MORENO MARCHI – CON IL SANGUE E CON L’INCHIOSTRO. SCRITTORI COLLABORAZIONISTI NELLA FRANCIA OCCUPATA


MORENO MARCHI – CON IL SANGUE E CON L’INCHIOSTRO. SCRITTORI COLLABORAZIONISTI NELLA FRANCIA OCCUPATA
SETTIMO SIGILLO – I ED GIUGNO 1993

CAPITOLO I – COLLABOS! p. 7

È di Paul Leautaud la migliore sintesi concernente una Francia spezzata, nel suolo e nello spirito, inconciliabilmente divisa tra due opposte fazioni, la Francia del periodo bellico: quella filotedesca dei collaborazionisti, così numerosi all’inizio dell’occupazione nazional-socialista, e quella dei resistenti, così numerosi verso la fine del conflitto. (p. 7)

La Francia, e con essa l’Europa, l’intero Occidente, si dibatte tra le spire di una decadenza della quale proprio i collabos aspirano a farsi i più risoluti denunciatori. (pp. 8-9)

Esasperato consumismo, mercantilismo, folle rincorsa all’esclusivo utile, questa è la denunzia lanciata a un Occidente volto al suo tramonto, al suo estremo stadio di “civilizzazione” splengeriana, ove vige ormai la quasi paralizzante stagnazione di ogni propensione morale ed intellettuale. (p. 9)

Insomma, l’etica ha ceduto il passo all’estetica, la cultura ha cessato di pensare, l’ideologia è degenerata in partitocrazia, l’individuo in massa.
Assillati da quest’ansia, da questa disperazione, i collaborazionisti, soprattutto gli intellettuali […]credettero, sperarono di riscontrare nel “verbo” degli occupanti tedeschi l’unico possibile antidoto da opporre all’immane decadenza ed in grado di salvare l’uomo moderno dall’annichilimento minacciante la sua più intima, autentica essenza. […]
i collaborazionisti fautori del nuovo Etat sorto sulle ceneri della Terza Repubblica ed auspicanti l’avvento di una effettiva, radicale Revolution Nationale, rimangono – per i francesi di oggi- coloro che hanno voltato le spalle alla loro patria. I collaborazionisti vengono classificati come quegli uomini, politici, intellettuali, militari ed appartenenti a qualsiasi categoria, che alla iniziale disfatta delle potenze alleate decisero di schierarsi dalla parte della nemica, vittoriosa Germania nazional-socialista. Instaurando con essa un rapporto di concreta cooperazione e di piena adesione dottrinaria, fosse ciò dettato da reali convinzioni o pratici opportunismi. Comunque sia dei traditori tout court senza distinzione o scusante alcuna. (p. 10)

Caso piuttosto raro nella storia, fu infatti proprio la casta intellettuale, quella degli scrittori, giornalisti, studiosi ecc., ad essere indicata, e quindi messa sotto accusa, quale primaria responsabile, e capro espiatorio, del fenomeno. (p. 14)

Gli intellettuali, coloro cioè che al di là degli avvenimenti politici e militari, le convenienze civili ed economiche, contribuirono sia come singoli sia attraverso partiti, giornali e raggruppamenti, alla formulazione di quella concezione che vedeva nella cooperazione con la Germania nazional-socialista la sola, concreta possibilità di coronare finalmente il grande sogno-mito di un’Europa veramente unita e sottratta all’esiziale virus della decadenza. […]
Differenziandosi notevolmente dai settari, restrittivi nazionalismi allora in auge, gli intellettuali francesi collabos, a volte acuti, a volte ingenui, precorritori comunque di un’idea (e comunque essa potesse essere interpretata), riposero tutte le loro forze e speranze nel perseguimento di un continente liberato dai confini interni, nello slancio verso L’Europe contre les patries, un’Europa salda, possente, in grado di opporsi con efficacia e perentorietà alle due superpotenze nella cui inesorabile morsa stava languendo impotente e preda di un annichilente disfacimento delle sue precipue prerogative: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica dall’altra. (p. 15)

Tra questi collabos vi furono acclamati accademici, giovani speranze, autori di successo, giornalisti d’assalto, ingenui sognatori, tronfi ambizioni e vigorosi polemisti. (p. 16)

Una distinzione fondamentale, presa poco in considerazione, se non ignorata, alloga già addirittura alle radici medesime del fenomeno, in quel netto solco che separava i “vichiani” dai “parigini”. Da una parte i collaborazionisti della Francia libera, quella di Pétain, del governo di Vichy, i quali nei loto testi e giornali appoggiavano il ponderato temporeggiare dell’Etat, volto a creare una situazione di stallo che, in attesa di sviluppi politico-bellici futuri, garantisse al popolo una possibilità di sopravvivenza e di podestà territoriale, per quanto geograficamente ridotta. Dall’altra invece gli “ultras” di Parigi, della zona occupata, arditi, spregiudicati fautori di un’intesa totale con la Germania, tale da trasformare il rapporto tra i due paesi, di occupante-occupato, in una effettiva, legittima alleanza a tutti i livelli, a cominciare proprio da quello militare. (p. 17)

Un emisfero quindi tutt’altro che omogeneo e standardizzato, quello entro il quale si muoveva la collaborazione intellettuale. (p. 19)

Addirittura alla liberazione venne costituito appunto il C.N.E., Comitato Nazionale degli Scrittori, tra cui i principali, dichiarati compiti vi era quello di perseguire, senza sosta, i vituperati “confratelli” collabos.
Venne innanzitutto stilata una paradossale lista tramite cui additare i collaborazionisti da perseguire, addebitando loro tra le principali colpe proprio quella della delazione. […]
Comportamenti, quelli assunti dagli intellettuali vincenti, poco cristallini e non molto contraddistinti dall’etica, se si considera che nonostante tutto durante l’occupazione tedesca nessun impedimento venne posto affinché i lavori teatrali di un Sartre andassero in scena, per di più proprio a Parigi; o che i libri dei vari Aragon, Trioleti, Camus, dello stesso Sartre, venissero stampati e posti in vendita senza alcuna restrizione. Anzi proprio la coppia Aragon Triolet, così come Céline, come Rebatet, faceva addirittura parte della “scuderia” Denoel, l’editore posto sotto accusa per collaborazioni ed assassinato in circostanza “mai chiarite” mentre si accingeva a presentare ai giudici un dossier di difesa piuttosto particolareggiato… E quando le maglie della censura tedesca si fecero sentire, gli stessi scrittori collabos non ne rimasero immuni. (p. 20)

Mentre quindi l’odio, il disprezzo, la vendetta nei confronti dei politici, miliziani e specifiche categorie compromesse con i tedeschi […] si esaurì con le pene capitali, le prigionie, le epurazioni ed infine con l’inevitabile cancellazione, o quasi, del tempo: per gli intellettuali ciò non avvenne. […]
Assieme ai collaborazionisti, l’occasione era quanto mai propizia per far fuori, fisicamente e moralmente (e tutti i metodi furono buoni) dei fastidiosi, pericolosi concorrenti, o peggio ancora dei non dichiarati maestri. (p. 21)

CAPITOLO II – LOUIS-FERDINAND CÉLINE: BAGATELLE, CADAVERI E PASTICCI p. 25

Dicembre 1937: Bagatelles pour un massacre
Novembre 1938: L’ecole des cadavres
Febbraio 1941: Les Beaux Draps
Sono tre dardi che vanno ad infiammare un’atmosfera già di per sé surriscaldata, anticipando i primi due e cogliendo appieno il terzo molte di quelle problematiche specifiche del secondo conflitto mondiale. l’autore è Louis-Ferdinand Céline, colui che poco tempo prima, nel ‘32, era stato salutato all’unanimità come il grande avvenimento letterario, e non solo francese, con lo stupefacente Voyage au bout de la nuit. Ma i tre pamphlets che passeranno alla storia come “maledetti” […] esulano di netto le tipiche tematiche narrative del Voyage e del successivo Mort à credit, uscito quattro anni dopo. (p. 25)

[…]un’accusa specifica e circostanziata contro quelli che Céline reputa gli esiziali mali del quotidiano contingente. La trilogia sprizza infatti odio, risentimento, violenza, è uno sfrenato turbinare d’invettive, di accuse, al cui esasperata animosità viene regolarmente controbilanciata e mitigata da una costante ironia, sfociante di frequente in sarcastica derisione. (p. 26)

Insomma, i tre libelli mutarono a Céline le simpatie della sinistra in antipatie, segnando al contempo un graduale avvicinamento nei suoi confronti da parte delle destre. (p.27)

Non vi sono quindi fasi, le si vogliano chiamare esistenzialista, razzista o apocalittica, che delimitino o contraddistinguano la produzione di Céline; egli rimane sempre sé stesso, un indivisibile, perfetto unicum e non possono essere assolutamente perpetrati patteggi di sorta, nei confronti dei suoi scritti. […]
Comunque sia l’opera di repressione nei confronti dei tre libelli iniziò subito. (p. 28)

Preceduto di un anno da Mea Culpa, altro pamphlet, non considerato “maledetto”, in cui lo scrittore descrive le impressioni del suo viaggio in URSS […], Bagatelles pour un massacre segnò la definitiva abiura di Céline da parte delle sinistre. Ciò nonostante le destre – in quanto di destra come di sinistra al plurale bisogna parlare – pur “scoprendolo” rimasero su posizioni di dubbio e di scetticismo. (p. 30)

Automaticas l’equazione che vede Céline fascista e quindi collaborazionista. Già nel numero del 24 agosto ‘42 “Life” pubblica un servizio sulla Collaborazione, seguito da una lista recante i nomi di quei personaggi di spicco, politici, intellettuali ,industriali ecc., compromessi con i nazisti e tra questi appunto lo scrittore. Due mesi dopo circa, durante gli appelli dei gollisti alla B. B. C. egli è ufficialmente battezzato come “collabo”. (p. 36)

Furono soltanto ed unicamente lettere quelle che lo scrittore inviò, ed in abbondanza, alla stampa collaborazionista facendo eccezione per un solo articolo, Acte de foi, uscita su “La Gerbe” il 12 febbraio ‘41; lettere di risposta ad inchieste varie, di commento, sovente di protesta, su articoli lui concernenti o lettere in funzione di intervista. (p. 37)

In quanto ad apparizioni pubbliche è certa la presenza di Céline al meeting del Parti Populaire di Doriot e ad alcune riunioni della “Commission d’études judeo-maconniques”, dell’”Institut d’etude des question juives” o del “Cercle Europeen”; sebbene all’epoca si abbia modo di trovare citazioni tratte dai suoi libri (soprattutto dai pamphlets) spacciate come interviste. (p. 38)

È però interessante notare, sebbene appunto i tre pamphlets, e in special modo i secondi due, esulino la narrativa propriamente detta, come in ognuno sussista almeno un accenno improntato alla pura funzione poetica. Si tratta di “finestre” in cui, pur nel pieno vortice politico sociale accusatorio céliniano ed in lineare attinenza al contesto principale, il suo lirismo ha modo di emergere preponderatamente. (p. 39)

E proprio nel corso dei dibattimenti processuali si consumerà l’ultimo atto dei pamphlets, quali pesanti capi d’accusa contro il collabo. Essi verranno letti, discussi, citati, analizzati, esecrati… Per poi essere relegati, con il passare del tempo e il placarsi degli animi, in uno sprezzante odio, nel quale a tutt’oggi stagnano. Libri di cui in molti cominciano adesso a parlare, ma che in pochi hanno realmente avuto modo di leggere. (pp. 40-41)

CAPITOLO III – PIERRE DRIEU LA ROCHELLE: TRA SOGNO ED AZIONE p. 43

Un uomo spezzettato, sminuzzato, sovente con l’altrui concorso, in una miriade di frammenti, di schegge, sebbene in definitiva tutti ricomposti ed impastati assieme tramite una dolorosa miscela di sangue e d’inchiostro. (p. 43)

Drieu l’impenitente seduttore[…].
Drieu il grande romanziere, lo stimato, disprezzato maestro e riferimento di numerosi grandissimi romanzieri. Il sempre uguale, monotematico narratore di sé, attraverso una disparata, intersecabile serie di cornici recanti tutte lo stesso, identico autoritratto. (p. 44)

E poi Drieu il politico, che fiducioso, ma quanto?, prende le misure della Francia, che pone, ponendosi, l’interrogativo tra Ginevra o Mosca, che si schiera dalla parte dell’Europa contro le patrie. Che si riconosce senza alcuna inibente remora nei ranghi della tanto disprezzata borghesia sognatrice, quella piccola, indifesa borghesia inesorabilmente compromessa dall’alto come dal basso, al cui dignità non sembra avere diritto all’esistenza. […]
E infine il Drieu collaborazionista, colui che già dal suo primo libro, dalle poesie di Interrogation, scritte e pubblicate durante la Grande Guerra, si rivolge al nemico tedesco rendendo omaggio alla sua fierezza di combattente. Per riscontrarne poi la logica conseguenza del tedesco occupante del secondo conflitto, non però quale fautore di conquiste germaniche, bensì unificatore di una nuova, autonoma Europa. […]
Collaborazionista dunque per il riscatto del proprio continente, per il suo grande risveglio, per la sua saldezza federativa, sia pure sotto l’egemonia tedesca. (p. 45)

Il 12 ottobre 1940 in un’intervista apparsa su “Le Figaro”, Drieu La Rochelle annuncia la prossima ricomparsa della “Nouvelle Revue Francaise” sotto la sua direzione. È questo l’inizio del suo pubblico percorso collaborazionista.[…]
La vicenda collaborazionista di Drieu proseguirà tramite le occasionali, o periodiche, collaborazioni all’intero panorama in pratica della pubblicistica collabo[…] (p. 47)

Vi sarà poi il viaggio del 16 ottobre 1941 in Germania, per un congresso all’insegna del nazional-socialismo[…].
[…] Il 7 novembre dell’anno successivo tornerà stavolta più per sfida che per convincimento, nel “Parti Populaire Francaise” di Doriot; “Aderisco al P.P.F. per rimarcare la mia fede nel fascismo in generale e non in Doriot”. Insomma, un’attività, un itinerario rientrante nel classico canone della piena adesione al verbo dell’occupante, quel che ritroveremo nel “dossier” Drieu La Rochelle, al pari di tanti altri collabos dell’analoga elezione.
Al di là della vicenda storica in sé, la Collaborazione rappresenterà dunque per Drieu l’estrema sintesi del suo essere individuale e sociale, politico ed intellettuale. Una sintesi entro la quale risolvere infine e decisamente quella netta, fatidica spaccatura sogno-azione insita nella sua intima natura. […]
[…] la scelta di Drieu si determina in sostanza nel suo endemico “male” di decadenza, che con crescente rammarico va riscontrando ormai dovunque, in qualsiasi realtà e manifestazione dell’intorno, nel suo paese, nel suo continente, nel suo medesimo modo d’essere. Egli è infatti costituzionalmente pigro […], conduce una vita solitaria, dalla quale evade soltanto per la frequentazione, sovente forzata, dei salotti e per le alcove, lussuose o postribolari che siano; non ha figli, beve, fuma e non pratica sport. La sua disperazione, la sua denunzia, espresse sia tramite i saggi sia i romanzi, concernono quindi in fondamentale istanza questo malefico, mefitico stato di fiacchezza e di involuzione, che tutto ingloba e tutto ammorba.
Ecco dunque che nella risoluta, vigorosa ideologia fascista, e meglio ancora nazional-socialista, lo scrittore intravvede l’unica possibilità di riscatto, personale e collettivo. “Sono diventato fascista perché ho misurato i progressi della decadenza. Ho visto nel fascismo il solo mezzo per frenare ed arrestare questa decadenza”. (pp. 48-49)

Tra tutti gli intellettuali collabos egli è senz’altro il solo vero ideologo; a parte qualche inevitabile ingenuità, compensata peraltro, e con larghezza, da una visione degli accadimenti in costante, abbondante anticipo sui tempi storici.[…]
Con fredda lucidità, ma al contempo con tragica rassegnazione, lo scrittore ha constatato la piatta riduttività egualitaria insita nella proposta del modello comunista da una parte e l’analoga massificazione consumistica proposta dal modello capitalista dall’altra. In alternativa a questi due poli, geograficamente riconducibili ai due super imperialismi dominanti: il vuoto, l’inefficacia, l’impotenza dio un continente impoverito e dilaniato da astorici, folli nazionalismi. (p. 49)

Vichy non è che una finzione, tenuta in piedi dai tedeschi, ma priva di un autentico fondamento, priva di convinzione, di reciproca passione. […]
Anche la Germania però ha per Drieu le sue colpe. Seppure dedita all’azione totale, essa tradì il grande sogno: satura e tronfia di nazionalismo volle essere potenza imperialista, meramente conquistatrice, senza peritarsi di mutarsi in Europa, di assolvere quel vasto, essenziale compito da tanti atteso. (p. 51)

L’agognata Europe contre les patries auspicata da Drieu nel lontano 1931, si capovolse quindi nella miseria, squallida realtà degli esasperati nazionalismi, cannibali del proprio continente. E inesorabile sopravvenne il crollo. (p. 52)

CAPITOLO IV – JEAN LUCHAIRE: LA FRANCIA DEI TEMPI NUOVI p. 55

Personaggio ambiguo, controverso, esecrato, ne non addirittura odiato dal suo stesso ambiente, Jean Luchaire può essere forse considerato il collabo più maudit della nostra storia francese durante l’occupazione tedesca. […]
Privo di una precipua caratteristica politica, non può infatti vantare l’estremismo rivoluzionario di Lucien Rebatet, il misticismo, sovente ingenuo, di Alphone de Chauteaubriant, o il velenoso ghigno di Louis-Ferdinand Céline, Luchaire è probabilmente tra tutti i collaborazionisti il personaggio più scomodo, più indicibile; qualsiasi sia la prospettiva o la fazione tramite cui lo si voglia affrontare. (p. 55)

Il primo numero di “Les Nouveaux Temps”, quotidiano della sera, esce il I novembre 1940. (p. 58)
[…]fu tra le sole quattro pubblicazioni ad essere autorizzate dalle autorità tedesche a circolare nei campi dei prigionieri[…]. (p. 59)

Sempre agli inizi del 1941, Luchaire pubblica il suo libro più noto, Les Anglais et nous, un testo nel quale denunzierà con fermezza le sotterranee interferenze che, malgrado tutto, l’Inghilterra continuerà a mantenere in qualche modo con Vichy, distaccandosi così decisamente dall’ambigua politica attendista perpetrata lungo i corridoi dell’Hotel Du Parc e schierandosi in modo aperto ed inequivocabile con i collaborazionisti di Parigi, da sempre critici nei confronti se non di Pétain dirattamente – la cui immagine risultava utile per tutte le fazioni – verso i suoi uomini più vicini. […]
Luchaire si allinea ai parigini nel sogno di una Rivoluzione Nazionale che prendendo esempio da quelle italiana e tedesca, sebbene con tutti i doverosi distinguo nazionalistici, porti la Francia al di fuori del marasma e dell’inefficienza governamentale per cui Vichy sembra la paradossale continuazione del famigerato Front Populaire, preda di stornanti tergiversazioni e sospette compromissioni. (p. 62)
Nel frattempo Luchaire è entrato a far paret del comitato d’onore della legione antibolscevica e nei quadri del “Conseil National des Ecrivains”. Meno onorevolmente Radio Londra includendolo nella nefasta lista dei collaborazionisti cui chiedere quanto prima il castigo, lo ribattezza con spregio “Louche Herr” (Louche in francese significa losco).[…]
A Sigmaringen confluiscono dunque quasi tutti i sostenitori della reverie collaborazionista, dai politici agli intellettuali, dai legionari ai miliziani, con relative famiglie al seguito. (p. 63)

A Luchaire vengono messi a disposizione i necessari mezzi onde poter svolgere il suo compito; il 26 ottobre inizia infatti le pubblicazioni il giornale “La France”, “l’offensive allemande etonnera le monde entier”, e prendono il via le trasmissioni di “Ici la France”; illustre speaker culturale della radio è l’attore Robert Le Vigan, rocambolesco compagno di viaggio di Céline. (p. 65)

Presso il numero 3 della Karlstrasse, il “non” ministro Jean Luchaire installa il suo Ministero dell’Informazione e della Propaganda, a cui fanno capo il giornale e la radio; nel medesimo edificio alloga anche lo stato maggiore della Milizia di Darnand. Il personale al seguito di Luchaire proviene quasi per intero dalla redazione di “Les Nuveaux Temps” e dalla sue varie diramazioni, editoriali e non. (p. 66)

[…]la mattina del 22 febbraio 1946[…] Jean Luchaire viene svegliato di buon’ora, come di consueto cura scrupolosamente la sua toilette e, seguitando a fumare una sigaretta dietro l’altra, si avvia verso la morte. (p. 71)

CAPITOLO V – ALPHONSE DE CHATEAUBRIANT: L’UOMO COSMICO p. 73

[…] nel 1937 appare, sempre edito da Grasset, il libro che segnerà profondamente il percorso artistico, politico ed umano di Chateubriant: La Gerbe des Forces.
Questo testo del già affermato,l stimato scrittore, che all’epoca aveva sessant’anni, fu il frutto, il rendiconto di due viaggi compiuti, tra la primavera del 1935 e l’anno successivo, nella Germania nazional-socialista. Scopo dell’escursione oltre il Reno, ben presto tramutatasi in vero e proprio pellegrinaggio, era per Chateaubriant quello di poter conoscere e studiare direttamente il nuovo verbo hitleriano, per cercare d’individuarvi i necessari antidoti alla immane decadenza, a cominciare proprio da quella spirituale, in cui l’Europa era per lui rovinosamente sprofondata. (pp. 73-74)

Nonostante il distacco, la sincera obiettività prefissata e perseguita dall’autore, il libro, come gli sfuggisse di mano, diviene un’ardente apologia del nazional-socialismo e del suo venerato capo. (p. 74)

Classico “gentiluomo di campagna” […], indifferente a qualsiasi diretto impegno d’ordine politico, o soltanto ideologico, e totalmente proteso invece verso gli aspetti più spirituali, religiosi dell’esistenza, Alphonse de Chateaubriant intensificherà sempre con rinnovato vigore la sua attenzione ed infatuazione nei confronti del nazional-socialismo[…]. Ardore, presto trasformatosi in adesione incondizionata, che lo spingerà, alle prime fasi della guerra e con i tedeschi già a Parigi, a fondare “La Gerbe”[…], che si contraddistinguerà come uno dei maggiori e più impegnati organi stampa della Collaborazione. (p. 75)

Durante il periodo dell’occupazione Alphonse de Chateubriant intensifica costantemente la sua attività ed il suo impegno al fianco dei tedeschi per una nuova Europa. Assume la presidenza morale del gruppo Collaboration, “Raggruppamento delle energie francesi per l’unità continentale”, e diviene membro del Comitato Centrale della L.V.F., Legione Volontari Francesi. […]
Ritroveremo inoltre il fondatore e direttore de “La Gerbe” tra i firmatari della famosa “Dichiarazione comune sulla situazione politica” del 9 luglio 1942, la quale condanna in modo deciso la politica attendista attuata dal governo di Vichy, reclamando viceversa l’impegno ufficiale della Francia a fianco della Germania e chiedendo delle “sanzioni severe”[…].
Trasferitosi infine anch’egli a Sigmaringen durante le ultime drammatiche fasi del conflitto, alla sconfitta Chateaubriant si rifugerà nel Tirolo austriaco, a Kitbuhe, e lì morirà nel 1951 senza aver fatto ritorno nella sua patria; dove nei suoi confronti era stata emessa una condanna alla pena capitale. (p. 78)
Sebbene successivamente dipinto in modo non molto generoso dai suoi stessi compagni di cordata […]Alphone de Chateuabriant mantenne comunque sempre e con estrema coerenza le sue concezioni[…]. (pp. 78-79)

Il nefasto oppositore di questo uomo cosmico lo scrittore lo individua nel massiccio avvento delle democrazie, dominatrici delle moderne società, in cui qualsiasi originalità e slancio individualista viene inesorabilmente affossato nella massa, nel numero e, soprattutto, nell’utile; le medesime singole nazioni non rimangono indenni da tali livellamenti. (p. 79)

CAPITOLO VI – MAURICE SACHS: LA TEATRALITÀ DI UN’EPOCA p. 81

Comunque sia, in qualità di agente per i tedeschi sembra esser stata abbastanza vasta la sua opera di denunzia, o anche solo di delazione, nei confronti di elementi e gruppi dissenzienti, antinazisti o presunti tali. Ben numerose saranno infatti le persone che per sua causa verranno arrestate; non escluse anche alcune a lui piuttosto vicine. […]
il 14 novembre 1943 Sachs viene a sua volta arrestato ed imprigionato in una miseria cella di tre metri per tre, dove praticamente rimarrà rinchiuso fino alla morte. (p. 96)

CAPITOLO VII – ROBERT BRASILLACH: IL POETA DELLA COLLABORAZIONE p. 99

Il 6 febbraio 1945 alle ore 09,38 nel carcere di Mont-Rouge Robert Brasillach incita il plotone di esecuzione con un “conteggio”, quindi urla “Viva la Francia!”, contemporaneamente una scarica di pallottole si abbatte su di lui. (p. 99)

Brasillach non rimase comunque indifferente ed estraneo allo spirito nuovo del proprio tempo e dopo una iniziale fase nazionalistica, concretata fattivamente nella sua collaborazione appunto con “L’Action Francaise”, riscontrò nel grande avvento delle idee fasciste l’esatta espressione del quotidiano in atto[…]. (p. 100)

Non fu infatti, tanto per rifarci ai suoi referenti più prossimi, un convinto reazionario come Alphone de Chateubriant, né un dissacratore totale come Louis-Ferdinand Céline; tantomeno fu un ostinato assertore di quell’irriducibile determinazione oltranzista tipica di un Lucien Rebatet, o di quella profonda, percorritrice riflessione europeista riscontrabile in un Pierre Drieu La Rochelle. […]
Consegnatosi ai vincitori il 14 settembre 1944, Robert Brasillach venne processato il 19 gennaio successivo. (p. 101)

CAPITOLO VIII – “JE SUIS PARTOUT”: UN GIORNALE, UN’EQUIPE p. 105

“Je Suis Partout” divenne così l’egida, l’inconfondibile espressione, sociale più ancora che politica, del dissenso e della dura opposizione nei confronti di una Francia sempre più smarrita tra incertezze, debolezze e lassismi.
Nato come osservatorio politico internazionale, “Grand hebdomadaire de la vie mondiale”, recitava il sottotitolo, il giornale accentrò a mano a mano la propria attenzione sugli avvenimenti interni, facendosi aspro accusatore e fustigatore di quelle cause che avevano portato il popolo francese e quindi la nazione ad un degrado storico dalle immani proporzioni, dove vizi, corruzione, cinismo, insofferenza, pigrizia e via di seguito avevano trovato il terreno più fertile per la loro espansione. (p. 106)
[…] la via scelta dal settimanale alla disfatta dell’esercito francese non poteva essere che quella della collaborazione con la Germania nazional-socialista. Non una collaborazione incerta, blanda ed ambigua, come quella del governo di Vichy, bensì decisa, deteminata, fiduciosa della salvezza non solo della Francia, ma dell’intera Europa, di fronte al tragico Tramonto dell’Occidente. (pp. 106-107)

Il primo numero di “Je suis partout” uscì il 29 novembre 1930 […].
Per un paio di anni la linea del settimanale è quella di una destra piuttosto blanda e dagli indirizzi confusi[…]
Nel novembre 1931 fa l’esordio tra i collaboratori Robert Brasillach[…]. (p. 107)

Continui sono intanto gli attacchi, sempre più violenti e sprezzanti, contro il “Front Populaire”, di cui vengono rimarcate le insufficienze, le contraddizioni e l’incapacità gestionale del potere, esercitato soltanto tramite inganni, scandali ed abusi d’ogni sorta. Attacchi questi che sfoceranno nel numero speciale del 24 settembre 1937[…] (p. 110)
Sarà proprio Rebatet a delineare l’aspetto più xenofobo e razzista del giornale; è sua infatti la cura del numero speciale del 15 aprile 1938 dedicato alla questione ebraica nel mondo, ristampato per ben tre volte in un mese, seguito poi da un altro sugli ebrei in Francia, il 17 febbraio successivo.
I toni del settimanale sono ormai apertamente trasgressivi, aggressivi, polemici, sovente sfociano nella vera e propria bagarre, le denunzie e le querele al suo indirizzo si moltiplicano. […]
Intanto il I settembre i tedeschi entrano in Polonia ed il medesimo giorno “Je suis partout” esce con il titolo Vive la France! A bas la guerre!. (p. 113)
Comunque sia gli avvenimenti storici, dopo le recenti strizzate d’occhio, riportano il settimanale in una posizione di diffidenza, se non di autentico monito, verso la Germania egemonizzante. […]
Il 7 giugno successivo apparirà l’ultimo numero di “Je suis partout” ante occupazione[…]. (p. 114)
Il 14 giugno i tedeschi entrano a Parigi. […]
Da notare in proposito come sempre Brasillach abbia mantenuto nei confronti degli scrittori collabos assieme a lui più famosi, Drieu e Céline, un atteggiamento di critico e sovente ingeneroso, salvo tardivi ripensamenti. (p. 115)
In agosto Brasillach si oppone a Cousteau in merito alla sempre più decisa linea antisemita da questi adottata, inoltre rimprovera al settimanale un eccesso di trionfalismo sulle future sorti del conflitto e reclama quindi una maggiore moderazione sia negli enunciati politici sia, soprattutto, nella fiducia di un successo finale della Germania. […]
Il rifiuto che gli viene opposto dall’intera redazione è netto ed inequivocabile, di conseguenza egli lascia “Je suis partout”, seguito soltanto dai fidi Poulain e Blond[…]. Lo stesso Cousteau subentra come nuovo redattore capo. Direttore, ma a titolo onorifico, rimane a Lesca.[…]
rimane il fatto che la sua sconfitta lascia infine campo libero agli intransigenti, ai duri[…].
Editoriali e proclami si susseguono infatti con inaudita violenza, poche sono le personalità e le frange politiche ed essere risparmiate, i medesimi fascisti moderati vengono additati ed attaccati. Le posizioni filotedesche si fanno sempre più risolute ed entusiaste. L’Europa, per la sua salvezza dall’incombente, esiziale decadenza, dovrà federarsi e porsi sotto la virile guida della Germania[…]. (p. 117)
L’atteggiamento di “Je suis partout”, così come di numerose fazioni ed individualità, nei confronti del governo di Vichy fu sempre improntato ad una severa critica[…].
La stessa collaborazione con la Germania veniva giudicata debole, passiva, priva di vigore e di slanci[…]. (p. 118)
Alcuni redattori del giornale entrano addirittura a far parte della stessa Milizia, partecipando anche a delle azioni, tra questi Maubourguet e, in specie, l’irriducibile Cousteau. Ma il crollo è ormai in atto; la fine è prossima.
Il 14 settembre Robert Brasillach si costituisce alle autorità golliste, il successivo 6 febbraio 1945 verrà fucilato presso il forte di Montrouge. Nella notte tra il 15 e il 16 marzo Pierre Drieu La Rochelle si toglierà la vita. Lucien Rebatet, Alain Laubreaux, Pierre-Antoine Cousteau, Charles Lesca si ritrovano, invece, insieme a Louis-Ferdinand Céline, Abel Bonnard, Jean Luchaire ed altri collabos, governo di Vichy compreso, presso la colonia di rifugiati francesi a Sigmaringen, in una Germania messa a ferro e fuoco, immersa in una drammatica atmosfera da crepuscolo degli dei. A Sigmaringen vi sono anche Marcel Deat e Jacques Doriot[…]. (p. 119)

CAPITOLO IX – DICEMBRE 1940: TORNA LA N.R.F. p. 121

Dopo cinque mesi d’interruzione, dovuti agli eventi bellici, il mensile letterario più prestigioso della Francia, fondato nel 1909 dall’editore Gaston Gallimard e vantante tra i suoi collaboratori l’élite della grande cultura, riprende finalmente le pubblicazioni. Ne dà l’annuncio il suo nuovo direttore Pierre Drieu La Rochelle in un’intervista comparsa su “Le Figaro” del 12 ottobre 1940[…]. (p. 121)
L’idea nasce dall’instancabile Otto Abetz, ambasciatore ed alto commissario nella Francia occupata, nonché sincero ammiratore ed estimatore della cultura francese si dagli anni precedenti la guerra.[…]
Abetz si era incontrato con Drieu il 15 agosto del 1940 onde discutere il progetto. (p. 122)
Ecco quindi il 7 dicembre 1940, con data I dicembre, uscire il primo esemplare della risorta “Nouvelle Revue Francaise”. […]
Il ritorno in libreria della rivista, divenuta ormai nel tempo un simbolo della cultura francese, venne giudicato e commentato nei più controversi modi. (p. 123)

Ancora comunque pochi mesi e “la fine di tutto” giungerà con l’esemplare di giugno, l’ultimo della N.R.F. collaborazionista. La rivista, con un ulteriore “Nouvelle” davanti al titolo, riprenderà le pubblicazioni subito a fine conflitto, di nuovo sotto la direzione di Jean Paulhan; continuando a uscire a tutt’oggi. (p. 129)

CAPITOLO X – SIGMARINGEN: IL CREPUSCOLO DEGLI DEI p. 131

Sigmaringen, cittadina della Bassa Baviera, non molto distante da Strasburgo, rappresentava l’estremo, fallace baluardo, l’ultima disperata spiaggia di quanto rimaneva del governo francese di Vichy, lì fatto spostare dalle autorità tedesche di fronte al frenetico, vittorioso incalzare dalle autorità tedesche di fronte al frenetico, vittorioso incalzare delle truppe alleate. Si venne dunque a formare una vera e propria colonia francese, insediata nel cuore di una Germania in fiamme, ridotta da un rovinoso cumulo di macerie, al cui spaurito vertice si ergeva un novero di personalità che gli avvenimenti avversi avevano brutalmente sbalzato a terra dalle loro roccaforti. (p. 131)
In simile bailamme umano erano così confluiti assieme al Maresciallo Pétain i suoi ministri ed i politi pi+ impegnati, i più stretti collaboratori della Parigi occupata[…].
Assieme a loro vi sono scrittori, giornalisti, intellettuali che a vari livelli avevano scelto la via della collaborazione: Céline, Bonnard, Rebatet, Luchaire, Chateaubriant. Ma non mancano gli attori, come La Vigue, o addirittura i sinistri personaggi, Filliol-Restif in testa. Ed ancora ci sono i lavoratori, più o meno volontari, i miliziani, le SS francesi, i germanofili convinti, i collabos per fede, quelli per convenienza; insomma l’insieme di tutti i “compromessi” in qualche modo e di disparata natura con i tedeschi occupanti. A questi, come di regola, si accompagna un esercito di delatori, usurai, prostitute e gente avvezza ai mille espedienti; quel triste, classico seguito di profittatori, sciacalli e avvoltoi da cui ogni sconfitto si trova immancabilmente attorniato e con le cui grinfie ancora attaccate alle carni va infine incontro al risolutivo colpo di grazia. (p. 132)
È la resa dei conti: l’atto conclusivo. Ma assieme a tanti ciarlatani, ambiziosi, profittatori, compromessisi in seguito alle più ignobili macchinazioni, oppure soltanto per miseri, squallidi tornaconto, vi sono anche uomini che hanno realmente creduto, lottato, che hanno sinceramente sperato e che nonostante la delusione, l’inevitabilità del disastro, con altrettanta dignità, forza ed abnegazione sono rimasti coerenti con le proprie idee, le proprie convinzioni, i propri modi di essere. […]
Questi uomini sono soprattutto gli intellettuali, ben più dei politici, i tanto disprezzati collabos che, all’ora dell’entrata delle truppe conquistatrici tedesche a Parigi, sospinti dalle più disparate motivazioni, avevano aderito all’ideologia del vincitore. […]
Chi riponendo nell’autoritarismo tedesco il giusto antidoto contro i veleni sociali e politici che stavano con gradualità uccidendo una Francia sempre più alcolizzata, giudeizzata, degenerata, come Louis-Ferdinand Céline. […]
Tra questi uomini della collaborazione vi è anche Lucien Rebatet.[…]
Céline e Rebatet invece cercheranno un impossibile rifugio a Sigmaringen. (p. 134)
In una simile contingenza storico-ideologica, Rebatet si distinse tra i più convinti assertori e facinorosi propagandisti. (p. 135)

APPENDICE p. 139

CÉLINE. L’URLO DI UN PROSCRITTO p. 139

CÉLINE. L’IRA IMPOLITICA DI FERDINAND p. 145

DRIEU LA ROCHELLE. ALLA RICERCA DELLA NUOVA EUROPA p. 153

CHATEUBRIANT. L’ALBA DELL’UOMO COSMICO p. 159

BRASILLACH. IL RINGRAZIAMENTO DEL POETA p. 163

REBATET. DA UN CÉLINE ALL’ALTRO p. 165

ANDREU. IL PRIMO DELLA LISTA p. 173

COMBELLE. UN COLLABORAZIONISTA ALLA SBARRA p. 177

BIBLIOGRAFIA p. 183

POSTFAZIONE p. 193

moreno marchi, con il sangue e con l’inchiostro, scrittori collaborazionisti nella francia occupata, pierre drieu la rochelle, mauriche sachs, robert brasillach, lucien rebatet, alphonse de chateaubriant, pierre adreu,lucien combelle, alessandro campi,jean luchaire,maurice sachs,