RENÉ GUÉNON – SCRITTI SULL’ESOTERISMO ISLAMICO E IL TAOISMO

 

RENÉ GUÉNON – SCRITTI SULL’ESOTERISMO ISLAMICO E IL TAOISMO

ADELPHI – Collana PICCOLA BIBLIOTECA n.320 – III ed. Gennaio 2003

TRADUZIONE: Lorenzo Pellizzi

PREFAZIONE
Di Roger Maridort p.10

SCRITTI SULL’ESOTERISMO ISLAMICO E IL TAOISMO p.15

I – L’ESOTERISMO ISLAMICO p.17
*Cahiers du Sud, 1947, pp.153-154

Di tutte le dottrine tradizionali, la dottrina islamica è forse quella dove è più fortemente marcata la distinzione fra due parti complementari, che possiamo chiamare essoterismo ed esoterismo. Esse sono, secondo la terminologia araba, esh-shariah, letteralmente la «strada maestra», aperta a tutti, e el-haqiqah, la verità interiore, riservata all’élite […] perché non tutti possiedono le capacità o le «qualificazioni» necessarie per arrivare a conoscerla.[…]
La shariah include tutto ciò che la terminologia occidentale definirebbe come propriamente «religioso», e in particolare l’intera parte sociale e legislativa che, nell’islam, rientra essenzialmente nell’ambito della religione; potremmo dire che essa è innanzitutto norma d’azione, laddove la haqiqah è conoscenza pura[…]. (p.17)
Ma non è tutto: possiamo dire che l’esoterismo comprende non solo la haqiqah, ma anche i mezzi che permettono di raggiungerla; l’insieme di tali mezzi è detto tariqah, «via» o «sentiero» che dalla shariah conduce verso la haqiqah.[…]
[…]così le vie sono molteplici e tanto più divergenti fra loro quanto più ci si avvicina al loro punto di partenza sulla circonferenza, ma la meta è una sola, perché vi è un solo centro e una sola verità. A rigor di termini, le divergenze iniziali svaniscono insieme alla stessa «individualità« […], vale a dire quando si raggiungono gli stati superiori dell’essere e quando gli attributi della creatura, che propriamente sono soltanto limitazioni, scompaiono per lasciar sussistere soltanto quelli di Allah, con i quali l’essere si identifica nella sua «personalità» o «essenza». (pp.18-19)


L’esoterismo – considerato in tal modo come comprensivo sia della tariqah che della haqiqah, in quanto mezzi e fine – è designato in arabo con il termine generico et-tasawwuf, che si può tradurre esattamente solo con «iniziazione». Gli occidentali hanno coniato il termine «sufismo» per designare in modo specifico l’esoterismo islamico[…] mentre la realtà è del tutto diversa, le scuole in questo caso sono soltanto delle turuq, cioè, in sostanza, metodi diversi[…].
Quanto all’etimologia […] nessuno può mai dichiararsi sufi, se non per pura ignoranza; così facendo dimostrerebbe infatti di non esserlo realmente, poiché tale qualità è necessariamente un «segreto» fra il vero sufi e allah; ci si può solamente definire mutasawwif[…] (p.19)

[…]l sufi, nel vero senso della parola, è solamente colui che ha raggiunto il gradino più alto.[…]
[…] in realtà, vi si deve scorgere piuttosto una denominazione puramente simbolica o, se vogliamo, una specie di «cifra» che in quanto tale non ha bisogno di una derivazione linguistica vera e propria[…]
il senso primo e fondamentale deve essere dato dai numeri: è infatti sorprendente che addizionando i valori numerici delle lettere di cui è formata la parola sufi si ottenga lo stesso valore numerico di el-Hekmah el-ilahiyya, «la Sapienza divina». Il vero sufi è dunque colui che possiede questa sapienza; o, in altre parole, egli è el-arif bi’Llah, cioè «colui che conosce attraverso Dio». (p.20)

[…]il «Sufismo» non è affatto qualcosa di «sovrapposto» alla tradizione islamica, qualcosa che sarebbe venuto ad aggiungervisi in seguito e dall’esterno, ma al contrario ne è una parte fondamentale […] (p.21)

[…]essendo la verità una sola, tutte le dottrine tradizionali sono necessariamente identiche nella loro essenza, quale che sia la diversità delle forme di cui si rivestono. […]
la tradizione dichiara espressamente che l’esoterismo, così come l’essoterismo, procede direttamente dall’insegnamento stesso del Profeta e, di fatto, ogni tariqah autentica e regolare possiede una silsilah o «catena» di trasmissione iniziatica che in definitiva, attraverso un numero più o meno grande d intermediari, risale sempre a lui. (p.22)

La verità è che il «Sufismo» è arabo come il Corano stesso, dal quale deriva i suoi principi direttamente; ma per rintracciarveli occorre comprendere e interpretare il Corano secondo le haqaiq che ne costituiscono il senso profondo, e non semplicemente con i procedimenti linguistici, logici e teologici degli ulama ez-zahir )letteralmente «scienziati dell’esteriore») o dottori della shariah, la cui competenza è limitata all’ambito essoterico.[…]
[…]l’esoterismo islamico non ha niente in comune con il «misticismo»;[…] Innanzitutto il misticismo sembra essere in realtà qualcosa di assolutamente peculiare al cristianesimo, e solo attraverso assimilazioni erronee si può pretendere di trovarne altrove equivalenti più o meno precisi[…] (p.23)

Per definizione il misticismo appartiene del tutto all’ambito religioso, e quindi rientra puramente e semplicemente nell’essoterismo[…].
D’altra parte il mistico, assumendo un atteggiamento «passivo» e dunque limitandosi a ricevere ciò che a lui viene in un certo senso spontaneamente e senza alcuna iniziativa da parte sua, non può avere un metodo; una tariqah mistica non può quindi esistere, anzi una cosa del genere è inconcepibile. Inoltre il mistico, essendo sempre un isolato, e questo proprio per via del carattere «passivo» della sua «realizzazione», non ha né sheykh o «maestro spirituale»,[…] né silsilah o «catena» attraverso la quale gli possa essere trasmessa una «influenza spirituale». (p.24)

[…]l’esoterismo islamico, come del resto ogni vero esoterismo, è «iniziatico» […]possiamo dire che la «via mistica» e la «via iniziatica» sono radicalmente incompatibili a causa del loro rispettivo carattere.[…] (pp.24-25)

Nella sua essenza la dottrina iniziatica è puramente metafisica[…], ma nell’iIslam come nelle altre forme tradizionali,  essa comporta inoltre, […] tutto un complesso sistema di «scienze tradizionali». (p.25)

Tale è il caso della scienza dei numeri e delle lettere[…] e che si ritrovano in forma paragonabile solo nella Cabala Ebraica. […]
Tale è anche il caso delle varie scienze «cosmologiche»[…]
l’Alchimia[…]
l’Astrologia[…] (p.26)

[…]la vera indole della dottrina iniziatica: essa non è mai un oggetto di «erudizione» e in nessun modo la si può apprendere attraverso la lettura di libri. Perfino gli scritti dei più grandi maestri possono soltanto servire di «supporto» alla meditazione; non si diventa mutasawwif unicamente per averli letti.[…]
Occorre infatti, prima di tutto, possedere certe disposizioni o attitudini innate alle quali nessuno sforzo può supplire[…] (p.28)
[…] è solo con questo lavoro interiore che l’esser salirà di grado in grado, se ne è cpace, fino alla sommità della gerarchia iniziatica, fino all’«Identità suprema», stato assolutamente permanente e incondizionato, al di là dei limiti di ogni esistenza contingente e transitorie, lo stato del vero sufi. (p.29)

 II – LA SCORZA E IL NOCCIOLO
(El-Qishr wa’l-Lobb)
*Le Voile d’Isis, marzo 1931, pp.145-150

[…]l’essoterismo e l’esoterismo, paragonati rispettivamente all’involucro di un frutto e alla sua parte più interna, la polpa o il nocciolo. L’involucro o la scorza è la shariah, cioè la legge religiosa esteriore, e si rivolge a tutti ed è fatta per essere seguita da tutti[…]
Il nocciolo è invece la haqiqah, cioè la verità o la realtà essenziale che, contrariamente alla shariah, non è alla portata di tutti ma è riservata a coloro che sanno scoprirla sotto le apparenze e raggiungerla attraverso le forme esteriori che la ricoprono, allo stesso tempo proteggendola e dissimulandola.(p.31)

Ciò di cui si tratta, qualunque sia la designazione usata, è sempre l’«esteriore» e l’«interiore», vale a dire ciò che appare e ciò che è nascosto[…]
al tempo stesso ci riportano alle immagini della «ruota delle  cose», comune a tutte le tradizioni. (p.32)

Per passare dall’una all’altra, dunque dalla circonferenza al centro, occorre seguire uno dei raggi: si tratta della tariqah, cioè del «sentiero», la via stretta che viene percorsa soltanto da pochi. Vi è del resto una moltitudine di turuq, […] dato che si tratta di partire dalla molteplicità del manifestato per arrivare all’unità del principio[…].
Tutte [..]tendono similmente verso un punto unico, tutte confluiscono al centro riconducendo così gli esseri che le seguono all’essenziale semplicità dello «stato primordiale». (p.33)
[…]le forme esteriori nascondono agli occhi del volgo la verità profonda, mentre al contrario la fanno apparire all’élite, per la quale ciò che per gli altri è un ostacolo o una limitazione diventa così un punto d’appoggio e un mezzo di realizzazione. (p.34)

[..] quel raggio è la tariqah attraverso la quale, partito dalla shariah, egli perverrà alla haqiqah. (p.36)

III – ET-TAWHID
*Le Voile d’Isis, luglio 1930, pp.512-516.

La dottrina dell’Unità, cioè l’affermazione che il Principio di ogni esistenza è essenzialmente Uno, è un punto fondamentale comune a tutte le tradizioni ortodosse[…]
Ma la «dottrina dell’Unità è unica», cioè è ovunque sempre la stessa, invariabile come il Principio, indipendente dalla molteplicità e dal cambiamento che possono influenzare solo le applicazioni di ordine contingente. (p.39)

[…]l’affermazione dell’Unità è ovunque la stessa, ma in origine questa non richiedeva neppure di essere formulata esplicitamente per apparire come la più chiara di tutte le verità, poiché gli uomini errano allora troppo vicini al Principio per disconoscerla o perderla di vista. Adesso, al contrario, possiamo dire che la maggior parte degli uomini, interamente impegnati nella molteplicità, smarrita la conoscenza intuitiva delle verità di rodine superiore, arriva solo con fatica alla comprensione dell’Unità; e perciò diviene a poco a poco necessario, nel corso della storia dell’umanità terrestre, formulare tale affermazione dell’Unità più volte e con sempre maggior chiarezza, potremmo dire con sempre maggior vigore. (pp.40-41)

[…] i popoli occidentali, e più particolarmente i popoli nordici, sono quelli che sembrano incontrare maggiori difficoltà nel comprendere la dottrina dell’Unità, e allo stesso tempo sono coinvolti più di tutti gli altri nel cambiamento e nella molteplicità.[…]
Infatti nei paesi nordici, dove la luce solare è debole e spesso velata, tutte le cose appaiono allo sguardo, se così si può dire, con valore uguale, e in modo tale da affermare solo e semplicemente la propria esistenza individuale senza nulla lasciar intravedere al di là; così, già nell’esperienza ordinaria è dato sorgere veramente solo al molteplicità. Del tutto diverso è il caso di quei paesi in cui il sole, con la sua intensa irradiazione, assorbe per così dire in sé tutte le cose, facendole scomparire al suo cospetto come la molteplicità scompare di fronte all’Unità, non perché quella cessi di esistere secondo la sua modalità inerente, ma perché tale esistenza è rigorosamente nulla rispetto al Principio. (p.42)
Il sole si impone qui a simbolo per eccellenza del Principio Uno, che è l’Essere necessario, Colui che solo è sufficiente a Se stesso nella Sua assoluta pienezza e dal quale dipendono interamente l’esistenza e la sussistenza di tute le cose che al di fuori di Lui non sarebbero che il nulla.[…]
il«monoteismo», dicevamo, ha dunque un carattere essenzialmente «solare». In nessun luogo esso è più «percepibile» che nel deserto, dove la diversità dele cose è ridotta al minimo, e dove, al tempo stesso, i miraggi fanno apparire tutto quel che ha di illusorio il mondo manifestato. (p.43)

IV – EL-FAQR
*Le Voile d’Isis, ottobre 1930, pp.714-721

L’essere contingente può venire definito come quello che non possiede in se stesso la propria ragione sufficiente; un tale essere, di conseguenza, non è nulla per se stesso, e nulla di ciò che egli è gli appartiene in proprio. Tale è il caso dell’essere umano in quanto individuo, come pure di tutti gli esseri manifestati, in qualsivoglia stato, perché, quale che sia la diversità fra i gradi dell’Esistenza universale, essa è pur sempre nulla rispetto al Principio. Questi esseri, umani e non, sono dunque, in tutto ciò che sono, completamente dipendenti dal Principio, «al di fuori del quale non vi è nulla, assolutamente nulla che esista»; è nella consapevolezza di questa dipendenza che consiste propriamente ciò che varie tradizioni designano come «povertà spirituale». Allo stesso tempo, per l’essere giunto a tale consapevolezza, questa ha per conseguenza immediata il distacco da tutte le cose manifestate, perché ormai egli sa che anche tali cose non sono nulla, che la loro importanza è rigorosamente nulla rispetto alla Realtà assoluta. Questo distacco, nel caso dell’essere umano, implica essenzialmente e prima di tutto l’indifferenza riguardo ai frutti dell’azione, quella è insegnata in special modo nella Bhagavad-Gita, indifferenza per il cui tramite l’essere sfugge alla concatenazione indefinita delle conseguenze di questa azione: è l’«azione senza desiderio», mentre l’«azione con desiderio» è l’azione compiuta in vista dei suoi frutti. (pp.45-46)

«A colui che ha dimora nel non-manifesto, tutti gli esseri si manifestano… Unito al Principio, attraverso esso egli è in armonia con tutti gli esseri.[…]
La vera ragione delle cose è invisibile, inafferrabile, indefinibile, indeterminabile. Solo lo spirito ristabilito nello stato di semplicità perfetta può afferrarla nello stato di contemplazione profonda». (p.47)

«Semplicità» e «piccolezza» sono qui, in fondo, equivalenti della «povertà» di cui si parla tanto spesso anche nel Vangelo e che viene generalmente assai mal compresa: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli». Questa «povertà» conduce, secondo l’esoterismo musulmano, a el-fana, cioè all’«estinzione» dell’«io»; per mezzo di questa«estinzione», si perviene alla «stazione divina» […] (p.48)

Questo punto centrale, attraverso cui si stabilisce, per l’essere umano, la comunicazione con gli stati superiori o «celesti», è anche «porta stretta» del simbolismo evangelico, e si può allora comprendere chi siano i «ricchi» che non possono attraversarla: sono gli esseri che si attaccano alla molteplicità, pertanto incapaci di elevarsi dalla conoscenza distintiva alla conoscenza unificata. Taleattaccamento infatti l’esatto opposto di quel distacco di cui si diceva dianzi, come la ricchezza è l’opposto della povertà, e incatena l’essere alla serie indefinita dei cicli di manifestazione. (pp.50-51)

Si può dire quindi che i «ricchi» dal punto di vista della manifestazione sono in realtà i «poveri» rispetto al Principio, e viceversa; è ciò che esprime con altrettanta chiarezza il passo evangelico: «Gli ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi»; e a tale riguardo dobbiamo constatare, una volta di più il perfetto accordo di tutte le dottrine tradizionali, che sono soltanto le diverse espressioni della Verità una. (p.52)

V – ER-RUH
*Études traditionnelles, VIII-IX, 1938, pp.287-291

Secondo i dati tradizionali della «scienza delle lettere», Allah creò il mondo non per mezzo dell’alif che è la prima lettera, ma della ba che è la seconda[…]
La ba, in questo ruolo primordiale, rappresenta er-Ruh, lo «Spirito», da intendere come lo spirito totale dell’esistenza universale e che si identifica essenzialmente con la «Luce»[…] (p.53)

Se si considera la forma verticale dell’alif e la forma orizzontale della ba, si vede che il loro rapporto è quello fra un principio attivo e un principio passivo; e ciò è conforme ai dati della scienza dei numeri sull’unità e la dualità, non solo nell’insegnamento pitagorico che al riguardo è il più generalmente noto, ma anche in quello di tutte le altre tradizioni.(pp.54-55)

[…] ma occorre fare bene attenzione poiché, secondo la legge dell’analogia, ciò che è passivo o negativo rispetto alla Verità divina diviene attivo o positivo rispetto alla creazione. (p.55)

VI – NOTE SULL’ANGELOLOGIA DELL’ALFABETO ARABO
*Études traditionnelles, VIII-IX, 1938, pp.324-327

Il «Trono» divino che circonda tutti i mondi è rappresentato ,come è facile capire, da una figura circolare; al centro è er-Ruh, come abbiamo spiegato altrove, e il «Trono»è sostenuto da otto angeli posti sulla circonferenza, i primi quattro ai quattro punti cardinali, e gli altri quattro ai quattro punti intermedi. I nomi di questi otto angeli sono formati da altrettanti gruppi di lettere prese seguendo l’ordine dei loro valori numerici, in modo tale che l’insieme di questi nomi comprende la totalità delle lettere dell’alfabeto. Sarà il caso di osservare che si tratta naturalmente dell’alfabeto di 28 lettere. (p.59)

VI – LA CHIROLOGIA NELL’ESOTERISMO ISLAMICO p.65

Abbiamo avuto spesso occasione di far rilevare sino a che punto la concezione delle scienze tradizionali sia, in tempi moderni, divenuta estranea agli Occidentali, e quanto sia difficile per loro comprenderne la vera natura. (p.65)

Oggi,per la maggior parte, queste scienze tradizionali sono per gli Occidentali completamente perdute, e delle restanti essi non conoscono che frammenti più o meno informi.[…]
La chirologia[…] si riallaccia direttamente, nella sua versione islamica, alla scienza dei nomi divini[…] (p.66)

L’esame della mano sinistra mostra la «natura» del soggetto, cioè l’insieme delle tendenze, disposizioni o attitudini che costituiscono in certo qual modo i suoi caratteri innati. L’esame della mano destra fa conoscere i caratteri acquisiti, i quali però si modificano continuamente, in modo tale che, per uno studio approfondito, l’esame deve essere ripetuto ogni quattro mesi. (p.69)

VIII – INFLUENZA DELLA CIVILTÀ ISLAMICA IN OCCIDENTE
*Études traditionnelles, XII, 1950, pp.337-344.

La maggior parte degli Europei non ha un’esatta misura dell’importanza dell’apporto che l’Europa ha ricevuto dalla civiltà islamica, né ha compreso la natura di ciò che in passato essa ha mutuato da quella civiltà, e alcuni si spingono fino a disconoscere completamente tutto ciò che vi si riferisce. (p.73)

La cosa più singolare in tutto ciò è che gli Europei si considerano eredi diretti della civiltà ellenica, laddove tale pretesa è smentita dalla verità dei fatti. La realtà che si desume dalla storia stabilisce perentoriamente che la scienza e la filosofia della Grecia furono trasmesse agli Europei tramite i musulmani. In altre parole il patrimonio intellettuale dei Greci è giunto in Occidente solo dopo essere stato seriamente studiato dal Vicino Oriente, e se non fosse stato per gli studiosi dell’Islam e i suoi filosofi, gli Europei sarebbero rimasti nell’ignoranza totale di queste conoscenze per lunghissimo tempo ammesso che siano mai giunti a comprenderle.
È opportuno far osservare che stiamo parlando qui dell’influenza della civiltà islamica, e non di quella araba in particolare, come a torto si sostiene talvolta. (p.74)

Di fatto, l’influenza della civiltà islamica si è estesa in grandissima misura e in maniera sensibile in tutti i campi: scienza, arti, filosofia, ecc. (p.75)

La chimica, ad esempio, ha sempre conservato la denominazione araba, la cui origine risale del resto all’antico Egitto[…]
Prendiamo un altro esempio, quello dell’Astronomia: i termini tecnici usati per questa disciplina in tutte le lingue europee sono ancora per la maggior parte di origine araba, e molti dei corpi celesti mantengono le denominazioni arabe che vengono adottate senza variazioni dagli astronomi dei diversi paesi. Ciò è dovuto al fatto che le opere degli astronomi greci dell’antichità, come Tolomeo d’Alessandria, furono conosciute in Occidente attraverso traduzioni arabe, al pari delle opere dei loro continuatori musulmani. Sarebbe d’altronde facile dimostrare che la maggior parte delle conoscenze geografiche relative ai paesi più remoti dell’Asia o dell’Africa è stata acquisita, per un lungo periodo, proprio dagli esploratori arabi[…]
Le invenzioni, che sono soltanto applicazioni delle scienze naturali, hanno anch’esse seguito la medesima via di trasmissione[…] (p.76)

[…]vale la pena di dedicare un’attenzione particolare alle scienze matematiche. In questo vasto campo, non è stata infatti trasmessa all’Occidente per il tramite della civiltà islamica solamente la scienza greca, ma anche la scienza indù. I Greci avevano sviluppato la geometria[…]
Esiste però anche un altro ramo della matematica, relativo alla scienza dei numeri, che nelle lingue europee non è noto, come gli altri, con un nome greco, dal momento che fu ignorato dai Greci antichi. Si tratta dell’algebra, la cui prima origine è indiana e il cui nome arabo mostra con sufficiente chiarezza come fu trasmessa all’Occidente.
[…]le cifre usate dagli Europei sono note ovunque come cifre arabe, benché la loro prima origine sia in realtà indù, poiché i segni di numerazione usati inizialmente dagli Arabi erano semplicemente le lettere del loro alfabeto.
Se ora abbandoniamo l’esame delle scienze per quello delle arti, constatiamo che, nell’ambito della letteratura e della poesia, moltissime idee trasmesse dagli scrittori e dai poeti musulmani sono state utilizzate nella letteratura europea, e anzi alcuni scrittori occidentali sono arrivati all’imitazione pura e semplice delle loro opere. Parimenti, si possono rilevare tracce dell’influenza islamica nell’architettura, e in particolar modo nel Medioevo; così la volta a ogiva[…] (p.77)

In questa rapida rassegna occorre fare particolare menzione di un altro ambito, quello della filosofia[…] (p.78)

Intendiamo riferirci all’esoterismo e a tutto ciò che vi appartiene e ne discende in fatto di conoscenze derivate, e che h fato vita a scienze del tutto diverse da quelle note ai moderni.
In realtà oggi l’Europa non ha niente che possa ricordare queste scienze, anzi l’Occidente ignora del tutto conoscenze autentiche quali l’esoterismo e i suoi equivalenti, diversamente da quanto invece accadeva nel Medioevo; anche in questo campo, l’influenza islamica in tale epoca appare nel modo più luminoso ed evidente. (p.80)

IX – CREAZIONE E MANIFESTAZIONE p.83

In diverse occasioni abbiamo fatto notare che l’idea di «creazione», a volerla intendere in senso proprio e restrittivamente, senza attribuirle un’estensione più o meno arbitraria, si incontra in realtà soltanto in tradizioni appartenenti a un’unica linea, quella costituita dal Giudaismo, dal Cristianesimo e dall’Islam; poiché questa è la linea delle forme tradizionali che possono essere dette specificatamente religiose, se ne deve concludere che esiste un nesso diretto fra questa idea e il punto di vista religioso medesimo. (p.83)

[…]termine «emanazione», che alcuni, sempre per le stesse ragioni e in seguito agli stessi fraintendimenti, vogliono usare per designare la manifestazione quando non sia presentata sotto la forma di creazione. (pp.85-86)

Infatti l’idea di «emanazione» è propriamente quella di una «uscita», ma la manifestazione non deve mai essere considerata in questo modo, poiché nulla può realmente uscire dal Principio; se qualcosa ne uscisse, il Principio non potrebbe più dirsi infinito, e si troverebbe limitato proprio a causa della manifestazione; la verità è che fuori dal Principio non vi è e non vipuò essere che il nulla. (p.86)

Fatte queste considerazioni, diremo senza mezzi termini che l’idea di manifestazione, formulata in modo puramente metafisico dalle dottrine orientali, non si oppone minimamente all’idea di creazione; tali idee si riferiscono semplicemente a livelli e a punti di vista diversi, sicché basta saper collocare ciascuna di esse al suo vero posto per rendersi conto che non vi è alcuna incompatibilità tra loro. (p.87)

Va peraltro precisato il significato stesso dell’idea di creazione, poiché anch’esso sembra a volte dar luogo a malintesi: se »creare» è sinonimo di «far dal nulla», secondo al definizione unanimemente accolta ma forse non abbastanza esplicita, occorre senza dubbio intendere con ciò, prima di tutto, da nulla che sia esterno al Principio; in altre parole, per essere «creatore» il Principio è sufficiente a se stesso e non deve ricorrere a una specie di «sostanza» posta al di fuori di sé e dotata di un’esistenza più o meno indipendente, ciò che del resto a dire il vero, è inconcepibile. (p.88)

Dunque, se ci si limita a parlare di «fare dal nulla» senza precisare oltre, come si fa di solito, occorre evitare un altro pericolo: quello di considerare questo «nulla» come una sorta di principio, negativo senza dubbio, ma dal quale effettivamente discenderebbe l’esistenza manifestata; ciò equivarrebbe a ricadere in un errore simile a quello contro cui ci si voleva giustamente premunire attribuendo al «nulla» una qualche sostanzialità; e, in un certo senso, questo errore sarebbe ancor più grave dell’altro, per l’aggiungersi di una contraddizione formale che consiste nell’attribuire una realtà al «nulla», ossia in conclusione al niente. (pp.88-89)

Dal punto di vista metafisico, la dipendenza è allo stesso tempo una «partecipazione»: gli esseri partecipano del Principio in proporzione alla realtà che posseggono in se stessi, dato che ogni realtà è nel Principio; d’altra parte non è meno vero che questi esseri, in quanto contingenti e limitati, come pure l’intera manifestazione di cui fanno parte, sono nulla rispetto al Principio, come dicevamo; ma in tale partecipazione vi è come un legame con quest’ultimo, dunque un legame tra il manifestato e il non-manifestato, che consente agli esseri di oltrepassare la condizione relativa inerente alla manifestazione. (p.92)

Noi sappiamo che non vi può essere  una real contraddizione né all’interno di ciascuna tradizione né fra questa e le altre, poiché in tutto ciò non si manifestano che espressioni diverse della Verità una. Se qualcuno crede di scorgervi un’apparente contraddizione, non dovrebbe dunque concludere semplicemente che si tratta dio cose che egli comprende male o non completamente, invece di pretendere di imputare alle stesse dottrine tradizionali difetti che, in realtà, esistono soltanto a causa della sua insufficienza intellettuale? (p.94)

X – TAOISMO E CONFUCIANESIMO p.95
*Le Voile d’Isis, 1932, pp.485-508

[…]sappiamo così che l’origine della tradizione che si può chiamare propriamente cinese risale a circa 3700 anni prima dell’era cristiana. Per una coincidenza abbastanza curiosa, tale periodo corrisponde anche agli inizi dell’era ebraica. (p.95)

È dunque possibile, ed è anzi la sola cosa attestata abbastanza chiaramente, che ciò che appare come un inizia sia stato in realtà soltanto il risveglio i una tradizione molto anteriore, la quale però dovette allora assumere una forma diversa, per adattarsi a condizioni nuove. Comunque sia, la storia della Cina, o del territorio che oggi viene chiamato in questo modo, comincia propriamente solo con Fou-hi, considerato il suo primo imperatore; e bisogna subito aggiungere che con il nome di Fou-hi […] in realtà si è soliti designare un intero periodo, che si estende per una durata di parecchi secoli.
Fou-hi, per fissare i principi della tradizione, fece uso di simboli lineari di estrema semplicità e insiemi di estrema pregnanza: il tratto continuo e il tratto spezzato, segni rispettivi dello yang e dello yin, cioè i due principi attivo e passivo i quali, procedendo da una sorta di polarizzazione della suprema Unità metafisica, producono l’intera manifestazione universale. Dalle combinazioni di questi due segni, in tutte le loro possibili disposizioni, vengono formati gli otto koua o trigrammi[…] (pp.96-97)

Questo testo è particolarmente interessante perché contiene l’espressione formale della grande Triade: il Cielo e la Terra, ovvero i due principi complementari da cui sono prodotti tutti gli esseri, e l’uomo, il quale, partecipando con la sua natura dell’uno e dell’altra, è il termine mediano della Triade, il mediatore fra il Cielo e la Terra. Conviene precisare che si tratta qui dell’«uomo vero», cioè di colui che, raggiunto il pieno sviluppo delle sue facoltà superiori, «può aiutare il Cielo e la Terra nel mantenimento e nella trasformazione degli esseri, e per ciò stesso costituire un terzo potere con il Cielo e la Terra». (p.97)

Tutta la tradizione fu dunque dapprima contenuta essenzialmente e come in germe nei trigrammi[…]
Fou-hi scrisse tre libri, dei quali solo il terzo, chiamato Yi King o «Libro dei Mutamenti», è giunto fino a noi[…] (p.98)

Non è dunque il caso di stupirsi se gli insegnamenti racchiusi nell’Yi King, che lo stesso Fou-hi dichiarava di aver tratto da un passato molto remoto e molto difficile da determinare, sono divenuti a loro volta la base comune di due dottrine alle quali la tradizione cinese e è rimasta fedele siano ai nostri giorni, e che però, data la totale disparità delle rispettive sfere di competenza, possono sembrare a prima vista del tutto prive di punti di contatto: il Taoismo e il Confucianesimo. (pp.98-99)

Si era nel VI secolo avanti Cristo; e va notato che in quel tempo si produssero notevoli cambiamenti presso quasi tutti i popoli, sicché ciò che avvenne allora in Cina sembra da ricondurre a una causa, forse difficilmente determinabile, la cui azione influenzò tutta l’umanità. (p.99)

Peraltro, i cambiamenti che allora si verificarono presentano caratteri diversi a seconda dei luoghi: in India, ad esempio, si vide nascere il Buddhismo, vale adire una rivolta contro lo spirito tradizionale che finse fino alla negazione di ogni autorità, fino a una vera anarchia nell’ordine intellettuale e nell’ordine sociale; in Cina, al contrario , fu strettamente nel solco della tradizione che si costituirono simultaneamente le nuove forme dottrinali alle quali si dà il nome di Taoismo e Confucianesimo.
I fondatori di queste dottrine, Lao-tseu e K’ong-tseu, chiamato Confucio dagli Occidentali, erano dunque contemporanei, e la storia narra che essi un giorno d’incontrarono. (p.100)

[…]le rispettive posizioni delle due dottrine – dovremmo dire piuttosto dei rami della dottrina – in ci si sarebbe da allora in poi divisa la tradizione estremo-orientale: una essenzialmente rivolta alla metafisica pura, alla quale si affiancano tutte le scienze tradizionali di portata propriamente speculativa, o per meglio dire «cognitiva»; l’altra circoscritta all’ambito pratico e che si mantiene esclusivamente sul terreno delle applicazioni di ordine sociale. (p.101)

Le discussioni e le polemiche che sorsero così n particolari epoche non devono tuttavia far credere che i Taoismo e il Confucianesimo fossero due scuole rivali: non  lo furono mai e non possono esserlo, avendo ciascuno una sfera propria nettamente distinta.
[…]
sotto certi aspetti, la distinzione corrisponde assai precisamente, in altre civiltà, a quella fra l’autorità spirituale e il potere spirituale e il potere temporale.
Peraltro abbiamo già detto che le due dottrine hanno una radice comune, la tradizione anteriore[…] (p.102)

Di solito, in Occidente, quando si parla della Cina e delle sue dottrine, ci si riferisce quasi esclusivamente al Confucianesimo[…]
Quanto al Taoismo, generalmente viene passato sotto silenzio, e molti sembrano perfino ignorarne l’esistenza[…]
Lao-tseu scrisse un solo trattato, per di più estremamente conciso, il Tao-te-king o «Libro della Via e della Rettitudine»[…] (p.103)

Il Tao, la cui traduzione letterale è «Via», e che ha dato i9l nome alla dottrina stessa, è il Principio supremo, considerato dal punto di vista strettamente metafisico: è al tempo stesso l’origine e la fine di tutti gli esseri, come mostra assai chiaramente il carattere ideografico che lo rappresenta. Il Te – che noi preferiamo rendere con «Rettitudine» […] è ciò che si potrebbe chiamare una «specificazione» de Tao rispetto a un dato essere, quale ad esempio l’essere umano: è la direzione che quell’essere deve seguire perché la sua esistenza, nello stato in cui attualmente si trova, sia conforme alla Via, o in altre parole conforme al Principio.[…]
ciò a cui si guarda è sempre e solo il ricongiungimento al Principio supremo[…]
Dunque non è certo all’azione esteriore che il Taoismo attribuisce importanza; la considera insomma indifferente a se stessa, e insegna espressamente la dottrina del «non-agire» della quale gli Occidentali hanno in genere qualche difficoltà a comprendere il vero significato, sebbene possano trovare un aiuto nella teoria aristotelica del «motore immobile»[…] (pp.104-105)

Il «non-agire» non è affatto l’inerzia, al contrario, è la pienezza dell’attività, ma un’attività trascendente e tutta interiore, non-manifestata, in unione con il Principio […]
Poso al centro della ruota cosmica, il saggio perfetto la muove invisibilmente, con la sua sola presenza, senza partecipare al movimento essenza doversi preoccupare di esercitare una qualunque azione; il suo distacco assoluto lo rende signore di tutte le cose, poiché non vi è più nulla che possa condizionarlo. «Egli ha raggiunto la perfetta impassibilità; la vira e la morte essendogli parimenti indifferenti, la rovina dell’universo non produrrebbe in lui alcuna emozione. (p.105)

Il segno esteriore di questo stato interiore è l’imperturbabilità; non quella del valoroso che per amore della gloria si getta da solo contro un esercito schierato in battaglia, ma quella dello spirito che, superiore al cielo, alla terra, a tutti gli esseri, abita in un corpo al quale non tiene, non fa alcun a caso alle immagini che i suoi sensi gli forniscono, conosce tutto per conoscenza globale nella sua unità immobile. (p.106)

Sorge però una domanda: come si può giungere allo stato descritto come quello del saggio perfetto: Qui come in tutte le dottrine analoghe presenti in altre civiltà, la risposta è molto chiara: vi si giunge esclusivamente attraverso la conoscenza; ma questa conoscenza, […] è di tutt’altro ordine rispetto alla conoscenza comune o «profana», non ha alcun rapporto con il sapere esteriore dei «letterati» né, a maggior ragione, con la scienza quale è intesa dai moderni Occidentali. (p.107)

Il saggio, al contrario, ha oltrepassato tutte le distinzioni inerenti ai punti di vista esteriori; nel punto centrale in cui si trova, ogni opposizione è scomparsa e si è risolta in un perfetto equilibrio. (p.108)
[…] il saggio si tiene interamente fuori da tutte le discussioni che agiranno la maggior parte dell’umanità; per lui, infatti, tutte le opinioni contrarie sono ugualmente senza valore, poiché per la loro stessa opposizione, sono tutte ugualmente relative. (pp.108-109)

Vi è appena bisogno di dire che lo stato del saggio perfetto, con tutto ciò che implica e su cui non possiamo soffermarci qui, non può essere raggiunto improvvisamente, e anche gradi inferiori a quello, che sono come altrettanti stadi preliminari, sono accessibili solo a prezzo di sforzi di cui ben pochi uomini sono capaci. (pp.109-110)

Del resto, anche in Cina il Taoismo non ha mai avuto una grande diffusione, né l’ha mai cercata, essendosi sempre astenuto da qualsiasi forma di propaganda; questa riservatezza gli è imposta dalla sua stessa natura: è una dottrina molto chiusa ed essenzialmente «iniziatica» che, proprio per questo, è destinata solo a un’élite e non potrebbe essere proposta a tutti indistintamente poiché non tutti sono in grado di comprenderla né soprattutto di «realizzarla».[…]
La dottrina che tutti accomuna, quella che tutti, nella misura in cui ne hanno i mezzi, devono studiare e mettere in pratica, è il Confucianesimo, che, abbracciando tutto quanto concerne i rapporti sociali, soddisfa pienamente le esigenze della vita ordinaria. (p.110)

Si capisce ora perché il Taoismo sia così poco conosciuto in Occidente: esso non si manifesta come il Confucianesimo, la cui azione appare visibile in tutte le circostanze della vita sociale; è invece appannaggio esclusivo di un’élite, forse più ristretta oggi di quanto non sia mai stata, che non cerca assolutamente di comunicare all’esterno la dottrina di cui essa è custode […] (pp.111-112)

Come abbiamo detto, il Taoismo svolge la funzione di «motore immobile»: mai cerca di mischiarsi all’azione, anzi se ne disinteressa completamente in quanto non vede nell’azione che una semplice modificazione momentanea e transitoria un elemento infimo della «corrente delle forme», un punto sulla circonferenza della «ruota cosmica»; ma, d’altra parte, esso è come il perno attorno al quale questa ruota gira, la norma sulla quale si regola il suo movimento, proprio perché non partecipa a quel movimento, né occorre che vi intervenga esplicitamente. Tutto ciò che è trascinato nelle rivoluzioni della ruota cambia e passa; perdura solo ci che, essendo unito al Principio, sta invariabilmente al centro, immutabile come il Principio, sta invariabilmente al centro, immutabile come il principio stesso; e il centro, che niente può influenzare nella sua unità indifferenziata, è il punto di partenza ella moltitudine indefinita delle modificazioni che costituiscono la manifestazione universale. (pp.112-113)

Il Confucianesimo, che rappresenta soltanto l’aspetto esteriore della tradizione, può anche scomparire se le condizioni sociali cambiano al punto da esigere la costituzione di una forma completamente nova, ma il Taoismo è al di là di queste contingenze. Non si dimentichi che il saggio, secondo gli insegnamenti taoisti che abbiamo riportato, «resta tranquillo al centro della ruota cosmica» in qualsiasi circostanza, e che perfino «la rovina dell’universo non produrrebbe in lui alcuna emozione».

APPENDICE
RECENSIONI p.117

SULL’ESOTERISMO ISLAMICO
LIBRI p.119RIVISTE p.135

SUL TAOISMO
LIBRI p.145
RIVISTE p.148