POESIE FUTURISTE
ACQUAVIVA
A cura di Giuseppe D’Ambrosia Angelillo
Raccolta di testi futuristi di Palazzeschi, Cavacchioli, Buzzi, Folgore, Onori, Betuda, Altomare, Della Pergola, Govoni, Frontini, Mazza, Marinetti, Corneli, Soffici, Carta, Belloli, Tedeschi, Depero, Balla, De Saint-Point, Trimarco, Gerbino, Farfa, Buccafusca, Serra e Marchesi
CANTO FUTURISTA
Di Libero Altomare
Ho sempre amato tutte le cose violente :
gli aromi penetranti, l’armi, i colori accesi.
Le note incendiarie de la marsigliese
m’avvampano nel cuore con crepitii di fiamme.
Bimbo, amai tutto quello ch’è il terror de le mamme,
le risse gioiose lungo l’orlo del mare,
le corse pazze sotto la sferza solare,
arrampicarmi come un quadrumane in foia
su l’epidermide scabra de le roveri,
svellere nidi e suscitar clamori teneri,
scompigliar verdi chiome vegetali,
e provocarne diluvi di petali
o docce refrigeranti di rugiade.
Mordere bacche vermiglie come cuori
fu sempre allora mio desiderio.
Ma quando passavano le fanfare
tremavo tutto come a un vento di delirio
quasi che l’anime degli avi
sepolte in fondo al mio cuore
scotessero le loro antiche crinature sonore
sovra le funebri ceneri arse d’orgoglio. (pp. 59-60)
TUTTO QUELLO CHE PASSA IN UNA VIA
Di Corrado Govoni
Passa con la sua fascinetta sotto il braccio
il povero spazzacamino tutto nero
che getta il suo grido acuto e triste
pieno di nostalgia, che fa pensare
a un Natale tra i monti
e a tante cose bianche e malinconiche ;
passa il filosofo cenciaiuolo
che si ferma a frugare col bastone
nell’immondizie accumulate
ai canti delle case ;
passa l’imbacuccata cerinaia,
poverina! che ha tanto freddo e porta
tanto fuoco con sé
da incendiare tutta la città;
passano i mendicanti campagnoli
che si ferman di porta in porta
a chiedere la carità;
passan le grigie squadre d’Orsoline
che vanno a passeggiare sulle mura
nel pomeriggio di domenica
ed i neri seminaristi
ohe si spargon tra gli alberi forensi
come corvi a pasturarsi,
reclute del paradiso ;
passan le coppie degli amanti preoccupati,
passan le coppie pallide degli sposi,
passano i vecchi stanchi,
passani i poveri morti
che vanno all’ultima dimora ;
passano i girovaghi
con la lor musica a tracolla
che non è buona che di piangere
o gli organi di Barberia
che ridon e piangono per pochi soldi
come i pagliacci ;
passano i curvi pellegrini stranieri
che domandano il cammino di Roma. (pp. 70-71)
A VENEZIA
Di Armando Mazza
Anch’io ti amai,
Venezia, sinistra città
Che ora scatti, irta d’odio,
contro di noi,
come una vecchia podagrosa
scombussolata dal festoso irrompere
di cento scolari in vacanza!
Anch’io languii, stupidamente, estasiato
Nella tua atmosfera d’ospedale,
anch’io mi cullai con delizia
nell’alito sonnifero
dei tuoi neri canali!
Or ti detesto,
lavato dalle mie vecchie fantasie,
e mi ribello con gioia
alle tue mani lugubri d’infermiera!
I tuoi canali son fogne,
le tue case latrine…
il sole nauseato
per poco tempo ancora leccherà
il polveroso zucchero
dei tuoi merletti marmorei!
Cortigiana troppo prodiga
Di piaceri monotoni,
oggi t’accosci estenuata
nel tuo lurido albergo
vantato inutilmente
dal rosso Baedecker tedesco.
E noi finalmente ridiamo
A crepapelle, o Venezia,
del tuo fasto da operetta!
Ciangottii d’acqua sporca,
insidie vili di pozzi,
pugnali di cartone,
maschere scolorite,
serenate di lattemiele
Io più non vedo in te, vecchia Venezia,
che le facciate di cartapesta
dei tuoi palazzi da burattinai!
Io più non vedo sulle tue acque
Che un galleggiar d’alghe
E lungo i tuoi muri, coperti
Di putridi licheni,
lo scivolar di nere gondole sfiancate
come bagasce a nuoto.
Estuario di mota
Che al sol vapora, incensiere
Di tristezza e di noia,
verrà, verrà il giorno
che ti vedrem rosseggiare
finalmente di sangue,
nella ruina delle tue forma antiche!
Non più idilli di pipistrelli e di colombi
Accoglierai,
né più i navigli
del commercio e della guerra
si deturperanno nel tuo specchio fosco!
Ringiovanisci, se puoi,
al soffiar del gran vento futurista
che le dighe infrange
e sconvolge gli stagni del vecchio
sapere,
e le mummie impantana,
e rompe il dorso alle consuetudini,
ed alle tradizioni!
Ruggono i cantieri e li recinge
L’ansito del mare:
disfrenando ritmi possenti;
dai fumaioli eretti
s’effonde l’anima dei forni,
crateri acesi, con giochi di faville;
il maglio vibra i suoi colpi secchi,
con insistenza fatta Volere,
sulle fibre lucenti dei metalli
arroventati nel grembo delle forge
voraci e sanguigne;
la lima stride
un cannone eterno di tagliente ironia;
sbuffano i mantici capaci;
s’accorda l’orchestra dei martelli
al sibilo delle sirene inebriate.
Fontane di luce, argentee cascate,
solchi incendiari, scudi iridescenti,
vertigine di raggi…
Or questo ti concedi, Venezia!
Non più la decrepita Luna
Su te prolungherà le sue lente
Masturbazioni di luce!
La rimpiangi?
Il piccone possente, e, se non basta,
la nitroglicerina
ti rovescino dunque nel mare,
e finalmente scocchi la tua ora di morte,
anima marcia di vecchia beghina! (pp. 77-78-79-80-81)
MEDITAZIONE
Di Fortunato Depero
Se fossi un’antenna mi nutrirei di uccelli,
di elettricità e nubi dissetanti.
Farei il direttore d’orchestra dei
Temporali e del canto delle aquile.
Giocherei con le bocce dei tuoni e
Mangerei infinite ministre di stelle
Luminose.
Con le gambe lunghe, scavalcherei le
Valli, poggiando i piedi sulle teste dei
Monti e delle colline.
Mi basterebbe alzare le braccia per
Stringere le mani agli astri, per baciare la
Luna, per corteggiare Venere, per
Cazzottare Marte per fare una partita di
“morra” temporalesca, con sfida finale
Alla forca, con Nettuno.
Mi lancerei a nuoto nella via lattea per
Un bagno di polvere cosmica.
Angeli a destra.
Angeli a sinistra.
Trombe rivolte in su.
Trombe rivolte in giù.
Ali ovunque. Nuvole sotto i piedi,
pioggia d’oro, vini d’argento, biscotti di
luce, autentico paradiso di agognata
solitudine. (pp. 116-117)
LA GUERRA
Di Oreste Marchesi
Per le fabbriche d’armi è un guadagno
L’ufficiale tenta una fortuna
E il soldato finisce in uno stagno. (p. 153)