PIERLUIGI PELLINI – LA GUERRA AL BUIO. CÉLINE E LA TRADIZIONE DEL ROMANZO BELLICO

PIERLUIGI PELLINI – LA GUERRA AL BUIO. CÉLINE E LA TRADIZIONE DEL ROMANZO BELLICO
PIERLUIGI PELLINI – LA GUERRA AL BUIO. CÉLINE E LA TRADIZIONE DEL ROMANZO BELLICO

PIERLUIGI PELLINI – LA GUERRA AL BUIO. CÉLINE E LA TRADIZIONE DEL ROMANZO BELLICO

QUODLIBET – Collana ELEMENTS n. 30 – 2020

1 – LA CAVALLERIA APPIEDATA p. 7

Il primo capitolo di Voyage au bout de la nuit[…] racconta l’arruolamento del protagonista, Ferdinand Bardamu. […]

[…] vede progressivamente scemare l’entusiasmo[…]. (p. 7)

I tre capitoli successivi, dal secondo al quarto, costituiscono la sezione propriamente bellica del capolavoro di Céline: quantitativamente molto ridotta, ma decisiva nel fondare la visione del mondo del protagonista e l’immaginario dell’intero libro, la sua antropologia romanzesca. (pp. 7-8)

Ma il racconto è autobiografico in misura alquanto ridotta: non solo per Ferdinand la guerra è da subito un’«imbecillité infernale», del tutto incomprensibile[…]. (p. 8)

[…] mentre le lettere ai familiari scritte dal sottufficiale che diventerà Céline sono testimonianza di un’adesione quasi sempre convinta alla retorica nazionalista e militarista[…]. (pp. 8-9)

Soprattutto, l’ordine cronologico dei frammenti di battaglia e delle peregrinazioni notturne di cui riferisce il romanzo è forzato e a tratti stravolto: se il percorso geografico (dalla Mosa a Ypres) e la successione storica (da agosto a ottobre) ricalcano la realtà, più significative appaiono le frequenti incongruenze. (pp. 9-10)

[…] solo alla fine dell’autunno il fronte si immobilizza e inizia la guerra di trincea – Céline nel Voyage, racconta una Grande Guerra atipica. (p. 10)

La guerra tecnologica, in poche settimane, mostra l’obsolescenza dei reparti d’élite dell’esercito francese[…]. (p. 12)

[…] da un lato lo sfinimento degli interminabili spostamenti gli fa desiderare l’azione […], se non altro […] per farla finita con la fatica massacrante e con i disagi crescenti[…]; dall’altro osserva con inquietudine i disastri che si registrano ogniqualvolta si verifica uno scontro diretto[…]. (pp. 15-16)

[…] questa la condizione, fisica e morale, di Louis Destouches – e, in generale, della cavalleria francese – quando entra in Belgio e, a fine settembre, inizia (non certo per motivi economici) a essere progressivamente appiedata. (p. 16)

Segnano uno spartiacque: la guerra non può ormai essere né vissuta, né raccontata, come prima. (p. 17)

2 – CASSE-PIPE p. 19

Tuttavia, dopo la pubblicazione di Mort à crédit (1936), Céline progetta e in parte scrive una continuazione, intesa a colmare l’ellissi, nella storia di Ferdinand, fra la conclusione del secondo romanzo e l’inizio del primo racconto di caserma e poi di guerra, Casse-pipe avrebbe dovuto concentrarsi sul servizio militare svolto, dall’autore come dal personaggio, a Rambouillet; e poi sui primi mesi di guerra, a integrazione del Voyage[…]. (p. 20)

Il “casse-pipe”, alla lettera, è un tirassegno, un tempo diffuso nei luna park, in cui i bersagli sono pipe di coccio. Nel linguaggio familiare, indica la prima linea dei combattimenti, particolarmente esposta al fuoco nemico[…]; infine, proprio negli anni della Grande Guerra, nel gergo militare significa “arruolamento”. (p. 21)

Le sessanta pagine iniziali di Casse-pipe, le uniche superstiti[…], descrivono una sola nottata: il protagonista, arruolato volontario, arriva […] alla caserma di Rambouillet, dove è acquartierato un reggimento di cavalleria pesante. (p. 23)

Il frammento di romanzo […], narrativamente gira a vuoto. La trama è esilissima[…]. (p. 24)

3 – MARGUERIT(T)E p. 27

In realtà, il Céline degli anni Trenta – quello che conta, quello di prima dei pamphlets – è sempre, al tempo stesso, naturalista e onirico, radicato in un’esperienza oggettiva e capace di deformarla in modi imprevedibili, a tratti perfino surrealisti: l’invenzione narrativa e la creatività linguistica trasfigurano il vissuto, senza mai tradirne i presupposti. (pp. 31-32)

La parola d’ordine non può essere (soltanto) il nome comune di un fiore, o il nome proprio di una prostituta letteraria, o di una madre reale. Se tuttavia il marechal des logis non fosse il bestione ignorante che è, e avesse qualche doveroso rudimento di storia militare, saprebbe che la parola d’ordine, sostanzialmente omofona al balbettio del piantone, ma scritta con due “t”, è davvero Margueritte. Non una battaglia, ma un eroe: che ha un ruolo di primo piano, precisamente, nella storia recentissima della cavalleria francese; e anche un ruolo non trascurabile in quella del romanzo ottocentesco. (pp. 32-33)

[…] Jean-Auguste Margueritte. (p. 35)

[…] ma del suo eroico sacrificio conosce con ogni probabilità anche la più celebre trasfigurazione letteraria: quella contenuta nella Débacle di Émile Zola (1892). (p. 36)

4 – SEDAN p. 39

Come che sia, il romanzo militare di Zola offre la più celebre e la più riuscita rappresentazione letteraria della guerra del 1870, cioè del diretto antefatto, per la coscienza nazionale francese, della Grand e Guerra[…]. (p. 40)

Fanti che si sfiancano senza mai riuscire a affrontare il nemico; e finiscono perciò per desiderare ardentemente lo scontro diretto. (p. 43)

Già nel 1870, la cavalleria non può reggere l’urto della guerra tecnologica, il suo coraggio è inutile.

Chiunque abbia letto La Debacle, lo sa. Questo vuol dire la parola d’ordine di Casse-pipe, “Margueritte”: sacrifico totale per l’onore, carica a perdere, inutile suicidio, gloriosa follia, morte sicura. (p. 52)

5 – IL CORAGGIO: HUGO, ZOLA p. 55

Per Zola, la guerra è inevitabile; rientra nell’ordine naturale della struggle for life. […]

[…] il suo racconto bellico, contrariamente a quello di Céline, non può attingere a una diretta esperienza autobiografica. (pp. 56-57)

Principalmente due sono, per Zola, i moventi che inducono i civili a sfidare la morte. Per alcuni la curiosità[…].

[…] per (quasi) tutti, l’attaccamento ai beni materiali[…]. (p. 59)

Ma il valore militare può nascere anche dall’esasperazione, dal desiderio di farla finita[…]. (p. 64)

Dopo settimane di spostamenti defatiganti, le truppe non vedono l’ora di gettarsi nella mischia, per due ragioni diversissime e complementari: da un lato la formazione militare e l’immaginario collettivo (di cui la letteratura è parte non secondaria) esaltano il confronto a viso aperto, il corpo a corpo con il nemico, soprattutto – per la cavalleria – la carica eroicamente rischiosa e risolutiva; dall’altro lato la stanchezza, la fatica, l’estenuante successione di corvèes, privazioni, pericoli, l’ansiogena assenza di notizie, inducono i soldati (indistintamente, fanti e cavalieri) a cercare una via di uscita, una qualsivoglia azione risolutiva: in questo senso, e senz’ombra di retorica, vittoria o morte. (pp. 64-65)

La paura passa per sfinimento, come riassume icasticamente il Voyage[…]. (p. 65)

Meglio una morte in regolare combattimento, meglio farsi ammazzare come dio comanda (alla lettera: «pulitamente»), che sopportare il lento stillicidio delle ritirate tattiche. (p. 66)

6 – IMMAGINAZIONE E ISTINTO DI MORTE: CÉLINE E PROUST p. 69

Nell’idiosincratico, eterodosso freudismo di Céline, l’istinto di morte è inversamente proporzionale alle pulsioni erotiche. (p. 70)

Nel Voyage, contrariamente a quanto prevede uno dei più resistenti topoi della letteratura militare[…], le pulsioni sessuali inibiscono ogni forma di eroismo, inteso come resa suicidiaria al principio di morte. (p. 71)

Al contrario, le ragioni del sentimento, inquinate da una retorica romantica legata a doppio filo a quella militarista, rischiano di condurre al massacro: per esaltazione patriottica, o per “misticismo” – stati d’animo cui l’uomo è più incline a cedere, secondo Céline, in assenza di erezione. (p. 72)

Se i soldati semplici si immolano per stanchezza e per estenuazione, oltre che per senso del dovere, dell’eroismo degli ufficiali, nei loro libri più raro, Zola e Céline danno rappresentazioni simili e spiegazioni diverse. (p. 73)

Quello dell’ufficiale intrepido che sfida il fuoco nemico è certamente un topos di molta letteratura bellica, e sarebbe imprudente postulare un rapporto diretto, di fonte, con Céline. (pp. 74-75)

Il racconto della guerra di Bardamu inizia insomma dalla fine dell’esperienza militare di Destouches[…]. (pp. 76-77)

Tutti i […] «pazzi eroici» come lui – e probabilmente, riflette Bardamu, ce ne sono a milioni: perciò la guerra potrà durare a lungo -, sono accomunati da un’assenza d’immaginazione. Vivono, come le bestie, senza essere in grado di figurarsi la propria morte: per questo non provano paura. (p. 77)

7 – 1917, IL BUIO, LA FOLLIA p. 87

Céline propone un aggiornamento, o meglio, direi quasi, una variazione metafisica, sul “paradossi di Stendhal”: la maggior parte di coloro che partecipano alla guerra non solo non vedono la battaglia nel suo insieme, non solo sono chiusi nelle tenebre di un’esperienza individuale e marginale, ma non riescono nemmeno a coglierne con l’immaginazione l’indicibile orrore; non riescono a penetrare nell’abiezione umana che produce il massacro. (p. 88)

Chi invece ha avuto in sorte questa scomoda lucidità, questo dono doloroso dividere nel buio, questa capacità di «immaginare» la morte, per ciò stesso ha il dovere della testimonianza[…]. (p. 88)

La scrittura si configura dunque, per Céline, come risposta a una duplice condanna: espone le ragioni di chi è vittima di ingiustizia e, al tempo stesso, vede nel buio della condizione umana[…]. (p. 90)

APPENDICE

FANTASMAGORIA E TRADUZIONE p. 99

Il racconto nell’ultimo Céline, è al tempo stesso frammentato e ridondante, ma non rinuncia a una stravolta rappresentazione della realtà; la lingua è sovraccarica, agglutinata, sopra le righe, mai però intransitiva – anzi, vuole essere «trasposizione immediata spontanea» di un intimo monologo, come spiega la lettera famosa a Milton Hindus del 15 maggio 1947. (p. 106)

Guglielmi s’inventa invece una lingua intransitiva e inesistente, che per conservare in qualche modo la cadenza ritmica dell’originale accumula i calchi sintattici e infelicità lessicali, al punto da rendere molte pagine quasi (o del tutto) incomprensibili. (pp. 106-107)

Forse questo lettore supercilioso troverebbe materia per perpetuare il mito del Guglielmi traduttore d’avanguardia[…]. (pp. 108-109)

Chi tuttavia pretendesse (ingenuità pretesa?) di leggere di filato l’intero volume – come s’è sentito in dovere di fare il sottoscritto, per deontologia di scrupoloso recensore: ricorrendo continuamente all’originale francese, per capirci qualcosa – proverebbe (per dirla nella lingua di Guglielmi) solo che un senso d’irritata frustrazione. (p. 109)

NOTE AL TESTO p. 111

RINGRAZIAMENTI p. 113

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE p. 115

ABSTRACT p. 119

NOTIZIA BIOGRAFICA p. 121

*Libro molto interessante. Scritto tanto bene da risultare scorrevole quanto un romanzo… e con accurate analisi filologiche, spunti e riferimenti…