LUIS SEPULVEDA – IL MONDO ALLA FINE DEL MONDO


LUIS SEPULVEDA – IL MONDO ALLA FINE DEL MONDO
TEA – Collana TEADUE – III ed Gennaio 2006

TRADUZIONE: Ilide Carmignani

PRIMA PARTE p. 9

1 p. 11

Un giornalista cileno di origini spagnole è in partenza da Amburgo per tornare in aereo, dopo ben ventiquattro anni, nell’amata Patagonia…

Segnato dai romanzi d’avventura ricevuti in dono dallo zio Pepe, Moby Dick su tutti, a sedici anni, sempre grazie allo zio che gli finanzia il viaggio, corona il suo sogno di solcare i mari avventurosi, imbarcandosi a bordo della Estrella del Sur del capitano Miroslav Brandovic in qualità di sguattero…

“Ero molto giovane allora, quasi un bambino, e sognavo avventure che mi dessero una vita lontana dal tedio e dalla noia. […]
Fu lui a darmi i primi libri, avvicinandomi a scrittori che non potrò mai dimenticare: Jules Verne, Emilio Salgari, Jack London”. (p.13)

Umili e faticosi lavori quelli che svolge a bordo, ma è così che impara la vita di mare. Al sesto giorno di navigazione poi, l’emozionante e arduo passaggio dello stretto di Magellano. L’indomani viene lasciato a Punta Arenas dove si ferma a casa dei Britos, amici dello zio Pepe. Lì Don Pepe gli parla continuamente di baleniere e balenieri e, percepita la brama d’avventura del ragazzo, gli propone di recarsi a Puerto Nuevo da un suo amico capitano di una baleniera al momento lì in riparazione…
Giunto a Puerto Nuevo, l’allora ragazzo va in cerca della Evangelista e del suo padrone, Antonio Garaicochea detto Il Basco. Lì, in attesa del capitano, uscito in mare a provare la barca appena riparata, si ferma in una locanda dove può mangiare, nonostante il divieto vigente, e fantasticare sulle avventure che, a differenza dei suoi compagni di scuola, sta vivendo…

“Io sì che avrei avuto qualcosa da raccontare al mio ritorno! Ero in viaggio da meno di quindici giorni e già avevo sperimentato la vita del marinaio, mi erano venuti i calli alle mani,avevo attraversato lo Stretto di Magellano, avevo guadagnato del denaro, e mi trovavo a un passo dalla fine del mondo a divorare mezzo cosciotto d’agnello”. (p. 23)

Mentre è ancora intento a consumare il pasto, viene raggiunto dai due carabinieri in servizio che lo interrogano fino all’arrivo del Basco in persona. Emozionato, risponde alle domande, chiedendo infine di esser preso a bordo per coronare i suoi sogni alimentati dalla lettura di Moby Dick. Raccontando la trama del libro al capitano e ai sopraggiunti marinai, ottiene così di esser preso a bordo. Salperanno l’indomani…

“Portatemi con voi. Per poco tempo. Per un viaggio soltanto.” (p. 26)

Puntuale, l’alba seguente la barca prende il largo. All’inesperto ragazzo viene assegnato il compito di seguire le informazioni meteorologiche…
Dopo alcuni giorni di navigazione, raggiunta Baia Cook, può finalmente vedere dal vivo un balena viva, cetaceo cui il vicecapitano, Don Pancho, evita di sparare poiché femmina…
Dopo altri quattro giorni di navigazione, Il Basco riesce a catturare una preda: un capodoglio. Dopo aver ripulito l’animale a Londonderry, tornano con difficoltà in porto per l’avaria dei motori. L’avventura gli è piaciuta, ma non intende fare del baleniere il proprio mestiere. E così, l’indomani, salutato capitano ed equipaggio, riparte…

Amburgo. Una hostess chiede al giornalista la carta d’imbarco interrompendone il flusso dei ricordi…

SECONDA PARTE p. 41

20 giugno 1988. L’aereo è in volo… Dopo tanti rimandi, il 16 giugno si è deciso a partire per la Patagonia dopo aver letto un fax proveniente dal Cile, spedito dalla corrispondente Sarita Diaz, segnalante la presenza della Nishin Maru a Puerto Montt, danneggiata e con diciotto membri dell’equipaggio scomparsi e altri feriti. Con altri tre giornalisti ha infatti fondato un’agenzia che si occupa dei problemi ecologici globali…

“[…] l’idea di creare un’agenzia giornalistica alternativa, che si occupasse soprattutto dei problemi ecologici che affliggono l’ambiente[…]”. (p.44)

Una baleniera, la Nishin Maru, nota agli attivisti di Greenpeace…
Il 21 e il 22 dicembre 1987, solo grazie a un’azione degli attivisti, alla baleniera era stato impedito di prendere il largo, ottenendo la revoca di un’illecita autorizzazione alla caccia di ben trecento balene nane protette…
Ad impedire le mosse della Nishin Maru ci sarà la Finisterre del capitano Jorge Nilssen, gli spiega Arianne, la dipendente di Greenpeace di Amburgo. Un dubbio lo assale. Telefona a un suo amico che gli comunica che la Nishin Maru risulta esser stata demolita nel gennaio precedente. I dubbi si trasformano in certezza: la Nishin Maru sta andando a caccia di balene… Arianne gli fa ascoltare una telefonata di Nilssen che nega di aver provocato i danni alla baleniera invitandola a mandare qualcuno a visionare la nave. Arianne dichiara al giornalista che solo Nilssen e la Diaz hanno visto la nave giapponese danneggiata…
Alle due di notte del 17 telefona alla Diaz, ma il di lei padre riaggancia il telefono chiedendo di lasciar stare la figlia…
Il giornalista è sempre più incuriosito da Nilssen che, puntuale, richiama l’agenzia di Greenpeace invitando il giornalista cileno a raggiungerlo. Venuto a sapere dell’investimento subito dalla Diaz e delle foto della Nishin Maru sottrattele, decide di partire…

L’aereo decolla da Amburgo…

TERZA PARTE p. 73

Il 21 giugno, dopo ventuno anni di esilio, il giornalista atterra a Santiago, raggiungendo poi da lì Puerto Montt.

“Durante il volo avevo pensato a lungo al mio ritorno in Cile, a quel viaggio che avevo sempre rimandato, trattenuto dal timore di trovare un paese che tradisse quello che avevo nella memoria. Il bel paese nobile e buono del primo amore, il territorio indimenticabile dell’infanzia.
Sono uno dei tanti che conobbero il carcere e fuggirono dall’orrore per raccogliere forze nella terra di nessuno dell’esilio, ma il mondo ci salutò con lo schiaffo di una realtà sconosciuta”. (p.75)

Lì conosce il capitano Jorge Nilssen…

“Arrivai a Puerto Montt assieme all’inverno. […]
Nella caletta erano ancorate una dozzina di lance, per cui non dovetti cercare troppo per trovare il Pàjaro Loco. Un uomo fumava in coperta; appena mi vide saltò a terra, e capii immediatamente che era Jorge Nilssen”. (p.76)

Raggiunta la locanda prenotata per il giornalista, i due, durante la cena, iniziano a parlare per conoscersi meglio…
Il suo vero nome è Jorg Nilssen, di origini danesi e Ona. La madre, morta pochi mesi dopo la sua nascita. Cresce solitario, a venti anni orfano anche del padre. Unica compagnia quella degli animali e di una vecchia Ona abitante l’isola dirimpetto a quella di Serrano da lui occupata… Per anni ha solcato i mari su navi di ogni bandiera, fino al 1980 quando, ormai sessantenne, nessuno lo ha più preso a bordo…

“Vagai di barca in barca finché nel 1980 l’orizzonte mi si chiuse davanti. Nessuna compagnia di navigazione, nemmeno liberiana, volle assumermi a bordo. Avevo sessant’anni”. (p. 85)

L’uomo ha quindi sentito il richiamo per le terre natie, il Sud e così a fine 1981 acquista il Finisterre con tanto di mozzo, Pedro Chico. I due hanno navigato a lungo nella solitudine più assoluta, accorgendosi del cambiamento in atto nel mare per via dell’inquinamento e della pesca illegale praticata senza scrupoli dalle barche al soldo dei paesi ricchi…

“E così con Pedro Chico navigammo per anni interi sena incontrare nessuno[…]
Il mare è un ristagno di pace violenta: all’improvviso avvertiamo accanto a noi la presenza di una minaccia”. (p. 86)

Nel 1984 scoprono una nave “aspiratrice” giapponese intenta a pescare illegalmente. La prima di una lunga serie… Unica speranza le battaglie di Greenpeace…
Di recente Pedro Chico gli ha svelato il luogo dove dimorano le balene Calderon, luogo in cui hanno visto aggirarsi la Nishin. E così hanno inviato la richiesta d’aiuto a Greenpeace…

L’indomani il capitano sveglia il giornalista e, durante la colazione, gli porge una lettera di Sarita con la quale la ragazza racconta della fotografia fatta alla Nishin, dell’investimento successivo e del furto delle istantanee. Poi gli annuncia la partenza a bordo della Pajaro Loco per visionare la Nishin prima di raggiungere la Finisterre… E così, poco dopo, assieme a Don Checho e a Il Socio, unici altri due membri dell’equipaggio, iniziano a solcare i mari fino a scorgere la gigantesca baleniera in riparazione in un porto militare…

“Sì. Era il Nishin Maru. Lo confrontai con la foto che avevo con me”. (p.91)

Jorge gli racconta di aver visto atterrare un elicottero sulla Nishin il 4 giugno. E il capitano Tanifuji, nonostante il mare mosso, riprendere subito il largo affrontando la tempesta che ha portato al danneggiamento della baleniera. La cosa non quadra. Se si fosse trattato di mera caccia alla balena non avrebbero avuto tanta premura…
Anche il Pajaro avanza intanto affrontando il mare mosso in attesa di poter salire a bordo del Finisterre…
Durante la navigazione il capitano gli racconta la leggenda della nave fantasma Cacafuego…
Solo dopo altri giorni di navigazione e di spostamenti a cavallo, il giornalista, Jorge e Pedro Chico raggiungono la Finisterre cominciando con essa la navigazione. Il capitano rivela quanto accaduto alla Nishin la notte dell’8 giugno. Utilizzando l’elicottero, i giapponesi individuavano le balene, attirandole di notte con i fari per poi massacrarle con i fucili. Durante la mattanza Pedro raggiunse la nave con la scialuppa e, incredibilmente, balene e delfini lo soccorsero iniziando a colpire la baleniera con la testa fino a farla quasi incagliare e provocando la morte di molti marinai giapponesi. Sono sempre loro a riportare indietro alla Finisterre Pedro…
La notte il giornalista non dorme, sentendosi finalmente di nuovo a casa ed emozionandosi per questo…

“Finalmente anch’io sentivo di appartenere a qualche luogo. […]
[…]seppi finalmente che appartenevo a quei luoghi,e che se anche fossi mancato, avrei portato con me per sempre quella pace terribile e violenta, precorritrice di tutti i miracoli e di tutte le catastrofi”. (p.120)
Quella notte, seduto sul ponte del Finisterre, piansi senza rendermene conto. E non per quanto era accaduto alle balene.
Piansi perché ero di nuovo a casa”. (p. 121)

Il 26 giugno eccoli sul luogo dello scontro tra pescatori e pesci, luogo in cui il giornalista decide di non scattare foto. Il capitano gli chiede di scrivere dell’accaduto per dargli risalto e, nel farlo, di non dimenticare di menzionare la Finisterre…

EPILOGO p. 125

In compagnia di Sarita, il 6 luglio eccolo di ritorno ad Amburgo con il Cile nel cuore e una conchiglia per il figlioletto donatagli da Jorge e Pedro al momento del commiato. Racconterà quanto visto a quelli di Greenpeace che decideranno se metterlo per iscritto o meno…

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