MICHELE RAGO – CÉLINE

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Uno dei migliori studi su Céline, non fosse altro che per l’anno in cui è stato pubblicato, è senza ombra di dubbio quello di Michele Rago, Céline, pubblicato nella serie «Il Castoro» de «La Nuova Italia» nel 1973.
Nel libro Rago traccia un profilo biografico dell’autore partendo dalle sue opere. L’analisi critica dei testi (e dei testi dei critici apparsi fino a quel momento) va infatti di pari passo con le vicende biografiche del grande scrittore francese.
Ribadiamo, a nostro avviso è un testo eccelso che andrebbe ristampato. Sconsigliato ai destrorsi e neofascisti irriducibili-assoluzionisti.
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 CITAZIONI DA UN’INTERVISTA DEL MARZO 1959
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1
Nel Voyage l’anarchico Bardamu si ritrova in guerra, arruolato volontario…
Ciò che appare in superficie, in quel romanzo, è il risentimento, la ribellione estrema e rabbiosa, l’anarchica ostilità contro tutti gli ideali collettivi che, per il momento, si chiamano patriottismo, colonialismo, industrialismo, progressismo borghese. Più profondamente la ribellione e la condanna investono l’uomo stesso. Privo di illusioni, il narratore descrive con violenta ironia le molteplici « verità » dell’individuo umano, i salti fra le buone intenzioni e le viltà di fondo. (P.5)
2
Le prime cento pagine del Voyage, quasi un’opera a parte, svelano con sincerità l’orrore della guerra e la meschinità umana. La nausea prende il sopravvento…
I modi in cui Celine ritrova nel libro le realtà della prima guerra mondiale sul fronte e nelle retrovie, formano quasi un’opera a sé o, quanto meno, una singolare ouverture composita, fra la parodia allucinante e divertita, la deformazione grottesca e il senso angoscioso della tragedia. Per alcuni critici il narratore non ha più ritrovato il ritmo rapido e il tratto incisivo di quelle cento pagine iniziali della sua opera. (p. 8)
3

 

La “formazione” di Bardamu passa anche per la repulsione per il mondo borghese che se la spassa mentre giovani vite vengono spezzate al fronte; in amori per vacue donne borghesi (Lola, Musyne); nella miseria a lui riservata dall’amara vita. E con lui c’è anche un altro derelitto, il meschino Robinson…

 

Nel romanzo di Celine il tema programmatico è esplicito, cosi come sono indicate addirittura le strade che il nuovo Ulisse vuol percorrere: conoscere la società, verificare le opinioni collettive, accertare, sulla realtà dell’uomo, le verità e le menzogne della « grande galera ». Non a caso il personaggio si presenta egli stesso nella costrizione dinamica dello sdoppiamento nell’atto di compiere un salto ideologico pericoloso. Il tema della formazione è il più diffuso nel romanzo del Novecento. […] Fra tutti, il Voyage si fa notare per la singolarità del personaggio e del suo itinerario. Qui non si tratta di un intellettuale o, per lo meno, Bardamu non va a caccia di idee per verificare altre idee. La sua smania di sperimentare, di conoscere, di fare l’Ulisse non s’è dichiarata sul ponte o nei pressi del ponte, ma nella stiva della nave. (P.11)
[…] L’unico rapporto è quella lava di parole di odio popolare ch’egli rovescia addosso al borghese e alle sue donne rosate e profumate anche quando gli è permesso di avvicinarle e accarezzarle. (p.12)
4
Dagli orrori della guerra a quelli del colonialismo. Poi dall’Africa all’America dove conosce lo sfruttamento del capitalismo borghese. A Detroit allaccia una relazione con la materna prostituta Molly (personaggio femminile lei si, positivo, a differenza delle donne borghesi). Potrebbe viver bene alle sue spalle ma decide di ripartire. Completati gli studi di medicina, apre uno studio a Rancy, periferia parigina dove però nessuno lo paga e lo stima. Da lì iniziano una serie di oniriche e deliranti avventure: Gli Henrouille tentano di fargli rinchiudere la vecchia Henrouille in un ospizio; il nipote della portinaia, Bébert, muore senza che lui possa far nulla per salvarlo; Robinson resta ferito dallo scoppio di un ordigno con il quale avrebbe dovuto assassinare la vecchia Henrouille. Proprio con la vecchia va a gestire una grotta con mummie a Tolosa, fidanzandosi con Madelon, bella e giovane ragazza. Ferdinand va a trovare l’amico, si invaghisce di Madelon e fugge quando la vecchia viene ritrovata morta. Ma Robinson, dopo aver lasciato Madelon, lo rintraccia a Parigi, facendosi assumere nella clinica che gestisce. Madelon lo ucciderà in un taxi…
Dalla guerra il « viaggio » si sposta altrove. Dichiarato inabile al servizio militare il personaggio pensa di trasferirsi in Africa e cercar fortuna fra gli orrori del colonialismo. (p. 15)[…]Si trasferisce a Detroit e lavora come operaio nelle Officine Ford, gustando le delizie dello sfruttamento. […] (p.17)

Bardarmi torna in Francia, porta a termine gli studi, s’insedia a Rancy, nella professione « borghese » di medico. Nella banlieue egli rimane accanto ai « poveri » e ai tormentati. Ma non si salva dai contraccolpi delle miserie morali che accompagnano la povertà. A Rancy pochi lo pagano e, di conseguenza, nessuno lo stima (p.18).

5

 

Il rifiuto si esprime in primis nel linguaggio e nello stile che hanno contribuito al successo del Voyage. Entusiasti i critici, cattolici, di destra e di sinistra, contrari i soli intellettuali maggiormente legati alla tradizione e ai valori dell’alta borghesia…

 

 

Difatti, il rifiuto categorico di Celine sembra ricavato anzitutto dal linguaggio degli uomini che hanno scoperto la « vacherie universelle », gente dei bassifondi cittadini, perseguitati, avviliti, dominati dalla rabbiae dalla necessità. L’uso cinico di mezzi impossibili, la menzogna, la diserzione o il delitto, ch’egli attribuisce a Bardamu e, più ancora, al suo maestro Robinson, rientra nell’atteggiamento di chi si sente o si vede estraneo alla storia. […] (p.21)Primo in assoluto a parlarne è uno scrittore e giornalista di sinistra, Georges Altman, in un articolo apparso su « Le Monde » diretto da Henri Barbusse. Interviene, pochi giorni dopo, un critico di destra, Leon Daudet su « Candide ». […] Alcuni giudici del « Goncourt », nel rifiutargli il premio, sostengono che il romanzo dà un quadro falso, atroce e diffamatorio della Francia. […] Il biasimo polemico della critica « borghese » prende di mira gli aspetti formali, l’uso dell’ago/ e le conseguenze di tale scelta, ossia il recupero di parole triviali e di oscenità « nauseanti » oltre ogni limite già superato dai romanzieri naturalisti. Viceversa, l’interesse dei lettori favorevoli si collega al momento letterario e politico. (p.24)

Il Voyage, soprattutto nelle dolorose pagine di protesta della prima parte, sembra riassumere i problemi e le inquietudini che si agitano nell’orizzonte sociale e politico. Fra tante ipotesi di « letteratura rivoluzionaria » confluite in idilli estetizzanti, non è per motivi tattici che la « sinistra » letteraria adotta un romanzo che, ancora oggi, può dare l’impressione di un eccezionale superamento di ogni divisione o parzialità a livello di cultura. (p.25)

La ribellione contro i valori astratti, i luoghi comuni, i poteri mediocri, la società guasta si univa alla scelta di un linguaggio che contraddiceva il raffinato post-simbolismo di quel periodo di furori. Erano atteggiamenti apprezzatissimi fra i giovani intellettuali degli anni ’30, ostili alla propria classe d’origine. (p.26)
6
Il secondo romanzo, Mort à crédit, arriva a 4 anni di distanza dal Voyage ed è caratterizzato da uno stupefacente e sopraffino lavoro su stile e linguaggio.
 Il nuovo romanzo prova che lo scrittore s’è orientato verso un approfondimento del suo linguaggio. Nelle pagine del libro si chiariscono e si precisano i caratteri del célinismo, ricerca di microfonie compiute con stravaganti e striduli accostamenti a sorpresa di parole affini o lontane, un’abbondanza di termini sinonimi, analoghi e contrari che slogano l’incerta sintassi a singhiozzo in un giuoco di specchi rotti. (p.27)
Per quel che concerne la trama, ritroviamo Ferdinand medico dei poveri ma anche scrittore.
Dal delirio della febbre ripercorre la sua fallimentare vita, dalla giovinezza fino all’incredibile e inaspettata decisione, a casa dello zio, di arruolarsi. Il libro è di fatto diviso in una serie di episodi, alcuni dei quali memorabili…
7

Con Mort à Crédit la ricerca sullo stile raggiunge il culmine.

In Mort à crédit il progresso nella ricerca di un nuovo « stile » prende rilievo nel gusto per le situazioni spettacolari.(p.36)

« Lo stile [di M C ] , avverte Celine (RP, 93-94), « è più frantumato e diretto di quello del Voyage ». È uno « style haché », tritato, mentre lo stile precedente rimaneva al di qua dell’« emozione pura ».[…] poli del célinismo ( approfondito a partire da MC ) sono l’impiego ragionato dei mezzi linguistici e l’ambizione di giungere al vertice espressivo della pura emozione. Lo schema delle « scelte », fra espressione e emozione, è proiettato nei due sensi. (p.37)
Dal 1937 però, con la pubblicazione di Bagatelles , per Céline iniziano i «guai». Sia per la “biografia” che per la letteratura è visto in due maniere, una sorta di angelo e demone, dicotomia che non passa inosservata. Che distorcesse la realtà è certo, ma qualcosa di vero c’era sempre…

 

Per alcuni è vitalista, aggressivo, un energumeno; per altri è un essere semplice, garbato, con un’accentuata tendenza a operare come « benefattore ». Per alcuni è assolutamente privo di inibizioni nel dire agli altri le « verità » più scottanti e offensive. (42)
Altro particolare: gli piace il tipo voyou, monello o carogna. Per questo frequenta i bassifondi di ogni città. […] (P.43)
[…] di aver recitato la parte del giovane incompreso, sopraffatto dalla schiavitù domestica: ha mentito sul padre, sulla madre, sul suocero, sulla prima moglie, e non solo nella dimensione « fantastica » del romanzo ma anche in colloqui e interviste: « un commediante nato ». Il padre non era affatto un impiegatucolo avvilito. Padre e madre non erano né miserabili né fortemente repressivi. Al suocero egli era debitore degli studi in facoltà e della prospettiva di una promettente carriera. Da un giorno all’altro egli aveva abbandonato tutto, moglie, figlia, lavoro, dichiarandosi stanco della collocazione « borghese ». Altra « creazione » era la famosa « trapanazione del cranio » che diceva di aver subito dopo le ferite di guerra. Era uno dei tanti alibi con i quali, nei libri e nei rapporti privati, giocava con la pietà altrui giustificando sbalzi d’umore e contraddizioni. […] Di là da tante precisazioni e controprecisazioni valide a livello di ricerca biografica, non esistono dubbi sull’ambiente dove s’è formato il giovane Louis-Ferdinand: una famiglia modesta che, se disponeva di qualche risorsa segreta, si situava fra il ceto impiegatizio e il ceto bottegaio (p.44).
8
Soprattutto nelle lettere alle giovani amanti appare sempre cinico, disilluso e opportunista.
Nella corrispondenza con le donne il personaggio ricompare un po’ piagnucoloso e estremamente cinico per necessità di difesa. L’esistenza sarebbe « fin troppo pesante e monotona senza un continuo artificio ». […] (p.47)
Repubblica e nel periodo fra le due guerre, cioè in una situazione prodiga di libertà e di indifferenza verso gli intellettuali disperati e esclusi. Illusoriamente egli pensa che una condotta simile possa applicarsi anche nella Germania in quegli anni. A Erika che si sforza di tenerlo informato sugli avvenimenti tedeschi, egli consiglia di essere disponibile persino col nazismo. (p.48)
Redattrice di una rivista berlinese, la Irrgang era in grado di seguire l’evoluzione dei fatti. La Gestapo arrestò il fidanzato (ebreo) di una sua amica. Quest’ultima, con una presentazione di Erika, si recò da Celine a Parigi e lo informò della sua vicenda. Dunque, le persecuzioni anti-ebraiche gli divennero note: quelle degli ebrei non erano imposture e pose di autocommiserazione, come dirà lo scrittore in Bagatelles. (p.49)
Non mancano negli anni trenta, prima di Bagatelles, gli indizi su qualche pregiudizio antiebraico.
Non è facile ricostruire l’evoluzione verso l’antisemitismo delirante dei libelli ora citati. Tuttavia non mancano fra il 1933 e il 1936 gli indizi di una graduale insofferenza verso le argomentazioni della sinistra politica. (p. 49)

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Tranne qualche sporadico accenno nelle opere e nelle lettere fino al 1937, mai era emerso in primo piano l’antisemitismo. L’Église era stata l’opera con i maggiori accenni, con al secondo posto Mea Culpa.

È sul tema dell’antisemitismo che si opera effettivamente la grande svolta politica di Celine.

Negli scritti letterari e nei documenti personali che precedono il 1937, si ripresentano qua e là tracce frammentarie di antisemitismo che, tuttavia, non prendono un rilievo dominante. È piuttosto un pregiudizio antisemita che lo scrittore deve avere assorbito quasi per determinismo dall’ambiente di formazione.

Più forti sono le dosi di pregiudizio antisemita nella commedia L’Église che, in ordine cronologico, è la prima opera letteraria di Celine. Scritta all’incirca nel 1927, essa rispecchia l’esperienza del lavoro svolto presso la Società delle Nazioni. (p.52)

Percorsa da sfacciato compiacimento egotista, rozza e prevedibile nell’insieme, la commedia-pamphlet splende qua e là di trovate e battute spiritose. Essa si rifa alla storia personale di Celine in una quantità persino eccessiva di riferimenti autobiografici.[…]Nei primi due romanzi il pregiudizio antisemita si attenua e affiora solo di sfuggita. In Mort à crédit è fra i dati ideologici della « piccola gente » del Passage Choiseul. Gli ebrei sono uno dei bersagli polemici del padre Auguste allorché questi esplode in invettive contro Ferdinand[…] (p.53)Il pregiudizio antisemita si fa luce anche nei documenti privati, persino nei consigli di savoir-faire che prodiga a Erika:

…andrete più lontano se seguirete bene la vostra linea di condotta come un’ebrea. Tenacemente, oscuramente, con tutti i mezzi. (p.54)

In Bagatelles invece diventa tema primario.
L’Espansione sotterranea degli ebrei (uno dei motivi classici dell’antisemitismo) diventa col tempo la nota ossessiva di Bagatelles. (p.55) 
Il « pregiudizio », infatti, si dilata nella follia iperbolica di Bagatelles, nelle cui pagine gli ebrei diventano responsabili di ogni male, anzi sono il male, e non solo gli ebrei borghesi, anche gli ebrei proletari e oppressi. Non solo il barone Rotschild e i suoi accoliti; anche Marx e i seguaci di Marx. Se i primi hanno nelle mani le leve del potere finanziario, i secondi s’impadroniscono del potere politico, come del resto è già accaduto — secondo l’autore — nell’URSS. Sotto la penna di Celine i personaggi noti sono o diventano ebrei su misura. Nell’URSS anche Lenin, oltre Trockij, Zinoviev, Kamenev e altri. Ogni settore della vita pubblica anche nei paesi occidentali è sotto il loro controllo: politica, cinema, teatro, letteratura. (p.56)Le variazioni intorno al tema si esauriscono lentamente, e Celine ricorre ad aneddoti, richiami storici, cronache di giornali, citazioni, falsificazioni d’ogni genere. Come dimostrò Emmanuel Mounier (nella recensione su « Esprit », marzo 1938), egli si appropria senza citarli di pagine intere tratte da scrittori antisemiti (riproducendone comodamente le citazioni per « sfoggio di erudizione » ) e persino da opuscoli faziosi di bassa propaganda anti-ebraica, di quelli che si vendevano negli androni del metrò. (p.58)

10
Con lo scoppio della guerra era inevitabile che i suoi scritti e la sua figura venissero strumentalizzati. E quel periodo a Sigmaringen…
[…] Il disordine caotico lo circonda, ripugnante e iperbolico. Tutti credono che, fuggendo, si associ ai vincitori di ieri e considerano la decisione come palese conferma di colpa. Egli sostiene di aver voluto dirigersi verso la Danimarca dove aveva depositato, prima del 1939, le somme ricavate dai diritti d’autore. Ma per recuperare il tesoro nascosto, deve ottenere il permesso dei tedeschi. Accompagnato dalla moglie Lucette, dal gatto Bébert e dall’attore Le Vigan, egli è costretto a fermarsi a lungo in Germania. Sale fino a Berlino, poi va più a nord, ma i tedeschi non gli concedono il passaggio oltre la frontiera danese. Allora raggiunge gli altri francesi fuggiti dal loro paese dopo gli sbarchi anglo-americani. Li ritrova a Sigmaringen, nel castello degli Hohenzollern che il governo hitleriano ha messo a disposizione di Pétain e del suo séguito. Li ritrova tutti: Lavai, Brinon, Déat, Luchaire, Rebatet, Alphonse de Chàteaubriant. Condivide le paure delle spie, dei denunciatori, dei carnefici, stringe la mano dell’assassino dei fratelli Rosselli. Non entra nella loro cucina politica. È vero. Ma li frequenta, li cura, li diverte persino con la loquela volubile e le lucide battute sulla catastrofe imminente. (p.65-66)
In compenso dice di avvertire l’ostilità della « Kollabo », i « 1142 » di Sigmaringen » che si accaniscono fra loro e sperano di salvarsi additando lui, autore di Bagatelles, alla vendetta della Resistenza: « non c’era più neppure un solo anti-ebreo fra i 1142! . . . neppure uno! . . . » (CA, 319). (p.66) In realtà Céline non è stato un « collaboratore prezzolato ». Non è solo lui a sostenerlo. Non c’è prova che dimostri il contrario.(p.67)

In queste condizioni i riferimenti utilizzabili sono prevalentemente le date di pubblicazione dei vari volumi successivi a Les beaux draps che, come s’è visto, prolunga, nel 1941, la virulenta polemica inaugurata da Bagatelles. Apparso nel primo anno dell’occupazione nazista, il terzo libro della trilogia pamphlettistico-politica di Celine, segna con chiarezza il punto massimo e finale del delirio razzista, mentre egli aderisce obiettivamente, anche se gratuitamente, alla politica degli occupanti. (p.68)

Dalla Danimarca e al rientro dall’esilio, griderà sempre al complotto, ma alcune lettere e foto compromettenti ci sono.
Per quel che concerne la produzione letteraria, da Guignol’s band in poi:
Sulla base di quanto s’è osservato finora, sono tre le dimensioni e le prospettive maggiori che, dopo il 1944, s’intrecciano nell’opera di Celine: una libellistica, una fantastica, una cronistica. Esse non si trovano in nessun caso allo stato puro e si può parlare, se mai, di maggiore o minore accentuazione di caratteri in funzione dell’atteggiamento che il narratorepresceglie. In tono minore, e con pretese di « purezza », si segnala un’altra prospettiva, quella allegorico-fiabesca, che si ispira all’ostentata passione per il « corpo femminile » e la « danza » e si manifesta in progetti di « balletti », come Foudres et Flèches (« Fulmini e saette », 1949), Scandale aux Abysses («Scandalo negli abissi», 1950), «argomento di disegno animato », e altri raccolti nei Ballets sans musique, sans personne, sans rien (« Balletti senza musica, senza nessuno, senza niente », 1959)

. (p.71)

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Le opere del dopoguerra vivono di alti e bassi e passano sostanzialmente sotto silenzio. È solo dal 1957, con Da un castello all’altro, che l’attenzione del pubblico e della critica cresce attorno a Céline.
Nello stesso anno 1954 gli Entretiens avec le professeur Y (« Colloqui con il professor Y » ) riprendono la polemica letteraria aperta da Bagatelles. In questa intervista immaginaria con un « professore » identificato poi con un colonnello in pensione e affetto da una grave malattia alla prostata, Celine insiste sull’importanza della « piccola musica » da lui inventata, e si paragona agli impressionisti che, dopo l’invenzione della fotografia, trovarono modi inediti per restituire emotivamente la realtà. Fra la fine della guerra e il 1957 critica e giornali letterari trascurano in genere la nuova produzione céliniana. Il pubblico appare altrettanto distratto. Molti giovani conoscono poco o nient’affatto lo scrittore, e questi si lamenta della « congiura del silenzio » come di una fra le tante forme di ostilità inventate contro di lui. Nel 1957 il risveglio di interessi si produce improvviso con D’un cbàteau l’autre, titolo già citato, che apre l’ultima trilogia del narratore, quella sulla peregrinazione nella Germania attraverso la guerra. È un vero e proprio ritorno al successo cui contribuisce, per la sua punta scandalistica, un servizio-intervista apparso sul settimanale « l’Express » intitolato « Viaggio al fondo dell’odio », che provoca reazioni e polemiche, dando al « caso Celine » un risveglio di attualità. (p.74)
Prima dell’ultima trilogia…
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È il Céline vittima e perseguitato quello dell’ultimo periodo…
Nel soggiorno in Danimarca appare una nuova incarnazione di Celine, l’ultima della serie. È il Celine sconfitto. Ma, per ostinazione o per orgoglio, non si rassegna alla sconfitta. […]Alla figura dello sconfitto lo scrittore sostituisce quella del perseguitato.

Fosse rimasto in Francia nelle giornate della liberazione, gli sarebbe stato difficile sfuggire a una condanna. A quel punto già si sente vittima mancata e lamenta la campagna che le radio straniere hanno orchestrato sul suo nome. In realtà i pericoli maggiori egli li affronta nel percorrere la Germania. Poi si trova al sicuro, in Danimarca, anche se lo raggiunge il mandato di cattura emesso dai giudici francesi e la richiesta di estradizione. Seguono quattordici mesi di carcere a Copenhagen e un periodo di esilio vissuto polemicamente nelle condizioni più disagiate. In questa operazione di rovesciamento delle accuse che presuppone una lunga rimozione dei propri sentimenti di colpevolezza, egli sfrutta con abilità gli errori degli avversari. L’atto dei giudici francesi si rivela iperbolico in simmetria, si direbbe, con le iperboli ossessive dei libelli di Celine. Le radio della resistenza gli attribuiscono responsabilità che superano quelle reali. Si parla di lui come di un mostro. Egli riprende l’invettiva cambiando registro e bersagli. Lo scandalo, sostiene, è che accusino lui di tradimento, proprio lui: mutilato, volontario delle due guerre, medaglia al valore prima di Pétain e « per di più, se permettete, scrittore stilista” formidabile » (R, 302)

. (p.77-78)

In questa operazione di rovesciamento delle accuse che presuppone una lunga rimozione dei propri sentimenti di colpevolezza, egli sfrutta con abilità gli errori degli avversari. L’atto dei giudici francesi si rivela iperbolico in simmetria, si direbbe, con le iperboli ossessive dei libelli di Celine. Le radio della resistenza gli attribuiscono responsabilità che superano quelle reali. Si parla di lui come di un mostro. Egli riprende l’invettiva cambiando registro e bersagli. Lo scandalo, sostiene, è che accusino lui di tradimento, proprio lui: mutilato, volontario delle due guerre, medaglia al valore prima di Pétain e « per di più, se permettete, scrittore stilista” formidabile » (R, 302). […]
Il motivo si sviluppa nei romanzi ma è presente in via preliminare nella corrispondenza con gli amici che questi, in parte, diffondono o pubblicano in Francia. Albert Paraz, il più fedele, divide l’umanità in due: 
« chi ama e chi non ama Celine ». Lo scrittore si è rifugiato sulle rive del Baltico, a Kòrsor, in una scomoda capanna dove ogni tanto qualcuno riesce a penetrare.Fra gli altri nel 1948 lo visita Milton Hindus, giovane professore americano di origine ebraica che un anno prima aveva composto un’ammiratissima nota introduttiva all’edizione statunitense di Mort à crédit.(p.80)

[…]Pare quasi che Hindus, prima di raggiungere Korsor, avesse collocato Celine in un personale Pantheon letterario. Nella conversazione quotidiana l’idillio crolla. Ogni tanto un gesto o la parola « merde » ripetuta come commento disarmano e scandalizzano il giovane ammiratore. Da parte sua lo scrittore giudica l’altro eccessivamente « libresco » (MHi, 192). (p.81)
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L’antisemitismo di Céline viene giustificato come gioco, pagliacciata senza bersagli concreti, se non gli ebrei che avevano voluto la guerra. Insomma, gli sfuggì qualche parola di troppo. Secondo altri (Aymé) era frutto di pregiudizi dell’ambiente piccolo-borghese in cui era cresciuto e a delusioni professionali subite per mano di ebrei…
Per altri gli ebrei presi di mira nei libelli sono bersagli che non hanno niente di concreto. È, diciamo, la tesi giustificazionista più semplice, spesso motivata con argomenti fantastici. (p.84)

 

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Dopo il 1936 appare un nuovo Celine: « totalitario, egli sa tutto, spiega tutto; perentorio supremo, tutto perfetto: una carogna ». Compiuta la sua ricerca, Celine non è più fraterno e comunicativo. Diventa simile ai personaggi, si presenta nel personale delirio, somiglia a papà Auguste. È come un ritorno al Passage Choiseul, fra portinai in vena di fascismo e negozianti sull’orlo del fallimento, i quali trovano in lui il loro portavoce.
Falsa apocalisse dell’occidente, in realtà la sua opera esprime « l’intelligenza della propria classe », la piccola borghesia del commercio e del lavoro fatto a mano, « che non si trova più a suo agio » nel sec. XX e si aspetta lo sterminio.(p.95)
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Rimanendo in tema di stile…
In una minuziosa e ampia rassegna degli strumenti stilistici di Celine compresa nell’opera già citata, Marc Hanrez nota che « la lingua di Celine, pur essendosi manifestamente trasformata col tempo, non ha seguito tuttavia un’evoluzione progressiva, continua, diretta di cui sia possibile ricavare, ad esempio, un grafico » (MH, 138-139). (p.99)In séguito, a partire da Guignol’s Band, l’uso dei tre puntini è definitivamente messo a punto e la frase « smantellata » per sempre, mentre le ellissi e i sottintesi si moltiplicano.

Più che di mutamenti strutturali si tratta, dunque, di un’accumulazione quantitativa in dosi massicce, basata su:

1 ) modelli « popolari » di linguaggio che, come ricordava Spitzer, sono i meno strutturati e volgono verso i rapporti di comunicazione piuttosto che verso le definizioni esatte;

2) una dilatazione ridondante del lessico, ossia dell’area meno strutturata della lingua. (p.100)

Ovviamente occorre prestarsi al giuoco. Il testo di Celine esige dal lettore un abbandono incondizionato al flusso verbale senza soste o inciampi — come necessariamente accade spesso a causa delle difficoltà che le scelte lessicali comportano — su parole o neologismi sconosciuti. Di qui anche la difficoltà dei traduttori quando ricercano equivalenze lessicali per lo più impossibili piuttosto che lavorare sulle corrispondenze di andamento e di tecniche del testo. (p.101)
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Scritti con lo stesso meccanismo stilistico, a singhiozzo, dei romanzi, i pamphlets portano, tuttavia, all’esasperazione l’atteggiamento non più sperimentale del narratore dopo i primi due romanzi. Lo stesso meccanismo, le stesse tecniche, gli stessi procedimenti strumentalizzati a una laboriosa opera di convinzione. […] Fino a Mort à crédit, si è detto, lo scrittore s’identifica nelle amarezze del popolo ( resta « fraterno » ). In Bagatelles egli scarica, tramite il linguaggio, sul popolo la propria visione. Se interpreta davvero alcuni malumori e risentimenti popolari, lo fa generalizzando. (p.104)
NOTA BIBLIOGRAFICA

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