PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – L’EROE DA ROMANZO. DA GOYA E BARRÈS AD ARAGON E CÉLINE

PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – L’EROE DA ROMANZO. DA GOYA E BARRÈS AD ARAGON E CÉLINE
MIMESIS – Collana A LUME SPENTO N. 15 – 2018

A cura di Marco Settimini

Traduzione di Marco Settimini

Raccolta di articoli e brevi scritti di Drieu La Rochelle su scrittori, recensione di opere letterarie, pittori e movimenti artistici…

PIERRE DRIEU LA ROCHELLE “CRITICO” TRA GOYA E NIETZSCHE, BARRÈS E ARAGON, CÉLINE E IL GENIO DEL CATTOLICESIMO
Di Marco Settimini p. 7

ANCORA E SEMPRE NIETZSCHE p. 37

Non ho affatto capito Nietzsche prima della guerra. Non vi trovai altro che quell’appello alla violenza che l’opinione volgare lodava o denunciava sommariamente. Eppure chissà, qualcosa di più sottile si era indubbiamente instillato nel mio spirito. (p. 38)
Je Suis Partout, 3 marzo 1939

HEMINGWAY p. 43

Un vero scrittore è un uomo che conosce delle cose e che le conoscenze troppo per poterne parlare, per cui scrive.
Hemingway è pienamente un uomo di questo genere.
Conosce le cose che ha mosso, i posti in cui è stato e le persone che ha frequentato. Null’altro. Non compone il suo universo se non con questo. […]
Il suo universo è dunque un universo solido. È un universo solido che si tocca con mano. (p. 43)
Gli stessi doni di Maupassant: i doni dei sensi. Una potenza inesauribile di ricettività, di registrazione. Un uomo che è a un tempo una macchina fotografica e un fonografo, ma che non è per questo meno uomo. (p. 44)
Questa giovinezza o questa salute non escludono il pessimismo.
C’è del pessimismo in Hemingway, un maledetto pessimismo. (p. 45)
Prefazione a L’adieu aux armes, Gallimard, 1931

L’EROE DA ROMANZO p. 47

Ciò che qui chiamo l’eroe da romanzo è un’altra cosa. È lo strumento attraverso il quale il romanziere, che di solito scrive i suoi migliori romanzi quando non è più giovane, mette in scena le parti ancora vive di se stesso assieme quelle che sono morte. È quel luogo meraviglioso in cui confluiscono l’osservazione e la creazione, la memoria e il sogno, il realismo e l’idealismo, il rimpianto e la speranza, l’illusione e la visione a freddo. Soltanto la giovinezza in cui regna senza contesto tutto il possibile può accogliere così tanti incontri. È solo in giovane eroe che l’autore può mostrare al contempo ciò che è e ciò che crede di essere. (p. 47)

È dunque necessario che l’eroe sia giovane affinché l’autore vi metta tutto ciò che sente e consoce delle ricchezze umane, tutto ciò che è meglio della maggior parte degli uomini può salvaguardarne in virtù della sua condizione d’artista situato al crocevia di tutti i destini e di tutti i mestieri. Solo un giovane può incarnare a un tempo l’azione e il sogno, l’amore e l’ambizione, la spiritualità e la sensualità. (p. 49)
Les nouvelles litterarires, 16 dicembre 1939

LOUIS-FERDINAND CÉLINE p. 61

Da alcuni Céline è stato detestato, disprezzato, negato sin dal primo giorno. Quando apparve bruscamente sulla scena letteraria, ci fu immediatamente, tanto nelle cappelle quanto nei diversi strati del pubblico, un moto di paura. Ai tempi non era una questione politica.
Céline ha avuto la stessa sorte della verità. L’élite non ha voluto guardare in faccia l’uno più che l’altra; ha chiuso gli occhi sulla forza di Céline come sulla forza degli eventi. E indubbiamente continua a farlo. Può continuamente farlo. […]
Non importa che Céline abbia proferito il suo grido. E che a dispetto dei mezzi silenzi o degli sdegni della criticità sarà stato letto in abbondanza e assaporato almeno quanto Maurois. (p. 61)
Sarà stato negato e letto, come altri buoni scrittori. […]
Ma è ancora difficile vederci chiaro nel caso di Céline.
Eppure, niente di più tradizionale. Céline si colloca appieno in una delle grandi tradizioni francesi, quella del pensiero immediato, che si appropria della vicenda umana nei termini fisici del monumento, sul piano della sua più grande urgenza, sul piano popolare. (p. 62)
Céline, di suo, è assai equilibrato. Céline ha il senso della salute. Non è colpa sua se il senso della salute lo obbliga a vedere e a mettere in luce tutta la purulenza dell’uomo del nostro tempo. È la sorte del medico che è, e pure dello psicologo fulminante e del monaco visionario e profetizzante che è.
C’è del religioso in Céline. È un uomo che sente le cose seriamente ed essendone attanagliato è costretto a gridare sui tetti e a urlare agli angoli delle strade il grande orrore di queste cose. Nel Medioevo sarebbe stato un domenicano, cane di Dio; nel XVI secolo, monaco antiprotestante. c’è del religioso in Céline nel senso ampio della parola: è legato alla totalità della cosa umana, sebbene non la vede che nell’immediatezza del secolo. E, in senso più stretto, c’è forse del cristiano in lui? Quell’orrore della carne… Ma tutto sommato no. Quell’orrore non è che per la carne avariata. Al di là Céline vede una carne lavata, lustrata, salvata, spumeggiante di gaiezza, sfolgorante di gioia. Cosa che esplode, tra le altre, nelle ultime pagine del suo libro, La bella rogna. (p. 63)
Non vede la carne definitivamente condannata come Bernanos, del quale del resto tutta la robustezza protesta contro l’anatema che da essa fuoriesce. È più vicino a Giono. […]
Per rifiutare Céline, non mascheratevi dietro il disgusto della politica. Perché c’è sempre della politica nell’opera di uno scrittore vivente. Quale grande scrittore francese non ha preso posizione, dal XVI secolo fino ai nostri giorni? Quelli del XVII hanno preso posizione come quelli del XVI e del XVIII. Quelli del XX prendono posizione come quelli del XIX. Del resto la posizione di Céline è delle più ampie – sconcertante per via della sua ampiezza come, sulla sponda opposta, quella di Bernanos. Riunisce il razzismo e il comunismo, mentre l’altro è monarchico e antifascista, gollista e antisemita.
I buoni scrittori attraversano così, insoliti e sconvenienti, il vivo della mischia; è attraverso quest’effimero che raggiungono l’eterno, come per ventura.
Céline non è soltanto un autore di pamphlet. Ha scritto un grande romanzo: Viaggio al termine della notte. E un altro, disgraziatamente mutilo: Morte a credito. E un altro, disgraziatamente inedito: Casse-pipe. Anche in quei casi si colloca in una tradizione molto chiara, quella del realismo francese che, lungo la strada, a furia di allentarsi le briglie, si supera e si sorpassa e diventa una sorta di surrealismo, ma un surrealismo che rimane solidamente ancorato all’umano. (pp. 64-65)
Lo stile stesso di Céline si giustifica con la necessità. Come mostrare la verità del nostro tempo in tutta la sua deboscia democratica e primitiva, nel suo immoralismo a breve termine, nel suo epicureismo da sobborgo, nella sua oscena incultura da salotto, nella sua disperazione che finga d’essere impudente, se non rompendo con ogni accademismo, se non riconoscendo mediante un processo patente della sintassi il disastro dell’essere logoro e ritorto?
Céline maneggia il linguaggio popolare con scienza consumata e astuzia superiore. Céline si serve del célinismo come gli ultimi gli ultimi pittori si sono serviti del fauvismo e del cubismo. In tempo di decadenza, coloro i quali la accettano francamente, e la dichiarano, sono gli unici che possono ancora esprimersi.
Céline non è indietreggiato di fronte agli strumenti decisivi per mostrarci a noi stessi tali e quali siamo, francesi dello sfacelo. Savonarola innalzava i suoi roghi, sui quali consumava una delle arti più raffinate del mondo, pochi anni prima della presa di Firenze.
Ma al di là della sua psicologia implacabilmente esatta di francese e di uomo moderno, al di là di quest’altissimo surrealismo che esplode in certi episodi del Viaggio al termine della notte, Céline vede la vita risplendere di nuovo. Sta a noi vederla a nostra volta, e dargli l’occasione di cantarla. (p. 65)
Nouvelle Revue Française, maggio 1941

IL VERO ERRORE DEI SURREALISTI p. 67

E vi dichiaro che scelgo definitivamente un colore: m’intitolo repubblicano nazionale, impressionato dall’Action Française come dice quel tale, con degli sguardi ipocriti, dietro le quinte, verso le morbide ed eleganti possibilità di un conservatorismo modernista, come quello di Caillaux. […]
Perché poco importa che s’intraprenda o non s’intraprenda un giorno una battaglia militare tra un Oriente e un Occidente così obsoleti e così leggendari, l’uno come l’altro. Quale che sia il risultato di questo scontro bestiale, la cui posta per i combattimenti non sono che petrolio e carbone, ciò che importa è che noi, i migliori, si approfitti di questa vita che non sembra fatta che per noi, e che si colgano i frutti del solo autentico giardino, ignorato dalle bramosie mondiali, ignorato dai miliardari così come dalle democrazie; bisogna che reimpariamo a godere largamente del nostro spirito, del nostro cuore, del nostro corpo. Tutte queste belle discipline della gioia sono andate perdute negli ultimi secoli. Non priviamocene più ulteriormente. (p. 71)
Nouvelle Revue Française, agosto 1925

LA POESIA AL DI SOPRA DI TUTTO p. 79

Ma io ovunque cerco d’individuare il più forte, per difenderlo contro il più debole.
Quella che mi sembra la più forte di tutte le arti, è la più complessa. È per questo che in letteratura metto al poesia al di sopra della prosa.[…]
Una grande opera poetica è più complessa di una grande opera in prosa. (p. 79)
Mai l’ispirazione in prosa potrà mostrarsi tanto vasta, tanto comprensiva del caos, tanto irruenta, tanto tumultuosa quanto l’ispirazione in poesia. La vivacità del verso dà alla seconda una velocità che la prima non avrà mai. (p. 80)
La poesia, più complessa della prosa, salva meglio l’umano, e il francese. (p. 82)
Je suis partout, 3 settembre 1937

L’ALTRA FACCIA DEL SIMBOLISMO p. 85

Non c’è stato del vero romanticismo in Francia se non il giorno in cui la parola è morta. È nel simbolismo – inteso in senso ampio – che il romanticismo reale come esisteva in Germania e in Inghilterra si è infine realizzato.
– Il surrealismo dei nostri giorni non è stato che la sopravvivenza esasperata e moribonda di quel vero romanticismo, di quel simbolismo. Ne è stata più che altro la presa di coscienza retrospettiva, storica. (p. 87)
– Come contropartita a quella corrente cristiana, c’è stata la magistrale imprecazione di Céline. Céline, è Bloy meno Dio. È poca cosa ed è molto. (p. 95)
Senza Léon Bloy e senza Claudel, né Bernanos né Céline sono immaginabili. (p. 96)
Frammento di Notes pour comprendre le siècle

SU CELINE
LOUIS-FERDINAND CÉLINE p. 61

Da alcuni Céline è stato detestato, disprezzato, negato sin dal primo giorno. Quando apparve bruscamente sulla scena letteraria, ci fu immediatamente, tanto nelle cappelle quanto nei diversi strati del pubblico, un moto di paura. Ai tempi non era una questione politica.
Céline ha avuto la stessa sorte della verità. L’élite non ha voluto guardare in faccia l’uno più che l’altra; ha chiuso gli occhi sulla forza di Céline come sulla forza degli eventi. E indubbiamente continua a farlo. Può continuamente farlo. […]
Non importa che Céline abbia proferito il suo grido. E che a dispetto dei mezzi silenzi o degli sdegni della criticità sarà stato letto in abbondanza e assaporato almeno quanto Maurois. (p. 61)
Sarà stato negato e letto, come altri buoni scrittori. […]
Ma è ancora difficile vederci chiaro nel caso di Céline.
Eppure, niente di più tradizionale. Céline si colloca appieno in una delle grandi tradizioni francesi, quella del pensiero immediato, che si appropria della vicenda umana nei termini fisici del monumento, sul piano della sua più grande urgenza, sul piano popolare. (p. 62)
Céline, di suo, è assai equilibrato. Céline ha il senso della salute. Non è colpa sua se il senso della salute lo obbliga a vedere e a mettere in luce tutta la purulenza dell’uomo del nostro tempo. È la sorte del medico che è, e pure dello psicologo fulminante e del monaco visionario e profetizzante che è.
C’è del religioso in Céline. È un uomo che sente le cose seriamente ed essendone attanagliato è costretto a gridare sui tetti e a urlare agli angoli delle strade il grande orrore di queste cose. Nel Medioevo sarebbe stato un domenicano, cane di Dio; nel XVI secolo, monaco antiprotestante. c’è del religioso in Céline nel senso ampio della parola: è legato alla totalità della cosa umana, sebbene non la vede che nell’immediatezza del secolo. E, in senso più stretto, c’è forse del cristiano in lui? Quell’orrore della carne… Ma tutto sommato no. Quell’orrore non è che per la carne avariata. Al di là Céline vede una carne lavata, lustrata, salvata, spumeggiante di gaiezza, sfolgorante di gioia. Cosa che esplode, tra le altre, nelle ultime pagine del suo libro, La bella rogna. (p. 63)
Non vede la carne definitivamente condannata come Bernanos, del quale del resto tutta la robustezza protesta contro l’anatema che da essa fuoriesce. È più vicino a Giono. […]
Per rifiutare Céline, non mascheratevi dietro il disgusto della politica. Perché c’è sempre della politica nell’opera di uno scrittore vivente. Quale grande scrittore francese non ha preso posizione, dal XVI secolo fino ai nostri giorni? Quelli del XVII hanno preso posizione come quelli del XVI e del XVIII. Quelli del XX prendono posizione come quelli del XIX. Del resto la posizione di Céline è delle più ampie – sconcertante per via della sua ampiezza come, sulla sponda opposta, quella di Bernanos. Riunisce il razzismo e il comunismo, mentre l’altro è monarchico e antifascista, gollista e antisemita.
I buoni scrittori attraversano così, insoliti e sconvenienti, il vivo della mischia; è attraverso quest’effimero che raggiungono l’eterno, come per ventura.
Céline non è soltanto un autore di pamphlet. Ha scritto un grande romanzo: Viaggio al termine della notte. E un altro, disgraziatamente mutilo: Morte a credito. E un altro, disgraziatamente inedito: Casse-pipe. Anche in quei casi si colloca in una tradizione molto chiara, quella del realismo francese che, lungo la strada, a furia di allentarsi le briglie, si supera e si sorpassa e diventa una sorta di surrealismo, ma un surrealismo che rimane solidamente ancorato all’umano. (pp. 64-65)
Lo stile stesso di Céline si giustifica con la necessità. Come mostrare la verità del nostro tempo in tutta la sua deboscia democratica e primitiva, nel suo immoralismo a breve termine, nel suo epicureismo da sobborgo, nella sua oscena incultura da salotto, nella sua disperazione che finga d’essere impudente, se non rompendo con ogni accademismo, se non riconoscendo mediante un processo patente della sintassi il disastro dell’essere logoro e ritorto?
Céline maneggia il linguaggio popolare con scienza consumata e astuzia superiore. Céline si serve del célinismo come gli ultimi gli ultimi pittori si sono serviti del fauvismo e del cubismo. In tempo di decadenza, coloro i quali la accettano francamente, e la dichiarano, sono gli unici che possono ancora esprimersi.
Céline non è indietreggiato di fronte agli strumenti decisivi per mostrarci a noi stessi tali e quali siamo, francesi dello sfacelo. Savonarola innalzava i suoi roghi, sui quali consumava una delle arti più raffinate del mondo, pochi anni prima della presa di Firenze.
Ma al di là della sua psicologia implacabilmente esatta di francese e di uomo moderno, al di là di quest’altissimo surrealismo che esplode in certi episodi del Viaggio al termine della notte, Céline vede la vita risplendere di nuovo. Sta a noi vederla a nostra volta, e dargli l’occasione di cantarla. (p. 65)
Nouvelle Revue Française, maggio 1941

– Come contropartita a quella corrente cristiana, c’è stata la magistrale imprecazione di Céline. Céline, è Bloy meno Dio. È poca cosa ed è molto. (p. 95)
Senza Léon Bloy e senza Claudel, né Bernanos né Céline sono immaginabili. (p. 96)
Frammento di Notes pour comprendre le siècle