LUIS SEPULVEDA – IL VECCHIO CHE LEGGEVA ROMANZI D’AMORE

 

LUIS SEPULVEDA – IL VECCHIO CHE LEGGEVA ROMANZI D’AMORE

TEA SCUOLA – Collana Sguardi sul mondo – I ed. feb 1996

[Un viejo que leìa novelas de amor]

TRADUZIONE: Ilide Carmignani

CAPITOLO 1 p.7

El Idilio. Sperduto semi disabitato villaggio di avventurieri nel cuor dell’Amazzonia… Nei due giorni di visita, lo studio improvvisato del dentista Rubicondo Loachamìn viene preso d’assalto dai poveri abitanti… Anarchico, l’uomo odia il Governo, anzi, tutti i governi… e i gringos, che, di tanto in tanto, capitano in bottega a fotografargli i pazienti… Due volte all’anno giunge al villaggio, a bordo del Sucre…

I pochi abitanti di El Idilio, e un pugno di avventurieri arrivati dai dintorni, si erano riuniti sul molo e aspettavano il loro turno per sedersi sulla poltrona portatile del dottor Rubicundo Loachamm, il dentista, che leniva i dolori dei suoi pazienti con una curiosa sorta di anestesia orale.

«Ti fa male?» chiedeva. (p.7)

Il dottor Loachamm odiava il Governo. Odiava tutti i governi dal primo all’ultimo.[…]

Vociferava continuamente contro il governo di turno e contro i gringos che a volte arrivavano dagli impianti petroliferi del Coca, forestieri sfacciati che fotografavano senza permesso le bocche spalancate dei suoi pazienti. (p.8)

Il dottor Rubicundo Loachamm visitava El Idilio due volte l’anno, come il postino, che raramente portava corrispondenza per qualche abitante. (p.9)

Ad assistere divertiti alle scene di estrazione di denti e di prova delle dentiere, gruppi di indigeni abbrutiti e alcolizzati, i Jobaros, scacciati dalle tribù del popolo degli Shuar proprio per via di tale loro degenerazione…

jibaros. Indigeni messi al bando dal loro popolo, gli shuar, perché degenerati e degradati dai costumi degli «apaches», i bianchi. (p.10)

Terminate le visite, ecco la canoa di uno Shuar accostare al Sucre: ritarderanno per caricare il corpo di un gringo morto… Pensieroso per le piogge che sicuramente incontreranno per il ritardo di una settimana che già si portano dietro, Rubicondo va a trovare al molo il suo vecchio amico Antonio José Bolivar Proano…

Il dentista aiutò a caricare a bordo la poltrona portatile e poi si avviò verso un estremo del molo. Lì lo aspettava Antonio José Bolìvar Proano, un vecchio dal corpo tutto nervi, che sembrava indifferente al fatto di ritrovarsi sulle spalle un nome così illustre. (p.12)

Bevono, rievocando il ricordo di anni addietro, di un cercatore d’oro montuvio che per scommessa si fece estrarre tutti i quindici denti rimastigli, dividendo poi con il dentista la vincita…

Poco dopo, ecco due canoe, una con il cadavere di un uomo bianco a bordo…

Si avvicinavano due canoe, e da una di esse spuntava la testa immobile di un uomo biondo. (p.15)

CAPITOLO 2 p.16

La massima autorità locale, l’obeso e sempre sudato sindaco, secondo gli abitanti spedito fin lì dopo esser stato coinvolto in attività di peculato in una grande città, beve birra come suo solito. Giunto sette anni prima, in preda alla follia, picchia selvaggiamente l’indigena con cui convive. È da tutti odiato per aver voluto introdurre ogni sorta di tasse e balzelli… Tocca a lui dunque l’ingrato compito di occuparsi del bianco trovato morto… p.18

Il sindaco, unico funzionario, massima autorità, rappresentante di un potere troppo remoto per provocare timore, era un individuo obeso che sudava incessantemente. […] guadagnandosi il soprannome di Lumaca. […]

Sudava, e la sua unica altra occupazione consisteva nell’amministrare la provvista di birra. (p.16)

Assicurava che il Frontera gli dava incubi, e lui era perseguitato dal fantasma della follia.

Da un periodo di tempo imprecisato viveva con una indigena, che picchiava selvaggiamente accusandola di averlo stregato, e tutti aspettavano che la donna lo assassinasse. Si facevano addirittura scommesse.

Fin dal primo momento della sua venuta, sette anni prima, si era fatto subito odiare da tutti.

Era arrivato con la mania di riscuotere imposte per ragioni incomprensibili. […]

Il suo passaggio provocava sguardi di disprezzo, e il suo sudore rafforzava l’odio della gente del posto.

Il funzionario precedente, invece, era stato un uomo molto amato. (p.16)

Il sindaco arrivò sul molo. Si passò un fazzoletto sulla faccia e sul collo. Poi, mentre lo strizzava, ordinò di portare su il cadavere. (p.18)

Il pingue funzionario accusa subito i due Shuar di aver ucciso l’uomo, ma Antonio gli spiega trattarsi delle conseguenze dell’aggressione di un tigrillo, di una femmina di tigrillo per l’esattezza, che ne ha marchiato il corpo con l’urina…

«Lo avete ammazzato voi.» (p.18)

Sono stati degli artigli. Gli artigli di una zampa di tigrillo. Lo ha ucciso un animale adulto. (p.19)

Il sindaco protesta, ritiene ancora colpevoli gli Shuar, omicidi per depredare la vittima. Ma il vecchio fa consegnare tutti gli averi del defunto, zaino compreso, dimostrando così l’innocenza degli indigeni. Proprio nello zaino vengono rinvenute le pelli di cinque cuccioli di tigrillo. Seguendo l’odore dei cuccioli, ha raggiunto il bracconiere uccidendolo…

Dentro trovarono munizioni per fucile da caccia e cinque pelli di Tigrillo molto piccole. (p.21)

Gli Shuar hanno ora paura e si ritirano in fretta per avvertire gli abitanti del pericolo che incombe su di loro, spiega Bolivar al sindaco. Avendo assaggiato sangue umano, la tigrilla ne cercherà ancora per vendicarsi… Il Lumaca si allontana per scrivere il rapporto, mentre la cassa per il defunto viene completata…

Quel gringo figlio di puttana ha ucciso i cuccioli e sicuramente ha ferito il maschio. Guardi il cielo, si prepara a piovere. Si faccia il quadro della situazione. La femmina doveva essere uscita a caccia per riempirsi la pancia e allattarli nelle prime settimane di pioggia. I cuccioli non erano ancora svezzati e il maschio è rimasto accanto a loro. Usa così tra le bestie e così deve averli sorpresi il gringo. Ora la femmina va in giro impazzita di dolore. Va a caccia dell’uomo. (p.21)

Il sindaco non disse nemmeno una parola, e se ne andò a scrivere il rapporto per il posto di polizia di El Dorado. (p.22)

Il dentista regala altri due libri, romanzi d’amore, al vecchio Bolivar…

«Senti. Con tutto il pasticcio del morto per poco non mi dimenticavo. Ti ho portato due libri.»

Al vecchio si illuminarono gli occhi.

«D’amore?»

Il dentista annuì.

Antonio José BoHvar Proano leggeva romanzi d’amore, e a ogni suo viaggio il dentista lo riforniva di nuove letture. (pp.23-24)

La selezione il dentista la fa eseguire dalla sua prostituta preferita, tale Josefina, che di quel genere è completamente innamorata…

«I romanzi d’amore», spiegò Josefina, dimostrando gli stessi gusti di Antonio José BoHvar.

A partire da quel pomeriggio Josefina alternò i suoi doveri di dama di compagnia con quelli di critico letterario, e ogni sei mesi selezionava i due romanzi che, a suo giudizio, presentavano maggiori sofferenze, gli stessi che in seguito Antonio José BoHvar Proano avrebbe letto nella solitudine della sua capanna davanti al fiume Nangaritza. (p.25)

Poco dopo i due si separano per la partenza del Sucre. Pensieroso per la probabile battuta di caccia al tigrillo di cui sarà incaricato, il vecchio, partita la nave, si ritira per leggere i suoi amati libri…

La campana del Sucre che annunciava la partenza li obbligò a salutarsi.

Il vecchio rimase sul molo finché la barca non scomparve inghiottita da un’ansa del fiume. Allora decise che per quel giorno non avrebbe più parlato con nessuno e si tolse la dentiera, la avvolse nel fazzoletto, e stringendosi i libri al petto, si avviò verso la sua capanna. (p.26)

CAPITOLO 3 p.27

In grado di leggere, ma non di scrivere, Bolivar assapora lentamente le pagine dei suoi libri con l’ausilio di una lente d’ingrandimento, il suo più grande avere dopo la dentiera…

Antonio José Bolivar sapeva leggere, ma non scrivere.[…]

Leggeva lentamente, mettendo insieme le sillabe, mormorandole a mezza voce come se le assaporasse, e quando dominava tutta quanta la parola, la ripeteva di seguito. Poi faceva lo stesso con la frase completa, e così si impadroniva dei sentimenti e delle idee plasmati sulle pagine.

Quando un passaggio gli piaceva particolarmente lo ripeteva molte volte, tutte quelle che considerava necessarie per scoprire quanto poteva essere bello anche il linguaggio umano.

Leggeva con l’aiuto della lente d’ingrandimento, il secondo suo più caro avere. Il primo era la dentiera. (p.27)

Vive in una modesta capanna, dove, appesa alle pareti, si trova un ritratto di lui e della sua defunta moglie Dolores…

Abitava in una capanna di canne di circa dieci metri quadrati in cui aveva sistemato ordinatamente lo scarso mobilio: l’amaca di iuta, la cassa di birra che sosteneva il fornello a cherosene, e un tavolo alto, molto alto, perché quando avvertì per la prima volta dei dolori alla schiena, seppe che gli anni cominciavano a pesare e decise di sedersi il meno possibile. (pp.27-28)

Flash-back. Sposatisi a quindici anni, a diciannove sono costretti a vivere del suo solo lavoro nei terreni agricoli, dopo la morte del di lei padre. Ma la ragazza non resta incinta, dando adito alle malignità delle donne del posto che la ritengono sterile. Poi, dopo aver ricevuto la proposta di farla partecipare alle orge susseguenti i festeggiamenti di San Luis, potendo essere in fin dei conti lui quello sterile, indignato, Antonio decide di prender parte al progetto di colonizzazione dell’Amazzonia. Dopo tre settimane di viaggio, eccoli giungere a El Idilio dove vengono ufficialmente nominati coloni… Ma la terra è inospitale e nulli gli aiuti tecnici promessi dal governo… I coloni iniziano così a morire a poco a poco… Si sentono perduti, ma eccoli venire a contatto con gli indigeni Shuar che gli insegnano come sopravvivere nella foresta o, meglio ancora, l’arte di convivere con la foresta…

Antonio José Bolivar Proano rifiutò la possibilità di essere padre del figlio di una baldoria. Aveva sentito parlare di un piano di colonizzazione dell’Amazzonia. Il Governo prometteva grandi estensioni di terreno e aiuto tecnico a chi era disposto a popolare dei territori disputati al Perù. Forse un cambiamento di clima avrebbe guarito l’anormalità di cui uno dei due era vittima.

Poco prima delle festività di San Luis raccolsero i loro pochi averi, chiusero la casa e si misero in viaggio. (p.30)

Era El Idilio.

Lì, dopo alcune brevi pratiche, consegnarono loro un documento pomposamente timbrato che li qualificava come coloni. Assegnarono loro due ettari di foresta, un paio di machete, delle vanghe, dei sacchi di sementi divorate dalla calandra, e la promessa di un appoggio tecnico che non sarebbe mai arrivato. (p.31)

Cominciarono a morire i primi coloni. […]

Finché la salvezza venne loro con la comparsa di alcuni uomini seminudi, dal volto dipinto di rosso con polpa di bissa e monili multicolori sul capo e sulle braccia.

Erano gli shuar che, impietositi, si avvicinavano per dare una mano.

Da loro impararono a cacciare, a pescare, a innalzare capanne stabili e resistenti agli uragani, a riconoscere i frutti commestibili e quelli velenosi, ma soprattutto, da loro impararono l’arte di convivere con la foresta. (p.32)

Durante il secondo anno però, Dolores muore di malaria… Non potendo tornare al villaggio natale per via del fallimento, Antonio è così costretto a rimanere nella foresta, sotto la guida degli Shuar….

Abile cacciatore, a poco a poco dimentica il suo odio per la foresta, raggiungendo una libertà mai avuta…

Dolores Encarnación del SanHsimo Sacramento Estupinan Otavalo non riuscì a resistere al secondo anno e se ne andò in preda a febbri altissime, consumata fino alle ossa dalla malaria.

Antonio José BoHvar Proano sapeva di non poter tornare al villaggio sulla sierra. I poveri perdonano tutto, meno il fallimento.

Era obbligato a fermarsi, a rimanere lì in compagnia appena di qualche ricordo. Voleva vendicarsi di quella regione maledetta, di quell’inferno verde che gli aveva strappato l’amore e le speranze. Sognava un gran fuoco che trasformasse tutta quanta l’Amazzonia in una pira.

E nella sua impotenza scoprì che non conosceva abbastanza bene la foresta da poterla odiare.

Imparò la lingua degli shuar andando a caccia con loro. (p.33)

Antonio José Bolivar Proano non pensò mai alla parola libertà, ma la godeva a suo piacimento nella foresta. Per quanto cercasse di far rivivere il suo progetto di odio, continuava a sentirsi bene in quel mondo, finché pian piano dimenticò, sedotto da quei luoghi senza confini né padroni.

Mangiava quando aveva fame. (p.34)

Quando ha invece voglia di compagnia si reca dagli Shuar, scambiando informazioni sulle rispettive società d’origine…

Al cader della notte, se desiderava stare solo si sdraiava sotto una canoa, se invece aveva bisogno di compagnia cercava gli shuar.

Loro lo accoglievano compiaciuti. Dividevano con lui il loro cibo, i loro sigari fatti di foglie, e chiacchieravano per lunghe ore sputando a profusione intorno all’eterno fuoco a tre pali. (p.34)

«E che fate, se non andate a caccia?»

«Lavoriamo. Da quando si alza il sole a quando va giù.»

«Che stupidi!» sentenziavano gli shuar. (p.35)

Cinque anni dopo il suo arrivo, morso da un serpente velenoso, è salvato dagli indigeni. Guarito, durante i festeggiamenti per la sua sopravvivenza, dopo aver bevuto la yahuasca, ha una visione in cui si vede abile cacciatore. Decide così di restare per sempre nella foresta…

Dopo cinque anni che era lì seppe che non avrebbe più lasciato quei luoghi. Un giorno, denti acuminati si incaricarono di trasmettergli il messaggio. (p.35)

Fu un segnale che gli ordinò di restare, e lui obbedì. (p.37)

Conosceva la foresta bene quanto uno shuar. Nuotava bene come uno shuar. In definitiva era come uno di loro, ma non era uno di loro.

Così ogni tanto doveva andarsene, perché – gli spiegavano – era un bene che non fosse uno di loro. Desideravano vederlo, averlo accanto, ma volevano anche sentire la sua mancanza, la tristezza di non potergli parlare, e il salto di gioia che il cuore faceva loro in petto quando lo vedevano ricomparire. (pp.38-39)

Suo migliore amico diviene uno Shuar venuto da lontano dopo esser stato ferito a fucilate da soldati peruviani, Nushino il suo nome…

Con il passare degli anni sempre nuovi coloni e cercatori d’oro invadono i territori degli Shuar che si spostano così sempre più verso oriente, nel cuore della foresta impenetrabile…

Giungevano altri coloni, questa volta richiamati da promesse di sviluppo legate al legname e all’allevamento del bestiame. Con loro arrivava anche l’alcool privo di rituale, e quindi la degenerazione dei più deboli. Ma soprattutto aumentava la peste dei cercatori d’oro, individui senza scrupoli venuti da tutti i confini con il solo scopo di arricchirsi rapidamente.

Gli shuar si spostavano verso oriente cercando l’intimità delle foreste impenetrabili. (p.40)

Nushino cade un giorno vittima di alcuni avventurieri bianchi e Antonio si incarica di vendicarlo. Raggiunto il cercatore d’oro scampato agli indigeni, lo colpisce con la cerbottana, ma non in un punto vitale. Lo finisce con il fucile strappato di mano allo stesso uomo ma, così facendo, disonora se stesso e Nushino, giacché la testa del bianco non potrà essere ridotta portando in sé la giusta smorfia di valore e non quella di dolore e sofferenza che ha invece ora il cadavere… Con le lacrime agli occhi lo allontanano. Non potrà più fermarsi presso di loro…

Non piangevano per l’estraneo. Piangevano per lui e per Nushino.

Lui non era uno di loro, ma era come uno di loro. Di conseguenza avrebbe dovuto ucciderlo con una freccia avvelenata, dandogli prima la possibilità di lottare con coraggio; così, quando il curaro lo avesse paralizzato, tutto il suo valore sarebbe rimasto nella sua espressione, bloccato per sempre nella sua testa rimpicciolita, con le palpebre, le narici e la bocca cucite strette perché non scappasse.

Come ridurre quella testa, quella vita arrestata in una smorfia di spavento e di dolore?

Per colpa sua Nushino non avrebbe potuto andarsene.[…]

Non solo si era disonorato, ma era responsabile della sventura eterna del suo compagno.

Senza smettere di piangere, gli consegnarono la migliore canoa. Senza smettere di piangere lo abbracciarono, gli dettero delle provviste e gli dissero che da quel momento non era più il benvenuto. Poteva passare dai villaggi shuar, ma non aveva diritto a fermarsi.

Gli shuar spinsero la canoa nell’acqua e subito cancellarono le sue impronte dalla riva. (pp.43-44)

CAPITOLO 4 p.45

Dopo cinque giorni, eccolo rientrare nell’ingrandita El Idilio, dove edifica una capanna sul greto del fiume, oltre il molo costruito dai coloni… La sua esperienza è fondamentale per i bianchi presenti, tra i quali i feroci lavoratori delle compagnie petrolifere che disboscano ed uccidono tutto quel che si muove… Ben presto anche gli animali si ritirano così verso oriente…

Dopo cinque giorni di navigazione arrivò a El Idilio. Il luogo era cambiato. (p.45)

Antonio José Bolivar si occupava di tenerli a freno, mentre i coloni rovinavano la foresta costruendo il capolavoro dell’uomo civilizzato: il deserto. (p.46)

Bolivar ha molto tempo a disposizione, apprendendo di saper leggere proprio mentre constata la rovina dei propri denti…

Antonio José Bolivar Proano si ritrovò con tutto il tempo a sua disposizione, e scoprì che sapeva leggere nello stesso periodo in cui gli marcirono i denti. (p.46)

Recatosi da Rubicundo per farsi estrarre i denti rimastigli e comprarsi una dentiera, Antonio scopre infatti di sapere leggere quando due funzionari governativi, scesi dal Sucre, gli porgono una scheda elettorale. Riesce a leggere, quindi ha diritto di voto… Sa farlo sì, ma non ha di che leggere…

Sapeva leggere.

Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere. (p.48)

Il sindaco gli presta vecchi periodici che però lo annoiano… Un giorno giunge a El Idilio un missionario e Bolivar ne approfitta per farci amicizia dopo aver iniziato a leggere una biografia di San Francesco che il religioso recava seco… Parlando dei libri, scopre così l’esistenza del genere amoroso…

Passa la stagione delle piogge aggredito dalla solitudine, decidendo di dover trovare il modo di reperire dei libri…

Il richiamo del Sucre annunciò il momento di salpare e lui non osò chiedere al frate di lasciargli il libro. L’unica cosa che gli lasciò fu un maggiore desiderio di leggere.

Passò tutta la stagione delle piogge rimuginando sulla sua disgrazia di lettore inutile, e per la prima volta si vide incalzato dalla belva della solitudine. Bestia astuta. Attenta alla minima distrazione per impadronirsi della sua voce e condannarlo a lunghe conferenze orfane di auditorio.

Doveva trovare delle letture, ma per farlo aveva bisogno di uscire da El Idilio. (pp.50-51)

Per due settimane si addentra allora nella foresta per cacciare animali ricercati dai bianchi, catturando scimmie e pappagalli. Pagandosi il viaggio con una coppia di volatili, Antonio sale sul Sucre dove colloquia con il dentista riguardo i motivi del viaggio. L’amico lo indirizza dalla maestra del posto dalla quale, dopo aver venduto gli animali, ottiene numerosi libri e la possibilità di leggerli nella di lei biblioteca…

Vi rimase quasi due settimane, nei territori degli animali apprezzati dagli uomini bianchi. (p.51)

Durante la traversata chiacchierò con il dottor Rubicundo Loachamin e lo mise al corrente delle ragioni del suo viaggio. Il dentista lo ascoltava divertito. (p.53)

Una volta vendute le scimmie e i pappagalli, la maestra gli mostrò la sua biblioteca.

Si emozionò a vedere tanti libri tutti insieme – la maestra possedeva una cinquantina di volumi ordinati in un rozzo armadio di tavole – e si dette al piacevole compito di esaminarli con l’aiuto di una lente d’ingrandimento appena comprata.

Passarono cinque mesi durante i quali formò e affinò i suoi gusti di lettore, riempiendosi al tempo stesso di dubbi e di risposte. (p.54)

Legge per cinque mesi, fino a trovare il genere di suo gradimento, quello d’amore, ottenendo in dono dalla maestra il libro Rosario, di Florence Barclay, che legge e rilegge una volta tornato a El Idilio…

Nel Rosario, di Florence Barclay, c’era amore, amore da tutte le parti. I personaggi soffrivano e mescolavano la felicità con le sofferenze in modo così bello, che la lente di ingrandimento gli si appannava di lacrime.

La maestra, che non era del tutto d’accordo con i suoi gusti di lettore, gli permise di portarsi via il libro, e con esso tornò a El Idilio, a leggerlo e rileggerlo cento volte davanti alla finestra, proprio come si disponeva a fare ora con i romanzi che gli aveva dato il dentista, che lo aspettavano, tentatori, distesi sul tavolo alto, estranei al passato disordinato a cui Antonio José Bolivar Proano preferiva non pensare, lasciando aperti i pozzi della memoria per riempirli con le gioie e i tormenti di amori più forti del tempo. (p.55)

Fine flash-back…

CAPITOLO 5 p.56

Durante la stagione delle piogge Antonio passa il tempo a leggere e a fantasticare sulle situazioni e sui luoghi presenti nei suoi amati libri…

Antonio José Bolivar Proano dormiva poco. Al massimo cinque ore per notte, più due alla siesta. Gli bastavano. Il resto del tempo lo dedicava ai romanzi, a divagare sui misteri dell’amore e a immaginare i luoghi dove erano ambientate le storie. (p.56)

Una mattina, mentre è intento a raccogliere gamberi dal fondo melmoso del fiume, eccolo udire voci sull’arrivo di una canoa. Il sindaco raggiunge il molo e nella piccola imbarcazione viene rinvenuto il corpo straziato di un cercatore d’oro, Napoleon Salinas, ucciso dalla trigrilla dopo essersi accampato per la notte sulle rive del fiume…

«Una canoa! Una canoa!» […]

Chi poteva essere? Solo un demente avrebbe osato navigare in mezzo a quel nubifragio. (p.58)

A bordo ondeggiava il corpo di un individuo con la gola squarciata e le braccia straziate. […]

Era Napoleón Salinas, un cercatore d’oro che il pomeriggio precedente si era fatto curare dal dentista. (p.59)

Depredatolo dei suoi averi e distribuite le pepite rinvenute tra i presenti, il pingue sindaco ne rigetta il cadavere nel fiume… La gente è preoccupata, l’animale è dunque sulla loro stessa riva. Ma il sindaco taglia corto, dicendo che è troppo lontano per rappresentare una minaccia. Bolivar non la pensa allo stesso modo e ritorna alla capanna pensando ai gamberi..

CAPITOLO 6 p.63

Antonio, terminato il pasto a base di gamberi, inizia a leggere un libro ambientato a Venezia. Il pomeriggio si appisola, ma i ragli di una mula impazzita lo destano poco dopo costringendolo a uscir dalla capanna. È la mula di Alkaselzer Miranda, ferita dal tigrillo, che il sindaco uccide con la pistola. Ne fa poi distribuire le carni macellate, l’obeso funzionario, dichiarando di partire in spedizione l’indomani mattina per raggiungere lo spaccio di Miranda, a sette chilometri da El Idilio…

Il pomeriggio, dopo un’altra scorpacciata di gamberi, decise di continuare la lettura, e si apprestava a farlo quando un clamore lo distrasse obbligandolo ad affacciarsi e a infilare la testa sotto l’acquazzone.

Sul sentiero correva una mula impazzita tra ragli agghiaccianti, lanciando calci a chi tentava di fermarla. Punto dalla curiosità, si gettò un mantello di plastica sulle spalle e uscì a vedere cosa stava accadendo. (p.65)

Gli altri annuirono. Miranda era un colono che si era stabilito a circa sette chilometri da El Idilio. […]

La carne tagliata a pezzi fu portata fino all’ingresso del municipio e il ciccione la distribuì tra i presenti. (p.66)

Antonio torna in capanna con un pezzo di fegato dell’animale morto, pensieroso per la spedizione cui dovrà prender parte. Il vecchio è da anni in pessimi rapporti con il Lumaca, fin da quando, anni addietro, ha rifiutato di far da guida a invadenti americani, minacciato dal corrotto governativo di essere sgombrato dalla capanna costruita abusivamente su suolo demaniale… [Flash-back] Ai tempi, una settimana dopo, dei quattro americani partiti assieme a un indigeno e a un colono, fanno ritorno solo in tre, essendo fuggito l’indigeno ed essendo stati uccisi dalle scimmie il colono e uno dei gringos. Il sindaco chiede quindi ad Antonio di recuperare il cadavere dell’americano. Il vecchio esegue e così, da allora, ha il diritto di occupare la capanna… Ma la tranquillità è ormai svanita, dovendo egli partecipare alla spedizione organizzata dal sindaco…

Ma questa pace ora era di nuovo minacciata dal sindaco, che lo avrebbe obbligato a partecipare alla spedizione, e da artigli affilati, nascosti chissà dove nel folto della foresta. (p.74)

CAPITOLO 7 p.75

L’indomani, alle prime luci dell’alba, gli uomini si radunano uno alla volta presso la casa del sindaco che distribuisce loro colazione e munizioni…

Unico a non mangiare è Antonio, certo del fatto che la fame renda più acuti i sensi, intento peraltro ad affilare la lama del suo machete…

Il gruppo di uomini si riunì alle prime tenui luci dell’alba, che si indovinava sopra i nuvoloni. Arrivarono uno per volta saltando sul sentiero pieno di fango, scalzi, coi pantaloni rimboccati fino alle ginocchia. […]

Aveva fatto colazione presto e conosceva gli inconvenienti di chi va a caccia col corpo appesantito. Il cacciatore deve essere sempre un po’ affamato, perché la fame rende più acuti i sensi. Affilava con la pietra il machete, sputando di tanto in tanto sulla lama, e poi, guardando con un occhio solo, controllava la perfezione del filo. (p.75)

Ultimati i preparativi il gruppo inizia la marcia, con il grasso sindaco a rallentarla per via degli stivali e dell’impermeabile che ha voluto indossare. Due uomini aprono il cammino, due lo chiudono e tra questi Antonio… Dopo cinque ore un solo chilometro di strada è stata percorsa… Il grassone perde uno stivale, costretto così a gettar via anche l’altro. La sua scarsa forma fisica provoca ulteriori rallentamenti…

Lasciarono l’ultima casa di El Idilio e si addentrarono nella foresta. […]

Camminavano lentamente a causa del fango, dei rami e delle piante che coprivano con rinnovato vigore lo stretto sentiero. (p.76)

Dopo cinque ore di cammino avevano percorso poco più di un chilometro. La marcia si interrompeva spesso a causa degli stivali del ciccione. (p.77)

Con il ciccione scalzo, la marcia si fece un po’ più rapida, ma a ogni salita perdevano tempo. Tutti si arrampicavano senza difficoltà e si fermavano a guardare il sindaco che, gattoni, avanzava di un paio di metri per poi retrocedere di quattro. (p.78)

Al calar del buio, Antonio si incammina solitario alla ricerca di un posto pianeggiante adatto per passare la notte. Trovatolo, torna a prendere gli altri svolgendo il primo turno di guardia, felice di ascoltare i rumori della notte, probabilmente tonfi di grossi pesci che banchettano con insetti e piccoli animali che cadono in acqua dagli alberi…

Più tardi il secondo di guardia si avvicina per dargli il cambio, ma ecco arrivare un rumore dalla foresta. Gli altri vengono svegliati, mentre il sindaco inizia ad agitare la sua torcia, lume che Antonio gli getta via. Ma i pipistrelli, spaventati, fuggono via ricoprendoli di sterco. Gli uomini sono costretti a spostarsi in fretta, consci di non poter più capire da quale parte provenisse la minaccia. Pulitisi, riprendono la marcia avanzando per circa tre ore. Il grassone si apparta dietro un albero, sparando all’impazzata a… un orsetto del miele!… A mezzogiorno inoltrato eccoli raggiungere lo spaccio di Miranda che ritrovano però ucciso dal tigrillo… Ma Antonio rinviene anche un secondo cadavere, all’esterno, quello di Plascencio Punan…

Era passato mezzogiorno quando scorsero l’insegna sbiadita dell’Alkaselzer che annunciava lo spaccio di Miranda. (p.85)

«Fuori c’è un altro cadavere.»[…]

«Il morto è Plascencio Punan[…] (p.87)

CAPITOLO 8 p.89

Trascorso il pomeriggio a preparare i cadaveri, prima di sera li gettano in una vicina palude, poi si sistemano nella baracca predisponendo due turni di guardia da quattro ore dopo la cena…

Antonio inizia a leggere e ben presto, destata la curiosità delle altre tre guide, eccolo ritrovarsi a rileggere per loro, ad alta voce dalla prima pagina, il romanzo…

Il vecchio alzò gli occhi. Lo circondavano tutti e tre gli uomini. Il sindaco riposava da una parte, sdraiato su un mucchio di sacchi. (p.91)

Irritato per esser stato svegliato, il sindaco interviene parlando di Venezia… Poi, però, Antonio zittisce tutti per l’approssimarsi di un qualcosa che, all’esterno, produce rumore… Reso folle dalla paura, anziché attendere l’avvicinarsi della bestia, il sindaco esce scaricando la pistola…

Da fuori arrivò il lieve rumore di un corpo che si muoveva con cautela. I passi non facevano rumore, ma il corpo strusciava contro gli arbusti più bassi e l’erba. In quel modo interrompeva lo scorrere dell’acqua, e quando avanzava l’acqua trattenuta cadeva con rinnovata abbondanza.

Il corpo in movimento tracciava un semicerchio intorno alla capanna. Il sindaco si avvicinò a quattro zampe al vecchio. «È la belva?»

«Sì. E ha sentito il nostro odore.»

Il ciccione balzò subito in piedi. Nonostante l’oscurità raggiunse la porta e scaricò il revolver all’esterno, sparando alla cieca contro il folto degli alberi. (p.93)

L’indomani, all’alba, gli uomini perlustrano i dintorni, senza ovviamente notare tracce di ferimento…

All’alba, approfittando della luce fievole che filtrava dal tetto della foresta, uscirono a battere le vicinanze. (p.93)

Il sindaco, pur di togliersi di mezzo Antonio, gli propone una ricompensa di cinquemila sucres per farlo rimanere sul posto ad uccidere il tigrillo. Lui e gli altri tre torneranno invece a difendere El Idilio…

«Facciamo un patto, Antonio José BoHvar. Tu sei un veterano della foresta. La conosci meglio di te stesso. Noi ti diamo solo fastidio, vecchio. Cercala e uccidila. Lo Stato ti pagherà cinquemila sucres se ci riesci. Te ne stai qui e la ammazzi come ti pare e piace. Nel frattempo noi torniamo indietro a proteggere il villaggio. Cinquemila sucres. Che ne dici?»

In realtà l’unica cosa veramente sensata che si poteva fare era tornare a El Idilio. L’animale, a caccia di uomini, non avrebbe tardato a dirigersi verso il villaggio, e là sarebbe stato facile tendergli una trappola. La femmina avrebbe sicuramente cercato nuove vittime, ed era stupido pretendere di affrontarla sul suo territorio.

Il sindaco voleva disfarsi di lui. Con le sue risposte taglienti feriva i suoi principi di animale autoritario, e aveva trovato una formula elegante per toglierselo dai piedi. (p.94)

Antonio sa che l’animale sta cercando il duello finale, per trovare, in un’onorevole morte, la fine delle proprie sofferenze… Tigrillo che probabilmente li sta osservando… Accetta quindi la proposta del sindaco, ricominciando a leggere non appena scesa la sera… Ma mille pensieri lo assalgono… Paura? Ricordi di caccia ad animali pericolosi… Il pensiero di Nushino…

D’altra parte la condotta dell’animale lasciava intuire che cercava la morte avvicinandosi pericolosamente agli uomini, come aveva fatto con loro la notte precedente, e prima ancora quando aveva sbranato Plascencio e Miranda.

Una legge misteriosa gli diceva che ucciderla era un imprescindibile atto di pietà, ma non di quella pietà prodigata da chi è in condizione di perdonare e di regalarla. La bestia cercava l’occasione di morire faccia a faccia, in un duello che né il sindaco né gli altri uomini avrebbero potuto capire.

«Qual è la tua risposta, vecchio?» ripeté il ciccione.

«D’accordo. Ma lasciatemi sigari, fiammiferi e un’altra razione di cartucce.» (p.95)

Alle prime luci dell’alba, terminati i preparativi, eccolo addentrarsi nella selva in cerca di tracce dell’animale…

Dopo avere bevuto varie tazze di caffè nero, si dedicò ai preparativi. […]

Alla fine controllò il filo del machete e si addentrò nella selva in cerca di tracce.(p.101)

Verso mezzogiorno, smesso di piovere, semi abbagliato dalla luce proveniente dall’alto, Antonio per la prima volta vede la femmina di tigrillo, a una cinquantina di metri da sé…

Messo all’erta da un rumore di acqua che cadeva all’improvviso, si voltò e la scorse che si spostava verso sud, a una cinquantina di metri di distanza.

Si muoveva lentamente, con le fauci aperte, frustandosi i fianchi con la coda. Calcolò che dalla testa alla coda misurava due metri buoni, e che in piedi sulle zampe posteriori superava la statura di un cane da pastore. (p.103)

Varie volte appare e scompare l’animale, mentre la pioggia ricomincia a cadere… Addossatosi a un albero per proteggere la schiena, Antonio le si rivolge…

La femmina si lasciò vedere varie volte, muovendosi sempre su una traiettoria nord-sud. […]

«Eccomi qua tutto per te. Sono Antonio José Bolivar Proano e l’unica cosa che ho d’avanzo è la pazienza. (p.103)

Passano le ore e il vecchio realizza che l’animale sta solo aspettando il sopraggiungere della notte…

Passarono le ore, e quando la luce cominciò a diminuire seppe che il gioco dell’animale non consisteva nello spingerlo verso oriente. Lo voleva lì, in quel punto, e aspettava l’oscurità per attaccarlo. (p.104)

Antonio si lancia allora verso il fiume, di corsa, ma, in vista di un accampamento abbandonato di minatori, il tigrillo lo colpisce di fianco. Si ritiene spacciato, ma l’animale incredibilmente non attacca, permettendogli di recuperare il fucile e acquattandosi sulle zampe. A un suo richiamo compare il maschio, ormai agonizzante. Antonio capisce dunque che vuole che gli dia il colpo di grazia…

Allora, correndo a tutta velocità, si lanciò verso il fiume. (p.104)

Per raggiungere la riva gli restava soltanto da scendere un pendio di una quindicina di metri coperto di felci, quando l’animale attaccò. […]

Ricevette lo spintone affibbiatogli con le zampe anteriori e cadde ruzzolando giù dal pendio.

Stordito, si accucciò brandendo il machete con tutte e due le mani, e aspettò l’attacco finale.

In alto, sul bordo del declivio, la femmina muoveva la coda freneticamente. Le piccole orecchie vibravano captando tutti i rumori della foresta, ma non attaccava.

Sorpreso, il vecchio si mosse lentamente fino a recuperare la doppietta.

«Perché non attacchi? A che gioco stai giocando?»

Sollevò i cani della doppietta e si accostò l’arma al volto. A quella distanza non poteva fallire.

In alto la femmina non gli staccava gli occhi di dosso. All’improvviso ruggì, triste e stanca, e si lasciò cadere sulle zampe.

La debole risposta del maschio gli arrivò da molto vicino, e non fece fatica a trovarlo.

Era più piccolo della femmina, e stava sdraiato al riparo di un tronco vuoto. Era ridotto pelle e ossa e aveva una coscia quasi strappata dal corpo da un colpo di fucile. L’animale respirava a stento, e l’agonia sembrava dolorosissima.

«Volevi questo? Che gli dessi il colpo di grazia?» gridò il vecchio verso l’altura, e la femmina si nascose tra le piante. (p.105)

Adempiuto all’ingrato compito, raggiunge la capanna dei minatori, ormai inservibile, trovando rifugio in una barca capovolta… Si addormenta, finendo in preda a uno strano sogno dove occhi gialli fissamente l’osservano… Poi si sveglia, al rumore dei passi del tigrillo sulla canoa…

No. Non era più nel mondo dei sogni. La femmina era davvero sopra la canoa, e passeggiava, e siccome il legno era molto liscio, levigato dall’acqua incessante, l’animale si serviva degli artigli per non scivolare mentre camminava da prua a poppa. Il vecchio sentiva il suono vicino della sua respirazione ansiosa. (p.108)

L’animale scende solo l’indomani, verso mezzogiorno, per iniziare a scavare di lato alla barca… Si ritrae Antonio, aprendo il fuoco e ferendola a una zampa. Ma alcuni pallini colpiscono anche il suo piede destro… Decide quindi di uscire allo scoperto per lo scontro finale. L’animale corre verso di lui balzando e finendo colpita al petto nel punto all’apice del salto…

Quando sentì scendere l’animale, dalla luce dedusse che era quasi mezzogiorno. Attento, aspettò la sua nuova mossa, finché un rumore su un fianco lo avvertì che la femmina aveva iniziato a scavare tra le pietre su cui poggiava l’imbarcazione. Visto che lui non rispondeva alla sfida, la femmina aveva deciso di entrare nel suo nascondiglio.

Trascinandosi sulla schiena, indietreggiò fino all’altro estremo della canoa, giusto in tempo per evitare gli artigli, comparsi lanciando colpi alla cieca.

Sollevò il capo con la doppietta attaccata al petto e sparò.

Poté vedere il sangue che schizzava dalla zampa dell’animale, e contemporaneamente un intenso dolore al piede destro gli indicò che aveva calcolato male l’apertura delle gambe, e che vari pallini gli erano entrati nel collo del piede.

Erano pari. Feriti tutti e due.

La sentì allontanarsi, e con l’aiuto del machete sollevò un po’ la canoa, lo spazio sufficiente per vederla, a un centinaio di metri, che si leccava la zampa ferita.

Allora ricaricò l’arma e con una spinta rovesciò l’imbarcazione.

Quando si alzò in piedi la ferita gli produsse un dolore terribile, e l’animale, sorpreso, si acquattò sulle pietre calcolando l’attacco.

«Sono qui. Finiamo questo maledetto gioco una volta per tutte.» (p.109)

Una forza sconosciuta lo obbligò ad aspettare che la femmina raggiungesse l’apice del suo volo. Allora premette i grilletti e l’animale si fermò a mezz’aria, piegò il corpo di lato e cadde pesantemente con il petto squarciato dalla doppia scarica di pallini. (p.110)

Ancora una volta Antonio si ritrova a piangere per aver ucciso con il fucile un avversario deturpandone il corpo… Si sente vuoto, indegno, amareggiato…

Il vecchio la accarezzò, ignorando il dolore del piede ferito, e pianse di vergogna, sentendosi indegno, umiliato, in nessun caso vincitore di quella battaglia. (p.110)

Lasciato il corpo nel fiume e gettato via l’odiato fucile, il vecchio, in lacrime, taglia un grosso tronco con cui riparte alla volta di El Idilio e dei suoi amati romanzi, che, con le loro parole d’amore, riescono a volte a fargli dimenticare la barbarie umana…

[…]tagliò con un colpo di machete un ramo robusto, e appoggiandovisi si avviò verso El Idilio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana. (p.111)

GUIDA A UNA LETTURA CONSAPEVOLE p.115

 

***Riassunto dedicato a Valentina P. Buon Onomastico!…***