, e spedivo a Lagrange dei tracciati, per indicargli alcuni tragitti possibili. (p.296)

L’evolversi della situazione, con battaglioni di governativi pronti alla repressione, lo convincono però della loro inutilità…
A poco a poco i governativi occupano sempre più quartieri della città, mentre i cittadini più o meno entusiasticamente si danno alla costruzione di barricate che non difenderanno mai…
Un messaggio di Lagrange porta Simonini a colloquio con tale Hébuterne, che gli comunica la messa in pensione del precedente superiore… L’uomo lo invita ad attendere un battaglione di ex galeotti alla Croix-Rouge, una bottega di vinaio raggiungibile dal sottosuolo… Strada facendo, eccolo in battersi nei cadaveri di alcuni fucilati, l’ultimo dei quali si rivela essere quello di Lagrange!…

Arrivato in fondo alla fila sono stato colpito dai tratti dell’ultimo giustiziato, che stava un poco discosto dagli altri, come se fosse stato aggiunto dopo alla brigata. Il volto era in parte ricoperto di sangue raggrumato, ma ho riconosciuto benissimo Lagrange. I servizi avevano cominciato a rinnovarsi. (p.302-303)

Facendo un ampio giro, Simone raggiunge infine per i sotterranei il luogo dell’appostamento, indirizzando ai posti giusti i governativi. La battaglia dura poco e la Croix-Rouge cade in mano ai governativi… Gli scontri proseguono ancora per pochi giorni, fino alla completa vittoria dei governativi…

18 – PROTOCOLLO p.307
Dai diari del 10 e 11 aprile 1897

Cessati i tumulti e tornata la pace, Simone torna al proprio lavoro di notaio, oberato dalle pratiche di successione necessarie a seguito della morte e della scomparsa improvvisa di tante giovani persone…

Con la fine della guerra Simonini aveva ripreso il suo lavoro normale. Per fortuna, con tutti i morti che c’erano stati, i problemi di successione erano all’ordine del giorno, moltissimi caduti ancora giovani sulle o di fronte alle barricate non avevano ancora pensato a fare testamento, e Simonini era oberato di lavoro – e onusto di prebende. Che bella la pace, se prima c’era stato un lavacro sacrificale. (p.307)

Scorrono gli anni dunque, fino a che, nel 1876, ecco suonare un anziano uomo in abito talare: padre Bergamaschi! Il vecchio precettore si mostra informato su tutte le attività da lui svolte dalla morte del nonno. Ora, placatasi la situazione e prossima all’avvento in Russia una campagna antiebraica, anticipata dall’uscita di un opuscolo contenente riferimenti a una riunione di rabbini al cimitero di Praga, gli chiede di sdebitarsi con i gesuiti… Dovrà quindi riprendere il racconto del cimitero di Praga e aggiornarlo al presente, calcando la mano sulle mire e sul potere machiavellico ebraico…

Mentre così rifletteva, un giorno del 1876 aveva sentito suonare da basso e sulla porta si presentava un signore anziano in abito talare. Simonini aveva dapprima pensato che fosse il solito abate satanista che veniva a far commercio di ostie consacrate, poi, guardandolo meglio, sotto quella massa di capelli ormai bianchi ma sempre ben ondulati, aveva riconosciuto dopo quasi trent’anni anni padre Bergamaschi. (pp.307-308)
Tu devi ora lavorare per fare del discorso del rabbino un altro documento, più articolato, e con più riferimenti alle faccende politiche del momento. Riguardati il libello di Joly. Bisogna far venir fuori, come dire, il machiavellismo ebraico, e i piani che hanno per la corruzione degli Stati. (p.310)

A poco a poco ecco così comparire una serie di documenti ad opera dei gesuiti… Il cimitero di Praga però, spiega Bergamaschi, dovrà uscire più avanti, per non ingolfare di notizie le menti dei lettori…

Ed ecco che nel luglio del 1878 usciva un numero del Contemporain dove erano riportati i ricordi di padre Grivel, che era stato confidente di Barruel, molte notizie che Simonini conosceva per altra fonte, e la lettera del nonno. – Il cimitero di Praga seguirà dopo, aveva detto padre Bergamaschi. (p.311)

Ecco dunque Simone rimetter mano alla lettera inviata dal nonno a Barruel, al libro di Joly, alle farneticazioni di Gougenot e di Brafmann… A poco a poco, passando a Bergamaschi solo le parti “religiose” del testo che va componendo, il falsario decide di scrivere non un discorso, ma una serie di discorsi, che chiama Protocolli, afferenti aspetti diversi della società, da poter vendere poi a diversi acquirenti ma collegabili tra loro…

Non doveva preparare una sola scena nel cimitero di Praga e un solo discorso del rabbino, ma diversi discorsi, uno per il curato, l’altro per il socialista, uno per i russi, l’altro per i francesi. […]
[…]e si guardava bene di mostrare tutto a padre Bergamaschi, perché per lui filtrava solo i testi di carattere più spiccata-mente religioso. (p.313)

Dopo la pubblicazione della lettera del nonno sull’organo di stampa dei gesuiti, Contemporain, Goedsche scrive a Simone intimandogli di non pubblicare null’altro sull’argomento e di incontrarsi. Viceversa avrebbe informato Joly del plagio subito… Ne informa Bergamaschi che fa uccidere Goedsche dai gesuiti tedeschi, incaricandolo di eliminare Joly…

Allarmato, Simonini aveva subito contattato padre
Bergamaschi il quale aveva detto: – Tu occupati di Joly e noi ci occuperemo di Goedsche. (p.315)

E così, acquistata una pistola, Simone si reca a casa dello scrittore idealista uccidendolo e facendo passare l’omicidio come suicidio, essendo peraltro egli depresso e sconfortato per via dei continui insuccessi politici…

Tranquillamente, mentre quello, interdetto, iniziava a leggere, Simonini gli era passato dietro, gli aveva appoggiato la canna della pistola alla testa e aveva sparato. (p.317)
Nessuno avrebbe potuto sospettare che quello di Joly non fosse un suicidio. (p.318)

19 – OSMAN BEY p.321
11 aprile 1897, sera

Scomparsi di scena Joly e Goedsche, Simone riprende in mano i Protocolli Praghesi, conscio di dover scrivere qualcosa di inedito, avendo il Contemporain nel frattempo pubblicato il dialogo del Cimitero di Praga come rapporto dell’inglese John Readcliffe…

Non più ricattato né da Joly né da Goedsche, potevo ora lavorare ai miei nuovi Protocolli Praghesi (così almeno li desi-gnavo). E dovevo ideare qualcosa di nuovo perché ormai la mia vecchia scena del cimitero di Praga era diventata un luogo comune quasi romanzesco. Qualche anno dopo la lettera di mio nonno, il Contemporain pubblicava il discorso del rabbino come rapporto veritiero fatto da un diplomatico inglese, tale Sir John Readcliff. (p.321)

In continua ricerca di nuove notizie, Bergamaschi lo indirizza a tale Osman Bey, scrittore di libelli antigiudaici ora in Francia per conto dei russi per studiare l’Alliance Israelite… Simone chiede informazioni su costui ad Hébuterne, il quale gli conferma la presenza dell’uomo in Francia e la volontà di tenerlo alla larga dall’Alliance, con la quale al momento il Governo è in buoni rapporti… Una settimana dopo è lo stesso Bay a lasciargli un biglietto per un incontro…

Ed ecco che avevo due buone ragioni per incontrare questo Osman Bey, da un lato per vendergli ciò che potevo sugli ebrei, dall’altro per tenere Hébuterne al corrente sui suoi movimenti. E dopo una settimana Osman Bey si era fatto vivo infilando un biglietto sotto la porta del mio negozio e lasciandomi l’indirizzo di una pensione nel Marais. (p.323)

Girando di notte in carrozza per non farsi ascoltare da orecchie indiscrete come voluto da Bey, Simone può chiedere allo straniero informazioni su tale Hippolyte Lutostansky, scrittore di un recente libro sul Talmud e sugli ebrei come comunicatogli da Bergamaschi… Per nulla affidabile, sifilitico e pedofilo, liquida Bey il Lutostansky… Bey taglia corto sulle informazioni che Simone gli fornisce sul Cimitero di Praga, proponendogli un patto per smascherare il legame intercorrente tra l’Alliance e la massoneria. Lui fornirà informazioni sulla società, mentre Simone dovrà intrufolarsi tra i massoni…

Io cerco solo prove precise dei rapporti tra l’Alliance Israélite e la massoneria e, se è possibile non rinvangare il passato ma prevedere il futuro, dei rapporti tra gli ebrei francesi e i prussiani.
L’Alliance è una potenza che sta gettando una rete d’oro intorno al mondo per possedere tutto e tutti, ed è questo che va provato e denunciato. (p.325)
Allora: voi mi parlate dei massoni e io vi parlo dell’Alliance. (p.326)

20 – DEI RUSSI?
12 aprile 1897, ore 9 di mattina p.327

Simone scrive nel diario a Dalla Piccola, ritenendo di averlo visto rovistare tra le sue carte e di averlo invano inseguito fino in strada, non trovandolo peraltro nel suo alloggio. Sono quindi, evidentemente, due distinte persone…

Caro abate, siamo definitivamente due persone diverse. Ne ho la prova.
Stamane – saranno state le otto – mi ero svegliato (e nel letto mio) e, ancora in camicia da notte, mi ero recato nello studio quando ho intravisto una sagoma nera che tentava di svicolare da basso. Con un colpo d’occhio ho subito scoperto che qualcuno aveva messo in disordine le mie carte, ho afferrato il bastone animato, che per fortuna si trovava a portata di mano, e sono sceso in negozio. Ho intravisto un’ombra scura da corvo di malaugurio uscire in strada, l’ho inseguita e – fosse pura sfortuna, fosse che il visitatore importuno avesse ben predisposto la sua fuga – sono inciampato in uno sgabello che non avrebbe dovuto essere in quel posto.
Col bastone sguainato mi sono precipitato, zoppicante, nell’impasse: ahi, né a destra né a sinistra si vedeva qualcuno.
Il mio visitatore era sfuggito. Ma eravate voi, potrei giurarlo.
Tanto è vero che sono tornato nel vostro appartamento e il vostro letto era vuoto. (p.327)

12 aprile, mezzogiorno

Ma Dalla Piccola nega di esser stato il ficcanaso fuggiasco inseguito al mattino… Anzi, giura di esser stato svegliato dalla presenza di uomo che si è poi dato alla fuga, uomo che ha riconosciuto come il capitano Simonini…

rispondo al vostro messaggio dopo essermi appena svegliato (nel letto mio). Vi giuro, io non potevo essere da voi questa mattina perché dormivo. Ma appena alzato, e saran state le undici, sono stato terroriz-zato dall’immagine di un uomo, certamente voi, che fuggiva per il corridoio dei travestimenti. Ancora in camicia da notte vi ho inseguito sino nel vostro appartamento, vi ho visto scendere come un fantasma nel vostro immondo negozietto e infilare la porta. Ho inciampato anch’io in uno sgabello e, quando sono uscito nell’impasse Maubert, di colui si era persa ogni traccia. Ma eravate voi, potrei giurarlo, ditemi se ho indovinato, per carità… (p.328)

12 aprile, primo pomeriggio

Simonini replica a Dalla Piccola… Le persone in ballo potrebbero essere tre, o addirittura quattro. E la cosa non risolve il dilemma sull’identità dell’abate… Lo avverte tuttavia che, la prossima volta, non esiterà a colpire l’eventuale intruso…

Più verosimile l’ipotesi che le persone in gioco fossero tre.
Un misterioso signor Mystère si introduce da me di primo mattino, e io ho creduto che foste voi. Alle undici lo stesso Mystère si introduce da voi e voi credete che sia io. Vi pare così incredibile, con tutte le spie che ci sono in giro?
Ma questo non ci conferma che siamo due persone diverse. (p.330)

12 aprile, sera

Dalla Piccola dichiara di essersi svegliato nel pomeriggio e di essersi ricordato di una pistola consegnatagli in passato da tale dottor Bataille per difendersi da agguati di massoni… Verso le sei, scorto un uomo avanzare lentamente con una candela in mano nel corridoio dei travestimenti, ha fatto fuoco uccidendolo con un sol colpo al cuore… uno slavo dai lineamenti… Fattosi coraggio, lo ha portato nel canale che conduce alle fogne, scoprendo con raccapriccio il corpo mummificato del Dalla Piccola originale unitamente alla presenza di due altri cadaveri in decomposizione: quello di un prelato e quello di una donna…

Ho visto una sagoma scura venire verso di me, un uomo che andava avanti curvo, munito solo di una piccola candela; avreste potuto essere voi, mio Dio, ma avevo perso la testa; ho sparato e quello è caduto ai miei piedi senza più muoversi.
Era morto, un solo colpo, al cuore. Io che tiravo per la prima volta, e spero l’ultima, in vita mia. Che orrore.
Gli ho frugato nelle tasche: aveva solo delle lettere scritte in russo. (p.331)
La seconda è che accanto al presunto Dalla Piccola ho trovato altri due corpi, uno di un uomo in abito talare, l’altro di una donna seminuda, entrambi in via di decomposizione, ma nei quali mi è sembrato di riconoscere qualcuno che mi era assai familiare. (p.332)

12 aprile, notte

Sceso a controllare, Simone constata l’effettiva presenza di quattro cadaveri… Chi ha accesso alle loro dimore?…

Caro abate, io non vado in giro ad ammazzare la gente –
almeno, non senza motivo. Ma sono sceso a controllare nella fogna, dove non discendevo da anni. Buon Dio, i cadaveri sono davvero quattro. Uno ve l’ho messo io, secoli fa, l’altro ce l’avete messo voi proprio questa sera, ma gli altri due?
Chi frequenta la mia cloaca e la dissemina di salme?
I russi? Che cosa vogliono i russi da me – da voi – da noi? (p.332)

21 – TAXIL p.333

Dal diario del 13 aprile 1897

Ma chi può essere ad intrufolarsi in casa? I Russi (Rachkovskij)? I massoni in cerca di documenti compromettenti che li riguardano?…

Da quando i russi erano sulle sue tracce?
O non erano stati i massoni? Doveva aver fatto qualcosa capace di irritarli, forse cercavano a casa sua dei documenti compromettenti che egli aveva su di loro. In quegli anni cercava di contattare l’ambiente massonico, sia per soddisfare Osman Bey sia a causa di padre Bergamaschi […]. (p.333)

Ad entrare in una loggia ci ha pensato a lungo Simonini, preferendo infine vivere tranquillamente come notaio pubblicamente noto come spia, notaio cui tutti si rivolgono pagando cifre astronomiche credendo così di averlo inserito sul libri paga per notizie segrete…

Meglio non possedere nessun segreto e far credere di possederne. (p.335)

Contattare dunque un massone che possa temere di essere ricattato è il suo obiettivo primario… Il nome giusto è quello di tale Taxil, con cui ricordava vagamente di aver avuto a che fare…

Chi contattare che, senza essere direttamente ricattato, potesse temere un ricatto? Il primo nome che gli era balzato in mente era quello di Taxil. Ricordava di averlo conosciuto quando gli aveva fabbricato certe lettere (di chi? a chi?) e lui gli aveva parlato con un certo sussiego della sua adesione alla loggia Le Temple des amis de l’honneur français. Era Taxil l’uomo giusto? Non voleva fare passi falsi ed era andato a chiedere informazioni a Hébuterne. (p.335)

A fornirgli informazioni dettagliate è Hébuterne… Simone può così riannodare i fili della memoria, ricordando opere anticlericali e filo repubblicane stampate dal millantatore e truffatore, diffusore di notizie false ed ex massone, che decide di incontrare sotto le mentite spoglie di notaio Fournier…

Con un personaggio del genere Simonini non aveva voluto compromettersi. Aveva deciso di presentarsi come notaio Fournier[…] (p.338)

Durante il colloquio, Simone gli chiede apertamente informazioni su come entrare in una loggia, a capo di una delle quali,scopre, è Hébuterne… Taxil inizia una serie di racconti al limite dell’incredibile, giustificando la sua mancanza di discrezione come dovuta all’odio nei confronti degli ex confratelli che l’hanno espulso per aver prodotto false lettere di Hugo e Blan a sostegno di un giornale da lui fondato… Simone ricorda allora di esser stato l’autore di suddette lettere… Ecco quindi una fonte inesauribile per notizie da passare ad Osman Bey!…

Ecco, ora Simonini si ricordava del momento in cui aveva fabbricato, come Simonini, le due lettere di Hugo e Blanc.[…]
Quello che contava era che Taxil professava un odio profondo nei confronti dei suoi ex compagni di loggia.
Simonini aveva subito capito che, stimolando la vena narrativa di Taxil, avrebbe raccolto materiale piccante per Osman Bey. Ma era anche sbocciata nella sua mente fervidissima un’altra idea, dapprima ancora solo un’impressione, il germe di una intuizione, poi quasi un piano rifinito in tutti i suoi dettagli. (p.341)

Gli propone quindi, in un successivo incontro, di scrivere dietro compenso le sue memorie di ex massone…

[…]gli aveva chiesto se, per un dignitoso compenso, non avrebbe scritto per qualche editore le sue memorie di ex massone. A sentir parlare di compenso, Taxil si era mostrato favorevo-lissimo all’idea. Simonini gli aveva dato un nuovo appuntamento, e si era recato subito da padre Bergamaschi.(p.342)

Simone si reca quindi da Bergamaschi, prospettandogli un propagandista eccellente per i gesuiti una volta fattolo convertire al cattolicesimo e rinnegare quanto di anticlericale in precedenza scritto… Bergamaschi ci pensa su, poi accetta dando mandato a Simone di corrompere Taxil con cinquantamila franchi per la finta conversione… Esperto doppiogiochista, Simone si reca quindi da Hébuterne per informarlo di un piano dei gesuiti per convertire Taxil e sfruttarlo per pubblicazione antimassoniche. Ma il capo si mostra ben felice di eventuali scritti antimassonici ad opera di un espulso megalomane, spuntando così le armi della propaganda cattolica…

Basterebbe che Taxil si convertisse al cattolicesimo, sconfessasse tutte le sue opere antireligiose, e iniziasse a denunciare tutti i segreti del mondo massonico, e voi gesuiti avreste al vostro servizio un propagandista implacabile. (p.342)

Simonini non era sicuro che l’affare potesse andare in porto, così si era premunito andando da Hébuterne e raccontandogli che c’era un complotto gesuita per convincere Taxil a diventare antimassone. (p.342)

Per libri di Taxil, gli fa sapere qualche giorno dopo, il Grande Oriente è disposto a spendere ben centomila franchi!… Offrendo settantacinquemila franchi al Taxil, l’altra metà sarebbe rimasta nelle proprie tasche…

Insomma, nei nostri ambienti non dispiacerebbe che una persona già squalificata da tempo, notoriamente espulso dalla massoneria, platealmente voltagabbana, iniziasse una serie di libelli violentemente diffamatori contro di noi. Sarebbe un modo per spuntare le stesse armi del Vaticano, spingendolo dalla parte di un pornografo. Accusate un uomo di omicidio e potreste essere creduto, accusatelo di mangiare bambini a pranzo e a cena come Gilles de Rais e nessuno vi prenderà sul serio. Riducete l’antimassoneria a livello del feuilleton e l’avrete ridotta a soggetto di colportage. Ebbene sì, abbiamo bisogno di persone che ci seppelliscano nel fango.[…]
Centomila franchi. Ma che si tratti davvero di spazzatura. (p.344)

È il 1884 e il papa Leone XIII inizia ad attaccare apertamente la massoneria. Simone comprende quindi di dover accelerare le tappe della “conversione” di Taxil… E così, in breve, ecco apparire i primi libri del convertito, sebbene, spiega il narratore, il diario di Simonini si faccia estremamente confuso e lacunoso, non specificando in particolare chi sia stato a mettere in pratica la suddetta conversione… Libri che da subito generano enorme scalpore, fin dalla semplice descrizione di varie forme di iniziazione dei nuovi adepti… Simone, prima dell’uscita di ogni libro, si recava da Osman Bey per passargli informazioni, notizie che quello non gli pagava perché poi puntualmente pubblicate nei libri di Taxil. Il notaio cessa così di passargli le informazioni, pur non riuscendo mai a ricordare i propri incontri con Taxil…

E, giustamente diffidente, Osman non dava in cambio a Simonini nessuna rivelazione su quello che apprendeva dell’Alliance Israélite.
Col che Simonini aveva smesso di informarlo. Ma il problema, si diceva Simonini mentre scriveva, è: perché ricordo che davo a Osman Bey notizie avute da Taxil ma non ricordo nulla dei miei contatti con Taxil? (p.352)

Interrotta la redazione del diario, Simone scopre di essersi risvegliato da sonno agitato non il giorno seguente, ma due giorni dopo, e che Dalla Piccola ne ha approfittato per raccontare vicende a lui evidentemente non note…

Con quel saggio commento Simonini era andato a dormire, risvegliandosi quella che credeva essere la mattina seguente, tutto sudato come dopo una notte d’incubi e di disturbi gastrici. Ma andando a sedersi al suo scrittoio si era reso conto che non si era svegliato il giorno dopo bensì due giorni dopo. Mentre lui dormiva non una ma due notti agita-te, l’inevitabile abate Dalla Piccola, non contento di disseminare di cadaveri la sua personale cloaca, era intervenuto a raccontare vicende che evidentemente lui non conosceva.(p.353)

22 – IL DIAVOLO AL XIX SECOLO p.355
14 aprile 1897

È dunque Dalla Piccola a proseguire la redazione del diario, affermando di essersi recato da Bergamaschi a prendere il denaro da consegnare a Taxil, previo incontro con Hébuterne. Ma è a nome di Fournier che consegna infine il denaro al Taxil…

Dunque, mi sembra oggi che io incontro prima il signor Hébuterne e poi il padre Bergamaschi. Vado a nome vostro, per ricevere denaro che dovrò (o dovrei) dare a Léo Taxil. Poi, questa volta a nome del notaio Fournier, vado a trovare Léo Taxil. (p.355)

E così eccolo rivedere come in foto la scena di quell’incontro, l’offerta di settantacinquemila franchi per la conversione e la firma di un contratto con il quale si impegna a lasciare il venti per cento dei guadagni sui libri. Interessato dai soldi, ma ancor di più dalla futura fama che dalla conversione gli giungerà, Taxil accetta abbozzando già alcuni progetti di libri e chiedendo però aiuto sull’elaborazione di alcuni racconti…

Basterà che voi firmiate un documento che assicura a me (ovvero alla pia congrega-zione che rappresento) il venti per cento dei vostri diritti futuri, e io vi farò incontrare con chi, dei misteri massonici, ne sa anche più di voi. (p.355)

Lui gli propone allora Diana Vaughan, reclusa presso la clinica del Du Maurier e della quale aveva letto sulle memorie di Simonini. L’abate si reca allora alla clinica come inviato da Simonini, che, effettivamente, anni prima aveva parlato a Du Maurier di un possibile interessamento di un abate suo amico, ottenendo il permesso a far visita alla donna, presto colta da attacchi epilettici… Ben felice di sbarazzarsene, il medico…

Mi sono presentato a Du Maurier ricordandogli che voi gli avevate parlato di me. (p.357)
L’impressione che avevo ricavato da quell’incontro era che certamente il dottore voleva liberarsi di Diana, chiedeva che fosse tenuta praticamente prigioniera, e temeva che avesse contatti con gli altri. Non solo, ma paventava molto che qualcuno prendesse sul serio quello che raccontava, e quindi metteva le mani avanti chiarendo subito che si trattava del delirio di una demente. (p.362)

Dalla Piccola tra seco la ragazza piazzandola nella casa presa in affitto da alcuni giorni ad Auteuil, dove sarà accudita da una avida donna di servizio mezza sorda e abbrutita dall’alcol…

Dichiaratosi cattolico in aprile, Taxil fa uscire il suo primo libro in novembre… E con lui inizia a portare in stato di ipnosi Diana, al fine di trarne il maggior numero di racconti da far mettere all’altro per iscritto. Ben presto l’abate si fa aiutare anche da Boullan…

In aprile Taxil aveva annunciato pubblicamente la sua conversione, e già in novembre era uscito il suo primo libro con scottanti rivelazioni sulla massoneria, Les frères trois-points. (p.363)
Perché per stimolare le memorie e le energie della Diana satanista e luciferiana (e i suoi umori luciferini) avevo ritenuto conveniente metterla in contatto anche con l’abate Boullan. (p.365)
“Boullan ascoltava quello che Diana raccontava – e di cui Taxil prendeva religiosamente nota – ma sembrava perseguire altri fini, e talora sussurrava alle orecchie della ragazza incitamenti o consigli dei quali non coglievamo nulla. Nondimeno ci era utile, perché tra i misteri che della massoneria occorreva svelare, c’era certamente il pugnalamento di ostie sacre e le varie forme di messa nera, e su questo Boullan era un’autorità. Taxil prendeva appunti sui vari riti demoniaci e a mano a mano che i suoi libelli uscivano, si diffondeva sempre più su queste liturgie, che i suoi massoni praticavano a ogni piè sospinto.” (pp.365-366)
Dopo aver pubblicato alcuni libri uno dietro l’altro, quel poco che Taxil sapeva della massoneria si stava ormai esaurendo. Idee fresche gli venivano solo dalla Diana “cattiva” che emergeva sotto ipnosi e, con gli occhi sbarrati, raccontava di scene a cui forse aveva assistito, o di cui aveva sentito dire in America, o che semplicemente s’immaginava. (p.366)

Diana parla spesso di una rivale, tale Sophie Sapho, colei che l’ha messa nelle mani di Du Maurier, presentandola come pazza, per toglierla di mezzo… Dalla Piccola prova allora a saperne di più sulle origini della ragazza, ma il medico si mostra reticente a fornire qualsiasi informazione in merito. Un palladiano anch’egli, sentenzia l’abate, che invano tenta di interrogare anche la ragazza. Un medaglione attira la sua attenzione, ma Diana rifiuta sempre di aprirlo, difendendo quel dono di sua madre…

Dopo quattro anni di campagna antimassonica, Taxil diviene un mito con tanto di convocazione papale…
Hébuterne chiede a Dalla Piccola di moderare la faccenda, ma Bergamaschi lo sollecita invece a proseguire cominciando ad inserire gli ebrei nei libri… Ma né Diana né Taxil vi fanno mai riferimento…

Nel frattempo mi arrivavano anche succinti appunti da padre Bergamaschi: “Va tutto bene, mi pare. Ma gli ebrei?”
Già, padre Bergamaschi aveva raccomandato che si strappassero a Taxil rivelazioni piccanti non solo sulla massoneria ma anche sugli ebrei. E invece sia Diana che Taxil tacevano su quel punto. Per Diana la cosa non mi stupiva, forse nelle Americhe da cui proveniva vi erano meno ebrei che da noi, e il problema le pareva estraneo. Ma la massoneria era popolata di ebrei, e lo facevo presente a Taxil. (p.369)

Dalla Piccola scopre che Taxil è fortemente indebitato con usurai ebrei e che, forse, potrebbe aver tra di essi alcuni parenti, mostrandosi spesso compassionevole verso individui sovente vittime di violenze e discriminazioni…
Così per qualche ragione provava una certa compassione nei confronti degli ebrei, vittime di molte persecuzioni. Diceva che i papi avevano protetto i giudei del ghetto, sia pure come cittadini di seconda categoria. (p.370)

Con il passare del tempo Taxil si monta la testa, invischiandosi nella politica al punto di arrivare a scontrarsi con l’altro esponente dell’antimassoneria e dell’antisemitismo: Drumont!…

In quegli anni si era montato la testa: credendosi ormai l’araldo del pensiero cattolico legittimista e antimassonico aveva deciso di darsi alla politica. Non riuscivo a seguirlo in quelle sue macchinazioni, ma si era candidato in qualche consiglio comunale a Parigi ed era entrato in concorrenza, e in polemica, con un giornalista importante come Drumont[…] (p.370)

I due si combattono a suon di libelli e per Drumont è facile insinuare dubbi su un voltagabbana come Taxil che, per di più, continua a vendere i suoi vecchi libri anticlericali e si mostra velatamente filoebraico!… Dalla Piccola prova allora a convincerlo a scrivere qualcosa di antisemita e l’altro accetta purché non compaia in prima persona…
Taxil ricorre allora ai servigi di un suo vecchio amico, tale Charles Hacks, alcolizzato senza un soldo ma dalla fantasia sterminata, che accetta di raccontare quanto di sua conoscenza. A scrivere, sotto lo pseudonimo di Bataille e mescolandovi anche i racconti di Diana e di Boullan (per la parte relativa al satanismo), è lo stesso Taxil… Nasce così, nel 1892, un’opera mastodontica da 240 fascicoli dal titolo Le diable au XIX siecle…

Taxil aveva scoperto, o ritrovato, un vecchio amico, un medico della marina che aveva molto viaggiato in paesi esotici, ficcando qua e là il naso nei templi delle varie conventicole religiose, ma che soprattutto aveva una cultura sterminata nel campo dei romanzi d’avventure[…]
L’uomo ritrovato da Taxil era il dottor Charles Hacks: si era laureato sul parto cesareo, aveva pubblicato qualcosa sulla marina mercantile ma non aveva ancora sfruttato il suo talento narrativo. Pareva in preda a etilismo acuto ed era palesemente senza un soldo. Da quel che ho capito dai suoi discorsi stava per pubblicare un’opera fondamentale contro le religioni e il cristianesimo come “isteria della croce”, ma di fronte alle proposte di Taxil era pronto a scrivere un migliaio di pagine contro gli adoratori del diavolo, a gloria e difesa della chiesa.
Ricordo che nel 1892 avevamo iniziato, per un insieme di 240 fascicoli che si sarebbero susseguiti per circa trenta mesi, un’opera monstreintitolata Le diable au XIXe siècle (p.372)
Come da programma, l’opera non conteneva nulla che non fosse già stato scritto altrove: Taxil o Bataille avevano saccheggiato tutta la letteratura precedente, e avevano costruito un calderone di culti sotterranei, apparizioni diaboliche, rituali agghiaccianti, ritorno di liturgie templari col solito Bafometto, e via dicendo. Anche le illustrazioni erano copiate da altri libri di scienze occulte, i quali già si erano copiati tra loro. (p.373)

Si lavorava in modo frenetico: Hacks-Bataille, dopo abbondanti dosi di assenzio, raccontava a Taxil le sue invenzioni e Taxil le trascrive-va, abbellendole, oppure Bataille si occupava dei particolari che riguardavano la scienza medica, o l’arte dei veleni, e la descrizione delle città e dei riti esotici che aveva davvero visto, mentre Taxil ricamava sugli ultimi deliri di Diana. (p.373)

Dalla Piccola fa inserire anche un fascicolo sugli ebrei…

Al momento opportuno, sotto le mie pressioni, Bataille aveva dedicato un buon capitolo alla presenza degli ebrei nelle sette massoniche, risalendo sino agli occultisti settecenteschi, denunciando l’esistenza di cinquecentomila massoni ebrei federati in modo clandestino accanto alle logge ufficiali, così che le loro logge non portavano un nome ma solo una cifra.
Eravamo stati tempestivi. Mi pare che proprio in quegli anni su qualche giornale si fosse iniziato a usare una bella espressione,antisemitismo. Ci inserivamo in un filone “ufficiale”, la spontanea diffidenza antigiudaica diventava una dottrina, come il cristianesimo o l’idealismo. (p.379)
Così Taxil (coperto da Bataille) da un lato faceva contenti i suoi mandanti ecclesiastici e dall’altro non irritava i suoi creditori ebrei…
Nel 1894 iniziano a sfruttare il filone del palladismo con la figura di un’ex adepta, Diana, che dal 1895 propongono come convertita. La gente vuol leggere il proibito e le rivelazioni della ragazza sono così di un successo strepitoso…

Stanco dal lungo ricordare, Dalla Piccola arresta la scrittura, non riuscendo a fissare nella mente il momento della morte di Boullan…

23 – DODICI ANNI BEN SPESI p.387
Dai diari del 15 e 16 aprile e 1897

Nelle pagine del diario riprende il faticoso scrivere di Simonini che ricostruisce gli stessi anni narrati nel capitolo precedente da Dalla Piccola, ovvero l’arco temporale 1884-1896… È il narratore a dividerne in capitoletti i confusi e disomogenei ricordi…

L’arco di tempo che Simonini ricostruisce (sovente confondendo i tempi ponendo prima quel che secondo ogni verosimiglianza dovrebbe essere accaduto dopo) dovrebbe andare dalla pretesa conversione di Taxil, al ’96 o ’97. (p.387)

Il salotto Adam p.388

Lasciato non si sa come né perché Taxil nelle mani di Dalla Piccola, Simone inizia a frequentare ambienti repubblicani e filomassonici, nello specifico il salotto di Madame Adam, alias Juliette Lamessine, conosciuta grazie a Toussenel nella libreria di rue de Beaune…

Simonini ricorda come, dopo aver spinto Taxil sulla via della conversione (e perché mai, poi, Dalla Piccola glielo avesse per così dire tolto di mano, non lo sa), aveva deciso – se non proprio di affiliarsi alla massoneria – di frequentare ambienti più o meno repubblicani dove, immaginava, di massoni ne avrebbe trovati a iosa. E grazie ai buoni uffici di chi aveva conosciuto nella libreria di rue de Beaune, e in particolare di Toussenel, era stato ammesso a frequentare il salotto di quella Juliette Lamessine, ormai divenuta signora Adam, moglie quindi di un deputato della sinistra repubblicana, fondatore del Crédit Foncier e poi senatore a vita. (p.388)

Un salotto che vede spesso come argomento di dibattito l’antigiudaismo…

Né era chiaro da dove provenisse la polemica antigiudaica che animava sovente le conversazioni del salotto. (p.389)

Lavorare per l’Ochrana p.392

Simonini inizia a “corteggiare” Juliana Glinka, la russa mistica e antisemita frequentatrice del salotto Adam e, probabilmente, al soldo dell’Ochrana, la polizia segreta russa, e in contatto con il suo massimo esponente dei servizi segreti: Rachkovskij. Il fine? Quello di venderle materiale antigiudaico…

Simonini aveva subito individuato nella Glinka il suo possibile cliente. Aveva iniziato a sederle accanto, facendo-le una corte discreta[…]
Era dunque un soggetto a cui offrire materiale antigiudaico adattato alle sue inclinazioni esoteriche. Tanto più che correva voce che Juliana Glinka fosse nipote del generale Orzheyevskij, una figura di un certo rilievo nella polizia segreta russa, e cheattraverso di lui fosse stata in qualche modo assoldata dalla Okhrana, il servizio segreto imperiale – e in tale veste era collegata (non si capiva se come dipendente, collaboratrice o concorrente diretta) al nuovo responsabile di tutte le investi-gazioni all’estero, Pyotr Rachkovskij. (pp.392-294)

Eccolo quindi redigere un nuovo rapporto modificando il vecchio racconto sul Cimitero di Praga, resoconto che la donna gira allo zio che ne trarrà ben due opuscoli…

Bisognava accomodare ai gusti della Glinka la scena del cimitero di Praga, eliminando le lungaggini sui progetti economici e insistendo sugli aspetti più o meno messianici dei discorsi rabbinici. (p.394)

Lautamente ricompensato, a fatica Simone riesce ad evitare le avances sessuali della Glinka che, da allora, perde di vista. Ma un giorno, entrato al Cafè de la paix, eccolo imbattersi nella donna che lo presenta a Rachkovskij, uomo con il quale stava animatamente discutendo al momento del suo ingresso nel locale…

Ma un giorno, entrando al Café de la Paix per un semplice déjeuner à la fourchette (cotolette e rognone alla griglia) Simonini l’aveva incrociata a una tavola, seduta con un borghese corpulento e dall’aspetto abbastanza volgare, col quale stava discutendo in uno stato di evidente tensione. Si era arrestato per salutare, e la Glinka non aveva potuto evitare di presentarlo a quel signor Rachkovskij, il quale lo aveva guardato con molto interesse. (p.396)

Qualche tempo dopo ecco proprio Rachkovskij piombare al mattino nel suo studio e, dopo un’introduzione sull’Ochrana, chiedergli di fornirgli valido materiale, non spazzatura come quella rifilata alla Glinka, per consentirgli di indirizzare l’odio del popolo russo verso gli ebrei, nemico presente e visibile, e non in futuro verso lo zar…

Ultimamente ci siamo resi conto che tra i terroristi militano alcuni intellettuali ebrei. Su mandato di alcune persone alla corte dello zar cerco di mostrare che a minare la tempra morale del popolo russo e a minacciarne la stessa sopravvivenza vi siano gli ebrei. (p.398)
Dunque gli occorre un nemico. Inutile andare a cercare il nemico, che so, tra i mongoli o tra i tartari, come hanno fatto gli autocrati di un tempo. Il nemico per essere riconoscibile e temibile deve essere in casa, o alla soglia di casa. Ecco perché gli ebrei. La divina provvidenza ce li ha dati, usiamo-li, perdio, e preghiamo perché ci sia sempre qualche ebreo da temere e da odiare. Occorre un nemico per dare al popolo ce li ha dati, usiamo-li, perdio, e preghiamo perché ci sia sempre qualche ebreo da temere e da odiare. Occorre un nemico per dare al popolo una speranza. (p.399)

Drumont p.400

Preoccupato su cosa poter fornire al pericoloso committente russo, Simone finisce per confidarsi con padre Bergamaschi che lo indirizza da Drumont, appena uscito nelle librerie con un libro di enorme successo, La France juive…

Simonini era rimasto preoccupato da quel colloquio.
Rachkovskij aveva l’aria di parlare sul serio, se lui non gli dava materiale inedito si sarebbe “irritato”.
[…]
Si era confidato con padre Bergamaschi, il quale stava anche lui assillandolo per aver materiale antimassonico.
– Guarda questo libro, gli aveva detto il gesuita. È La France juive di Édouard Drumont. Centinaia di pagine.
Ecco uno che evidentemente ne sa più di te. (p.400)

Grazie ad Alphonse Daudet, conosciuto al salotto Adam, Simone riesce così ad entrare in contatto con Drumont, divenendone assiduo frequentatore…

E negli anni seguenti Simonini aveva preso a frequentarlo, dapprima presso la Ligue Antisémitique che aveva fondato, poi nella redazione del suo giornale, La Libre Parole. (p.401)

Simonini era affascinato dal rancore antigiudaico di Drumont. Egli odiava gli ebrei, come dire, per amore, per elezione, per dedizione – per un impulso che sostituiva quello sessuale. (p.401)

Qualche bomba p.410

Prima ancora di entrare in contatto con Drumont, scrive Simonini, Hébuterne lo ha convocato per sollecitare Dalla Piccola a far calare d’intensità gli attacchi antimassonici di Taxil… Poi, contrariamente al passato, lo informa dell’antiebraismo che caratterizza ora la politica francese. Dovrà reperire informazioni ma, soprattutto, mettersi intanto in contatto con Gaviali, da poco evaso dalla Cayenna…

Prima ancora di poter avvicinare Drumont pare però che Simonini fosse stato convocato nella solita navata di Notre Dame da Hébuterne. (p.410)
Simonini non capiva ancora che cosa, ora che gli ebrei borghesi erano diventati troppo invadenti, Hébuterne cercasse su di loro. Alla domanda, Hébuterne aveva risposto con un gesto vago.
Non lo so. Dobbiamo soltanto fare attenzione. Il problema è se dobbiamo fidarci di questa nuova categoria di ebrei. (p.412)

Lo abbiamo individuato: fa lo straccivendolo a Clignancourt. Perché non lo ricuperate? (p.413)

Trovato Gaviali in una infima locanda, quello mostra di sapere del tradimento subito ma, reso saggio dalla prigione, si palesa felice di accettare l’offerta di fabbricare bombe dietro compenso…

– Voglio bombe da voi, Gaviali, non so ancora quali, e dove.
Ne parleremo al momento giusto. Posso promettervi denaro, un colpo di spugna sul vostro passato, e nuovi documenti. (p.415)

I due vengono incaricati da Hébuterne di far esplodere una bomba nel locale frequentato dal deputato filoanarchico Laurent Tailhade… Impeccabile l’esecuzione che porta alla perdita di un occhio, e della reputazione, del deputato…

Cosa dovesse fare Gaviali l’aveva detto Hébuterne più tardi a Simonini.[…]Bisogna dare una pubblica lezione a questi intellettuali che non pagano mai dazio.
La lezione doveva essere organizzata da Simonini, e da Gaviali. Poche settimane dopo, da Foyot, proprio nell’angolo dove Tailhade andava a consumare i suoi pasti costosi, era scoppiata una bomba, e Tailhade ci aveva rimesso un occhio (Gaviali era davvero un genio, la bomba era concepita in modo che la vittima non dovesse morire ma dovesse essere ferita quanto bastava). I giornali governativi avevano avuto buon gioco a scrivere commenti sarcastici del tipo: “E allora, monsieur Tailhade, il gesto è stato bello?” Bel colpo per il governo, per Gaviali e per Simonini. E Tailhade, oltre all’occhio, ci aveva rimesso la reputazione. (pp.416-417)

Altri incarichi sono affidati a Simonini. Tra questi, per distogliere l’attenzione da pericolosi ritorni di fiamma sul caso del canale di Panama, l’organizzazione di sommosse capaci di monopolizzare l’attenzione dell’opinione pubblica…

In quegli stessi anni Hébuterne aveva affidato a Simonini altri incarichi. Lo scandalo di Panama stava ormai cessando d’impressionare l’opinione pubblica, perché le notizie, quando sono sempre le stesse, dopo un poco vengono a noia […]
Bisognava distogliere l’attenzione pubblica dai cascami di quella storia ormai invecchiata, e Hébuterne aveva domandato a Simonini di organizzare qualche bella sommossa, capace di occupare le prime pagine delle gazzette. (p.417)

Su imbeccata di Rachkovkij, Simone si reca allo Chateau-Rouge, in cerca di tale Fayolle, al fine di assoldare studenti da sfruttare per organizzare sommosse a comando… Il vecchio alcolizzato e cacciatore di feti ed embrioni negli ospedali (da rivendere agli studenti), lo informa del malcontento dei giovani verso il senatore Berenger, reo di voler reprimere spogliarelli di studentesse… I ragazzi sono pronti a manifestare sotto casa del politico e, con pochi soldi, lui potrà assoldare altra marmaglia per il giorno e l’ora da comunicare poi ad Hébuterne…

Per una modica somma Fayolle avrebbe pensato a tutto. Simonini non aveva che a informare Hébuterne del giorno e dell’ora. (p.419)

Tutto va come stabilito e la protesta si trasforma presto in sommossa, occupando le prime pagine dei giornali e facendo dimenticare per sempre Panama…

In breve, dalla protesta fracassona si era passati alla sommossa e dalla sommossa a un accenno di rivoluzione. Di che preoccupare le prime pagine dei giornali per un bel pezzo, e addio Panama. (p.421)

Il bordereau p.421

Il 1894 è l’anno in cui Simone incassa la cifra maggiore. Il caso è dovuto alla volontà di Drumont di smascherare le spie ebree presenti in massa nell’esercito…

L’anno in cui Simonini aveva guadagnato più denaro era stato il 1894. La cosa era accaduta quasi per caso, anche se il caso deve essere sempre un poco aiutato.
In quei tempi si era acuito il risentimento di Drumont per la presenza di troppi ebrei nell’esercito. (p.421)
Io sono convinto che la maggior parte degli ufficiali ebrei costituisca una rete di spie prussiane, ma mi mancano le prove, le prove.
Trovatele! gridava ai redattori del suo giornale. (p.422)

A contattarlo al fine di creare un falso documento che testimoni il passaggio di notizie ai prussiani, è un ambiguo ufficiale oberato di debiti, tale Esterhàzy. Sfrutteranno così un ufficiale ebreo, facendo ritrovare la carta del messaggio nel cestino che una spia presente all’ambasciata tedesca di Parigi pulisce, tale Madame Bastian…

Capitan Simonini, il nostro amico Drumont va alla ricerca di prove che non troverà mai. […]
Il problema politico è dimostrare che ci sono. Conver-rete che, per inchiodare una spia o un cospiratore, non è necessario trovare delle prove, è più facile e più economico costruirle, e se possibile costruire la stessa spia. Dunque, nell’interesse della nazione, noi dobbiamo scegliere un ufficiale ebreo, abbastanza sospettabile per qualche sua debolezza, e mostrare che ha trasmesso informazioni importanti all’ambasciata tedesca a Parigi. (p.423)

Ora, all’ambasciata lavora per noi una Madame Bastian che fa i servizi di puli-zia, e che si finge analfabeta, mentre sa persino leggere e capire il tedesco. È suo compito svuotare ogni giorno i cestini della carta straccia negli uffici dell’ambasciata, e quindi trasmetterci note e documenti che i prussiani (voi sapete quanto siano ottusi) credevano condannati alla distruzione. Dunque si tratta di produrre un documento in cui un nostro ufficiale annunci notizie segretissime sugli armamenti francesi. A quel punto si supporrà che l’autore debba essere qualcuno che ha accesso a notizie riservate, e lo si smaschererà. Ci serve dunque un appunto, una piccola lista, chiamiamolo unbordereau. Ecco perché ci rivolgiamo a voi che in materia, ci dicono, siete un artista. (p.424)

La calligrafia da imitare sarà quella dell’ebreo alsaziano Alfred Dreyfus… Sarà poi Drumont a soffiare sul fuoco dello scandalo…

Immagino che dovrei riprodurre la calligrafia di una persona precisa.
Abbiamo già individuato il candidato ideale. È un certo capitano Dreyfus, alsaziano, ovviamente, che sta prestan-do servizio alla Sezione come stagista. (p.424)

È il colonnello Sandherr, ai primi di ottobre, a fornirgli copia di uno scritto di Dreyfus e tutto il materiale occorrente alla fabbricazione del falso… E il falsario non si smentisce, presentando ai committenti un eccelso lavoro…

Il 15 ottobre il capitano ebreo viene arrestato, ma la notizia resta segreta con sole poche indiscrezioni a titillare la fantasia dei giornalisti… È a novembre che il colonnello autorizza Esterhazy a passare la notizia a Dreyfus che inizia subito la sua campagna ai danni di Dreyfus e degli ebrei… Ma Simone nota che la calligrafia che il colonnello gli ha fatto imitare è quella di Esterhazy… Che si sia trattato di un errore?…

Appena autorizzato da Sandherr, Esterházy aveva subito informato Drumont, che percorreva le stanze della redazione agitando il messaggio del comandante e gridando: “Le prove, le prove, ecco le prove!”
La Libre Parole del primo novembre intitolava a caratteri cubitali: “Alto tradimento. Arresto dell’ufficiale ebreo Dreyfus”. La campagna era cominciata, la Francia tutta ardeva d’indignazione.
Ma quella mattina stessa a Simonini, mentre in redazione si stava brindando al lieto evento, era caduto l’occhio sulla lettera con cui Esterházy aveva dato notizia dell’arresto di Dreyfus. Era rimasta sul tavolo di Drumont, macchia-ta dal suo bicchiere, ma leggibilissima. E all’occhio di Simonini, che aveva passato più di un’ora a imitare la presunta calligrafia di Dreyfus, appariva chiaro come il sole che quella calligrafia, su cui si era così bene esercitato, era simile in tutto e per tutto a quella di Esterházy. Nessuno come un falsario ha maggior sensibilità per queste cose.
Cosa era accaduto? Sandherr, invece di dargli un foglio scritto da Dreyfus, gliene aveva dato uno scritto da Esterházy?
Possibile? Bizzarro, inspiegabile, ma irrefutabile. L’aveva fatto per errore? Di proposito? Ma in tal caso perché?
(pp.427-428)

Rischiando molto, Simone riesce infine a farsi ricevere dal colonnello e a convincerlo a confrontare le tre calligrafie, inclusa quella recuperata di Dreyfus… Incredibilmente le calligrafie sono simili, ma solo un esperto potrebbe riconoscerle differenti e il generale Mercier non lo è di certo. Facendo sparire gli scritti di Esterhàzy non si potrà procedere oltre, suggerisce Simone che riceverà un compenso ancor più elevato…

Mercier apre un’inchiesta e un noto esperto di calligrafia sentenzia che Dreyus ha alterato da sé la propria calligrafia. Chi lo avrebbe smentito, data la proporzione assunta dal caso sulla stampa?… Simone gongola per il clamore generato da una sola ora del proprio lavoro…

Sandherr era ricorso a un esperto calligrafo famoso, Bertillon, che aveva rilevato, sì, che la calligrafia del bordereau non era proprio uguale a quella di Dreyfus, ma si trattava di un caso evidente di autofalsificazione: Dreyfus aveva alterato (per quanto solo parzialmente) la sua scrittura per far credere che la lettera l’avesse scritta qualcun altro. Malgrado questi dettagli trascurabilissimi il documento era sicura-mente di mano di Dreyfus.
Chi avrebbe osato dubitarne, quando ormai La Libre Parole ogni giorno martellava l’opinione pubblica avanzan-do persino il sospetto che l’affaire si sarebbe sgonfiato perché Dreyfus era ebreo e sarebbe stato protetto dagli ebrei?
(pp.429-430)
E Simonini considerava estasiato i rumorosi risultati di una sola ora del suo lavoro di scrivano. (p.431)

Il 22 dicembre Dreyfus viene riconosciuto colpevole e in gennaio sottoposto a pubblica degradazione. Alla cerimonia assiste anche Simone che non resta minimamente scosso dall’ingiusta sorte di un innocente, condannato per un atto fabbricato dalla sua mano… Esorbitante, del resto, il compenso per quel falso…

Tenendo d’occhio Taxil p.435

Per anni Drumont conduce una dura battaglia anche con Taxil, che da sempre ha considerato un cialtrone e arrivando a metter in dubbio l’effettiva esistenza di Diana… Ed ecco che il giornalista riesce infine a rintracciare Bataille e a farlo confessare… Sconfitto Taxil, eccolo unico padrone della scena antimassonica e antiebraica parigina…

Drumont non mancava di buone conoscenze in vari ambienti, e di fiuto giornalistico, Simonini non capiva come avesse fatto, ma era riuscito a scovare Hacks-Bataille, probabilmente lo aveva sorpreso durante una delle sue crisi etiliche, in cui sempre più inclinava alla melanconia e al pentimento, ed ecco il colpo di scena: Hacks, prima su la Kölnische Volkszeitung e poi sulla Libre Parole confessava il suo falso. (p.440)

Drumont trionfava. Taxil era sistemato, la lotta antimassonica e quella antigiudaica tornavano in mani serie. (p.441)

24 – UNA NOTTE A MESSA p.443
17 aprile 1897

Dalla Piccola riprende il proprio resoconto… Probabilmente, scrive, hanno vissuto vicende separatamente negli stessi anni…

Caro capitano,
le vostre ultime pagine assommano un’incredibile quantità di eventi, ed è chiaro che mentre voi vivevate quelle vicende io ne vivevo altre.
Ed evidentemente voi eravate informato (e per forza, col chiasso che facevano Taxil e Bataille) di quanto accadeva intorno a me, e forse ne ricordate più di quanto non riesca a ricostruire io. (p.443)

Non riesce però proprio a ricordare quando abbiano eliminato di preciso Boullan… Forse neanche un anno dopo l’inizio delle pubblicazioni de Le Diable… Una sera, questo lo rammenta, l’abate si è presentato in pessimo stato dichiarando di essere ormai morto, da anni sotto mira di Stanislas de Guaita e di Josephin Peladan, membri della setta dei rosa croce. Guaita in particolare, dopo averlo espulso dal movimento, avrebbe iniziato a perseguitarlo con sortilegi e vodoo…

Boullan è venuto una sera ad Auteuil, stravol-to, tergendosi continuamente con un fazzoletto le labbra su cui si addensava una spuma biancastra.
Sono morto, ha detto, mi stanno uccidendo. […]
Ci aveva già raccontato dei suoi pessimi rapporti con Stanislas de Guaita e il suo ordine kabbalistico della Rosa Croce, e con quel Joséphin Péladan che poi, in spirito di dissidenza, aveva fondato l’ordine della Rosa Croce Cattolica – personaggi di cui ovviamente Le Diable si era già occupato. (p.443)

Taxil gli suggerisce allora di fingersi morto e di indirizzare lettere agli amici in cui esterna la sua ansia e la sua paura di Guaita e Peladan. Boullan esegue e così eccolo ospitato nella casa di Ateuil dove i suoi resoconti vengono inseriti nella collana de Le diable. L’uomo è però sempre più morbosamente attratto da Diana…

Crollato il sistema de Le Diable a seguito della confessione di Bataille, Dalla Piccola racconta di esser stato avvicinato da Bergamaschi prima e da Hébuterne poi. Il primo per offrirgli cinquantamila franchi con cui far cessare le rivelazioni di Taxil, il secondo centomila per farlo ritrattare su quanto pubblicato fin lì…

Così un giorno avevo ricevuto contemporaneamente due messaggi. Uno, di padre Bergamaschi, diceva: ”Vi autorizzo a offrire a Taxil cinquantamila franchi perché chiuda tutta l’impresa. Fraternamente in Xto, Bergamaschi”. L’altro, di Hébuterne, recitava: “Allora finiamola.
Offrite a Taxil centomila franchi se confessa pubblicamente di essersi inventato tutto.” (pp.448-449)

Convincere Taxil non gli è difficile, prospettandogli le ritorsioni massoniche e ben settantacinquemila franchi di ricompensa per la ritrattazione. A Diana avrebbe pensato lui… Taxil accetta, ideando una clamorosa messinscena per il 19 aprile 1897 in cui svelerà l’inesistenza di Diana e confesserà di essersi inventato tutto…

17 aprile, all’alba

A marzo Diana aveva iniziato a stare sempre peggio. Dalla Piccola chiama allora Boullan che lo convince a lasciarla prendere parte a una messa nera per allontanare i malefici che Cristo sta compiendo nei suoi confronti, lei devota di Lucifero…
Dalla Piccola inizia a ricostruire a fatica quanto accaduto la sera del 21 marzo…

Era la sera del 21 marzo. Voi, capitano, avete iniziato il vostro diario il 24 marzo, raccontando che io avrei perso la memoria il 22 mattino. Se dunque è accaduto qualche cosa di terribile deve essere stato la sera del 21.
Cerco di ricostruire ma mi costa fatica, temo di avere la febbre, la fronte mi brucia. (p.454)

Il sedicente abate rivive quei per lui terribili momenti…
Giunti in una cappella sconsacrata di campagna con Diana, si uniscono agli altri adepti di Boullan che, poco dopo, compare in scena dando il via alla celebrazione di una messa nera… In breve tutto finisce in una colossale orgia, con Diana che si butta sullo stordito abate facendoci sesso…
Non riesco più a scrivere, non sto più ricordando, sto rivivendo, l’esperienza è insostenibile, vorrei perdere di nuovo ogni ricordo… (p.461)

Rinsaviti dopo la baldoria, Boullan rifiuta di lasciare Diana sola, salendo così sulla carrozza con la donna e Dalla Piccola che dà al cocchiere l’indirizzo di Maitre-Albert…
Accompagnati i due nel suo appartamento, l’abate chiede a Diana perché l’abbia sedotto. Il medaglione della donna gli resta in mano durante la colluttazione e così l’abate viene a sapere che la di lei madre era ebrea! Furioso per aver fatto sesso con una donna, per di più ebrea, Dalla Piccola perde la testa strangolandola… Deve quindi occultarne il cadavere nel condotto fognario…

– La mamma, mormora con voce assente, la mamma era ebrea… Lei credeva in Adonai…
Così, dunque. Non solo mi sono congiunto con una donna, stirpe del demonio, ma con una ebrea – perché la discendenza tra coloro, lo so, passa per parte di madre. E dunque, se per caso in questo amplesso il mio seme avesse fecondato quel ventre impuro, io darei vita a un ebreo.
Non puoi farmi questo, grido, e mi avvento sulla prostituta, le stringo il collo, lei si dibatte, io aumento la morsa, Boullan si è riavuto e mi si getta addosso, di nuovo lo allontano con un calcio all’inguine, e lo vedo svenire in un angolo, mi butto ancora su Diana (oh, veramente avevo perso il ben dell’intelletto!) a poco a poco i suoi occhi sembrano uscirle dalle orbite, la lingua le si protende gonfia fuori della bocca, odo un ultimo soffio, poi il suo corpo si abbandona esanime. (p.462)

Recuperata la pistola dal cassetto, eccolo minacciare Boullan facendosi aiutare a trasportare il cadavere, per poi uccidere quello scomodo testimone…

Boullan mi pare ormai impazzito. Ride.
– Quanti morti, dice. Forse è meglio quaggiù che là fuori nel mondo, dove Guaita mi attende… Potrei restare con Diana?
– Figuratevi, abate, gli dico, non potrei desiderare di meglio.
Traggo la pistola, sparo, e lo colpisco in mezzo alla fronte.
Boullan cade di sghimbescio, quasi sulle gambe di Diana. Debbo chinarmi, risollevarlo, e porglielo di fianco. Giacciono accanto come due amanti. (p.464)

Ecco dunque il cerchio chiuso e ricostruito quanto accaduto la notte del 21 marzo al sedicente abate Dalla Piccola…

Ed ecco che proprio ora, raccontando, ho riscoperto, con ansiosa memoria, quanto era avvenuto un istante prima che la perdessi.
Il cerchio si è chiuso. Ora so. Ora, all’alba del 18 aprile, domenica di Pasqua, ho scritto quanto era occorso il 21 marzo ad alta notte, a chi credevo fosse l’abate Dalla Piccola… (p.465)

25 – CHIARIRSI LE IDEE
Dai diari del 18 e 19 aprile 1897 p.467

Ecco che Simonini è così infine costretto ad ammettere di essere Dalla Piccola, ora che ricorda tutto e che ha compreso cosa gli stia succedendo da un mese a quella parte, ovvero dopo la messa nera, il sesso con Diana e il duplice omicidio…

Appena si era riavuto e la mente gli si snebbiava a poco a poco, tutto gli diventava chiaro. Guarendo capiva, e sapeva di essere una cosa sola con Dalla Piccola, quello che la sera prima Dalla Piccola aveva ricordato stava ricordando ormai anche lui, e cioè stava ricordando che nelle vesti dell’abate Dalla Piccola (non quello dai denti sporgenti che aveva ucciso, ma l’altro che aveva fatto rinascere e impersonato per anni) aveva avuto l’esperienza terribile della messa nera. […]
Il contatto carnale con Diana, la rivelazione della sua turpissima origine, e il suo necessario, quasi rituale, omicidio, erano stati troppo per lui, e quella stessa notte aveva perduto la memoria, ovvero l’avevano perduta insieme e Dalla Piccola e Simonini, e le due personalità si erano alternate nel corso di quel mese. Probabilmente, come accadeva a Diana, passava da una condizione all’altra attraverso una crisi, un raptus epilettico, uno svenimento, chissà, ma non se ne rendeva conto e ogni volta si risvegliava diverso pensando di avere semplicemente dormito. (p.467)

È scrivendo, proprio come consigliatogli da Froide, che è così infine giunto all’evento traumatico che ne ha provocato le amnesie con fenomeni di sdoppiamento…

La terapia del dottor Froïde aveva funzionato (anche se colui non avrebbe mai saputo che funzionava). Raccontando volta a volta a quell’altro se stesso i ricordi che faticosa-mente estraeva come in sonno dal torpore della sua memoria, Simonini era arrivato al punto cruciale, all’evento traumatico che lo aveva piombato nell’amnesia e aveva fatto di lui due persone distinte, ciascuna delle quali ricordava una parte del suo passato, senza che lui, o quell’altro che era pur sempre lui stesso, riuscissero a ricomporre la loro unità, malgrado ciascuno avesse tentato di celare all’altro la ragione terribile, irricordabile, di quella cancellazione. (p.468)

Ormai conscio del proprio essere, Simone decide di uscire per andare a mangiare qualcosa, ma senza concedersi lussi… Rientrato, sistema alcuni dettagli del diario, di cui ha ormai fatto l’abitudine. Quello sdoppiamento, pensa, gli è forse servito per crearsi un interlocutore, lui che ha sempre vissuto una vita solitaria…

Tornato a casa aveva messo su carta alcuni particolari che stava finendo di ricostruire. Non ci sarebbe stata nessuna ragione per continuare un diario, iniziato per ricordare quello che ormai sapeva, ma ormai al diario aveva fatto l’abitudine. Presumendo che esistesse un Dalla Piccola altro da lui, aveva coltivato per poco meno di un mese l’illusione che esistesse qualcuno con cui dialogare, e dialogando si era reso conto di quanto fosse sempre stato solo, sin dall’infanzia. Forse (azzarda il Narratore) aveva scisso la sua personalità proprio per crearsi un interlocutore.
Ora era giunto il momento di accorgersi che l’Altro non esisteva e anche il diario è un intrattenimento solitario. Però a questa monodia si era assuefatto, e decideva di continuare così. Non è che si amasse particolarmente, ma il fastidio che sentiva per gli altri lo induceva persino a sopportarsi. (p.469)

Dalla Piccola ha iniziato a impersonarlo nel mondo esterno, una volta assassinatolo, da quando Lagrange gli ha chiesto di occuparsi di Boullan… Un utile travestimento per i suoi incarichi di spionaggio, ma anche per quelli di notaio…

Aveva messo in scena Dalla Piccola – il suo, dopo aver ucciso quello vero – quando Lagrange gli aveva chiesto di occuparsi di Boullan. Pensava che per molte faccende un ecclesiastico avrebbe destato minori sospetti di un laico. (p.469)

Oltre che per curiosare negli ambienti satanisti e occultisti, Dalla Piccola era servito anche per apparizioni al capez-zale di un morente, chiamato dal parente stretto (o lontano) che sarebbe poi stato il beneficiario del testamento che Simonini avrebbe forgiato – così che, se qualcuno avesse dubitato di quel documento inatteso, ci sarebbe stata la testimonianza di un uomo di chiesa, il quale poteva giurare che il testamento coincideva con le ultime volontà sussurrategli dal morituro. Sino a che, con la faccenda Taxil, Dalla Piccola era diventato essenziale e aveva praticamente preso in carico tutta quell’impresa per più di dieci anni. (p.470)

Talmente identificatosi nel personaggio, da mutare il proprio modo di pensare, oltre alla voce, all’aspetto e alla scrittura…

Davvero, quand’era Dalla Piccola, Simonini non solo parlava e scriveva in modo diverso ma in modo diverso pensava, calandosi completamente in quella parte. (p.470)

Simone deve ora far perdere le tracce di Dalla Piccola nel mondo esteriore, sistemando in primis la faccenda di Taxil… Proprio nei panni dell’abate, il notaio incontra lo scrittore, comunicandogli la partenza di Diana per gli Stati Uniti. Poi, raggiunta la casa di Auteuil, liquida la vecchia governante, per bruciare infine tutti i documenti compromettenti e portare a Gaviali gli abiti della donna assassinata…

Poi, ancora come Dalla Piccola, si era recato ad Auteuil.
Grande sorpresa della vecchia che anch’essa non vedeva più né lui né Diana da quasi un mese e non sapeva cosa dire al povero signor Taxil che si era presentato tante volte. Le aveva raccontato la stessa storia, Diana aveva ritrovato la sua famiglia, ed era tornata in America. Una generosa buonuscita aveva tacitato la megera, che aveva raccolto i suoi stracci e se ne era andata nel pomeriggio.
In serata, Simonini aveva bruciato tutti i documenti e le tracce del sodalizio di quegli anni, e a tarda notte aveva portato in dono a Gaviali una cassa con tutti gli abiti e i fron-zoli di Diana. (p.471)

Liquidato il padrone di casa pagandogli anche sei mesi ulteriori di affitto, Simone si toglie infine trucco e parrucco decretando la “morte” del suo Dalla Piccola… Nel pomeriggio avrebbe poi assistito all’uscita di scena di Taxil…

Si trattava solo di “uccidere” (per la seconda volta) Dalla Piccola. Bastava poco. Simonini si era tolto il trucco da abate, aveva riposto la tonaca nel corridoio, ed ecco che Dalla Piccola era scomparso dalla faccia della terra. […]
Di tutta quella storia non rimaneva più nulla, se non nei ricordi di Taxil e Bataille. Ma Bataille, dopo il suo tradimento, non si sarebbe certo più fatto rivedere, e quanto a Taxil la storia si sarebbe conclusa quel pomeriggio. (p.472)

E così, il pomeriggio del 19 aprile 1897, nella sala dell’Istituto Geografico, eccolo assistere alla ritrattazione di Taxil, millantatore felice di confessare la propria impostura di fronte al folto pubblico giunto invece fin lì per assistere alla presentazione di Diana…

Il pomeriggio del 19 aprile, nei suoi panni normali, Simonini era andato a godersi lo spettacolo della ritrattazione di Taxil. (p.472)

Ma nulla eguagliava la più grande mistificazione della sua vita. E via a narrare della sua apparente conversione e di come aveva ingannato confesso-ri e direttori spirituali che dovevano assicurarsi della sincerità del suo pentimento. (p.473)

Poi aveva raccontato come di un vecchio amico alcolizzato avesse fatto il dottor Bataille, come avesse inventato Sophie Walder o Sapho, e come infine avesse scritto lui stesso tutte le opere firmate Diana Vaughan. (p.474)
Gli editori stessi sono stati mistificati, ma non hanno a dolersene perché gli ho permesso di pubblicare delle opere che possono rivaleggiare con le Mille e una notte.
Signori, aveva proseguito, quando ci si accorge di essere stati presi a gabbo, il meglio che ci resti da fare è riderne con la platea. (p.475)

A conferenza ultimata Taxil gongola, ma ancor di più si diverte Simone: quando il millantatore andrà in cerca di Dalla Piccola, Goullan e Fournier per il compenso, non troverà nessuno e i settantamila franchi li avrà intascati lui…

Chi si stava divertendo più di tutti era Simonini, che pensava a quanto attendeva Taxil nei giorni a venire. […]
Insomma, Taxil non avrebbe saputo a chi domandare il suo compenso, che dunque Simonini intascava non per metà ma per intero (meno purtroppo i cinquemila franchi di anticipo). (p.477)

Era divertente pensare al povero mariuolo che si aggirava per Parigi alla ricerca di un abate e di un notaio mai esistiti, di un satanista e di una palladiana i cui cadaveri giaceva-no in una cloaca ignota, di un Bataille che, anche a ritrovarlo lucido, non avrebbe saputo dirgli nulla, e di un pacchetto di franchi finito in un vaso indebito. Vituperato dai cattolici, visto con sospetto dai massoni che avevano il diritto di temere una nuova giravolta, forse dovendo ancora pagare molti debiti ai tipografi, senza sapere dove battere il suo povero capo sudato.
Ma, pensava Simonini, quel cialtrone di marsigliese se l’era meritata. (pp.477-478)

26 – LA SOLUZIONE FINALE p.479
10 novembre 1898

L’anno e mezzo trascorso dall’uscita di scena di Taxil non sono stati vissuti però da Simone con serenità. Fosse stato credente avrebbe potuto dichiarare di esser stato in preda ai rimorsi. Ma, per chi? Per cosa?… La sera stessa del 19 aprile 1897 ha festeggiato mangiando in uno dei più lussuosi ristoranti parigini…

È ormai un anno e mezzo che mi sono liberato di Taxil, di Diana e, ciò che più conta, di Dalla Piccola. Se ero malato, sono guarito. Grazie all’autoipnosi, o al dottor Froïde. Eppure ho trascorso questi mesi tra varie angosce. Se fossi credente direi che ho avvertito dei rimorsi e sono stato tormentato. Ma rimorsi di che e tormentato da chi? (p.479)

Ha ripreso a scrivere… Chi è il russo che giace nella cloaca?

Eppure non sono sereno, e sento il bisogno di chiarire il mio stato d’animo riprendendo questo diario, come fossi ancora in cura dal dottor Froïde.
È che sono continuate ad accadere cose inquietanti e vivo in una continua insicurezza. Anzitutto, mi tormento ancora per sapere chi sia il russo che giace nella cloaca. (p.480)

Rachkovskij si è recato a trovarlo altre due volte per sollecitarlo alla consegna di materiale antiebraico inedito redatto dal nonno. Simone ha preso tempo, dichiarando infine che avrebbe dovuto lasciare Parigi per recuperarlo… Il russo gli ha lasciato intendere che con la riapertura del caso Dreyfus avrebbe rischiato… E, in effetti, Picquart, sostituto di Sandherr, riapre il caso con una nuova perizia calligrafica che incastra Esterhàzy che, di conseguenza, si è un giorno presentato da Simonini per fargli produrre un documento contro Picquart… Seguono varie inchieste e schieramento di intellettuali ed artisti a favore di Dreyfus. A luglio il caso si riapre per via di tale Cuignet che dimostra la falsità della lettere attribuita a Panizzardi e indirizzata a Dreyfus, atto commissionato a Simone da Esterhàzy… Simone teme per la propria vita… Henry, collaboratore di Exterhàzy viene arrestato e confessa, morendo “suicida” in carcere… Esterhàzy, anziché accusare Simone, fugge in Inghilterra…

Ma quattro o cinque giorni dopo Esterházy fuggiva in Belgio e di lì in Inghilterra. Quasi un’ammissione di colpevolezza. Il problema era come non si fosse difeso buttando la colpa su di me. (p.485)

Simone ode rumori notturni provenire dalla propria bottega e l’indomani trova tutto a soqquadro e la botola del condotto delle fogne aperto… L’indomani Rachkovskij si presenta ad intimargli di consegnargli i Protocolli entro due giorni, pena la denuncia alla polizia per i quattro cadaveri morti, uno di un suo collaboratore…

Mentre così mi arrovellavo, l’altra notte ho udito di nuovo rumori in casa. Il mattino dopo ho trovato non solo il negozio ma anche la cantina a soqquadro, e la porta della scaletta, che dà alla cloaca, aperta.
Mentre mi chiedevo se non dovessi anch’io fuggire come Esterházy, ha suonato alla porta del negozio Rachkovskij.
Senza neppure salire di sopra, si è seduto su una sedia in vendita, se qualcuno avesse mai osato desiderarla, e aveva subito esordito: – Che cosa ne direste se comunicassi alla Sûreté che nella cantina qui da basso ci sono quattro cadaveri, a parte il fatto che uno di essi è quello di un mio uomo che stavo cercando dappertutto? Sono stanco di attendere. Vi do due giorni per andare a recuperare i protocolli di cui avete parlato e dimenticherò quello che ho visto laggiù. Mi pare un patto onesto. (p.486)

Simone è costretto ad accettare, provando a chiedere protezione per la questione Dreyfus, ma il russo lo tranquillizza dal momento che nessuno in Francia ha interesse a dimostrare la non veridicità di quel falso biglietto…

Che si continui ad attribuirlo a Dreyfus, o che si deci-da che il traditore è Esterházy, ilbordereau deve rimanere autentico. Nessuno darà mai la colpa a un falsario come voi.
Siete in una botte di ferro. Io invece vi darò molte noie per quei cadaveri là da basso. Quindi fuori i dati che mi servono.
Verrà da voi dopodomani un giovane che lavora per me, tale Golovinskij. (p.488)

Riesumando i ritagli de La libre Parole e i testi precedentemente scritti, eccolo dar vita ad un documento eccellente per lo scopo che i russi si prefiggono… Un tassello nel progetto di sterminio degli ebrei che forse già il nonno aveva in mente e che gli ha lascito in eredità…

Golovinskij era un buon collaboratore. Prendeva o fingeva di prendere per autentici i miei documenti ma non esitava ad alterarli quando gli faceva comodo. Rachkovskij aveva scelto l’uomo giusto.
– Penso, aveva concluso Golovinskij, di avere abbastanza materiale da mettere insieme quelli che chiameremo i Proto –
colli della riunione dei rabbini nel cimitero di Praga.
Il cimitero di Praga mi stava sfuggendo dalle mani, ma probabilmente stavo collaborando al suo trionfo. (p.498-499)

Oh Dio, non toccava direttamente a me, per fortuna, eliminare un popolo intero, ma il mio contributo, sia pure modesto, stavo dandolo. (p.500)

27 – DIARIO INTERROTTO p.501
20 dicembre 1898

Orfano dei Protocolli e del proprio doppio, Simone si chiede cosa fare da lì in avanti…

Dopo aver consegnato a Golovinskij tutto il materiale che ancora avevo per i Protocolli del cimitero, mi sono sentito svuotato. Come da giovane dopo la laurea; mi chiedevo: “E ora?” Guarito inoltre della mia coscienza divisa, non ho neppure più qualcuno a cui raccontarmi. […]
Grazie anche alla mia opera i Mordechai di tutto il mondo stanno avviandosi a un rogo maestoso e tremendo. Ma io? C’è una malinconia del dovere compiuto, più vasta e impalpabile di quella che si conosce sui piroscafi.
(p.501)

Prosegue con qualche “lavoretto” da notaio, ma nessuno dei servizi segreti lo cerca più… Si annoia e, per motivi gastrici, non può neanche trovare conforto nella buona cucina…

Non è che abbia bisogno di danaro, ne ho accumulato abbastanza, ma mi annoio. Ho disturbi gastrici e non riesco neppure più a consolarmi con la buona cucina.  (p.501)

Frequenta ancora la Libre Parole, ma i nuovi antisemiti non son divertenti come quelli del passato… Padre Bergamaschi, stanco e vecchio, lo saluta per l’ultima volta prima del suo rientro in Italia… Frequenti gli incubi, popolati dalle apparizioni di Diana… Come un reduce o un pensionato passa il tempo a guardare gli altri, i raccoglitori di sigarette in particolare…

Non riesco a dormire bene, ho sonni agitati, in cui mi appare Diana scarmigliata e pallida. (p.504)
Guardo la vita degli altri per passare il tempo. È che sto vivendo da pensionato, o da reduce. (p.505)

E poi pensa continuamente agli ebrei, i “suoi” rabbini, ora finiti in mano ai russi… Visita anche in avenue de Flandre un cimitero di ebrei portoghesi…

È strano, ma è come se avessi nostalgia degli ebrei. Mi mancano. Dalla mia giovinezza ho costruito, vorrei dire lapide per lapide, il mio cimitero di Praga, e ora è come se Golovinskij me lo avesse rubato. Chissà cosa ne faranno a Mosca.
Magari riuniranno i miei protocolli in un documento secco e burocratico, privo della sua ambientazione originaria. Nessuno vorrà leggerlo, avrei sprecato la mia vita a produrre una testimonianza senza scopo. O forse è così che le idee dei miei rabbini (erano pur sempre i miei rabbini) si diffonderanno per il mondo e accompagneranno la soluzione finale. (p.505)

Sono stato un buon narratore, sarei potuto diventare un artista: da poche tracce avevo costruito un luogo magico, il centro oscuro e lunare del complotto universale. Perché mi sono lasciato sfuggire la mia creazione? Avrei potuto farvi succedere tante altre cose… (p.506)

Ecco però Rachkovskij farsi di nuovo vivo e, ricattandolo di rivelare il suo contributo nell’affare Dreyfus, la presenza dei quattro cadaveri e la scomparsa di Dalla Piccola che Taxil ancora cerca, incaricarlo di organizzare delle esplosioni nella metropolitana in costruzione per avvalora una delle previsioni presenti nei Protocolli…

Nel materiale che avete dato a Golovinskij c’è un passo che mi ha molto colpito, il progetto di usare le metropolitane per minare le grandi città. Ma perché l’argomento sia creduto bisognerebbe che qualche bomba davvero scoppiasse là sotto. (p.507)

Inizialmente irato, Simone accetta potendo così tornare un “protagonista”…

Stavo per reagire in modo violento, non poteva spingermi a un’azione dissennata come quella, sono un uomo tranquillo, e di età. Poi mi sono frenato. A cosa era dovuto il senso di vuoto che avvertivo da settimane se non al sentimento che non ero più un protagonista?
Accettando quell’incarico tornavo in prima linea. Collaboravo a dar credito al mio cimitero di Praga, a farlo diventare più verosimile e quindi più vero di quanto non fosse mai stato. Ancora una volta, da solo, sconfiggevo una razza. (pp.507-508)

E così Simone si reca da Gaviali, ormai terribilmente invecchiato ma in grado di guidarlo nella costruzione di una bomba ad orologeria… Due giorni dopo la prima visita, individuata una galleria di scavi della metropolitana in costruzione a Parigi idonea per l’esplosione, Simone torna dal dinamitardo che gli spiega nel dettaglio quali operazioni mettere in atto per il successo della missione…
E così, vestito di tutto punto, assunta cocaina fornita in passato a Froide, bevuto del cognac, con gli ultimi consigli di Gaviali nelle orecchie, eccolo apprestarsi all’attentato con l’animo felice di poter sfogare il proprio odio verso gli ebrei…

Ho accettato. Se ce la farò, sarò tornato giovane di colpo, capace di piegare ai miei piedi tutti i Mordechai di questo mondo. E la puttanella del ghetto di Torino. Gagnu, eh? Te la farò vedere io.
Ho bisogno di togliermi di dosso l’odore di Diana in calore, che nelle notti di estate mi perseguita da un anno e mezzo. Mi accorgo di essere esistito solo per sconfiggere quella razza maledetta. Rachkovskij ha ragione, solo l’odio riscalda il cuore.
Devo andare a compiere il mio dovere in alta uniforme. Mi sono messo il frac e la barba delle serate da Juliette Adam. Quasi per caso ho scoperto in fondo a uno dei miei armadi ancora una piccola riserva di quella cocaina Parke & Davis che avevo provvisto al dottor Froïde. Chissà come era rimasta lì. Non l’ho mai provata ma, se lui aveva ragione, dovrebbe darmi una spin-ta. Ci ho aggiunto tre bicchierini di cognac. Ora mi sento un leone.
Gaviali vorrebbe venire con me, ma non glielo permetterò, con le sue movenze ormai troppo lente potrebbe intralciarmi.
Ho capito benissimo come funziona la faccenda. Metterò a punto una bomba che farà epoca.
Gaviali mi sta dando gli ultimi avvertimenti: – E state attento qui e state attento là.
E che diamine, non sono ancora un rammollito. (p.512)

INUTILI PRECISAZIONI ERUDITE p.515

REFERENZE ICONOGRAFICHE p.523

INDICE p.525

— Eccellente libro. Forse il migliore in assoluto dello scrittore. R.I.P. —