LEGGERE CÉLINE Émile Brami

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LEGGERE CÉLINE

Émile Brami

Traduzione: Stefano Fiorucci e Jeannine Renaux
Rispetto ad altri scrittori,
Louis-Ferdinand Céline ha pubblicato poco e su un lasso di tempo
relativamente breve tra il 1932 e il 1960. Tuttavia, la sua
produzione è più vasta e variegata di quanto pensi il grande
pubblico che si ferma troppo spesso ai due titoli emblematici
dell’autore, Voyage au bout de la nauit e Mort à crédit.

La prima parte dell’opera si presenta come un lungo
romanzo iniziatico che racconterebbe la storia, sparsa su più libri
facendosi eco, della difficile formazione di Ferdinand Bardamu,
l’alter-ego del narratore. L’ordine di pubblicazione mette sottosopra
la cronologia. L’infanzia e l’adolescenza zono il soggetto di Mort
à crédit
(1936). Casse-Pipe (1946), frammento d’un
considerevole insieme oggi scomparso, evoca l’arruolamento nella
cavalleria e il servizio militare. Guignol’s band (1944) e
Guignol’s Band II, impropriamente intitolato Le Pont de
Londres
alla sua prima uscita postuma nel 1964, hanno per tema la
scoperta dei bassifondi di Londra. Voyage au bout de la nuit
(1932) mescola la traumatizzante esperienza del fronte nel 1914, il
soggiorno in una piantagione affricana, i viaggi in America e infine
la vita quotidiana d’un medico di banlieue.

Di tutti questi testi, Voyage au bout de la nuit
è senza dubbio il più accessibile al lettore neofita, ma non è
ancora assolutamente Céline, perché, il lavoro di demolizione e
distorsione radicale della lingua francese, tanto caratteristiche
della scrittura celiniana, cominciano appena. Lui stesso lo
riconosce: «Nel Voyage, faccio ancora certi sacrifici alla
letteratura, alla “buona letteratura”. Si trova ancora della
frase che fila… A mio avviso, dal punto di vista della tecnica, è
un po’ arretrato.
» In effetti, se utilizza l’argot e dei motti
popolari o anche volgari, se non esita a usare delle scene
scioccanti, il dilettante Céline non è ancora totalmente libero
dalle costruzioni della lingua classica, il sentimentalismo dei
personaggi è perfino un po’ eccessivo e l’intreccio conta quanto la
forma, cosa che non avverrà più in seguito. Voyage au bout de la
nuit
farebbe la gloria di qualsiasi romanziere, ma profuma a
volte d’invenzione.

A nostro avviso, Mort à crédit
è il primo romanzo in cui Céline trova veramente il suo stile dopo
essersi emancipato dalle regole abituali, costruziuone, scrittura, o
semplice decenza e aver deciso di non porre alcun limite alla sua
libertà di creazione. Per arrivarci, con un coraggio inaudito,
reinventa completamente la lingua, stravolge la punteggiatura,
sopprime le congiunzioni coordinative che servono a fissare il
pensiero in una forma logica, fa scomparire la frase chiusa,
destruttura il discorso. Tutta la prima parte del libro,
apparentemente confusa, mescola considerazioni poco lusinghiere sulla
medicina, «questa merda», e un lungo delirio di malarico.
Per il lettore disorientato, la storia comincia veramente solo al
termine di una quarantina di pagine con: «Il secolo passato posso
parlarne, l’ho visto finire… È partito sulla strada dopo Orly…
Choisy-le-Roi… Era nei dintorni di Armide dove lei dimorava ai
Rungis, l’aiuola della famiglia…
» Termina in un modo brusco:
Ferdinand si prepara ad arruolarsi nell’esercito, cosa che lascia
supporre un seguito (sarà Casse-Pipe, di cui solo la prima
parte ci è nota). Miracolo di scrittura, di sensibilità e di
precisione, Mort à crédit è un capolavoro assoluto, un
incanto di 700 pagine.
Quasi altrettanto riuscito dal punto di
vista dello stile, più che possano [ho inventato la traduzione],
Guignol’s band resta, ancora oggi, troppo misconosciuto.

Bisogna aggiungere all’opera romanzesca di Céline, la
sua tesi di medicina, scritta nel 1923 e sostenuta nel maggio 1924,
La Vie et l’Oeuvre de Philippe-Ignace Semmelweis. In quello
che è molto più un romanzo che un’opera scientifica, la prosa resta
convenzionale, ma possiede già un’originalità e un soffio epico
innegabili. Il testo si apre su questo meraviglioso pezzo di bravura:
«Mirabeau gridava così forte che Versailles ebbe paura. Dalla
Caduta dell’impero romano, mai simile tempesta s’era abbattuta sugli
uomini, le passioni in onde spaventose si elevavano fino al cielo. La
forza e l’entusiasmo di venti popoli sorgevano dall’Europa
sventrandola. Ovunque non c’erano che tumulti d’esseri e di cose.
»

Si noterà che, contrariamente a quello che è
abitualmente ammesso, Féerie pour une autre fois (1952) e
Normance (1954) non sono qui citati tra le opere romanzesche.
Ci sembra in effetti che questi due libri, che evocano i
bombardamenti sulla collina di Montmartre dell’aprile 1944 e i
preparativi della fuga di Céline verso la Germania nel giugno dello
stesso anno, si riagganciano organicamente a D’un chateu l’autre,
Nord, e Rigodon, la serie di cronache raggruppate sotto
il titolo generico Trilogia tedesca, di cui sarebbero il
preambolo.

Anche se tra il 1936 e il 1944 Céline
redige Casse-pipe e Guignol’s band, durante questo
periodo, abbandona il romanzo per il pamphlet. Nel 1936, dopo un
viaggio in URSS dove è andato a spendere i diritti d’autore di
Voyage au bout de la nuit tradotto da Elsa Triolet, crea il
suo Ferdinand au pays des soviets, un breve testo,
violentemente anticomunista, nel quale il termine ebreo compare una
sola volta: Mea Culpa. Durante il suo breve soggiorno tra
Mosca e Leningrado, nulla ha trovato grazia agli occhi di questo
individualista forsennato. Tutto gli ha fatto orrore: il lavaggio del
cervello della propaganda, il popolo irregimentato, affamato e
ridotto al silenzio, la polizia onnipresente, i privilegio
esorbitanti degli apparaticks. Riporta questo con tutta la veemenza
di cui è capace, e, per la prima volta, lo fa senza nascondersi
sotto la maschera trasparente ma comoda del Bardamu dei romanzi.
Ormai, abolita ogni distanza, apostrofa direttamente il lettore.

Ma, la Russia comunista non rappresenta che un pericolo
lontano; ne esiste un altro infinitamente più vicino e pericoloso.
Céline è persuaso che gli ebrei, dopo aver invaso la Francia e
dirottato nelle loro mani tutti i beni, vogliono spingere il paese in
guerra. Bagatelles pour un massacre è pubblicato alla fine
del 1937. Dall’epigrafe, questo primo pamphlet antisemita è
rivendicato come una macchina da guerra: «È villano, non andrà
mai in paradiso, colui che muore senza aver regolato tutti i suoi
conti
.» Il volume conta 384 pagine di grande formato, dai
caratteri stretti, i cui tre quarti si riducono a terribili diatribe
contro gli ebrei, un’esplosione antisemita d’una malafede assoluta,
costruito a partire da citazioni monche, di fantasia o inventate, o
di false statistiche. L’insieme in uno stile ahimé! abbagliante di
verve e d’invenzione. Letteratura, cinema, teatro, finanza, politica,
tutto ci passa. La tesi è semplice: Céline il grande bardo celta
escluso, il mondo intero è ebreo: il papa, i Borboni che ritiene
abbiano «un nasone» e «l’aria abissina», la
famiglia reale inglese, Cézanne, Picasso, Maupassant, Racine,
Stendhal, Zola. E quelli che straordinariamente non sarebbero ebrei
sono ebraizzati, dalla nobiltà francese che «ha succhiato più
dal fottuto ebreo di quanto bisognerebbe per alluvionare la piana
d’Azincourt…
» fino agli antisemiti di professione: «Quando
i Francesi fonderanno una lega antisemita, il Presidente, il
Segretario e il Tesoriere saranno Ebrei
.» Di fronte alla
violenza del proposito, il drammaturgo Jacques Deval, un amico intimo
di Céline, dirà che si tratta d’un «attacco di ebrezza
mentale
.» Lo scrittore Jean-Louis Bory vedrà nel libro «la
rottura d’una fogna
.» È un’«eiaculazione precoce» per
il saggista Philippe Muray. Gide riassume al meglio l’opinione
pressoché generale: «Se non era uno scherzo allora sarà,
Céline, completamente matto
.» Il quarto restante dell’opera,
attraversata da folgorazioni inaudite e un’autoderisione permanente,
assomiglia a un gigantesco minestrone. Argomenti di balletti che
aprono e chiudono il libro su un tono leggero, quasi scherzoso, ma
che sono anche il primo pretesto all’antisemitismo di Céline: è
perché gli ebrei rifiutano di allestire le sue opere che li attacca.
Constatazione del Dr Destouches, igienista, dei danni d’un alcolismo
endemico sulla popolazione francese. Il primo appello a lottare
contro l’inquinamento di Parigi: «Popolazione da maggio, immersa,
mantenuta, legata a una prodigiosa campana a gas, a soffocare,
strangolata dalle emanazioni, le volute di mille fabbriche, di
centomila vetture in movimento… Ventilazione nulla, Parigi tubo di
scappamento senza scappatoia [Gioco di parole NdT]. Vapori, nuvole di
ogni carburo, di ogni olio, di ogni marciume fino al decimo piano
della tour Eiffel. Una cisterna asfissiante in fondo alla quale noi
strisciamo e crepiamo…
» Lo smontaggio dei meccanismi di quello
che non si chiama ancora show-business, si ha l’impressione,
leggendolo, d’esser seduti davanti a certi programmi in voga di
telereality: «Come si fabbricano, ve lo chiedo, gli idoli di cui
si popolano tutti i sogni delle generazioni di oggi? Come possono il
più infimo cretino, la canaglia più ributtante, la più disperata
donzella, tramutarsi in dei?… in dee?… raccogliere più anime in
un giorno che Gesù Cristo in due mila anni?… Pubblicità! E più
inetto, più insignificante è l’idolo scelto all’inizio, più quello
ha possibilità di trionfare nel cuore della gente… meglio la
pubblicità si aggancia alla sua nullità, penetra, produce
l’idolatria… Sono le superfici più lisce che prendono meglio la
pittura
.» L’esilarante visita di un ospedale russo, in cui
niente è tuttavia divertente, guidato da un [certo] dottor
Touvabienovitch (Céline precisa che è uno dei rari medici non
ebrei) dall’inossidabile ottimismo di comando. O ancora,
nell’esercizio letterario più difficile, colui che usa
invariabilmente la banalità o il cliché, Céline compone una
melodia dolce senza leziosaggine, malinconica senza tristezza, per
una descrizione puntinista di San Pietroburgo, che, se non si
trovasse in quel libro lì, figurerebbe in tutte le antologie della
letteratura francese.

Bagatelles produce l’effetto di
una bomba. Di fronte all’immenso successo, l’editore Denoel non
smette di richiedere al suo autore un altro testo della stessa vena.
Ora, Céline ama i soldi tanto quanto detesta gli ebrei. Per questi
motivi, in poche settimane, mentre in genere lavora lentamente,
scrive L’École des cadavres, che esce nel novembre 1938.
L’urgenza è tale che non prende neanche la pena di citare le sue
fonti, accontentandosi di tagliare e di incollare direttamente sul
suo manoscritto gli estratti dei volantini di propaganda antisemita
che utilizza come sua documentazione. Più insensatezza, violenza,
ebrei, un razzismo rivendicato con ancor più vigore, L’École des
cadavres
è un’iperbole andata a male di Bagatelles pour un
massacre
.

Les Beaux-Draps, il cui titolo inizialmente
doveva essere Notre Dame de la débinette, esce alla fine di
febbraio 1941, appena otto mesi dopo l’umiliante sconfitta di luglio
1940, la peggiore mai subita dall’esercito francese. Il libro è un
po’ più di un pamphlet; non si tratta più di gridare al lupo, il
disastro profetizzato nei due scritti precedenti è ha avuto luogo,
resta da ricostruire sulle macerie. Il “si prega d’inserire” che
accompagna il volume è del resto molto chiaro: «Misure di salute
pubblica, proposte dallo scrittore che aveva previsto tutto, tutto
predetto
.» Ormai, Céline propone un vero manifesto politico che
analizza una situazione, disegna un progetto e indica la strada da
seguire.

Chiaramente definito, il primo imperativo: «Razzismo
in primis
» è martellato incessantemente. A dispetto di quello
che dicono alcuni, Les Beaux-Draps è un libro antisemita in
cui in ogni proposta è puntellata, ben strutturata, dall’odio per
l’ebreo. Prima di tutto, bisogna liberarsi di quelli che Céline
continua a veder dappertutto, sempre tanto potenti e numerosi,
malgrado gli statuti, i decreti e i numerus clausus. Poi,
pulizia fatta, in un paese liberato dai suoi «parassiti»,
instaurare un regime egalitario alla francese, un programma radicale
che Céline chiama «comunismo Labiche» il cui principio è
semplice: «Parliamo meschino, parliamo mediocre, saremo sicuri di
non sbagliarci
.» Nazionalizzazioni: «Nazionalizzo le Banche,
le miniere, le ferrovie, l’industria, i grandi magazzini…
Kolkhozifico l’agricoltura a partire da un tot d’ettari, le rotte
marittime di navigazione, trovo lavoro per tutti. E quelli che non
vogliono lavorare? Li sbatto in prigione, se sono malati li curo

Riduzione dell’orario di lavoro a trentacinque ore (ancora
un’incredibile premonizione). Rigida regolamentazione dei salari in
una forchetta compresa tra 100 e 300 franchi senza alcuna possibile
deroga. Casa e sicurezza per tutti con «la seconda casa,
ereditaria e bene di famiglia, insequestrabile in nessun caso, e il
giardino di cinquecento metri, e l’assicurazione contro tutto. Tutti
piccoli proprietari
.» Questa «rivoluzione del ceto medio»
messa in pratica, la giudaglia sradicata, una fraternità ariana
potrà allora instaurarsi e occuparsi dell’essenziale, dell’avvenire:
i bambini e la loro educazione. La riforma indispensabile, la più
importante, è quella dell’insegnamento divenuto «un disastro di
pantomima
». Questa nuova scuola dovrà preservare e far nascere
l’artista che ogni bambino ha in sé: «La salvezza con le
Belle-Arti! invece di imparare i participi e tanta geometria e fisica
non divertenti, basta scombussolare le nozioni, dare la priorità
alla musica, ai canti in coro, alla pittura, alla composizione
soprattutto, alle idee delle danze personali, ai rigodon singolari,
tutto quello che profuma la vita. Che il corpo riprenda gioia di
vivere, ritrovi il suo piacere, il suo ritmo, la sua verve persa, le
estasi del suo volo… Lo spirito seguirà!… Lo spirito è un corpo
perfetto, una linea mistica prima di tutto, la morbida curva di un
gesto, un messaggio d’amore. In ognuno liberare l’artista! ridargli
la chiave del cielo!
» Nella Francia inacidita di Pétain, questo
libro dalle ingenuità libertarie, è, non c’è da meravigliarsene,
male accolto.

La maggior parte delle volte, quando
si tratta d’evocare la scrittura pamphlettaria di Céline, l’elenco
si ferma ai quattro titoli «proibiti»:
Mea
culpa
, Bagatelles
pour un massacre
,
L’École des
cadavres
, Les
Beaux-Draps
. Ora,
bisogna aggiungerne altri due.
À
l’agité du bocal
,
un testo scatologico di una violenza inaudita che se la prende con
Sartre dopo che questo aveva accusato Céline d’esser stato pagato
dai Tedeschi. «
Nel
mio culo dove si trova non si può chiedere a J.B.-S.
[per
Sartre, del quale Céline finge di credere che il nome di battesimo
sia Jean-Baptiste]

di vederci chiaro né di esprimersi chiaramente, J.-B. S. sembra che
abbia tuttavia previsto l’ipotesi della solitudine e dell’oscurità
nel mio ano…
» Ed
Entretiens avec le
professeur Y
, una
sorta di piccolo saggio inclassificabile, che si presenta come una
serie di dialoghi richiesti da Gaston Gallimard al fine di rilanciare
Céline dopo i fallimenti successivi di
Féerie
pour une autre fois

e di
Normance.
Céline, con una buffoneria senza tregua, definisce la sua arte
poetica, se la prende con l’editoria, con la nuova maniera di vendere
libri totalmente subordinata alla pubblicità, alla radio e alla
televisione (dice ciò nel 1955 quando la televisione non è niente),
con quei romanzi senza consistenza che farebbero meglio a essere
scritti direttamente come sceneggiature di film. Quest’inventario del
mondo letterario, da leggere con urgenza, resta, ancor oggi, tanto
pertinente che d’attualità.

L’ultima parte
dell’opera corrisponde al periodo della vita a Meudon durante il
quale Céline arriva al termine d’una evoluzione logica. Ha
cominciato con il romanzo, mettendo in scena dei personaggi inventati
nell’ambiente della finzione. Poi è passato al pamphlet, un genere
nel quale le luci riconducono al reale, ma un reale deformato e
caricaturale. Alla fine della sua vita, si presenta come un
memorialista, un testimone che non direbbe altro che la verità (è
quello che Céline non cessa d’affermare per tutti i suoi scritti, ed
è naturalmente falso). Questa posizione di principe è
indispensabile, perché,
Féerie
pour une autre fois
,
Normance,
D’un chateau
l’autre
, Nord
e infine
Rigodon
terminato il 30 giugno 1961, alla vigilia della morte, fanno parte di
una vasta impresa di riabilitazione: del mondo della Collaborazione
in generale e del caso Céline in particolare.

L’insieme, che costituisce una
cronaca dell’esilio incentrata attorno a tre personaggi: Céline, sua
moglie Lucette e il loro amico, l’attore Robert Le Vigan, svolge il
catalogo delle sofferenze vere o immaginarie che sono loro inflitte,
e soprattutto, sviluppa un’arringa difensiva, perché, Céline, che
non lo dimentichiamo dice ora solo la verità, lo afferma, sono degli
innocenti, meglio, dei patrioti perseguitati. Gli ultimi mesi a
Parigi e i preparativi della partenza sono il soggetto di
Féerie
pour une autre fois

e di
Normance.
I soggiorni a Baden-Baden (Céline scrive Bains-Bains), nella Berlino
in rovina poi nella tenuta di signorotti prussiani, quello di
Nord,
in cui i tre fuggitivi sono messi al sicuro. Il passaggio per
l’enclave francese di Sigmaringen dove Céline diventa medico della
colonia di collaboratori essendo finito lì dopo esser fuggito dalla
Francia è raccontato in
D’un
chateau l’autre
.
Infine, l’attraversamento della Germania sotto le bombe alleate per
varcare la frontiera danese e raggiungere Copenaghen in
Rigodon.
Questi ultimi tre volumi, generalmente indicato sotto il termine
generico di
Trilogia
tedesca
sono
un’autonarrazione prima del tempo, e si noti che qui ancora, l’ordine
di pubblicazione non rispetta la cronologia. Con
Nord,
ultima opera pubblicata da vivo, Céline crea forse il suo libro più
riuscito, un grande romanzo crepuscolare.

Questo catalogo di
opere può sembrare ben cupo, un po’ ributtante, mentre Céline è
prima di tutto una lingua unica composta d’improbabili intrecci di
parole, di acrobazie grammaticali, di neologismi stupefacenti, uno
stile in permanente invenzione che procura un piacere di lettura
singolare ed eccezionale. Nessuno scriveva in quel modo prima di lui,
nessuno lo farò dopo, tutti i tentativi d’imitazione hanno portato a
dei risultati pietosi o ridicoli. E questa «
petit
musique
» si guarda
bene dal girare a vuoto, di limitarsi alla sciocca vanità della
bravura. Messa al servizio dell’emozione affinché «
tocchi
il nervo
» del
lettore, permette a Céline di correggere il vecchio adagio biblico
«
In principio era
la parola
» in «In
principio era l’emozione
».
Ma, il più misconosciuto è senza dubbio l’umorismo molto nero,
molto divertente che attraversa tutti questi testi. Céline può,
raccontando i peggio orrori, con delle parole che appartengono solo a
lui, fare di volta in volta piangere dall’emozione o urlare dal
ridere. La scoperta d’un simile scrittore è talmente sconvolgente,
che si può solo invidiare quelli che non avranno ancora mai aperto
uno dei suoi libri.