OSCAR WILDE – I FIORI D’ORO

OSCAR WILDE – I FIORI D’ORO
OSCAR WILDE – I FIORI D’ORO

OSCAR WILDE – I FIORI D’ORO
ACQUAVIVA – OTTOBRE 2007

A CURA DI: GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO

LIBERTATIS SACRA FAMES

Benché, diventato grande in periodi di democrazia e amando quel governo repubblicano in cui ciascuno è simile ad un re e nessuno inghirlandato è superiore ai suoi pari, a detrimento di questo moderno desiderio di libertà, prediligo il potere di uno solo al quale tutti siamo sottomessi anziché permettere che demagoghi, che gridano, ingannino la nostra libertà con il bacio dell’anarchia.
Non gradisco quelli che con mani sacrileghe infilzano la bandiera rossa sulle fortificazioni, senza una motivazione adeguata e sotto il cui increspato potere arte, cultura, rispetto, decoro, tutto tramonta tranne la frode e il suo solito coltello e l’omicidio dai taciturni piedi violenti. (p. 11)

LA TOMBA DI SHELLEY

Come torce spente vicino al letto di un malato, cipressi sottili si innalzano intorno alla pietra sbiancata dal sole;
qui la civetta ha il suo trono e la lucertola sottile svela il capino gemmato.
E l’ dove brillano i rossi calici dei papaveri nella silenziosa stanza di quella piramide, per certo una sfinge del mondo antico nell’ombra si nasconde, tetra guardiana di questo piacevole luogo dei morti. Oh dolce in verità è giacere nel ventre della terra, grande madre del sonno perpetuo; ma assai più dolce per te un sepolcro agitato nel celeste antro di un baratro che d’echi vibra o là dove le elevate navi nel buio si immergono contro le rocce di qualche scoglio agitato dalle onde.
Roma (p. 120)

TRISTITIAE

Felice colui che fa una vita ricca e tranquilla, con una quantità d’oro nel granaio, in un vasto terreno né si occupa dello scendere della pioggia o del rumore degli alberi nella foresta.
Felice quello che non ha mai conosciuto la angustia degli anni senza pane, un padre invecchiato da una vita di tormenti e di pianti, una madre che si lamenta tutta sola.
Ma felice colui i cui piedi hanno attraversato una strada faticosa di afflizione e di combattimenti, e tuttavia delle sofferenze della propria vita, diventa scala per avvicinarsi a Dio. (p. 172)

BALLATA DEL CARCERE DI READING

[…]a Reading Berkshire il 7 luglio 1896

I

Più non metteva la rossa tunica,
poiché il sangue e vino sono rossi,
il sangue e il vino aveva sulle mani
allorché fu colto con la morta,
quella misera morta che egli amava
e ammazzò nel suo letto.
Camminava tra gli accusati
in un logoro e squallido vestito grigio,
aveva nella testa un berretto di cricket
e i suoi passi sembravano leggeri e felici;
ma io non scorsi uomo osservare
mai così fortemente la luce. (p. 200)

Passeggiavo con altre anime sofferenti
in un altro cerchio pensando
se la imputazione di quell’uomo fosse
pesante o debole quando mi mormorò dietro
una voce “colui sarà impiccato”. (p. 201)

Sol seppi quale incitata idea gli velocizzasse
il passo e perché mai egli osservasse lo splendore
del giorno con così profonda pupilla:
quell’uomo aveva ammazzato ciò che amava
e quindi doveva morire.
Eppure ognuno ammazza ciò che ama,
lo capiscono tutti; lo compiono tutti;
lo fanno alcuni con il torvo sguardo ed altri
con parole carezzevoli, il vigliacco con un bacio,
il coraggioso con la spada!

Alcuni ammazzano il loro amore quando sono
giovani, altri quando sono anziani; alcuni strozzano
con le mani della Sensualità, altri con le mani
dell’Oro, i migliori utilizzano una lama perché
così i morti più presto diventano freddi.

Troppo poco si ama o troppo a lungo; c’è
chi vende l’amore e chi lo acquista, chi
ammazza gemendo e chi senza un sospiro;
perché ogni uomo ammazza ciò che ama,
ma non per questo ogni uomo muore.

Non muore di una morte terribile
in un giorno di buia ignominia,
non ha un nodo scorsoio intorno
al collo ed uno straccio sul viso,
né dritto immerge attraverso l’assito
in uno spazio vuoto.

Non siede vegliato giorno e notte
da uomini silenziosi,
che lo spiano quando cerca di piangere
e quando cerca di implorare, che
tolga alla prigione la sua vittima. (pp. 201-202)

II

Per sei settimane il nostro soldato camminò
nel cortile, con il suo logoro e squallido vestito grigio.
Aveva in testa il berretto da cricket e i suoi passi
sembravano leggeri e felici; ma io non scorsi uomo
osservare mai così profondamente la luce. […]
solamente osservava in alto il sole e
beveva l’aria del mattino.
Non stringeva le mani, non gemeva
né si agitava o si affliggeva;
beveva l’aria quasi avesse un beneficio
rimedio; beveva a bocca aperta il sole
come se fosse vino!
Ed io e tutte quelle anime in sofferenza
nell’altro cerchio camminanti scordammo
se la nostra imputazione fosse pesante
o leggera; con sbiadita meraviglia osservavamo
l’uomo che doveva pendere dalla forca. (pp. 204-205)

Soave è ballare alla musica dei violini
quando l’amore e la vita sorridono, ballare
al suono dei flauti, a suon di liuti è tenero
e originale; ma non è soave con svelto
piede danzare agitati in aria!
Così con occhi avidi e ipotesi ansiose
di giorno in giorno guardandolo,
ci domandavamo se ciascuno di noi
non giungerebbe allo stesso modo;
poiché nessuno può sostenere fino
a qual rosso inferno possa perdersi
la sua buia anima.
Infine, il morto non camminò
più in mezzo ai colpevoli ed io seppi
che adesso era là dritto nel nero
bianco dei colpevoli, e che mai più
avrei contemplato il suo volto
in questo soave mondo del Signore[…]. (pp. 205-206)

[…]
che lo spiavano affinché non togliesse
al patibolo loro la sua vittima. (p. 207)

Ma non c’è riposo per uomini che devono
piangere e che in passato non piansero mai;
e così noi – i pazzi, gli ingannatori, i ladri
facemmo quella veglia infinita; e in ogni
mente, su mani sofferenti, strisciando la
paura d’un altro si insinuava.
Ahimé, è terribile percepire la colpa di un altro!
Nell’anima la spada del Vizio ci entrava
fino all’elsa avvelenata, e come stille
di piombo erano le lacrime che facevamo
scendere per il sangue non versata da noi. (pp. 209-210)
Tutta la notte stemmo piegati in preghiera,
spazi che piangevano un cadavere!
Le inquiete piume della mezzanotte erano
pennacchi sopra un carro funebre, e amaro
vino dato su una spugna era il gusto del
Pentimento. (p. 210)

Eravamo come gente che in un acquitrino
di tenebra sporca trentenni; e non avemmo
il coraggio di elevare una preghiera o
di manifestare l’ansia, qualcosa era morto in ciascuno di noi,
e ciò che era morto era la Speranza..
la cattiva equità dell’uomo segue il suo andamento e
mai non cambia corso;
sconfigge il fragile, sconfigge il potente
con tallone di ferro opprime il forte
l’orribile parricida! (p. 213)

Nello specchio di un sogno,
scorgemmo la corda di canapa oleosa attaccata
alla trave nera e sentimmo la preghiera
che il laccio del boia in un grido strozzò.
Tutta la sofferenza che lo straziò
fino a estirpargli un amaro urlo e i
tremendi pentimenti, i sudori di sangue, nessuno
come me li poté comprendere; poiché colui
che vive più di una vita, più di una morte deve
morire. (p. 214)

IV p. 214

V
Io non so se le leggi siano eque o se le
leggi siano inique, tutto ciò che sappiamo qui
in carcere, è che le mura sono potenti e che ogni
giorno è uguale ad un anno, un anno in cui
i giorni sono lunghi.
[…]
Anche questo io so – e sarebbe bene se tutti
lo potessero sapere – che ogni carcere edificato
dagli uomini con mattoni di ignominia, è
edificato e dotato di sbarre affinché Cristo
non scorga come gli uomini sfregiano i loro
fratelli.
Con sbarre ottenebrano la deliziosa luna e
offuscano il buon sole; e fanno male a celare
il loro inferno, perché capitano cose che né
il Figlio di Dio né il Figlio dell’uomo dovrebbero
mai scorgere.
Le più vigliacche azioni come erbe velenose
sono rigogliose nell’aria del carcere;
solo quanto di buono c’è nell’uomo si rovina
e si immalinconisce;
la sbiadita Ansia si trova al rave portone
ed è sentinella dell’afflizione.
Ché fan soffrire la fame al bambino spaventato
fin che sempre geme, e umiliano il fragile,
colpiscono lo stupido,
scherniscono l’anziano dai capelli grigi,
e alcuni ammansiscono e tutti divengono
malvagi e nessuno può parlare.
Ogni prigione limitata nella quale stiamo
è una sporca e tetra latrina; l’alito puzzolente della Morte
vivente opprime ogni finestra e ogni inferriata;
e tutto tranne il desiderio si riduce in polvere
nella macchina dell’umanità. (pp. 219-220)

E mai si accosta voce umana
per sostenere una parola di bontà;
l’occhio che osserva attraverso la porta
è pesante e senza compassione;
e da tutti scordati andiamo
sempre più marcando nell’anima e nel corpo
guastati.
Così arrugginiamo la ferrea catena della
Vita, deteriorati e soli: alcuni maledicono,
altri piangono, altri non gemono; né le infinite leggi di Dio
sono
pietose e rompono il cuore di pietra. (p. 221)

L’uomo in rosso che analizza la Legge
gli diede tre settimane di vita,
tre brevi settimane per sanare l’anima dal
suo interno dissidio e per purificare da ogni
macchia di sangue la mano che aveva afferrato
il coltello.
E con stille di sangue egli pulì la mano,
la mano che aveva impugnato
la lama d’acciaio perché soltanto il sangue
può purificare il sangue, e soltanto le lacrime
guarire; e la rossa macchia che già fu
di Caino si trasformò nel niveo marchio di
Cristo. (p. 222)

VI
Nella prigione di Reading vicino alla città
c’è una fossa d’ignominia, e là risposa un
infelice rosicchiato da denti di fuoco; in
incendiante sudario è avvolto
e sul suo sepolcro non c’è nome.
Là, fin che Cristo evochi fuori i morti,
in silenzio lasciatelo riposare;
inutile consumare stupide lacrime
o emettere inutili sospiri;
quell’uomo aveva ammazzato ciò che amava
e quindi doveva morire.
Ed ogni uomo ammazza ciò che
ama, lo capiscono tutti; lo fanno alcuni
con torvo sguardo e altri con parole
amorevoli, il vigliacco con un bacio,
il coraggioso con la spada! (pp. 222-223)