ROBERT BRASILLACH – PRESENZA DI VIRGILIO

ROBERT BRASILLACH – PRESENZA DI VIRGILIO
ROBERT BRASILLACH – PRESENZA DI VIRGILIO

ROBERT BRASILLACH – PRESENZA DI VIRGILIO

EDIZIONI ALL’INSEGNA DEL VELTRO

IL VRGILE: UN RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE?
Di Attilio Cucchi p. 11

PARTE PRIMA
GIOVINEZZA DI VIRGILIO p. 45

CAPITOLO I – INFANZIA p. 47

Era nato, un quindici di ottobre, in un piccolo villaggio della pianura padana, non lontano da Mantova. (p. 47)
Per lui come per altri, l’infanzia era dunque questa successione ineffabile di colori in cui non c’era quasi nulla di preciso. (p. 48)
In lui era forte il sentimento di ciò che lo legava alla sua terra e ai suoi antenati.[…]
Era stato allevato in campagna, tra i pascoli e gli orti, fino all’età di dodici anni. Aveva vissuto la vita di tutti i figli degli agricoltori dei dintorni, mangiando insieme con loro castagne bollite e formaggio e cantando nei girotondi[…]. (p. 49)

CAPITOLO II – STUDI p. 53

Era l’ultimo ricordo della sua infanzia. A dodici anni aveva lasciato questi paesaggi voluttuosi e saggi ed era dovuto andare a Cremona, a lavorare, a studiare, con la sua testa dura di contadinello che vuole imparare, con la sua salute debole. Verso i quindici anni lo avevano emancipato[…]. (p. 53)
Sognava l’alleanza delle forze straniere e orientali con il genio latino, per una nuova nozione di umanità.
…E poi un bel mattino dei suoi diciassette anni, era arrivato a Roma; da allora erano passati tre anni così pieni e così gravidi, che non ne avrebbe mai conosciuto la profondità vietata. (p. 54)
Tuttavia non si accontentava del piacere. Lasciato perdere il diritto, aveva voluto istruirsi ulteriormente: si era appassionato alla matematica e anche alla medicina. Sapeva di avere un inizio di tubercolosi e desiderava curarsi con conoscenza di causa. Ma soprattutto si lanciava con ardore negli studi filosofici e nell’eloquenza. Erano gli studi del suo tempo.
Frequentava i corsi di un greco piuttosto celebre, Epidio; amante delle belle frasi, della prosa adorna, delle metafore, costui aveva ereditato dall’Oriente il gusto dello stile fiorito e prezioso. (p. 56)
Leggeva anche i poeti e credeva di avere la loro stessa vocazione. (p. 58)
Con tutti i suoi sogni, tutti i suoi desideri, era un ragazzo timido, maldestro, serio. […]
Amava il silenzio, lo studio, la malinconia, tanto quanto il movimento, il piacere, l’allegria. (p. 60)
Era sensuale e riservato, ma anche esigente e irritabile. (p. 61)

CAPITOLO III – GUERRA E PACE p. 63

La crisi politica e la guerra civile erano al culmine. (p. 63)
Il 18 gennaio 49 Cesare, che a Ravenna stava bruciando d’impazienza, passò il Rubicone, che segnava il confine della zona sottoposta al suo governo militare, e marciò su Roma. (p. 64)
In questa incertezza, giunse finalmente la notizia del miracolo di Farsalo, la notizia veridica: il 9 aprile 48 i soldati di Cesare avevano battuto quelli di Pompeo, catturandone o uccidendone i due terzi. (p. 65)
Fu allora che il padre di Virgilio morì. Era vecchio e cieco e lasciava un figlio giovane e di salute malferma. (p. 66)
Dopo le inquietudini della guerra, dopo le false notizie e i comunicati più o meno ufficiali altrettanto falsi, aveva ripreso la vita che aveva scelta, tra i suoi libri, coi suoi maestri e i suoi amici. (p. 67)
Un altro greco cominciava a sedurlo, in modo più duraturo: un niceno mezzo asiatico, Partenio, che era stato fatto prigioniero durante la guerra mitridatica e portato a Roma nel 65. (p. 68)
Un uomo, a un certo momento, rivestì la funzione del maestro. Uno scrittore celebre, avvocato, saggista, volgarizzatore (decisamente mediocre in tutto ciò), Cicerone, all’arrivo di Virgilio a Roma aveva pubblicato l’opera di un poeta sconosciuto che si era suicidato dopo aver vissuto i suoi ultimi giorni nella follia. (p. 74)
Allora, in un grande slancio, decise di rinunciare alle lettere e di partire per Napoli, dove i filosofi Sirone e Filodemo tenevano scuola nei giardini, per consacrarsi alla saggezza. (p. 75)

CAPITOLO IV – IL PORTO DELLE FELICITÀ p. 77

Le scuole filosofiche di Sirone e di Filodemo si trovavano nella periferia di Napoli, non lontano dall’antica città greca costruita sul sepolcro della sirena Partenope, morta d’amore. Là i celebri professori avevano organizzato delle scuole modello, a imitazione di quelle dell’antica Grecia e dell’Oriente, tra i giardini, l’aria di mare e il sole. Cultura fisica e cultura intellettuale. (p. 77)
Era stato uno dei suoi amici a prestargli Teocrito?[…]
Era soprattutto Teocrito a diventare il suo doppio[…]. (p. 82)
Un giorno arrivò una notizia stupefacente, che lo sconvolse: Cesare era stato assassinato. Dopo la morte del Padre, ecco che scompariva il secondo degli dèi della sua giovinezza. (p. 87)
Non ce la fece più e partì per Roma. (p. 89)
Tuttavia Virgilio cominciava a sperare. Dopo le prime incertezze, si era schierato dalla parte di Ottavio, che rappresentava il vero schieramento cesariano.[…]
Qualche giorno dopo, venne a sapere che Cicerone si era fatto uccidere a Gaeta, il 4 dicembre 43, per non cadere nelle mani di Antonio. (p. 91)
Allora Virgilio, sentendo come tutto fosse precario e quale disgusto si stesse impadronendo di lui, si decise ad abbandonare Roma. Sua madre si era risposata. […]
Si congedò definitivamente da quella vita di studi, dalle serate napoletane, dagli amici affascinanti, da tutta la vita che aveva sognata. […]
Adesso aveva ventott’anni. (p. 92)

PARTE SECONDA – LETTERATURA p. 99

CAPITOLO I – LA FINE DEL PODERE p. 101

Davanti al lui c’erano la collina dal dolce pendio, il fiume che scorreva nella pianura, il faggio spezzato. Le antiche voci, mai dimenticare, riprendevano forza. Virgilio si mise a scrivere. […]
Ha fatto la conoscenza del governatore della provincia. (p. 103)
Queste poesie raffinate e complesse piacquero a Pollione. […]
Con la sua approvazione, Virgilio fece circolare due o tre di queste poesie. (p. 107)
Questo equilibrio fu rotto dalla morte del giovane fratello di Virgilio. (p. 109)
Ma Virgilio sarebbe stato obbligato, per qualche tempo, a smettere di sognare e di scrivere. Eventi alquanto gravi lo avrebbero distolto dalle sue occupazioni preferite e lo avrebbero costretto a mischiarsi alla vita.
La situazione era brutta. Ottavio doveva pagare i soldati[…]. (p. 111)
Perciò procedette alle confische. […]
A Brindisi venne siglato un accordo, con una spartizione del potere che dava a Lepido la parte che gli spettava.
Purtroppo questo accordo doveva avere delle conseguenze funeste per Virgilio. Pollione era partito per una spedizione in Illria[…]. (p. 112)
Virgilio, che si vedeva già espropriato dei suoi beni, lasciò perdere le poesie che stava scrivendo, nelle quali ricordava le conversazioni di Napoli, i paesaggi discreti e i pastori della poesia bucolica, e si presentò davanti ad Alfeno Varo. (pp. 112-113)
Partì da Andes agli ultimi d’agosto del 39. (p. 113)
Ma l’individuo al quale era toccato il podere di Virgilio, un vecchio sergente di nome Arrio, era ben risoluto a non lasciarsi deprivare di una tale cuccagna. Fece immediatamente valere i propri diritti davanti alla giustizia. Virgilio, facendo affidamento alla sua antica conoscenza del diritto e sui suoi vecchi studi di giurisprudenza, accettò il processo. (p. 115)
Non era possibile rendere a Virgilio il podere della sua famiglia. Invece, era possibile indennizzarlo. Siccome amava Napoli, dove aveva trascorso la giovinezza e dove il clima gli faceva bene, gli si poteva dare una proprietà nei dintorni di questa città. (p. 116)
E Virgilio intraprese la carriera di uomo di lettere… (p. 117)

CAPITOLO II – ESORDI p. 119

Virgilio aveva ricevuto da Ottavio una casa sul fianco dell’Esquilino, circondata da giardini, non lontano da dove Mecenate si stava facendo costruire un palazzo. […]
Le lettere, in quel momento, erano quasi totalmente dominate dall’alessandrinismo. (p. 119)
La carriera letteraria di Virgilio si annunciava ben chiara; e Virgilio, da bravo letterato, sembrava vivere solo per essa. Assieme a Vario, reso meritatamente celebre da un lungo poemetto sulla Morte di Cesare, e con Gallo, che non aveva pubblicato nulla, Virgilio stava diventando uno dei capi della nuova scuola. (p. 128)
[…]sarebbe stato meglio frequentare Mecenate anziché Pollione. […]
A casa di Pollione si incontravano solo dei nemici di Ottavio. Virgilio diradò le sue visite. Pollione, olimpico com’era, non se ne rese conto.
Il successo del Sileno, le amicizie illustri: tutto spingeva Virgilio a scrivere. Adesso era l’autore di una decina di componimenti poetici abbastanza lunghi, che i suoi amici giudicavano molto belli. (p. 129)
C’era poi quel nuovo amico che si chiamava Orazio. (p. 132)

CAPITOLO III – GIOCHI ALTERNATI p. 133

Orazio piacque molto a Virgilio. […]
Virgilio e Vario presentarono Orazio a Mecenate.[…]
Ciò era avvenuto nella primavera del 38 e un silenzio di nove mesi aveva separato Orazio dal circolo di Mecenate. (p. 135)

CAPITOLO IV – DRAMMI PASTORALI p. 141

Viaggiò. Conobbe la Sicilia di Teocrito, con le sue grandi ville elefanti, i ricordi greci, i bei templi levigati da un tempo prezioso. Conobbe tutta la costa meridionale dell’Italia, da Napoli fino al golfo di Taranto, dove si dava appuntamento la gente elegante, abbandonando temporaneamente Baia e la costa incantata.
Fu in quest’ultima città, dove si fermò per qualche tempo, che pubblicò le Bucoliche. (p. 142)
Insomma, il fascino più evidente di queste poesie proveniva dalla loro forza contadina e selvaggia. Qualunque fosse la bellezza dei personaggi, essa era annientata dalla bellezza degli scenari. (p. 145)

CAPITOLO V – IL VIAGGIO DELL’AMICIZIA p. 151

Virgilio era tornato a Napoli, dove abitava nella casa donatagli da Mecenate. (p. 151)
CAPITOLO VI – LE OPERE E I GIORNI p. 163

Con l’età, senza dubbio, la sua malinconia diventa amarezza, la violenza e la crudeltà si trasformavano in un’asprezza fredda e talora cattiva. Quello che arriva con la maturità, molto spesso, è un indurimento delle nostre qualità più belle, una sclerosi di tutto l’essere. (p. 163)
Le Georgiche erano un poema alla gloria del principe. […]
Innanzitutto lo salutava come protettore dei campi, gli dava gli appellativi grandiosi di autore delle messi, di principe delle stagioni. (p. 173)

CAPITOLO VII – UNA PORPORA IN PREPARAZIONE p. 179

Virgilio pubblicò le sue Georgiche poco dopo averle lette ad Ottavio. (p. 184)

PARTE TERZA – SALPAMENTI p. 189

CAPITOLO I – MORTE D’UN AMICO p. 191

[…]Gallo terminava la propria esistenza, secondo l’augurio del saggio, nell’ambizione. Si lasciò trascinare in eccessi troppo vistosi. (p. 192)
Nella seconda edizione delle Georgiche, Virgilio soppresse dal quarto libro l’elogio di Gallo. (pp. 192-193)
Siccome l’onesto governatore aveva ceduto il posto a un fautore di disordine, gli elogi dovevano sparire. (p. 193)

CAPITOLO II – LA TERRA E I MORTI p. 2019-09-10
Lavorava. Il più grande sogno della sua vita di poeta si sarebe forse avverato; nell’ora in cui la gloria e la maturità gli mostravano il suo vero volto, o quello ch’egli voleva credere tale, tentava l’opera perfetta in cui avrebbero trovato posto il suo amore per il suolo natale, il suo gusto della giovinezza, la sua inquietudine religiosa: l’opera in cui si sarebbero potuti ritrovare tutti gli uomini del suo tempo e in cui si sarebbe ritrovato anche lui, confuso nei loro ranghi.
Aveva riletto con cura il più grande di tutti i poeti antichi, il più inaccessibile: Omero. (p. 201)
Prima di tutto, la sua opera doveva corrispondere all’immagine che di lui si facevano adesso i suoi contemporanei, doveva essere un’opera nazionale. Un poeta è un uomo che deve servire, come gli altri uomini. […]
Per aggiungere maggior precisione alla forza propagandistica del suo libro, Virgilio si era dato anche lui agli studi storici. (p. 202)
Virgilio non era un poeta epico, in nessun modo. Siccome era ostinato e rispettava le regole, s’impadronì dell’apparato epico di Omero. (p. 204)
Attraverso di lui Virgilio si rivolgeva all’avvenire, ai giovani del suo paese, ai giovani di tutti i secoli. Il modello ch’egli dava loro era un modello di eroismo accettato. […]
i giovani eroi virgiliani esaltano l’amore per il loro paese e lo custodiscono nel sangue. (p. 208)

CAPITOLO III – PARTENZE p. 211

La vita continuava, insegnandogli che stava invecchiando. Dopo Gallo, era scomparso dei più vecchi compagni della sua gioventù: Quintiliano Varo, cisalpino come lui, che lo aveva seguito a Napoli, era morto l’anno prima, nel 24, dopo una dolorosa malattia. […]
Virgilio si era molto abbattuto dopo questa morte. […]
Ed era la morte d’un vecchio compagno. (p. 211)
Gli venivano allora in mente tutte le grandi cose banali che sono il tormento della vita: la fuga del tempo, l’inutilità del vivere, l’incoerenza del mondo, la nostra ignoranza di quello che viene dopo la morte. (p. 212)

CAPITOLO IV – SAGGEZZE p. 223

Così la saggezza di Virgilio, mista di delusioni e di speranze, inquieta, meravigliosamente umana, forse profetica, era molto lontana da quella di Orazio. (p. 233)

CAPITOLO V – O MORTE, VECCHIO CAPITANO p. 235

Virgilio si decise a intraprendere il viaggio che lo tentava da parecchi anni. Aveva terminato una prima redazione dell’Eneide, completa, tranne alcuni versi incompiuti. […] Erano undici anni che lavorava alla sua opera. (p. 235)
Era pieno di stanchezza. Ormai aveva deciso di abbandonare totalmente la poesia, una volta che l’Eneide fosse finalmente terminata. […]
Faceva ritorno al sogno iniziale della sua vita: occuparsi di se stesso e raggiungere la saggezza. (p. 236)

Ricordati, o Romano, che tu sei fatto per governare i popoli[…]
Tuttavia non partiva senza una certa inquietudine. Prima d’imbarcarsi per quell’Oriente prestigioso che innalzava templi ad Ottavio, chiamò i suoi amici, mostrò loro i punti in cui lasciava incompiuta l’Eneide e chiese loro di bruciare il manoscritto nel caso in cui non avesse fatto ritorno… […]
Non si era sbagliato. Il viaggio lo affaticò. Si fermò ad Atene, dove trovò Ottavio che tornava dall’Oriente. A Megara, un estremo isolamento lo mise al tappeto. Ottavio lo persuase a rinunciare al viaggio e a rientrare con lui in Italia. Ma era ormai un moribondo quello che la nave imperiale sbarcò a Brindisi. (p. 237)
Virgilio morì nella città in cui, alcuni anni prima, anni così vicini e così lontani, aveva fatto un lungo viaggio felice con Orazio, Vario e Mecenate. […]
Quel corpo inerte aveva conosciuto, nella più perfetta pienezza, i tre ordini pascaliani della sensualità, della ragione e del misticismo. Delle conoscenze del suo tempo, nessuna gli era rimasta estranea. (p. 238)
Nell’imminenza della morte, però, non si preoccupava di se stesso, ma della propria opera. (p. 239)
Poco prima di morire, volle dettare un testamento.[…] Quanto al libro[…] lo lasciò in eredità a Vario e a Plozio assieme ai suoi altri manoscritti. Li incaricò parimenti dell’edizione delle sue opere, ma poneva come condizione che non pubblicassero l’Eneide.
Morì il 21 settembre, all’arrivo dell’autunno. (p. 241)
Qualche tempo dopo, per ordine di Ottavio, Vario e Plozio pubblicarono un’edizione dell’Eneide. Fecero i tagli richiesti dall’esistenza di più manoscritti, ma non si permisero di aggiungere né di completare un solo verso. (p. 242)

BENEVOLO LETTORE
Di Robert Brasillach p. 245