PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – MISURA DELLA FRANCIA. RICONSIDERARE L’EUROPA


PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – MISURA DELLA FRANCIA. RICONSIDERARE L’EUROPA
IDROVOLANTE EDIZIONI – Collana RISCOPERTE – 2017

RICONSIDERARE LA “GERARCHIA DELLE ILLUSIONI” DI DRIEU
Di Marco Settimini p. 5

IL RITORNO DEL SOLDATO
Di Pierre Drieu La Rochelle p. 35

Da bambino, per via dello splendore delle immagini, ho preferito i paesi esotici alla mia patria. Il suo suolo e il suo cielo erano troppo modesti.
La sua storia mi pareva oscurarsi. Dubitavo dei suoi destini. Respingevo il suo genio che mi possedeva.
A diciott’anni le puerili avventure americane mi tentarono. Ma non potei separarmi dai miei libri che mi promettevano delle prove tra le più eccellenti.
La mia forza cominciava a consumarmi in biblioteca e in caserma, quando scoppiò la guerra. (p. 35)
Feci la coda per giorni tra il fronte Est e il fronte Nord. Marciai dietro a un milione di cittadini che attendevano il loro turno. Le mura della nostra caserma ci scortavano.
Mi spazientti. Credevo alla forza dei nostri nemici. Pensavo più a offrire alla mia patria la mia morte che non la vittoria. (pp. 35-36)
Senza fiducia, dubitavo di potere abbellire quell’amplesso industriale.
Fu l’ultima tappa funebre della mia adolescenza. […]
l’essenza della guerra, il sacrificio, era intatto. Da allora volli vivere per meglio morire.
La guerra cominciò, continuò e finì. E si risolve ora in un batter d’occhio.
Non penso più a emigrare. Questa terra che ha avuto il mio sangue avrà le mie ossa. […]
Povera terra sfiancata. La mia razza muore forse per avere vissuto più di tutte? (p. 36)
Noi ci siamo battuti e bene. Coperti di colpi, trascinavamo ancora nel combattimento i nostri corpi dei quali nessun piacere ha mai prevalso.
Ci sono stati molti codardi tra i nostri ,ma il sofffio di una vita meillenaria rigonfiava senza posai vigliacchi e gli eroi vi guardavano con occhi immortali.
Charleroi. La Marna.
Bisogna che io sappia. Bisogna che noi si sappia.
È là che si è fatta la mia vita.
Medito sulla misura della Francia e sul senso del mondo. (p. 38)
Francia mia, io ti vedo, occupi l’aria come la ragazza che desidero. E come lei, ti stringo al mio cuore.
Dopo la Marna, però? Il corridore annuncia al mondo di essersi salvato, cade, la vita gli sfugge.
Dopo la Marna, però, il nemico si è nascosto nella nostra terra. Ci ha sguazzato, sfondandola a gran colpi di stivali. E noi non l’abbiamo estirpato.[…]
Non ci siamo coricai da soli con la Vittoria.
Onta. Onta anche perché il nemico ci è sfuggito[…]. (p. 39)
E non abbiamo saputo vincere quella gente.
Che importa questa vittoria del mondo nel 1918, questa vittoria che è fallita, questa vittoria che abbiamo abbandonato con vergogna come una sconfitta, questa vittoria del numero sul numero, di molti imperi su di un impero, questa vittoria anonima. (p. 40)
Senza nessuno di mezzo dopo una prima battaglia, avremmo mai avuto il tempo di scatenare una seconda battaglia che portasse a compimento la prima?[…]
A chi non ha più l’audacia di conquistare, a chi non sa più imporre l’amore al vinto, è stato negato il Reno. Ma l’Inghilterra ha lasciato cadere alcune porzioni d’impero.
L’uomo debole non può scegliere il suo amico se non tra due nemici; ogni amico è un nemico per l’uomo debole. (p. 41)
Ci siamo sbattuti all’eccesso, perché non avevamo dei fratelli che ci dessero una mano. (p. 42)

MISURA DELLA FRANCIA p. 45

I – IL CRIMINE E LA LEGGE p. 51

La potenza del numero soggioga lo spirito del mio tempo. (p. 51)
Il numero in sé è informe, inerte, incompiuto come la materia di cui enuncia una dopo l’altra le possibilità indefinite. (pp. 51-52)
Nel 1814 la Francia contava venti milioni d’anime: 20. Nel 1914, trentotto milioni d’anime: 38. […]
Cent’anni fa, soltanto cent’anni, 20 milkioni di nostri antenati formavano la nazione più numerosa d’Europa. […]
Ai empi facevamo massa nel mezzo dell’Europa come oggi lo fa la Germania con i suoi 60 o 70 milioni di corpi. Era in casa nostra che c’era più carne, e più muscoli. (p. 52)
Quei milioni significavano forza, fiducia, generosità. (p. 53)
Quest’intima legge che l’uomo o avrà la volontà di moltiplicare oppure non potrà mantenersi all’altezza e diminuirà rapidamente come se ci fosse in lui la determinazione ad annientarsi. […]
Questa legge è levata contro di noi, cari francesi. L’abbiamo infranta, siamo colpevoli, abbiamo peccato. (p. 54)
Ma la Francia non capisce. Ha perso, e dopo di lei lo perdono tutti i popoli contemporanei, il senso delle necessità primordiali, degli elementi della grandezza.
La Francia non ha più fatto figli. Questo crimine dal quale conseguono gli insulti, le sciagure che ha subito da cinquant’anni a questa parte, lo ha maturato alla fine del XIX secolo e lo ha consumato all’inzio del XX. Questo crimine è noto a noi come agli altri. Da tempo ne parliamo tranquillamente, non ascoltando in alcun modo gli spregi, le minacce o i severi consigli che ci vengono prodigati. (p. 55)

II – IL CRIMINE CI ALIENA GLI DEI E GLI UOMINI p. 57

La Francia si lamenta d’aver perduto il proprio sange e il proprio denaro. La Francia s’indigna nel vedere i suoi amici tra sé e il suo nemico. La Francia è posseduta di nuovo dalla sua vecchia gelosia verso gli anglosassoni. (p. 58)
Non credo alla virtù dell’errore; da qualche tempo lo spirito della Francia viene distorto, corrotto da un misero imbroglio. […]
Abbiamo perduto il senso della nostra grandezza e di certi valori umani. Bisogna dunque che impariamo la lezione dell’onta per ritrovare la nobiltà. […]
Nel mio paese, respiro male, ritengo che mi si voglia intralciare in un malinteso che a poco a poco mi deforma e mi storpia. (p. 59)
Nell’ultimo mezzo secolo, quando ci stringevamo in noi stessi, i tedeschi e gli anglosassoni aumentavano i loro effettivi umani di milioni e milioni. […]
Alcuni milioni d’inglesi davano ancora un nome a molte parti del pianeta, adornavano di colori umani delle immense distese in Africa, in Oceania, in Canada. Mentre tanti uomini sudavano e sanguinavano, noi cosa facevamo? Non facevamo venti milioni di francesi in più, quei venti milioni che ci sono mancati a Fascioda, nel 1905, nel 1911, nel 1914, che non c’erano, a restituire gli schiaffi o a battersi con gli ivnasori. La presenza di quei venti milioni avrebbero fatto del male a nessuno. Viceversa la loro assenza ha scavato nel mezzo della laboriosa Europa un vuoto che è stato la causa del malessere da cui è venuta fuori la guerra. (pp. 60-61)
E quest’assenza di venti, quaranta milioni di francesi è una carenza, una rottura della solidarietà planetaria, un tradimento. (p. 61)

III – LO SPIRITO PERTURBATO p. 65

Innanzitutto abbiamo dato prova che non avevamo più il senso esatto delle nostre risorse; non avevamo saputo capire per nulla l’economia delle nostre forze.
La condotta dei nostri capi militari ha svelato che in Francia l’élite non possedeva più quell’arte indispensabile dei profondi e naturali compromessi tra il temporale e lo spirituale, tra il fisico e il morale. (p. 65)
Allineavamo due soldati dove avremmo dovuto sistemarne quattro. Ma questa cosa era colpa del passato. La moltiplicammo per un’altra più attuale. Laddove i tedeschi hanno sacrificato due uomoni, noi ne abbiamo sacrificato quattro. […]
Misticamente lanciarono delle anime contro i cannoni. Distrussero la nostra gioventù, gettando nel fuoco il germe stesso della razza. (p. 66)
E ciò che ebbe inoltre un effetto corruttore è il fatto che la duplice alleanza che stipulammo dava forma a un convegno di deboli i quali si frequentavano gli uni con gli altri per via della loro debolezza.
Ci appoggiavamo alla forza russa, non senza metterla in dubbio, ma quel dubbio lo soffocavamo sotto le più molli speranze. E non sfuggiva al nostro giudizio, nella misura in cui esso conservava una qualche forza, il fatto che l’Inghilterra ci venisse incontro perché si sentiva minacciata tanto dalla propria decrepitudine quanto dal vigore di questo comune nemico che bastava ora a preoccupare due imperi e una repubblica che aveva tenuto in apprensione l’Europa intera. (p. 68)
Abbiamo creduto che la nostra vecchia disputa con la Germania fosse il perno di quel conflitto planetario. Abbiamo avuto conferma di tale illusione dal fatto ingannevole, ironicamente ingannevole, che il nostro paese è stato il principale campo di battaglia.
Ma avremmo dovuto, alla buonora, per evitre altri svarioni, renderci conto che così non era[…].
Se col pensiero sopprimo la Francia, vedo che la Grande Guerra scoppia non meno violenta, non meno imperdonabile, perché rimane il principale antagonismo, quello tra l’Inghilterra e la Germania. (p. 71)
È così che, nonostante la parte capitale che abbiamo avuto in questa guerra, col pensiero e con l’azione, non possciamo dire di esser stati noi ad aver sconfitto la Germania. (p. 74)
Ci perdiamo nella folla dei vincitori della Germania, e la vittoria aferrata da venti braccia sfugge facilmente a una presa così maldestra. (p. 75)

I – LA FRANCIA IN MEZZO AL MONDO

Durante la guerra, io che non sono che un uomo di lettere, un uomo di studi, e che per conoscere la vita ha altre vie rispetto a quelle dell’azione, sono stato gettato nell’esercito. Di me è stato fatto un fante, un soldato di terra. Non ho lesinato nel darmi: la mia giovinezza prevaleva su tutto, e laddove ci sono degli uomini un poeta può sempre vivere. Ce l’ho tuttavia con la democrazia per aver flagellato per quattro anni la mia fantasia. (p. 77)
Sono stato gettato nella confusione. Bisogna che me la sbrogli da solo. Bisogna ad ogni costo che metta un po’ d’ordine attorno a me.
Tento di collocare la Francia nel mezzo del nostro piccolo mondo planetario, ed ecco che d nuovo i numeri fanno la loro comparsa, si moltiplicano[…]. (p. 78)
Che modeste proporzioni assume la mia patria, aggrappata all’estremità di un continente, tra questi mostri che sembrano attendere un qualche diluvio. Eh, essa conserva delle proprizioni classiche! […]
Posso salire sul treno a Calais la sera e svegliarmi l’indomani mattina a Marsiglia.
È vero che aumentiamo con tutti quelli, neri e gialli, che si ammassano attorno a noi. (p. 79)
Dal punto di vista moderno della forza industriale e militare, bisogna ammettere che per il momento i due terzi degli abitanti del globo, questi milioni di asiatici e di africani, non contano nulla. (p. 80)
Al momento attuale, più ancora che prima di quella guerra che fu la loro guerra, si può affermare che gli anglosassoni controllano il mondo. Senza le sue colonie, senza i suoi domini e senza l’Irlanda, la Gran Bretagna non è, per sommi capi, una nazione più grande della Francia. Ma per cent’anni ha generosamente spedito degli uomini in tutti gli angoli dell’universo, e ciò che ha seminato lo ha poi raccolto. (p. 82)
Nell’attesa, che lo vogliamo o meno, la Francia e l’Inghilterra sono legate dal loro simultaneo indebolimento. Non potendo più sperare in una potenza più grande di quella che conoscono ora, nessuno delle due può temere di portare col proprio aiuto la potenza dell’altra a una soglia di rischio. (p. 85)

Non è tutto: l’America non è un’eccezione. Ecco che sull’altro lato del mondo si agita nel furore di una ascita erculea, la nuova Russia, l’altra potenza di domani. Noi popoli d’Europa ridotti ed estenuanti, ci troviamo tra queste due masse: America e Russia[…]. (p. 86)
Ma se l’era delle Patrie non è chiusa, l’era delle Alleanze è aperta.
L’Europa, situata tra Imperi di dimensioni continentali, comincia a soffrire il suo esser divisa in venticinque Stati, dei quali nessuno ha la taglia per dominare tutti gli altri o a rappresentarla degnaente nella sproporzionata concorrenza che si apre tra degli enormi pezzi d’Asia e d’America. (p. 87)
Forse, attraverso la pratica della federazione, riusciremo a evocare l’anima defunta della patria europea[…].
Non si tratta di una fantasticheria cosmopolita, di un’immaginazione lussuosa, ma di una necessità pressante, di una miserabile questione di vita o di morte. L’Europa si federerà oppure si divorerà, o sarà divorata. (p. 88)
Tocca a noi farle comprendere[…] con la violenza dapprima e in seguito con la dolcezza e l’abilità, che l’Europa è un continente nel quale la vita non è possibile se non a condizione di ammettere a praticare l’uguaglianza. (p. 91)
Ci lasciamo prendere dal militarismo che è la più subdola delle perversioni moderne. Sotto l’apparenza di una vecchia, sorpassata passione, essa attacca gli spiriti che, sedotti dal prestigio della fedeltà, pensano di essere i più saldamente legati a un’antica disciplina. (p. 92)

V – LE PATRIE E L’AVVENIRE MODERNO p. 99

Le patrie sono uscite dalla guerra ricoperte di sangue, barcollanti. Le loro viscere sono state insudiciate, secondo l’impura necessità, dal profitto. Ma come sono commoventi questi volti emaciati dal sacrificio dei loro figli. […]
La nostra sensibilità patriottica è inaudita. È ammalata, fatta di inquietudine, di dubbio. (p. 99)
C’è stata in tutta l’Europa una resurrezione della carne delle nazioni. E questa buona novella si propaga ora in Asia e in Africa. Misteriosa reviviscenza delle forme. (p. 100)
Oggi, noi francesi, abbiamo a che fare più con noi stessi che non con gli altri. Siamo noi stessi il nostro più grande nemico. Dobbiamo volgerci verso la morte che è entrata in noi. […]
Ciò che va oltre una patria, è la vitalità dei migliori tra gli uomini che essa ha dato alla luce. Sono più forti degli eventi, e quando questa loro patria si piega, il loro spirito scintilla ancora sulla fronte della loro madre. Possono sempre, con un atto sovrumano, riappropriarsi e riassumere tutto lo sforzo della loro razza.
I giovani francesi devono essere questo tipo di stoici. (p. 102)

VI – IL CITTADINO DEL MONDO È INQUIETO p. 105

Non ci sono più partiti in Francia e non ce ne sono più nel mondo.
Ci sono stati dei partiti nel XIX secolo, delle persone morali, che apportavano al loro necessità, la loro originalità. Non ce ne sono più nel XX secolo. Non ci sono più conservatori, liberali, radicali, socialisti.
Non ci sono più conservatori, perché non c’è più nulla da conservare. Religione, famiglia, aristocrazia, tutte le antiche incarnazioni del principio di autorità, non sono che rovine e polvere. […]
Nel loro decadimento raggiungono il loro nemico: la Rivoluzione astratta, che rimane intera e mai vista da nessuna parte.
Non ci sono più liberali, non ci sono più persone che conducono una vita liberale, gratuita. (p. 105)
Oggi, ognuno è legato a un gruppo d’interessi economici che impone la sua parola d’ordine.
Non ci sono più radicali perché hanno potuto vedere rapidamente la fine del loro breve programma. Non ci sono più socialisti, perché non ci sono mai stati dei capi scoialisti non borghesi e perché tutti i borghesi dalla guerra in poi sono in qualche maniera socialisti, mentre i capi socialisti non possono più dissimulare la loro borghesia.
Non c’è forse nessun comunismo in Occidente. Bisogna spingere più in là questa constatazione. Non esistono più le classi. Non ci sono che delle categorie economiche, senza distinzione spirituale, senza differenza di costumi. […]
Le une e le altre sono sempre più intercambiabili. Non esistono che dei moderni, della gente in affari, della gente con dei benefici o dei salari; i quali non pensano che a questo e non discutono che di questo. Sono tutti senza passioni, sono preda dei vizi corrispondenti (alcol=droghe, unione libera e sterile=omosessualità – spesa e cinema assieme).
Non c’è modo di prendere partito. (p. 106)
Tutti passeggiano soddisfatti in quest’incredibile inferno, in quest’enorme illusione, in quest’universo di cianfrusaglie che è il mondo moderno, nel quale ben presto non penetrerà più nessun barlume spirituale.[…]
Di noi, l’uno vale l’altro, siamo tutti la stessa cosa, tutti azionari della Società moderna industriale col suo capitale di miliardi di carta e di migliaia di opre di lavoro fastidioso e vano. (p. 107)
In mezo alle rovine morali e intellettuali della nostra epoca[…].
soltanto la macchina si staglia, soltanto quelle mascelle sono solide, e divorano tutto il resto.
E il capitalista così come l’operaio ne sono gli schiavi. E allora l’intellettuale, tra questi due energumeni? È tempo di fondare una nuova Chiesa, di tornare alla filosofia, all’esercizio della conoscenza, al culto della saggezza.
Bisogna capire bene questa mutazione dei problemi. Non ci sono più partiti nelle classi, non ci sono più classi nelle naziosni, e domani non ci saranno più nazioni, più nient’altro che un’immensa cosa incosciente, uniforme e oscura, la civilizzazione mondiale, sul modello europeo. (pp. 108-109)
È qui che le patrie sono messe a confronto. È qui che ci si deve attendere che il loro genio si risvegli, che almeno una di loro si alzi e pronunci la parola, che risolva l’enigma del “moderno” e assicuri la salvezza comune. (p. 109)
Dal piano politico innalziamoci su di un piano spirituale. […]
[…]può ancora scatenare una guerra imperdonabile che spazzerebbe via le basi della civilizzazione dell’Occidente, ogni giorno più fragili in quanto il materiale vi si sostituisce allo spirituale. (p. 112)
Ma no, non intendo gettare la spugna. So bene che se ce ne sarò bisogno andrò una volta ancora a starnutire nei gas. Dietro la fragile frontiera, tenterò di riformare le Gallerie Lafayette e la Comédie-Française, con uno sforzo secolare. Non sono abbastanza romantico per augurarmi il diluvio, nonsotante il piacere che potrei provare nel veder galleggiare sulle acque tracimate tante vecchie carcasse, ventre all’aria.[…]
La nostra salvezza, ahimé, non dipende dalla Russia. (p. 113)
Ci saranno molte conferenze come quella di Ginevra nelle quali gli uomini cercheranno di guarirsi dal loro male comune: lo sviluppo pernicioso, satanico, dell’avventura industriale. quest’avventura che li avvicina sempre più gli uni agli altri attraverso mille rapide peripezie, li minaccia, più che della violenza, di un languore inaudito che farà seguito all’imitazione spudorata dello sforzo creatore. (p. 114)

Cerco di vedere da più vicino queste condizioni universali poste alla massa umana e che l’élite instabile e dissimulata dovrà dominare un domani.
Innanzitutto non c’è più un’autorità spirituale. (p. 114)
Non sono più altro che idee, e reticenti e vergognose.[…]
Quindi, se non c’è più un’autorità spirituale, chi detiene il potere di fatto?
La confusione è tale che la risposta non è facile.
In Francia non esiste più un’aristocrazia, una classe la cui cura della cosa pubblica e il governo siano la sua funzione. (p. 115)
Lo si è visto alle elezioni del Bloc National: gli elementi sani della borghesia, in cui si trovano le ultime risorse morali e spirituali della Nazione, si sono dovuti asservire a quella parte di se stessa che ne è l’antitesi segreta, la plutocrazia.
Che siano ufficiali, medici, ingegneri o artisti, i borghesi sono salariati. Come gli operai, ma privilegiati. Sono schiavi di questo privilegio, di una maggiore elargizione. […]
Non v’è che un raggruppamento di forze, coesive, efficaci, in questo momento: è il capitalismo. (p. 116)
Se ci si ritirasse dal campo capitalista, in realtà, non si troverebbe nulla su cui puntellarsi, nessuna categoria sociale dietro cui trincerarsi.
Il “popolo” non esiste più. Non esiste più[…] quell’elemento primitivo, giovane, rimasto indietro e al riparo della corruzione moderna, quell’elemento profondamente conservatore sul quale ci si potrebbe puntellare per reagire contro i costumi sterilmente innovatori di questa borghesia che si è lanciata a corpo morto nella speculazione e nella fabbricazione in serie. L’operaio è guastato dalla moneta del suo salario come il borghese dal suo utile.
L’esistenza del proletariato è immaginaria. Mediante la virtù tragica della sua essenza non può darsi un’élite di capi: o questi capi hanno una cultura, e allora diventano dei borghesi, oppure non ne hanno, e sono insufficienti e non possono soppiantare per davvero i capi borghesi.
D’altra parte la “classe operaia” è sempre più disertata da quei borghesi che nel XIX secolo l’hanno concepita, incubata, messa al mondo e cresciuta nella misura in cui si può fare l’educazione di una Bella addormentata nel bosco. (p. 118)
Il tempo non è fecondo per le ambizioni sovversive. Ciò è dovuto alla decadenza della politica. (p. 119)
Bisognerebbe smuovere le ceneri delle categorie sociali. L’assembramento dei resti indipendenti della borghesia, nonché della classe operaia e dei contadini vorrebbe dire l’istituzione di un Terzo-Partito, di un Tra-Due, il quale si farebbe carico degli interessi spirituali tra la massa che domina col denaro e la massa che è dominata dal denaro. […]
l’importanza del gruppo cui l’individuo è costretto a legarsi per profittare della sua protezione opprimente. L’esempio del Fascio merita di esser preso in considerazione.
E soprattutto bisognerebbe rinunciare a esser numerosi. (p. 121)
E del resto questa élite, questa chiesa che si ostinerà a mantenere la miglire tradizione umana, porebbe puntellarsi, a seconda dei bisogni del momento e delle regole classiche della politica, su questo o quello tra i gruppi di potere che s’ingrossano ogni giorno dietro la persona sempre più fittizia dello Stato moderno: i contadini, gli industriali, i banchieri, i sindacati – tutti quanti dei grossi insiemi che si dividono in varie famiglie la cui composizione è sì mutevole a seconda delle condizioni economiche, ma forma delle solide alleanze momentanee.
Bisognerà condurre una lotta paziente, secolare, discreta contro la follia materialista che trascina le classi dette produttive, brutali e orgogliose, a rovinarsi a vicenda, sia questo con gli scioperi o con le guerre con i fondi fiduciari o con le speculazioni. […]
Ma da cinquant’anni un delirio acceca gli uomini. Col pretesto di un miglioramento cui non si pensa nemmeno più, lo sforzo economico è esasperato e pervertito. Si produce per produrre, si fabbrica per fabbricare senza più tener conto né dei fini né dei mezzi. (p. 122)
Se gli oggetti che fabbrica sono nati morti, dei miserabili aborti, la macchina di per sé è un capolavoro vivente. Mi compiaccio nel contemplarla. Gira a vuoto. (pp. 122-123)
La macchina è un artigiano automatico mediante il quale l’uomo, illuso ed esausto per via dello sforzo stesso di questo parto, pretende di farsi rimpiazzare. Ma viene tradito. […]
Tutto il tragico del periodo che viviamo sta in questo. […]
Tale ripresa, sotto questo pretesto attuale, di un’eternità polemica che protegge instancabilmente la vita, non la si può preparare sul terreno politico, ma sul piano morale, nell’ordine dei costumi, da parte degli intellettuali raggruppati forse in una setta come i grandi filosofi dell’antichità[…].
Tutto ciò cui bisogna poensare, è una reintegrazione intellettuale, morale, corporale. (p. 123)
All’interno della civilizzazione libertaria e industriale, su questo pianeta interamente conquistato da questa moda, interamente coinvolto in questa scommessa moderna, bisogna lottare contro tutto ciò che attacca lo spirito creatore, contro le tante novità che ieri erano belle ma che oggi sono già brutte.
La sterilità, l’onanismo, l’inversione sono dei mali spirituali. L’alcolismo e le droghe sono il primo stadio che porta a questa mancanza dell’immaginazione, a questa decadenza dello spirito creatore, quando l’uomo preferisce subire invece che imporsi.
Lo sport inteso in modo sbagliato, contaminato dal denaro, ridotto a una serie di simulacri circensi tra professionisti al fine di nutrire l’incubo di folle inerti, e il militarismo, sono delle perversioni dell’istinto di lotta, del gusto antico e sano per la distruzione e il sacrificio.
La fabbricazione in serie, la rinuncia al lavoro delle mani che sono gli strumenti dello spirito, il lasciare alle macchine il potere umano sulla materia manifestato, come l’onanismo, la flessione del nostro potere creatore.
Non si tratta di rivoluzioni, di restaurazioni, di movimenti politici e sociali superficiali, ma di qualcosa di più profondo, di un Rinascimento. (p. 124)
[…]è necessario che, attraverso un lavoro sotterraneo che rinnovi pietra su pietra le fondamenta dello Spirito, questo secolo sia anche la miccia d’innesco di un’epoca nella quale il minaccioso automatismo verrà sopraffatto. (pp. 124-125)
Bisogna rinunciare al domani e lavorare per un giorno a venire.[…]
A meno che non si preferisca discostarsi dal centro convenzionale delle cose, marciare verso i confini, esplorare la morte.
Maggio 1922 (p. 125)

A PROPOSITO DI UNA STAGIONE RUGBISTICA p. 127
C’è in questo esempio imponente della nostra pazienza, un grande fatto umano che bisogna salutare. In qualsivoglia condizione, per quanto sfavorevoli possano esser per loro la Storia e la Natura, gli uomini forti, quelli in cui persiste o ricomincia a scaturire la forza, sono investiti di un’integrità che sfida ogni vergogna. La nazione, cui appartengono nei suoi peggiori giorni, può lavare i più gravi insulti, i più gravi fallimenti, può far soffrire il più infimo deperimento, ma costoro rimangono al di fuori del vergognoso contagio. La loro qualità, la loro virtù inalterata li sola dal corpo contaminato. […]
S’innalzano puri, integri nel mezzo delle decadenze, delle disfatte e de il Genio della Specie non ha ancora detto la sua ultima parola in favore della casa che tengono in piedi, tutto può infiammarsi di nuovo improvvisamente attorno a loro sotto la torcia che il loro pugno non ha mai smesso di reggere. […]
Sì, ho conosciuto il sentimento della vergogna. Ho dovuto vivere per anni portando questo pensiero oneroso: facevo parte di un corpo nel quale la vita s’indeboliva, ed ero condannato a partecipare a tutti gli scadimenti che l’avrebbero fatalmente avvilita. (p. 132)
Sport significa per noi disciplina, arte di vivere.[…]
Lo sport è stabilire la Pace e la Giustizia, in quanto dichiara e fortifica dei giusti rapporti tra il Corpo e lo Spirito.
Maggio 1921 (p. 138)

LA SQUADRA PERDE UN UOMO (SULLA MORTE DI RAUMOND LEFEBVRE) p. 141

Sì, tutto ciò che ci resta. Devastati dalle distruzioni più fatali di una guerra dei nostri tempi, senza dèi né padroni, siccome gli uni sono morti, siccome gli altri non sono ancora nati, non abbiamo che la nostra giovinezza. A che altro possiamo credere? […]
Non esiste che quest’istante nel quale tutto è nelle nostre mani. (p. 142)
Pur tuttavia, non posso impedirmi d’insistere un’ultima volta su quel sentimento che nel corso della guerra ci ha abbracciati. Davanti, i giovani si sono visti alcuni in un budello di trincee, isolati dal mondo, dalla bontà e pure dall’odio, da una cortina di ferro. Di dietro, i vecchi si sono sentiti soli con le loro idee.
Non ciresta che questo, questa formidabile realtà: lo spirito di un corpo, di squadra, o come lo chiameremo?
Non stiamo forse entrando in un Medioevo in cui l’individuo non è più niente, e il gruppo è tutto?
Siamo una generazione. (p. 143)
[…]i migliori tra noi sono stati decimati dalla guerra. Non seppelliamo le nostre responsabilità. (p. 144)
Non ho mai avuto amici. Quelli con cui scambiavo abitualmente due chiacchiere si sarebbero forse fatti uccidere per me? E io sarei morto per loro? Forse in un colpo di testa, certo non in un lento trasporto del cuore, per un’adesione integrale dello spirito. (p. 145)
[…]affaccendato, si sottraeva sapientemente alle preoccupazioni intellettuali e ingannava la gente con un interesse tutto forbito verso le loro idee. Dissimulava così la sua indifferenza nei confronti della loro persona. In lui, tutto era azione. Le sue letture, le sue conversazioni, persino i suoi svaghi, tutto era governato dall’urgenza di formare un’unità di carattere, di dottrina. (p. 150)
“Non era per amore che avevo fatto questa guerra, ma per curiosità”. Sì, ho accettato che mi venisse detta questa cosa, a me che il 23 agosto e il 29 ottobre del 1914, nel corso di due cariche alla baionetta, ho sperimentato un’estasi che non ho problemi a consiederare pari a quella di Santa Teresa e di chiunque altro si sia lanciato verso la vetta mistica della vita.
Diceva che quella guerra era cattiva nello spirito di coloro i quali l’avevano concepita, e che l’abominevole intenzione dei promotori (lucro, sete di trionfo bestiale sulle folle, lussuria, sacrificio a una serie di divinitò inumane: Stato, Patria, Impero) insudiciava i popoli che accettavano di ratificarla col loro martirio. […]
offriva in mio onore una diagnosi di nobile dilettantismo. (p. 154)
Avevamo seguito i nostri destini; io non sono stato ucciso e lui è morto. (p. 155)
Raymond Lefebvre, inviato in Russia dal Partito Comunista Francese (nel 1920), di cui era già uno dei giovani capi, dopo una lunga inchiesta a Mosca, è morto durante il ritorno in circostanze che per lo meno la lontananza ha reso misteriose. (p. 156)
Gennaio 1921 (rivisto nel 1922)