TELESIO INTERLANDI – CONTRA JUDAEOS

TELESIO INTERLANDI – CONTRA JUDAEOS
TELESIO INTERLANDI – CONTRA JUDAEOS

TELESIO INTERLANDI – CONTRA JUDAEOS
OFFICINA GRAFICA VILLA SAN GIOVANNI – NOVEMBRE 2010

Ristampa anastatica di ottimo livello.
[Originale: Tumminelli e C – La biblioteca della Difesa della razza – 1938]

PREAMBOLO p. 5

Questi capitoli che qui raccolgo – in un primo volume d’una « Biblioteca» che ha più alte
ambizioni e avrà meno modesti autori – contengono appunto, in una opportuna rielaborazione, la
materia già trattata durante la polemica giornalistica durata dal 1934 a ieri per la identificazione
del pericolo ebraico e per la difesa della Razza italiana. (p. 5)
La necessità d’un razzismo nostro, e – come presupposto ad esso – la indispensabile e definitiva separazione dell’elemento giudaico dalla vita nostra, già per troppo tempo inquinata da una infiltrazione venefica, sono stati i due motivi dominanti della mia diuturna polemica. (p. 6)
T. I.

Roma, Settembre XVI

DIFESA DELLA RAZZA p. 7

La necessità, anzi, di riaffermarsi dominatori nello splendore d’una rinata volontà d’impero, caratterizza la fase fascista della storia della nazione italiana. Ecco il senso della legislazione sui rapporti fra nazionali e indigeni nei territori dell’Impero. Difesa della razza, sì, ma anche esaltazione della razza e riaffermazione della sua missione nel mondo. (p. 9)
La storia di tutte le conquiste insegna quale danno ha portato ai conquistatori e ai conquistati la confusione del sangue attraverso una promiscuità sessuale che la scienza condanna come la via più agevole per la degenerazione dei tipi umani. L’apparizione dei meticci, dei mulatti e dei zambos, dagli incroci tra indiani e bianchi, tra bianchi e neri e tra neri e indiani costituisce un punto scuro della storia dell’umanità. Le osservazioni scientifiche più accurate sono concordi, oramai, nell’affermare che l’evoluzione delle razze per incrocio si compie in senso «disgenico»: i tipi superiori sono assorbiti dai tipi inferiori. (p. 10)
In confronto al cosiddetto «madamismo», il matrimonio con gente di colore è una mostruosa perversione che non sarà mai più permessa. (p. 11)

IL METICCIATO DISSIDENTE p. 13

C’è stata, in Italia, in questi ultimi tempi, una vera e propria insurrezione intellettualistica contro la parola « razzismo » e contro coloro che lavorano a definir quella parola e ad approfondirne il senso e la portata. È strano che una parola e un pugno di uomini, per non dire un uomo, siano capaci di suscitare tanta irritazione. (p. 15)
La storia è questa. Un uomo, un gruppo d’uomini, un giornale, un paio di giornali cominciano a discutere di razzismo. Che cos’ è il razzismo? Non affliggeremo il lettore parlandogli di Gobineau, di Chamberlain, di Rosenberg, o del Santo Padre che nella Enciclica all’Episcopato germanico concede il suo posto alla Razza, combattendone la divinizzazione.
Qui si tratta d’altro. Si tratta di un popolo, come l’Italia, che avviato a una politica imperiale, cioè a una politica d’espansione oltre i suoi confini nazionali, ricerca in sé – e trova, e li fa trovare e riconoscere, anche con la forza, a quei pochi che non sapessero o volessero trovarli – gli attributi e le qualità e le idealità e le aspirazioni che ne fanno una razza, completamente differenziata dalle altre e gelosa delle sue differenze, che sono da opporre, civilmente e fermamente, alle razze che si muovono, al suo fianco, in un’orbita di civiltà ben definita. (p. 16)
[…]per questa affermazione di valori di razza, era necessaria una impostazione dottrinaria e scientifica del problema, con un minimo di parole e un massimo di decisione. (p. 17)
Chiarire agli Italiani che la diversità delle razze è un dato scientifico; che la definizione di “razza inferiore” non è affermazione polemica e gratuita, è constatazione scientifica e storica, poiché si dimostra, storia alla mano, che una antichissima razza come quella nera non ha mai saputo produrre nulla che sia possibile, non che opporre, confrontare, avvicinare alle realizzazioni della razza bianca; che quella razza, capacissima per altro d’impadronirsi di ogni ritrovato tecnico della civiltà meccanica da altre razze elaborato, di tali razze è incapace di assimilare lo spirito, di raggiungere l’altezza intellettuale, di interpretare le necessità: questo era il nostro desiderio. (p. 18)
L’Italia intellettualistica è infetta di dottrine universalistiche, di retorica, di sentimentalismo; ed è malata di «misura». Ora è bene che sia detto, passando, e una volta per tutte, che con la misura si fa ogni cosa meno che una rivoluzione e un impero; che la misura è il metro spirituale dei mediocri e dei popoli che decadono per difetto di dinamismo. (pp. 18-19)
Ed eccoci agli scritti sul Razzismo. […]
Qui il punto è oscuro; ma noi lo chiariremo agevolmente. Si tratta, come abbiamo detto, d’una impresa – concordata – del meticciato intellettuale che esiste in Italia ed ha vaste braccia. (p. 19)
Si tratta di ebrei, o di mezzi ebrei, o di ebrei camuffati da cristiani (qui la religione non c’entra, ma serve negli interessati come mascheratura della loro condizione di sangue) o di quarti di ebrei; o di italiani sposati ad ebree, di ebree che hanno un marito, e quindi un nome, italiano. Tutta questa gente che è molta, in Italia, più di quanto non si pensi, ed è intelligente, di quella intelligenza pratica della razza cui appartiene, ha fiutato un pericolo. Ha intuito che una campagna razzistica non poteva esser campata in aria; aveva un senso; poteva avere uno sbocco. Questa gente si è chiesta se, a un dato momento, e per necessità superiori e « imperiali», una politica razzistica, cioè una politica di difesa e di potenziamento della razza, non potesse diventare una politica di «pulizia della razza», anche attraverso provvidenze legislative. (pp. 19-20)
Poteva dunque temere, questa gente, che una politica di razza finisse con l’obbligare l’Italia a guardarsi nello specchio e a riscontrarsi parecchi nei. (p. 20)
La realtà, alla luce della statistica, è che in Italia – ove l’esigua quantità di ebrei (circa 70 mila su 43 milioni di abitanti) potrebbe far considerare trascurabile la questione ebraica[…]. (p. 21)
In ogni modo, esse stanno a dimostrare che è falso e forse certamente diffuso il giudizio sulla trascurabilità del problema ebraico in Italia, data la trascurabile percentuale degli Ebrei nella popolazione italiana. La percentuale non bisogna stabilirla in cifre assolute, ma relativamente ai vari settori dell’attività nazionale; nel caso nostro, relativamente alle attività dette intellettualistiche. Ebbene, noi diciamo che l’insurrezione contro il Razzismo e contro un’eventuale politica di razza è una insurrezione di « meticci »; di ebrei o di mezzo-ebrei, o di gente al servizio degli ebrei. (p. 22)

COSÌ PARLÒ IL RABBINO p. 25

Esiste tuttora un «sionismo» in Italia? Questa domanda suonerebbe ingenua, sol che si ricordassero le lunghe e vivacissime polemiche condotte in Italia, sui giornali fascisti – e in prima linea sul Tevere – dagli stessi ebrei italiani fin dal 1934, cioè fin dal tempo in cui più arrogante si fece la propaganda sionistica nel nostro paese. Ci fu allora una vera e propria insurrezione di ebrei contro il sionismo, definito contrario agli interessi della nazione italiana e tale da riproporre, in termini assolutamente drammatici, la terribile questione dell’assimilazione dell’elemento ebraico. I più astuti fra gli ebrei d’Italia furono pronti a gettare alle ortiche l’abito sionistico per non suscitare sospetti e per guadagnare con pochissima spesa un certificato di buona condotta nazionale. (p. 27)
[…] il Rabbino Capo Davide Prato ha avuto la bontà di prevenire la domanda che oggi potrà apparire inopportuna, trattando del sionismo in un lungo discorso pronunciato a Budapest, sotto gli auspici di quella Associazione Pro Palestina. […]
Che cosa dice questo discorso?
La rivista presenta intanto il Rabbino con queste parole: «Il grande Rabbino dell’Impero Italiano
è da decenni entusiastico fautore dell’idea della ricostruzione della Palestina». Il che vuol dire che
il capo religioso degli ebrei d’Italia è, non da oggi, fervente sionista. (p. 28)
Anzitutto, l’assunzione di Herzl, agitatore sionista, nel cielo dei profeti d’Israele[…].
Poi la questione territoriale che dà la necessaria concretezza al sionismo[…]. (p. 29)
Poi ancora, la definizione del sionismo come Stato ebraico, da differenziarsi nettamente dalle nazioni ove gli ebrei attualmente vivono[…]. (p. 30)
Infine, l’affermazione categorica che di assimilazione non è il caso di parlare; gli ebrei vogliono restare ebrei, contrariamente alle favole interessate che son fatte circolare in Italia, di tanto in tanto: […].
Ecco l’antologia sionistica del Rabbino Capo d’Italia, Davide Prato, alla quale naturalmente attingeranno tutti gli ebrei d’Italia, ogni qual volta si troveranno esitanti di fronte a Sion. (p. 31)
Il sionismo dunque esiste in Italia, e il Rabbino Prato ne è l’assertore; così come esisteva ieri, sotto altri rabbini e con altri agitatori e propagandisti. (p. 32)

UNA MANOVRA IN MASCHERA p. 33

Si è saputo – per la felice indiscrezione di un giornale di Vienna – che l’ammiragliato britannico ha un suo piano per l’annessione, «al momento opportuno», della Palestina. La sorpresa per tanta disinvoltura non è poca in Europa; ma occorre dire subito che l’Europa vuole sorprendersi mentre, se fosse meno distratta, potrebbe risparmiarsi le maggiori emozioni.
Infatti. Dell’annessione pura e semplice della Palestina, come terra promessa, ha già parlato il
Times. Come il lettore vedrà, si tratta di una tesi religiosa e lievemente romanzesca alla quale si
affida il compito di rimuovere ogni ostacolo logico alla presa di possesso della Palestina. Il Times
dice che, non esistendo dubbi sull’identificazione degli anglosassoni col popolo di Israele, la
Palestina, come Terra promessa del regno di Israele, non spetta né agli Ebrei né agli Arabi, ma
deve essere annessa alla Gran Bretagna. Leggere per credere.
Leggendo, si scopre ancora dell’altro, e del più gustoso. Si legge, ad esempio, che il Trono
britannico non è che la continuazione moderna del Trono di Davide. (p. 35)
Ma dove ha preso, il Times, tutte queste straordinarie notizie? Da una pubblicazione anglicana, alla quale appunto si riferisce, intitolata «Il Messaggio nazionale ai popoli britannico e anglo-sassoni». Tale pubblicazione, che si fregia di simboli biblici ed ebraici, di bandiere, di troni, di piramidi e di trombe, ha il compito di divulgare nel mondo anglo-sassone la convinzione, suffragata da citazioni e da grafici, che Israele è oggi la Gran Bretagna; e che, poiché Israele, per volontà suprema, è chiamato ad esercitare un’egemonia sul mondo, l’egemonia britannica, o anglo-sassone, è legittima e di origine divina. (p. 36)
I figli di Isacco (Isacson, Sassoni), sono il popolo di Israele al quale Javhé ha promesso il dominio del mondo; il trono britannico è il trono di Davide; il Commonwealth inglese non è che la riunione delle tribù elette sparsesi per il mondo (ricordatevi che i Bramini sono figli di Abramo e l’India attuale è dunque giustamente caduta nelle mani degli inglesi); la dominazione del mondo è della Gran Bretagna per volere divino; la Palestina è inglese per destinazione profetica.
Si vorrebbe ridere, ma non si può. Il «messaggio» è lardellato di adesioni firmate da altissime personalità britanniche e americane appartenenti specialmente all’alto clero anglicano; l’identificazione del Regno di Israele col Regno Unito e coi popoli anglo-sassoni è esaltata come una vera e propria scoperta. Il carnevale impazza per le vie del mondo anglo-sassone. (p. 37)

E l’impresa risulta facile; in primo luogo, per la straordinaria docilità dell’inglese a trangugiare le storie più stupide; in secondo luogo, perché – come tutti sanno – gli Israeliti dominano la vita politica dell’Impero inglese; i ministri ebrei non si contano; i finanzieri ebrei dominano la vita economica del paese; il giornalismo è infeudato agli ebrei. E al centro dell’Impero non c’è un ebreo: Disraeli?
«Mia è tutta la terra» – dice la legge ebraica; ed è la divisa attuale dell’imperialismo inglese. Ma
o in nome di Israele o in nome dell’Ammiragliato britannico, la pretesa britannica è inaccettabile. I
popoli liberi non si arrenderanno alle Tribù d’Israele; né alle vere né alle false. (p. 38)

ISRAELE BRITANNICO SERVO DI DIO p. 38

Ricapitoliamo, seguendo le lapidarie formule di «British Israel». Sono gli ebrei il popolo eletto? […] Nondimeno, la Gran Bretagna è la nazione serva di Dio; e, in conseguenza, gli Inglesi sono il popolo d’Israele differenziato dagli Ebrei. Conclusione: Britannia è Israele.
Se il ragionamento non fila alla perfezione, la colpa, naturalmente, non è nostra: è del bollettino di «British-Israel». Le affermazioni sono sue; l’uso coraggioso della Bibbia e del Vangelo è suo. (p. 41)
Mentre essi, invocando il dominio dell’Inghilterra sul mondo, sono gli umili servi di Dio, noi che ci rifiutiamo ad essere dominati siamo gli imperialisti recalcitranti. (p. 44)

IL PADRE PUTATIVO DEGLI INGLESI p. 47

Il dominio della Palestina è, in parte, un ritorno d’Israele alla terra promessa, in parte una presa di possesso del Vicino Oriente da parte della Gran Bretagna israelitica.[…]
I due motivi si danno la mano. Una astuta interpretazione dei testi biblici cerca di dare un impulso religioso a un’azione che è fondamentalmente mercantile e affaristica; e che minaccia non soltanto il mondo arabo, ma il destino del vicino Oriente e l’equilibrio del Mediterraneo orientale, dove l’Italia ha tanti vitali interessi. (p. 51)

GLI EBREI BARANO p. 53

Perché dunque il sedicente Abramo Levi, autore del libro «Noi Ebrei», non si chiama Abrahamo, essendosi fatto padre di molte genti, secondo la vocazione biblica degli Abrami; di molte illegittime genti?
«Noi Ebrei», dice il titolo del libro; e, correndo all’indice, si enumerano le genti che il nostro Abramo ha messo sotto le sue bandiere; e si scopre metà della stampa italiana, Popolo d’Italia in testa; e una schiera di galantuomini che non si sono mai sognati di sacrificare a Jahvé; una moltitudine da fare invidia alla discendenza di Abrahamo. Questo è il più fresco saggio della furfanteria ebraica. (p. 55)
Il problema sionistico non esiste? L’Abramo Levi crede di averlo seppellito con un paio di affermazioni generiche, come quel tale che voleva dimostrare di esser patriota esibendo un certificato di leva. (p. 58)
Il provvidenziale silenzio che accompagnava prima del Fascismo la dominazione ebraica in Italia[…].
Essi, gli Ebrei, considerano l’Italia come un albergo, come una stazione di transito; e se ne dichiarano, finora, soddisfatti. Ma… l’anno prossimo, a Gerusalemme!
Un problema ebraico esiste, in Italia; ed è, soprattutto, per noi italiani, un problema di conoscenza. Conoscere gli Ebrei – non certo attraverso le grossolane manipolazioni di un Levi – è giudicarli. Noi abbiamo giudicato da un pezzo questa «gente consacrata» alla quale è promessa «tutta la terra»; e che, perciò, non ha patria.
Noi crediamo che servano inconsciamente l’interesse ebraico quelli che ancora fanno questione di sionismo. La questione è nettamente di razza: si tratta di sapere se l’ebreo PUÒ essere un italiano, non se DEVE esserlo. Che DEBBA esserlo non v’è dubbio, giacché la legge lo qualifica tale; e al momento opportuno egli deve indossare la sua brava uniforme e servire sotto la bandiera italiana. (p. 61)

L’EBRAISMO È QUELLO CHE È p. 63

La soluzione integrale, secondo il nostro contraddittore, non potrebbe esser data se non dalla «assimilazione totale quanto più rapida possibile». (p. 65)
L’assimilazione – che noi non abbiamo ancor visto, ma che il nostro contraddittore dice esistente ed operante – porterebbe alla scomparsa degli Ebrei d’Italia. (pp. 65-66)
Noi possiamo ammettere – per quanto i biologi avanzino i loro dubbi sull’esito dei matrimoni misti fra razze assai diverse – possiamo ammettere che fra tre, quattro generazioni (il nostro contraddittore ammette che non bastano, per un’assimilazione totale, né una né due generazioni) i discendenti di colui che fa del matrimonio misto una regola inviolabile non saranno più ebrei. Ma questo è il caso particolare di un ebreo che crede nell’assimilazione e si ripromette di offrirne i frutti ai suoi e ai nostri nipoti. Che cosa pensano, invece, oggi, dell’assimilazione i dirigenti delle Comunità israelitiche e, quindi, la massa degli Ebrei d’Italia; e come giudicano l’eventualità d’un abbandono dell’orgoglio ebraico, d’una dimissione delle qualità ebraiche, di una «cancellazione» del sangue ebraico? (pp. 66-67)
L’ebraismo è quello che è; ed è stirpe; ma noi diremo, per intenderci, RAZZA. (p. 68)
Stirpe o razza, sangue e fedeltà al sangue; l’assimilazione è lontana. […]
[…]cioè parlano di una cosa che per il nostro contraddittore non è se non la seconda ipotesi, l’ipotesi della ripugnanza all’assimilazione, l’ipotesi che conduce diritti alla discriminazione nei diritti civili o all’emigrazione (e se l’emigrazione non è volontaria, all’espulsione). (p. 69)
Essi non sono dunque degli obiettori di coscienza, destinati all’emigrazione o all’espulsione, o alla limitazione nei diritti civili; sono arrogantemente fedeli a se stessi ed esigono il rispetto del loro ebraismo[…]. (p. 70)

ISRAEL IGNORA ISRAEL p. 73

– Siete voi un buon italiano? Mi promettete di esserlo sempre? Sono queste le domande di una specie di catechismo fascista che si voleva proporre agli ebrei d’Italia; quasi che sia immaginabile un ebreo che risponda:
– No, io sono un cattivo italiano; né posso impegnarmi per l’avvenire.
Da che cosa nasce questa santa ingenuità, che ha annullato per lungo tempo ogni sforzo di chiarificazione del problema ebraico in Italia? Non diremo da che cosa nasce, ma diremo quando è apparsa. È apparsa col libro di Paolo Orano, libro che ha avuto una straordinaria fortuna in ambienti ebraici e su giornali che solitamente hanno in orrore la semplice discussione del problema ebraico. Questo libro – del quale non discuteremo né l’informazione né l’esposizione – ha aperto in Italia la grande cataratta dell’ingenuità. Si è finalmente scoperto, in Italia, che cos’è una questione ebraica e come va risolta. Si tratta appunto di fare ciò che in principio dicevamo: un catechismo, al quale gli ebrei rispondano con un sì o con un no, singolarmente o per comunità, subito o dopo matura riflessione: – Siete voi italiano? – Sì, per grazia di Israele. – Siete voi buono italiano? – Buonissimo, sulla fede del Talmud. – Sarete sempre italiano al cento per cento? – Dormite fra due guanciali!…..
E la questione ebraica è risolta, secondo Paolo Orano e i suoi ammiratori. Infatti, fu lì lì per essere risolta: autorevoli personaggi ebrei, finalmente toccati dalla grazia, hanno «disconosciuto» il massimo organo ebraico di stampa, il settimanale “Israel” che è al suo ventiduesimo anno di vita dopo averne vissuti altri settantasei sotto il nome di «Corriere israelitico»[…]. (pp. 75-76)
Perché questa processione di ebrei dietro alla tesi di Paolo Orano? Da una parte, si agitano i rabbini: non toccate la religione ebraica. Dall’altra si muovono gli antirazzisti, che hanno orrore di una discussione zoologica; ohibò! In mezzo sta il catechista che risolve tutto con una professione di fede. – Ditemi, oh! Ditemi che siete dei buoni italiani, ma ditemelo sinceramente, una buona volta, correndo l’anno 5697! E il coro degli ebrei risponde: noi siamo italiani al cento per cento, tanto è vero che andiamo a sconfessare il nostro giornale.
Oh, illusi noi, che credevamo la questione ebraica doversi porre e risolvere in maniera concreta con l’identificazione delle possibilità che uomini d’altra razza (di inassimilabile e inassimilata razza sedicente “consacrata” ed “eletta”) hanno di partecipare alla vita collettiva di una ben definita nazione, in un ben definito momento della sua affermazione politica. Noi credevamo che si dovesse, prendendo in esame la questione ebraica, procedere a una revisione di valori, giudizi, di tendenze, di orientamenti; a un severo controllo delle attività più delicate dello spirito, perché non risultassero più, come disgraziatamente oggi risultano, deformate e inquinate da una mentalità che è estranea, assolutamente estranea, alla nostra; e che sulla nostra si esercita con sottile ostinazione attraverso innumerevoli vie per debilitarla e disorientarla; in ogni caso, per adulterarla. (pp. 78-79)

DEMOCRAZIA = EBRAISMO p. 81

Questo telegramma dice tutto. Gli ebrei d’America dicono di voler organizzare il fronte unico dell’ebraismo universale, agitando lo spauracchio dei regimi autoritari dei quali «sono vittime designate cinque milioni di ebrei d’Europa». Ma poiché l’ebreo ama combattere sempre per interposta persona, ecco che il congresso americano intende confondere in una sola le due cause dell’ebraismo e della democrazia. Fronte unico degli ebrei e fronte unico degli ebrei e dei democratici. (p. 83)
La stampa ebraica che ci può efficacemente illuminare sul problema ebraico e sulle vere intenzioni degli ebrei è quella che si pubblica oltre i confini, nei paesi in cui gli ebrei godono della più larga impunità. L’impunità diventa presto sincerità e la sincerità arroganza. E’ allora che si apprende come l’ebraismo non intenda disarmare di fronte ai nuovi regimi nazionali sorti in Europa, come anzi voglia organizzarsi per una guerra senza quartiere, in ogni parte del mondo, sotto i colori della democrazia, per ingannare ancora quei pochi idioti che nella democrazia credono. (p. 84)
Se c’è ancora qualcuno che non è ben persuaso della fondamentale avversione ebraica per i regimi sorti da una riaffermazione dei valori nazionali, costui faccia un passo avanti. Gli daremo da leggere e da mandare a memoria la cronaca di queste innumerevoli adunanze giudaiche, in cui il volto dell’antifascismo si confonde con quello d’Israele, per fare una sola maschera democratica, destinata a precipitare il mondo in una nuova tragedia. La democrazia ha scatenato la forza disgregatrice dell’ebraismo, e l’ebraismo insorge in difesa della democrazia. (pp. 85-86)
L’ebraismo difende se stesso nella democrazia. […]
[…]dovunque l’ebraismo ha in mano le leve di comando dei regimi detti democratici, c’è l’arrogante proposito del popolo eletto: “mia è tutta la terra”. (p. 86)

GLI EBREI IN ITALIA p. 87

Con la nota n.14 della Informazione Diplomatica la questione degli ebrei in Italia viene posta e definita ufficialmente, fuori dalle polemiche giornalistiche che l’hanno, e non invano, sviscerata. (p. 89)
Primo punto: si identificano le correnti dell’antifascismo mondiale con l’ebraismo.
Secondo punto: si auspica la creazione – non in Palestina – di uno stato ebraico, capace di rappresentare legalmente le masse ebraiche disperse nei diversi paesi. Il che vuol dire che l’ebreo è da considerare straniero in attesa di sistemazione nazionale definitiva e soddisfacente, per lui e per chi lo ospita.
Terzo punto: si stabilisce – finalmente! – sulla base delle eloquenti cifre, una proporzione tra ebrei e italiani, e si sottolinea l’inammissibilità delle sproporzioni. In altri termini, appunto perché in Italia gli ebrei non si contano a milioni, ma costituiscono una esigua minoranza, il rapporto da esigua e trascurabile minoranza a maggioranza schiacciante deve essere sempre rispettato e restaurato ove più non lo fosse. Questo rapporto numerico è scandalosamente violato. Il libro del prof. Livio Livi sugli Ebrei alla luce della statistica, per quanto bisognoso di aggiornamenti, fa ancora testo; noi ci siamo riferiti a questo studio per affermare che il rapporto è stato violato, e che la violazione è inammissibile.
Quarto punto: niente abiure religiose o assimilazioni artificiose; vale a dire che la questione ebraica è sottratta all’alibi religioso che molti ricercano, per suscitare pietà, solidarietà e scandalo; e viene sottratta anche la manovra assimilazionistica, anche questa da respingere nettamente col conforto dell’esperienza storica e della precisa testimonianza dell’ebraismo. L’assimilazione non è voluta dagli ebrei, non è desiderata dal Governo fascista; non risolverebbe il problema, come non lo ha risolto lungo i millenni; non è suggerita che per rinviare alle generazioni future un problema presente.
Quinto punto: gli ebrei venuti di recente nel nostro paese. Questo è un aspetto apparentemente parziale del problema, ma è, in sostanza, tutto il problema. (pp. 90-91)
Il Governo fascista ha dunque posto con chiarezza e decisione il problema degli ebrei che vivono in Italia. I 44 milioni di Italiani sanno che cosa pensare e che cosa attendersi dalle 70 mila unità ebraiche che il paese ospita. (p. 91)

CONFUSIONE DELLE RAZZE E DELLE LINGUE p. 93

ERA TEMPO p. 99

A un certo punto della polemica sul razzismo fu detto che, sbaragliati gli avversari in buona e in mala fede, affermata polemicamente la necessità di un razzismo italiano, chiariti i primi principii di una dottrina razziale, la parola passava di diritto alla scienza. Gli studiosi fascisti avevano il diritto e il dovere di chiarire scientificamente i concetti fino ad allora volgarizzati sui giornali in contraddittorio con gli assertori della confusione biologica e con gli interessati al meticciato; gli studiosi fascisti non potevano trascurare più oltre l’esame e la soluzione di un problema che necessità politiche e sociali avevano portato al primo piano dell’attenzione nazionale e internazionale.
Il silenzio della scienza – diremo così, ufficiale – poteva sembrare sospetto. Ci sono, nell’insegnamento universitario, bene identificate correnti che negano l’impostazione del problema razziale nei termini che ai nostri lettori sono ormai familiari; non solo, ma si oppongono, in base a teorie scientificamente claudicanti, avvalorate soltanto dal pigro silenzio di cui sono circondate, si oppongono ad ogni discussione che monomi i luoghi comuni d’un’antropologia fondata sul dogma laico dell’uguaglianza degli uomini; esi fanno addirittura i propugnatori dell’ibridismo. Ma, al di fuori di queste posizioni assolutamente anacronistiche, c’è una giovane scuola italiana, scientificamente solida, spregiudicata nei confronti dei vecchi luoghi comuni, sensibile alle necessità politiche che esigono una chiarificazione quanto più vasta di problemi fino a ieri sottratti alla divulgazione; la quale scuola non ha esistano a prender pubblicamente partito. Il lettore sa in quali netti termini, sotto l’egida del Ministero della Cultura popolare, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane, ha precisato la posizione del Fascismo nei confronti del problema razziale, fino a ieri dai più considerato materia di oziose discussioni.
Si badi bene che non si tratta d’una manifestazione di privati studiosi che reputano opportuno esprimere le loro opinioni; l’intervento del Ministero della Cultura popolare – il più indicato per occuparsi del problema, giacché il razzismo italiano ha bisogno d’esser portato a diretta conoscenza del popolo, deve diventare coscienza del popolo e norma di vita del popolo – sta a significare che gli studiosi si sono pronunciati in nome del Regime, hanno elaborato quei dieci punti che costituiscono ormai dieci precise direttive del Regime, ciascuna delle quali avrà le sue sicure applicazioni e i suoi sviluppi.
Il lettore – che non ha dimenticato le veementi polemiche – vedrà che si è dovuto partire dalla fondamenta; dall’affermazione che «le razze umane esistono». Tanto possono la pigrizia mentale e la maliziosa corruzione intellettualistica del meticciato culturale quando fanno comunella insieme: la gente mediocre (e sciocca) rideva fino a ieri se le parlavate di razza! E, da questa fondamentale necessaria affermazione, si passa al concetto di razza in senso biologico, e alla definizione d’una «razza italiana» e, alla proclamazione della necessità d’un «razzismo italiana», estraneo alle preoccupazioni filosofiche o religiose, e per ciò appunto sottratto agli agguati filosofici o religiosi e infine si arriva al problema dei problemi, al punto dolente che il meticciato riparava con una nuvola di chiacchiere e con la falsificazione della storia, della scienza e della realtà dei fatti attuali: il problema degli ebrei. GLI EBREI (punto 9) NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Sembra incredibile, ma si è dovuto arrivare a tanto: a proclamare solennemente, in sede scientifica, una verità tanto ovvia e sicura, ma altrettanto ignorata per pigrizia mentale o per malizioso calcolo. Popolazione costituita da elementi razziali non europei, la ebraica è estranea all’Italia, e la sua intrusione nel vivo della pura razza italiana è inammissibile e insopportabile. Ecco impostato biologicamente, oltre che politicamente, il problema ebraico.
Naturalmente, dai dieci punti fissati per conto del Fascismo dagli studiosi fascisti, si potranno trarre tutte le conseguenze utili all’impostazione e al successo d’una decisa politica razzista italiana. Meglio ancora, si dovranno trarre. Il più è stato fatto; il resto non potrà che venire tempestivamente. (pp. 101-104)

EBREI, RAZZA E CULTURA p. 105

La constatazione che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana” ha una portata duplice: biologica e culturale. Biologica in quanto, accompagnandosi con la volontà decisa di salvaguardare la pura razza italiana da incroci con razza extraeuropee che ne debiliterebbero i caratteri, la questione dell’assimilazione ebraica – del resto sempre respinta dagli ebrei in nome della loro legge politico-morale – viene nettamente respinta senza discussione. Noi non assimileremo ebrei, attraverso matrimoni misti, più di quanti finora non ne abbiano assimilati. Noi ci difenderemo da quella esigua frazione dell’ebraismo che vuole conquistare le altre nazioni addirittura attraverso il sangue.
Gli ebrei non appartengono alla razza italiana; gli ebrei appartengono a una razza extra-europea; l’incrocio con razze extraeuropee è pernicioso e perciò inammissibile. Di queste conclusioni razzistiche – dirà qualcuno – che ne pensano gli ebrei? Gli ebrei consentono. Gli ebrei consentono da millenni, e consentono anche oggi. Essi si dichiarano razza distinta dalle altre (e in più eletta, il che è certamente discutibile), e desiderano rimaner distinti dalle razze con le quali, ahimè, convivono. (pp. 107-108)
Ebbene, tali restino i nostri ospiti, e la situazione sarà ancora più chiara. Non saremo costretti a chiedere un censimento rigoroso degli ebrei e dei mezzi ebrei e dei quarti d’ebrei per vedere fino a che punto Israele è penetrato nel vivo della compagine nazionale.
Ebrei, non italiani, hanno voluto rimanere ebrei per quattromila anni, vogliano rimanere ebrei anche oggi, anche nell’avvenire. Stranieri, dunque, stranieri in casa di altri. E stranieri che, se non amano, anzi temono come annientamento l’assimilazione, sono a loro volta da evitare come elementi perniciosi alla purezza della razza che li ospita. Essi respingono l’assimilazione, noi respingiamo l’assorbimento; le leggi biologiche dicono chiaramente che cosa è l’ibridismo.
Siamo dunque perfettamente d’accordo, in linea di principio, anche con gli ebrei; una barriera di razza ci divide; insuperabile. E allora? E allora l’ebreo al suo posto, e noi al nostro. Il razzismo italiano difenderà la pura razza italiana da ogni soperchieria.
Dalla biologia, passiamo alla cultura. Il fenomeno ebraico, in Italia, ebbe il carattere di rapida presa di possesso degli strumenti della cultura. Quando la nostra cultura si sia ebraizzata, per opera del controllo ebraico, sarà studiato altra volta; si può dire senza tema di smentita che il distacco dalle tradizioni del genio particolare dell’Italia, l’adesione a forme e mode di cultura europeistica, l’abbandono di ogni contatto con le radici popolari dell’arte, le scandalose affermazioni di un’arte senza caratteri nazionali – musica, pittura e architettura – sono il velenoso frutto dell’influenza ebraica sulla vita intellettuale italiana. (pp. 108-109)
La cultura italiana è fortemente ebraizzata; bisogna disintossicarla. La vita universitaria è nettamente dominata dagli ebrei. (p. 110)
L’invasione ebraica si giova delle più impensate vie per raggiungere i suoi fini; si serve della letteratura, del teatro, del cinema, delle esposizioni, dei concerti, della carta stampata in genere per alterare i caratteri della razza, per modificarne gli attributi virili e dominarla. (pp. 110-111)
Ora noi non abbiamo bisogno di spirito ebraico nella nostra cultura; e chiudiamo la porta agli indesiderati ospiti perché vogliamo restare noi stessi. (p. 111)

ROMA E GLI EBREI p. 113

L’antisemitismo – dice qualcuno – è inammissibile. E’ una stupidità, o una crudeltà, o le due cose insieme. Le persecuzioni antisemitiche (meglio si direbbe antiebraiche, per non confondere gli ebrei con altri popoli estranei alla contese) sono testimonianze di inciviltà e di stoltezza; non c’è argomento che possa servire a difenderle.
La questione dell’antisemitismo è antica come i semiti; e non saremo noi a rintracciarne la storia. (p. 115)
Basta infatti tener presente la storia millenaria degli ebrei per intendere che una ragione, o mille ragioni, ci devono essere per giustificare un’avversione antiebraica così insuperabile. A noi interessa, particolarmente, il rapporto tra Roma e gli ebrei. Non si dirà che Roma – la Roma dei Cesari e quella dei Papi – sia un’affermazione della stoltezza umana. Eppure l’antisemitismo fiorì in Roma non appena l’ebreo vi apparve; e vi durò, con intensità varia, col durarvi degli ebrei. (p. 116)
La tolleranza dei primi tramonta; affiora in Roma, che non l’aveva ancora conosciuta, l’avversione antiebraica. […]
E cominciano le azioni repressive. (p. 117)
Di questo passo si va avanti per tutta la storia romana, seguendo le fasi che uno studioso dell’antisemitismo ha dedotto da un’osservazione intelligente dei fatti ebraici: simpatia, tolleranza, odio, ostilità, repressione. (Il prof. Siegfried Passarge, dell’Università di Amburgo, nel suo libro sugli ebrei, ha constatato l’esistenza di cicli nell’attitudine dei non-ebrei verso gli ebrei; di tali cicli ecco lo sviluppo: PRIMA TAPPA – Installazione. Gli ebrei arrivano in un paese i cui abitanti non hanno alcun pregiudizio a loro riguardo. Li si accoglie più o meno festosamente. Nell’antichità e fino al XVII secolo, si era spesso felici di accoglierli. SECONDA TAPPA – Affermazione. Gli ebrei sono tollerati o godono di un trattamento di favore, e così consolidano la loro situazione. TERZA TAPPA – Apogeo. Gli ebrei si distinguono per la loro ricchezza e per il loro credito. In taluni ceti del popolo un sentimento di malessere, d’invidia e di odio comincia a nascere. QUARTA TAPPA – Resistenza. Si entra in un periodo di assalti e di lotte alternati con periodi di calma. L’irritazione del popolo è generalmente contenuta dal clero e dal governo. QUINTA TAPPA – Ostilità aperta. Il popolo, esasperato, rompe ogni ostacolo e massacra gli ebrei. Oppure l’autorità previene il massacro espellendo gli ebrei. Il ciclo ricomincia in un altro paese.) (p. 118)
Ecco un breve excursus di antisemitismo cattolico. (p. 119)
E con ciò? – dirà il lettore che è rimasto leggermente sorpreso apprendendo che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana.” – Con ciò si dimostra ancora una volta che l’ebreo è inassimilabile; che ha attraversato i secoli e i millenni ostinandosi nel suo esclusivismo; che sempre, in tutte le epoche e in tutti i luoghi, i popoli hanno dovuto difendersi da lui, con tutti i mezzi. Roma lo ha fatto, Roma lo farà. (p. 122)

QUANDO GLI EBREI DOMINAVANO p. 123

Non è la preistoria; è appena la vigilia della grande guerra. Gli ebrei dominano, nella vita pubblica italiana. Essi governano direttamente l’Italia; ogni gabinetto ministeriale ne ha uno o due o più di due. La proporzione aritmetica vorrebbe, semmai, che al governo partecipasse una esigua frazione di ebreo, mettiamo, un’unghia di ebreo; e invece!….. Il popolo italiano ha rimesso nella mani di alcuni stranieri di razza extraeuropea il governo delle proprie cose e il proprio destino. I pastori della tribù di Giuda lo guidano. Quante cose si capiscono al lume di questa osservazione! (p. 125)
Dunque gli ebrei mutano natura, in relazione al popolo che li ospita. Se questo popolo è mite, di spirito pecorile, remissivo, se si lascia facilmente dominare, i suoi ebrei saranno buoni; se reagirà, se cercherà di affermare la sua personalità, se si difenderà, i suoi ebrei saranno cattivi. Dipende dalla vittima il contegno del boia. Questa incredibile confessione è da ricordare, quando si voglia far la storia delle dominazioni ebraiche, quando si voglia intendere la vera natura dell’ebreo. Quali ebrei ebbe il popolo italiano? Secondo la teoria del Luzzatti, buoni ebrei, perché buoni li meritava; esso era così remissivo, e tanto docile ai voleri della Sinagoga! Esso si era consegnato a una minoranza e si lasciava quietamente condurre. Nel 1895, vent’anni avanti, era diventato cittadino italiano un ebreo polacco, certo Toeplitz, e si apprestava già a tosare le buone pecorelle italiane.
Ma, oggi, che ebrei ci meritiamo? Vorremmo davvero saperlo. (p. 127)

LA RAZZA, IL POPOLO E… LA STIRPE p. 129

Il problema della razza italiana è stato posto nello stesso momento in cui il più alto interprete di quella razza assumeva la responsabilità del comando totale e apriva un periodo nuovo nella storia d’Italia. Fascismo e difesa e potenziamento e primato della razza sono aspetti di una stessa impresa. Non è concepibile Fascismo senza un’affermazione del concetto razzistico; non è pensabile una politica di razza senza il Fascismo. Se il Fascismo è l’affermazione totalitaria delle più alte virtù del popolo, il suo fondamento è da cercarsi nella ritrovata coscienza della razza. Siamo – è bene ancora una volta ripeterlo – assolutamente fuori dalla nebulosa retorica che ci ha afflitto per decenni, agevolando la confusione negli spiriti e alimentando la pigrizia dei cervelli pigri; la razza alla quale il Fascismo si riferisce non è un’astrazione letteraria, non è un’ingenua aspirazione, non è la stirpe degli oratori domenicali né la progenie di Roma dei rimatori; è questa razza, della quale siamo i viventi elementi, che ha un volto e una misura, che vive ed opera sotto i nostri occhi, che fa la sua storia affermandosi degna della storia già fatta. Di questa razza noi ci occupiamo, e non d’altro; ed è inutile cercar di mettere acqua nel vino e di riportarsi a posizioni puramente intellettualistiche e astratte. Di un razzismo cosiffatto è sciocco meravigliarsi oggi, quando esso esiste dalle prime affermazioni mussoliniane. Perché la gente vuol dimenticare che l’Italia meschina contro cui insorse e guerreggiò il Fascismo era appunto un’Italia governata da un’altra razza? Era l’Italia elaborata da quel gruppo di ebrei che dominarono la vita pubblica alla vigilia della più grande prova nazionale; un’Italia che si ignorava, perduta dietro i suoi sedicenti pastori, distratta dalle sue proprie necessità e costretta a risolvere le necessità dell’ebraismo. Perché la gente vuol dimenticare che l’antifascismo fu essenzialmente ebraico? Che, espulso oltre i confini, l’antifascismo trovò nell’internazionale ebraica il suo mezzo di conservazione e il suo veicolo? La questione di razza fu fascista ancor prima dell’Impero, e con l’Impero si fece solo più vasta e più urgente. L’intima logica del Fascismo è razzista; e coloro che per primi agitarono pubblicamente questa questione, non fecero che chiarire opportunamente dati di fatto e necessità inoppugnabili.
Ha detto Mussolini: noi tireremo dritto! Le necessità storiche tirano diritto. Il Fascismo ha le sue mete, le raggiungerà tutte senza compromessi. La prima meta è quella di restituire all’Italia il suo particolare genio, di affermarla nel mondo con la sua inconfondibile personalità. Non vogliamo bastardi, non vogliamo rètori, non vogliamo corruttori; vogliamo Italiani al servizio dell’Italia. Ecco perché il problema della razza è oggi preminente. Non dobbiamo riconoscerci italiani in un’Italia riconosciuta; troppo bastardume dominante ce lo ha impedito in passato, corrompendo il giudizio del popolo, allontanando il popolo dalle fonti del suo genio. Senza esitazioni, senza pietismi, senza preoccupazioni, la questione della razza sarà portata sul terreno pratico e avrà le sue conclusioni fasciste. La razza è il popolo, e difendendo la razza noi difendiamo il popolo e il suo domani.

***

In puro disinteresse, per semplice bontà d’animo, vorremmo rapidamente disilludere quei pochi stranieri che ancora credono esser la maggioranza degli Italiani indifferente alla questione del razzismo. Com’è stato già detto, di razzismo si parla in Italia fin dalle prime avvisaglie fasciste, fin da quando la voce di Mussolini cominciò a suscitare echi profondi nella coscienza degli Italiani. Altrettanto si può dire – perché va di pari passo – della questione ebraica. Più particolarmente, questa ha avuto le sue vicende in relazione alla condotta degli ebrei, mutevole a seconda delle necessità e del calcolo. Ma di una questione ebraica si è sempre trattato in Italia, anche se il popolo ha subito una discussione sterile, che gli era estranea appunto perché sterile. Oggi che le due questioni – le quali poi si assommano in una – vengono riproposte, con la tipica chiarezza fascista per essere condotte risolutamente a conclusione, il popolo è al centro del dibattito e ne diventa il protagonista.
Piuttosto, per disilludere gli stranieri di cui sopra, vorremmo chiedere la collaborazione di questi illustri camerati che della questione, improvvisamente e con encomiabile zelo, hanno fatto il loro pane quotidiano. Questi ottimi amici, se si prefiggono lo stesso scopo che è in cima ai nostri pensieri, debbono uscire dal vago e dal letterario, per venire sul terreno della concretezza biologica. Siamo veramente tufi di sentir parlare di stirpe, in senso retorico, e di progenie, in senso comiziale, quando stirpe e progenie non hanno altro valore che quello di puro suono nella rotonda bocca dei retori. È con questa maledetta imprecisione di vocaboli, con questa bolsa eloquenza inutile che l’Italia fu tradita dai suoi meschini reggitori; e si fece in parte scettica, in parte vanesia. Il Fascismo ha portato il gusto della concretezza, il disgusto dell’inconsistente. In materia di razzismo, noi siamo qui per difendere idee chiare, concetti sicuri, realtà controllabili, finalità precise. La retorica non ci serve, non ci serve il vaniloquio intellettualistico, ci ripugna la letteratura. La carta del razzismo italiano è chiara: si parte da dati biologici, si escludono le interferenze religiose e filosofiche. Ci si faccia finalmente grazia di tutto il ciarpame filosofico-religioso che sulla realtà incontrastabile della razza si è incrostato per decenni, rendendo impossibile una chiarificazione delle cose nostre. La questione degli ebrei non potrà esser risolta, non potrebbe addirittura esser nemmeno impostata, se non ci riportiamo al concetto biologico di razza, se non defenestriamo l’intellettualismo, il vaniloquio comiziale, il presso a poco scientifico. È necessario che i tenori della stirpe la smettano di cantare e lascino parlare, nel modo più piano possibile, gli assertori della razza. Noi faremmo il gioco degli ebrei, e degli ebraizzati, se annacquassimo il nostro razzismo col vieto vocabolario delle università popolari.
Vorremmo perciò umilmente pregare i camerati che con tanto zelo vengono occupandosi di razza e di razzismo, di mantenere, scrivendo, i piedi sotto il tavolo, a stretto contatto con il suolo, evitando così i voli lirici verso l’universalità dello spirito e la missione della stirpe; perché tali voli, dal punto di vista lirico certamente pregevoli, sono in questo caso assolutamente fuor di luogo e provocano la massima confusione. Non a caso i docenti fascisti delle Università italiane, nel redigere il loro manifesto, hanno adottato la più semplice e la meno verbosa delle esposizioni; si trattava di far giustizia di molti luoghi comuni e di riportare i concetti alla loro precisa significazione, liberandoli dalle deformanti stratificazioni dell’inutile retorica. La più grossa deformazione che ha offeso il concetto di razza, pur così semplice, è quella che va sotto il nome di stirpe. Con questo vocabolo nelle mani, lo scrittore italiano prende il volo e non si ferma se non nella stratosfera storica, donde le cose e gli uomini non hanno più rilievo, ma appaiono confusi in una nebbiolina retorica che non permette il minimo sensato giudizio. Abbiamo letto, in varie occasioni, molti scritti sul razzismo compilati da un punto di vista stratosferico; e la bella chiarezza scientifica del manifesto che li ha provocati è già un lontano ricordo. Non a caso, ripetiamolo, quel manifesto avvertiva che il razzismo italiano doveva tenersi lontano dalle insidie filosofiche e religiose per mantenersi sul terreno strettamente biologico; noi abbiamo bisogno, urgente bisogno, di rivedere il nostro vocabolario, che è tutto vesciche e non riesce a riacquistare la scarna sobrietà del linguaggio dei grandi Italiani.
Anche qui, questione di costume. Ad un linguaggio inconcludente, corrispondono concetti confusi e, quindi, la malafede o la scarsa fede e la paura di chiarezza. L’Italiano si nutrì già, per molti decenni, di retorica democratica, di retorica latina, di retorica universalistica; perdette così ogni idea del suo vero essere e si allontanò dalle fonti del suo particolare genio. Il Fascismo l’ha ricondotta a riconoscersi, spietatamente distruggendo il manto di insulse sciocchezze che opprimeva la sua vergine natura. Ora abbiamo un problema, che il Fascismo vuole risolvere nel concreto delle necessità attuali della nazione, affidandosi a chiare idee e a più chiare conclusioni scientifiche; e il gusto parolaio tenta di riprendere il sopravvento a spese della chiarezza. (p. 137)

PIÙ CHE LA BARBA DEGLI EBREI p. 139

Quando la Germania nazista prese i noti provvedimenti di difesa dall’ebraismo, una spaventosa campagna di menzogne e di calunnie si levò in tutto il mondo (demo-liberale). C’è ancora qualcuno, anche in Italia, che pensa che siano stati allora distrutti gli ebrei in Germania e che si siano soltanto salvati quei pochi riusciti a passare il nuovo Mar Rosso del furore nazista. Gli ebrei hanno una particolare abilità nella messa in scena, e il vittimismo è il loro abito usuale; la messa in scena della persecuzione nazista è il loro ultimo capolavoro (ma essi ne meditano un altro, quello della persecuzione fascista).
La verità è completamente diversa. Gli ebrei esistono ancora, e numerosi, nella Germania nazista, vi lavorano, vi commerciano, vi prosperano. (p. 141)
In Italia, il problema degli ebrei è ancora più facile a risolversi, ma per la stessa ragione più naturale, essendo gli ebrei pochi in rapporto alla grande massa della popolazione italiana. Pochi in assoluto, moltissimi in percentuale relativa a determinare professioni. (p. 142)
Gli italiani si ricordino del tempo passato, quando la vita pubblica era tutta nella mani degli ebrei, di famiglie venute a caso in Italia e rapidamente portatesi ai posti di comando mediante l’intrigo massonico e l’internazionalismo sotterraneo. Quella era l’Italia che noi oggi diciamo mediocre; e che non si spiega se non mettendo in luce l’opera dell’ebraismo senza patria, estraneo al destino dei popoli, e nemico di quel destino. (p. 143)

ALL’UN PER MILLE p. 145

C’è grande agitazione fra gli ebrei d’Italia e non meno grande confusione fra gli amici degli ebrei d’Italia. I quali ultimi sono, per esser più precisi, i mezzi ebrei, i quarti d’ebrei, gli imparentati comunque con ebrei, i soci degli ebrei, i succubi degli ebrei, i minchioni di cui gli ebrei hanno l’arte di circondarsi. Agitazioni e confusione debbono rapidamente sparire. Il problema è minimo, al confronto delle grandi imprese nelle quali l’Italia è impegnata. Non ci facciamo suggestionare dagli echi che la soluzione della nostra questione può suscitare all’estero, nei paesi ove l’ebraismo controlla governi, giornali e affari. Come abbiamo già detto, l’ebreo ha tendenza spiccata al vittimismo e porta con grande civetteria l’aureola del martirio. Bisogna evitare di mettersi nel suo gioco. Noi non perseguiteremo gli ebrei, perché non ne abbiamo né la minima voglia né la minima necessità. Intanto, è chiaro che in uno Stato potente come il nostro, munito di ogni mezzo di controllo e di repressione, 70.000 individui appartenenti a una razza che dal tempo dei Maccabei ha rinunciato all’arte militare, non rappresentano che una trascurabile entità degna soltanto di stretta sorveglianza. Quanto alla voglia, sarebbe veramente sciocco e anacronistico pensare a persecuzioni che si risolverebbero, alla fine, come è sempre accaduto nella lunga storia della Diaspora, in un vantaggio per gli ebrei. Noi ci limiteremo soltanto – e non sembri eccessiva la formula, perché la storia la conforta dei suoi dati – ci limiteremo a non farci perseguitare dagli ebrei. Vale a dire che non permetteremo agli ebrei di imporci la loro mentalità, i loro interessi, i loro scopi, le loro esigenze inammissibili. Ciascuno al suo posto e nel rapporto stabilito. L’ospite al posto dell’ospite e con i doveri dell’ospite. L’invasione ebraica delle professioni intellettuali, quale fu denunciata dal Livi qualche decina d’anni fa, è insopportabile; deve finire. Non è utile, è assolutamente ozioso ricercarne le cause. Siano quelle che siano, sono cause d’un effetto che non ci piace; che finirà. Noi italiani vogliamo esser noi stessi e non vogliamo far la figura del gregge condotto da oscuri pastori. Il giudeo, fra noi, di noi non dovrà più ridere; Dante ce lo raccomanda dal suo tempo; ed era da sganasciarsi dalle risa, nel retro delle sinagoghe, quando una grande nazione, assurta a decoro di grande potenza europea, si consegnava alla minoranza ebraica per farsi fare le leggi, per farsi amministrare la giustizia, per farsi attrezzare militarmente, per farsi preparare un bilancio, per farsi – ahimè – istruire! Sarà fatto nella sede opportuna l’opportuno studio della dimissione dell’Italia nelle mani dell’ebraismo, giusto al principio della storia unitaria, quando più necessario sarebbe stato essere gelosamente fedeli al genio nazionale. Le nuove responsabilità dell’Italia fascista esigono la fine della manomissione ebraica dello spirito nazionale; come esigono urgentemente un decoro razziale che sia quotidianamente norma di vita in patria e in Africa. Non si tratta di improvvisazioni; è che il clima è ormai maturo, e non si può più perdere tempo, come in campagna, dove la maturazione è attesa con pazienza ma affrontata al momento giusto con risolutezza e mezzi adeguati. Da più di vent’anni Mussolini ammonisce gli Italiani a non trascurare il problema della razza, essendo chiare nel suo spirito le grandi mete alle quali l’Italia veniva indirizzata. (pp. 147-149)