PATRICK SUSKIND – OSSESSIONI Tre racconti e una riflessione Drei Geschichten und eine Betrachtung

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PATRICK SUSKIND – OSSESSIONI
 Tre racconti e una riflessione
 (Drei Geschichten und eine Betrachtung)
TRADUZIONE di Laura Pignatti
TEA – Teadue Quinta edizione gennaio 2009 – 9788878185173

 

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Libro ricevuto in “diffusione culturale”, il 23/12/2013, da Giulia D’Amico…
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In questo libro di piacevole lettura TEA propone al pubblico quattro racconti, due molti brevi, dello scrittore tedesco Patrick Suskind che incentra le trame attorno alle ossessioni dei vari personaggi, ricostruendone alla perfezione le elaborazioni della mente. L’ultimo ha invece per tema la lettura e l’assillo dell’Amnesia in litteris.

Quello che ci ha colpito ed appassionato maggiormente? Una sfida

L’ASSILLO DELLA PROFONDITÀ p.7

 

A una brava e bella disegnatrice è la critica incomprensibile e superficiale di un critico a rovinare la vita. Ossessionata dalla sua presunta assenza di profondità, la donna non riesce più a concludere nulla e al disfacimento psicologico si accompagna quello fisico fino a che, rimasta senza soldi, giunge alla tragica decisione di suicidarsi dopo aver distrutto tutte le sue opere…
A una giovane donna di Stoccarda, brava disegnatrice, in occasione della sua prima mostra un critico che non intendeva certo niente di male e voleva incoraggiarla disse: «Quello che lei fa dimostra talento ed è gradevole, ma non ha sufficiente profondità».
La donna non capì cosa il critico intendesse, e ben presto La donna non capì cosa il critico intendesse, e ben presto dimenticò il suo commento. Ma due giorni dopo sul giornale comparve un articolo dello stesso critico, che diceva: «La giovane artista ha un grande talento, e i suoi lavori a prima vista piacciono molto; purtroppo non dimostrano sufficiente profondità». (p.7)
Rimase sola a casa sua a rimuginare tra sé, e aveva in testa un unico pensiero che come una piovra avvinghiava e divorava tutti gli altri: «Perché non ho profondità?»(p.8)
Quando i soldi finirono la donna tagliò a pezzi e bucherellò tutti i suoi disegni, salì con l’ascensore fino in cima alla torre della televisione e si buttò giù da 139 metri d’altezza. (p.10)

UNA SFIDA p.12

Jardin du Luxemburg. È un tardo pomeriggio di agosto. Quasi tutti sono andati via, tranne un gruppo di giocatori di scacchi rimasti ad assistere ad una partita. Uno sconosciuto ma affascinante ragazzo si è infatti seduto al tavolo degli scacchi per sfidare Jean, il campione locale. Avendo il vecchio sconfitto tutti i presenti, il tifo viene da quelli automaticamente indirizzato all’enigmatico giovane… Quanta differenza tra lui e il vecchio…

L’interesse della piccola folla era tutto rivolto verso lo sfidante, un giovane con i capelli neri, la carnagione pallida e boriosi occhi scuri. Non diceva una parola, non cambiava espressione, solo di quando in quando faceva rotolare tra le dita una sigaretta spenta; pareva in tutto la nonchalance fatta persona. Nessuno conosceva quell’uomo, nessuno l’aveva mai visto giocare. (p.12) 

[…]Questi, un ometto alquanto repellente di circa settant’anni, era sotto tutti gli aspetti l’esatto contrario del suo giovane sfidante. Indossava la tipica tenuta da pensionato francese – pantaloni blu e gilè di lana sbrodolati di cibo -, aveva le mani tremanti macchiate di vecchiaia, i capelli radi, un naso rosso vino e il viso tutto segnato da capillari violacei. Era davvero privo di ogni attrattiva, e per giunta non si era rasato. Fumava nervosamente un mozzicone di sigaretta, si dondolava avanti e indietro sulla sedia da giardino e muoveva senza posa la testa con aria pensierosa. Gli astanti lo conoscevano benissimo. Tutti avevano già giocato contro di lui ed erano sempre stati battuti perché, nonostante fosse un giocatore di scacchi per nulla geniale, aveva l’odiosa caratteristica, in grado di logorare e irritare i suoi rivali, di non fare errori. Non ci si poteva aspettare che ti venisse in aiuto nemmeno con la più piccola svista. (p.13)
Il ragazzo sembra veramente essere un campione: quanta sicurezza e che sfrontatezza! Gli astanti sono ammaliati da tale spregiudicatezza, si, sembra proprio giocare come vorrebbero fare loro che invece non ne trovano mai il coraggio. È il loro eroe. Rappresenta le loro speranze e continuano a credere in lui nonostante il ragazzo si cimenti in mosse azzardate che ne compromettono sempre più le possibilità di vittoria…

Allora agli spettatori s’inumidiscono gli occhi e si riscalda il cuore. Gioca proprio come vorrebbero giocare loro, ma non hanno mai osato. (p.18)

Lui ora è il loro eroe, e loro lo amano. (p.19)

La partita, questa partita, per loro ha un solo scopo e un’unica attrattiva: veder vincere il giovane sconosciuto, e sconfitto nella polvere il vecchio matador. (p.20)

Alla fine il ragazzo si rivela per quel che è: un dilettante!
Come ha potuto lasciarsi intimorire? Come ha potuto impiegare così tanto tempo a batterlo, temendo perfino, in talune circostanze, di poter perdere? Perché ha voluto considerarlo imbattibile solo per la sua apparenza, desiderando magari quell’agognata sconfitta che gli permettesse di togliersi l’assillo di dover sempre vincere? – si chiede Jean… Ha vinto si, ma è come se avesse perso. Non gli resta di far altro che ritirarsi dal gioco, conclude infine nel tornarsene a casa con scacchiera e pezzi. Si darà alle bocce come tutti gli altri vecchi…

 II giovane, dopo avere rovesciato sprezzante il re con un dito, si alzò, non degnò di uno sguardo il suo avversario nel pubblico, non salutò nessuno e se ne andò.[…]
Il matador locale restò solo. Rialzò in piedi il re caduto e prese a ordinare i pezzi in una scatoletta, prima quelli abbattuti, poi quelli rimasti in gioco. Nel frattempo, come d’abitudine, ripercorse mentalmente tutte le mosse e le posizioni della partita. Non aveva fatto un solo errore, certo che no. Eppure gli sembrava di aver giocato male come mai in vita sua. A giudicare da come erano andate le cose, avrebbe dovuto dare scacco matto al suo avversario fin dalle prime mosse. Uno in grado di fare una mossa maldestra come quel gambetto di regina non poteva saper giocare a scacchi. […](p.24)
No, era peggio. Non aveva voluto credere che il suo avversario fosse così scadente. E peggio ancora: quasi sino alla fine della contesa aveva voluto illudersi di non essere all’altezza dello sconosciuto. Aveva voluto considerarlo imbattibile per la sua sicurezza, la genialità e l’aura giovanile che lo circondava. Per questo aveva giocato con tanta esagerata cautela. E non solo: se doveva essere del tutto sincero, era perfino costretto ad ammettere di avere provato ammirazione per lo sconosciuto, non meno degli altri, sì, e di avere desiderato che potesse batterlo, e finalmente infliggere a lui, Jean – magari in modo eclatante e geniale -, la sconfitta che ormai da anni era stanco di aspettare, per liberarsi una volta per tutte dal peso di dover essere il più grande e di dover battere tutti. Perché gli spettatori malevoli, quella manica d’invidiosi, fossero infine soddisfatti, per essere lasciato in pace, finalmente…
Ma poi come sempre aveva vinto. E questa vittoria era per lui la più ributtante della sua carriera, perché per evitarla, durante tutta una partita, si era rinnegato e denigrato e aveva deposto le armi davanti al più miserabile dei dilettanti.
Non era uomo di grande introspezione, Jean, il matador locale. Ma un fatto gli era chiaro, mentre tornava a casa stropicciando i piedi per terra con la scacchiera sotto il braccio e la scatoletta dei pezzi in mano: che in realtà oggi lui aveva subito una sconfitta, una sconfitta così schiacciante e definitiva perché era priva di rivincita e non avrebbe potuto essere compensata da una futura vittoria, per quanto brillante fosse. E per questo decise – lui, che non era mai stato uomo di grandi decisioni – di abbandonare per sempre gli scacchi.
In futuro avrebbe giocato alle bocce come tutti gli altri pensionati, un gioco tranquillo, piacevole, di scarse pretese morali.
(pp.25-26)

IL TESTAMENTO DI MAITRE MUSSARD p.27

Colto da paralysis stomachosa, Mussard decide di scrivere un testamento in cui rivela la terribile verità sul Mondo di cui era venuto a conoscenza…

[…]devo impiegare tutte le forze che mi rimangono a illustrare le mie scoperte.(p.28)
Facoltoso gioielliere, l’uomo si era ritirato a sessantanni in una villa fuori città per dedicarsi agli amati studi e godersi una serena vecchiaia. Ma è nel giardino di casa, durante banali lavori di scavo, che Mussard, trovando ovunque conchiglie, inizia ad indagare su di esse giungendo infine ad una terribile verità:

“il mondo, ti dico, è una conchiglia che si chiude senza pietà”. (p.31)

[…]la trasformazione della terra in conchiglie è un processo rapido e inarrestabile.[…]
Il mio sconosciuto lettore comprenderà ora la disperata situazione in cui il mondo è venuto a trovarsi: l’acqua, senza la quale non possiamo vivere un sol giorno, distrugge la base della nostra esistenza, la terra, e aiuta i nostri più gran- di nemici, le conchiglie di pietra. Al contempo la trasforma- zione dell’elemento che dà la vita – la terra – nell’elemento che la toglie – la pietra – è altrettanto inevitabile e irrevocabile quanto la metamorfosi di una moltitudine di forme in quell’unica forma a conchiglia. (p.39)

Perfino il corpo umano è soggetto alla conchilizzazione. Lui stesso ne è vittima. A causa dei suoi studi. Era inevitabile che ne subisse la vendetta…

Più spaventosa ancora della trasformazione del Cosmo in conchiglie è la decadenza del nostro stesso corpo in materia conchilifera. (p.42)

Troppo a lungo mi sono occupato delle conchiglie, troppi misteri ho strappato loro perché non mi vo gliano serbare una fine ben più crudele che agli altri uominPerché anche se non sarà mai minacciata, la forza delle conchiglie è un mistero di cui loro sono gelose e che difenderanno caparbiamente. (p.44)

La sua malattia è iniziata dopo l’incontro ravvicinato con la Conchiglia madre…
È il morbo della conchiglia, che ho contratto in forma singolare e mi colpisce con
estrema crudeltà e rapidità perché io sono quello che ha visto la Conchiglia. Questa mia conoscenza ha un prezzo molto elevato, ma sono disposto a pagarlo, ché ora possiedo la risposta a quell’ultimo interrogativo: la forza che tiene in pugno la vita, la sconfigge e ne decreta la fine, il volere supremo che governa l’Universo e lo costringe a trasformarsi in conchiglia a dimostrazione della propria onnipresenza e onnipotenza, deriva dalla grande Conchiglia primordiale da cui per un istante m’è stato dato di uscire per vedere quanto è enorme, meravigliosa e al contempo terribile. Quel che ho visto è la visione della fine del mondo. (p.47)

AMNESIA IN LITTERIS p.53

…Com’era la domanda? Ah, già: quale libro mi ha colpito, formato, forgiato, scosso, addirittura «indirizzato su un certo binario» o viceversa «buttato fuori pista». (p.53)

Un lettore ha lo stimolo di ricercare un libro di poesia su cui aveva letto la frase “Devi cambiare la tua vita”. Girando per la biblioteca inizia quindi a scorrere i vari libri in essa contenuti al fine di poter rispondere alla domanda “Quali sono i libri che mi hanno cambiato la vita?”.

[…]come dunque c’è scritto in quella splendida poesia, che non saprei più citare per intero, ma di cui porto l’ultimo verso indelebilmente scolpito nella memoria come un costante imperativo morale: «Devi cambiare la tua vita». Quali sono, allora, i libri che mi hanno cambiato la vita? Per cercare di rispondere a questa domanda, da qualche giorno mi metto davanti alla mia libreria e lascio scorrere lo sguardo sul dorso dei libri.(p.54)

Ma, incredibilmente, non ricorda nomi di poeti, scrittori, titoli di libri, personaggi e fatti in essi contenuti. Nulla. Né libri letti da poco, né quelli di gioventù o di lavoro. Inizialmente è comunque catturato dal piacere della lettura che tutto gli fa dimenticare, poi però subentra un deciso senso di disagio nell’accorgersi che quel libro lo ha già letto. Ma si, è l’amnesia in litteris…
[…] raggiungo la mia sedia e mi metto comodo, e leggendo dimentico il motivo per cui leggo, bramo soltanto di andare avanti in cerca del sublime e del totalmente nuovo che scopro pagina dopo pagina. […]m’immergo sempre più in quel mondo fantastico, seguo con crescente stupore i meravigliosi percorsi che l’autore mi indica…(p.55)

Ho già letto questo libro molto tempo fa.
Allora mi assale una pena indicibile. E una ricaduta dell’antico morbo: l’amnesia in litteris, la perdita totale della memoria letteraria. E mi sento travolgere da un’ondata di rassegnazione davanti all’inutilità di tutti gli sforzi di sapere e di tutti gli sforzi in genere. Perché leggere, dunque, perché rileggere questo libro ancora una volta quando so benissimo che tra poco non mi resterà più neppure l’ombra di un ricordo? Perché, mi chiedo allora, fare qualunque cosa, quando tutto alla fine si disintegra?(p.56)
Ma non c’è proprio nessun libro al mondo che io ricordi?[…]
Sprofondo sulla sedia davanti alla scrivania. E una vergogna, uno scandalo. Leggo da trent’anni e, se non ho letto molto, almeno alcune cose sì, e tutto quello che mi rimane è il vago ricordo che nel secondo volume di un romanzo di mille pagine qualcuno si spara con una pistola. Trent’anni di letture per niente! Migliaia di ore della mia infanzia, della mia gioventù e dei miei anni di uomo adulto di cui non conservo altro che un grande vuoto. E non è che questo problema tenda a diminuire, al contrario, si aggrava. Se oggi leggo un libro, quando arrivo alla fine ho già dimenticato l’inizio. A volte la memoria non mi basta più nemmeno a ricordare una pagina.
(p.58)

E allora, come può rispondere alla domanda?…
eccetera. Quando cerco una citazione che ricordo vagamente, passo giorni interi a sfogliare libri perché ho dimenticato l’autore e perché mentre cerco mi perdo nei testi sconosciuti di autori ignoti, finché alla fine dimentico addirittura cosa stavo cercando. Come potrei permettermi, in uno stato d’a- nimo così confuso, di dire quale singolo libro mi abbia cambiato la vita? Nessuno? Forse tutti? Qualcuno a caso? Non lo so. (p.59)

O forse è stato plasmato a poco a poco dalle letture stesse?…

Forse la lettura è piuttosto un processo impregnante, qualcosa che si assorbe, ma in modo così impercettibilmente osmotico che uno non se ne accorge nemmeno. Il lettore afflitto dall’amnesia in litteris è stato dunque cambiato dalle sue letture, ma senza rendersene conto perché, mentre leggeva, gli si è modificato anche quel lato critico del cervello che gli potrebbe dire che sta cambiando.(p.59)
                                                      INDICE p.60