LUIS SEPULVEDA – IL POTERE DEI SOGNI

LUIS SEPULVEDA - IL POTERE DEI SOGNI
LUIS SEPULVEDA – IL POTERE DEI SOGNI

LUIS SEPULVEDA – IL POTERE DEI SOGNI

TEA – Collana TEADUE n. 2171 – 2014

TRADUZIONE: Ilide Carmignani

 

CREDIAMO ANCORA NEI SOGNI p. 5

Sono emozionato, e l’emozione è una congerie di sentimenti che sgorgano dai ricordi, e abbiamo ricordi perché abbiamo memoria.[…]

All’epoca ero un ragazzo pieno di sogni, per questo militavo nella Juventudes Comunistas, perché la vicinanza di altri giovani sognatori moltiplicava i miei sogni. Alcuni erano sogni eroici, di lunga portata, altri erano minori, forse più domestici, più umili, più cileni.

In uno di questi dovevo procurarmi una copia della chiave di quel vecchio palazzone, della Sezione per ragazzi della Biblioteca Nazionale, in modo da entrare di nascosto e trascorrere un fine settimana senza altra compagnia che i libri. (p. 5)

Sognavo che tutti quei libri rinchiusi volevano parlare, che aspettavano il giusto interlocutore, e quello ero io. […]

[…]dovevo trasformarmi nel depositario, nel custode, nell’amoroso protettore delle parole. […]

Una delle chiavi aprì la serratura, così spinsi la porta ed entrai per la prima volta in quella che per me sarebbe stata, e ancora è, l’unica patria: la mia lingua e le sue parole.[…]

È vero che l’avventura fu breve: appena due notti e due giorni chiuso nel vecchio palazzo, ma all’alba del lunedì uscii soddisfatto di aver realizzato un sogno, e con una grande scoperta[…]. (p. 7-9)

Ma vuoto sistematicamente i miei scaffali e regalo a varie biblioteche pubbliche i testi che a mio avviso e necessario condividere. E un gran bel modo di socializzare i sogni.[…]

Credo che non ci sia sogno più bello di un mondo dove il pilastro fondamentale dell’esistenza è la fratellanza, dove i rapporti umani sono basati sulla solidarietà, un mondo in cui siamo tutti d’accordo sulla necessità della giustizia sociale e ci comportiamo di conseguenza i miei sogni sono irrinunciabili sono ostinati, testardi, resistenti, e si antepongono all’orrore dell’incubo dittatoriale La difesa di questi sogni è legata alla vecchia querelle fra il bello e il sublime, fra il bene e il male nel senso più pieno e profondo. (p. 8)

Sicuramente esistono individui che temono i sogni, i sognatori e la capacità di sognare, ma i sogni e i sognatori sono una presenza inestirpabile.
Parlerò di un sognatore che ho avuto la fortuna di conoscere quando ero molto giovane[…].

Era un poeta spagnolo, repubblicano, rosso, chiamato Marcos Ana, che veniva a conoscere il Cile al fianco di Pablo Neruda.[…]

Lo aspettavamo con tutto il nostro amore di giovani e di sognatori, con la nostra bocca addolcita da tutta la tenerezza che ispira la parola «Compagno». (p. 9)

Anche noi condividiamo un bel sogno collettivo che è iniziato agli albori della storia del Cile come nazione, come paese, e che ha avuto la sua espressione più alta durante i mille giorni del Governo Popolare guidato dal compagno presidente Salvador Allende. La tragica e criminale interruzione di ‘quel sogno condiviso non lo ha delegittimato, né tanto meno lo ha spinto nell’oblio, anch’esso ha avuto la meglio nella memoria testarda, nella memoria ribelle di chi resisteva, delle donne e degli uomini che hanno portato avanti il più nobile degli impegni e si sono giocati tutto perché non venisse ingoiato dalle tenebre della dittatura. (p. 11)

Sì, non c’è possibilità di dubbio: i sogni giusti sono la massima espressione dell’internazionalismo, del desiderio di rendere globale, planetaria, quella giustizia sociale che è la sostanza di tutti i sogni.
Posso citarne tanti, ma mi soffermerò in particolare su un uomo che oggi è un venerabile vecchio. Si tratta di Avrom Sutzkever, il Poeta Avrom Sutzkever, che dalla sua casa in Israele continua a sognare il mondo possibile dei giusti. (p. 12)

Se non siamo audaci, il che non è sinonimo di irresponsabili, se non siamo terribilmente audaci con i nostri sogni e non crediamo in loro fino a renderli realtà, allora i nostri sogni appassiscono, muoiono, e noi con loro.
Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (p. 14)

A volte, in Europa, sogno il Cile. E nei miei sogni l’amato paese che non esiste più, se non protetto dalle frontiere della mia memoria, è un paese gentile, ordinato, fiatano, sicuro e con tutti i suoi sogni invitti. (p. 17)

Le mie storie sono scritte da un uomo che sogna un mondo migliore, più giusto, più pulito e generoso.[…]

[…]perché solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo.[…]

Discorso tenuto il 16 aprile 2002, alla Biblioteca Nazionale di Santiago del Cile, nel corso della presentazione della casa editrice Crediamo ancora nei sogni. (p. 21)

MEMORIALE DEGLI ANNI FELICI p. 23

I mille giorni del Governo Popolare furono duri, intensi, sofferti e felici dormivamo poco vivevamo ovunque e in nessun posto. […]

Ognuno ha nella memoria un album privato di ricordi felici di quei giorni in cui abbiamo dato tutto, e ci sembrava di dare molto poco, perché avevamo impressi sulla pelle i versi del poeta cubano Fayad Jamis «Per questa rivoluzione bisognerà dare tutto, bisognerà dare tutto e non sarà mai abbastanza» Ci fu chi, da un comodo e vigliacco scetticismo, si godette un tempo morto che chiamò gioventù. Noi sì che abbiamo avuto una gioventù, e fu vitale, ribelle, anticonformista, incandescente, perché si forgiò nel lavoro volontario, nelle fredde notti di azione e propaganda. (pp. 23-24)

Altri, dall’atroce vigliaccheria di chi criticava senza apportare nulla, senza mettersi in gioco, senza bruciarsi, senza conoscere il magnifico sentimento di fare la cosa giusta al momento giusto, se ne restavano nelle loro grandi ville senza gloria, mangiando con l’argenteria che avevano ereditato dagli encomenderos e bevendo puro sudore di operai, e da la ci ammonivano che stavamo commettendo eccessi Certo che commettevamo errori. Eravamo autodidatti nel grande compito di trasformare la società cilena. Prendemmo molte cantonate ma non allungammo mai le mani sui beni del popolo. Altri cospiravano, noi facevamo campagne di alfabetizzazione Altri si aggrappavano con furia omicida ai beni ingiustamente ottenuti, perché le proprietà terriere vengono sempre dal furto, noi consentimmo per la prima volta ai paria della terra di guardare negli occhi il padrone[…]. (p. 24)

Sapemmo rispondere alle provocazioni con fermezza, e con violenza se necessario, ma
non fummo mai dei provocatori. (p. 26)

A trent’anni dal crimine, ci sono miserabili che interpretano il suicidio di Allende come una sconfitta Non capiscono le ragioni di un uomo leale che, nel fragore del combattimento, comprese come quell’ultimo sacrificio avrebbe evitato al suo popolo, la massima umiliazione: vedere il suo dirigente, il suo leader, incatenato alla mercé dei tiranni.[…]

Se il nostro tentativo di rendere il Cile un paese giusto, felice e degno ci rende colpevoli, allora accettiamo la colpa con orgoglio. (p. 27)

Il carcere, la tortura, i desaparecidos, il furto, l’esilio, il fatto di non avere un paese a cui tornare, il dolore, se tutto questo era il prezzo da pagare per i nostri sforzi di giustizia, allora si sappia che li abbiamo pagati con l’orgoglio di chi non ha mai rinunciato alla propria dignità, di chi ha resistito agli interrogatori, di chi è morto in esilio, di chi è tornato a lottare contro la dittatura, di chi ancora sogna e si organizza, di chi non partecipa alla farsa pseudodemocratica degli amministratori dell’eredità della dittatura.
Insieme a Salvador Allende fummo protagonisti dei mille giorni più pieni, belli e intensi della storia cilena. (p. 28)

L’ARTE DI NON SAPERE p. 29

Robert Musil lasciò alcuni scritti, non inclusi nell’Uomo senza qualità, che i suoi biografi hanno appena pubblicato. Uno di questi è terribilmente attuale e allude all’Arte di Non Sapere, che non dev’essere confusa con l’ignoranza, perché gli. ignoranti non sono responsabili della loro triste condizione. Musil spiega che l’Arte di Non Sapere si pratica a
partire da una rigorosa selezione di quello che non conviene sapere, sia dal punto di vista individuale sia collettivo, e in base a tale selezione si offre un surrogato. L’Arte di Non Sapere non nasce da una vocazione come la letteratura o la scultura, ma da una decisione dettata da un’idea autolatra ed egocentrica del mondo e della società.
Di recente, George Tenet, direttore della CIA, ha dato una stupenda dimostrazione dell’Arte di Non Sapere. I servizi segreti della maggiore potenza mondiale, più quelli dei suoi alleati britannici, semplicemente non sapevano che un anno, un mese, un giorno prima dell’aggressione all’Iraq, le tanto decantate armi di distruzione di massa, semplicemente non esistevano. (p. 29)

LA SPAGNA NEL CUORE p. 33

LA TORTURA COME IDEALE p. 41

LUOGHI COMUNI p. 45

Sono la maledizione della lingua: dalla loro comoda posizione cli eufemismi, dissimulano ignoranze madornali.[…]

È così che, disgraziatamente, un modo di nominare i paesi in via di sviluppo, o con uno sviluppo frenato dall’ingordigia delle nazioni più potenti, è divenuto un luogo comune per riferirsi a quanto i nuovi ricchi considerano brutto, sporco, sgangherato, grottesco o offensivo. (p. 45)

Sarebbe molto sano se chi si occupa di comunicazione abbandonasse la pigrizia dei luoghi comuni e riflettesse sul significato delle parole che usa. Non fa male acquisire come patrimonio personale un vocabolario ben scelto, soprattutto in un’epoca cervantina come
quella in cui viviamo. (p. 47)

NERUDA E UNA PIETRA COPERTA DI MUSCHIO p. 49

NERE RIFLESSIONI p. 53

Sono nato in Cile e in Cile non ci sono neri ma chiamiamo con affetto gli amici negros; la gente umile, la mia gente, nel suo linguaggio affettuoso si dà del negro[…]. (p. 53)

CHI PENSA… PERDE! p. 55

Si chiamava così un immaginario ma per nulla irreale show televisivo del gruppo argentino Les Luthiers Mac Luhan, lo stesso genio delle comunicazioni per non comunicare che negli anni settanta disse «Il medium e il messaggio», aggiunse inoltre che la programmazione televisiva sarà sempre un fedele riflesso del concetto di cultura che detiene il potere, perché e il potere, in modo diretto o indiretto, a pagare e a rendere possibile il fatto di andare in onda, sugli schermi, nelle coscienze che, sopite sul divano di una società del benessere, fanno zapping per non pensare ai diritti e ai doveri relativi alla società che si godono. (p. 55)

MADE IN SPAIN p. 61

UN CORVO DI NOME CASTRO, O OSCAR, O ALEPH IN OGNI CASO p. 65

CENTOVENTI MAIALINI p. 69

CONDOR p. 73

IL GIORNO PIÙ ATTESO p. 77

MALEDETTE LE GUERRE p. 81

ADDIO, CARA COMPAGNA p. 85

EL SIETE p. 89

UNA VECCHIA MOLESKINE p. 93

BUONE NOTIZIE DALL’ARGENTINA p. 97

UN CERTO DANIEL MORDZINSKI p. 101

I MICROINFARTI DEL TIRANNO p. 105

Quando un delinquente, un truffatore, un rapinatore, un ladro o un falsario è braccato dalla giustizia, di solito manifesta diarrea, coliche, un’allarmante scarica di flatulenze e altri sintomi in genere gastrointestinali. Questo accade a un normale malvivente, ma con Pinochet è diverso perché, ogni volta che si tenta di revocargli l’immunità, di privarlo dell’atroce lusso che lo rende un intoccabile, si vede colpito da strani microinfarti cerebrali che lo privano dei sensi, provocandogli svenimenti, e lo fanno finire in una sontuosa camera dell’ospedale militare.

Il cileno della strada, la cilena che prova un senso di disgusto quando sente il nome del despota, il ragazzo che vuol credere nella giustizia, si chiedono perché a costui non venga la sciolta come a qualunque ladro ogni volta che il decreto di un tribunale minaccia di toccarlo, perché le anomalie gastrointestinali e le semplici diarree lo prendano alla testa. (p. 105)

I suoi palesemente falsi e più che sospetti microinfarti cerebrali, o espressioni castrensi di diarree mentali provocate dal panico per la giustizia, mettono il Cile e le sue istituzioni giudiziarie in una deprecabile posizione di ridicolo. Quale credibilità può offrire un paese in cui un vigliacco responsabile di furti, appropriazioni indebite, falsificazioni, crimini contro l’umanità, si sottrae sistematicamente ai giudici e si fa beffe della legge grazie al vecchio trucco di simulare una demenza senile? (p. 106)

MY NAME IS LOPEZ, DANIEL LOPEZ p. 109

Oggi si parla di diciotto milioni di dollari individuati, ma le proprietà di Pinochet, ripartite tra i suoi familiari, superano i cento milioni di dollari e allora viene da domandarsi: dove ha preso tanto denaro?, qual è l’origine di una così grande fortuna? […]

L’origine della fortuna di Pinochet è il furto. Qualunque contabile può dimostrare che non tornano i conti fra quanto ha guadagnato e quanto ha comprato. (p. 112)

 

ALVARITO… ALVARITO… ALVARITO… p. 115

LETTERATURA E UNIVERSALITÀ UMANA p. 119

Anche i capi guerrieri del mio popolo mapuche erano eletti, non in tornei di forza o mediante prove di abilità finisca, ma in gare verbali. (p. 119)

 

QUANDO LE CANTAVO L’INNO DEI BEATLES p. 123