INDRO MONTANELLI – LE PASSIONI DI UN ANARCO-CONSERVATORE

 

INDRO MONTANELLI – LE PASSIONI DI UN ANARCO-CONSERVATORE
Intervista a cura di Marcello Staglieno
LE LETTERE – Collana PICCOLA BIBLIOTECA DI NUOVA STORIA CONTEMPORANEA – IL SALOTTO DI CLIO n.23 – 2009

In questo libriccino la casa editrice Le Lettere propone al pubblico un’intervista, rimasta per anni inedita per motivi contrattuali, frutto di sei incontri del maggio 2000 con Marcello Staglieno, incontri realizzati al fine di trarne una prefazione ai Diari 1945-1950 di Giovanni Ansaldo. Ritrovata tra le carte dello stesso Staglieno dopo la morte di Montanelli (2001), eccola ora finalmente pubblicata…
Per lo più autobiografica, in essa il lettore può ritrovarvi il Montanelli “controcorrente” di sempre…
In chiusura un breve saggio di Staglieno che critica alcuni aspetti di due libri antimontanelliani confutandone con prove le tesi…

PREFAZIONE: Francesco Perfetti p.5

NOTA D’INTRODUZIONE: Marcello Staglieno p.13

INTERVISTA
A cura di Marcello Staglieno p.17

Qual era il mio stato d’animo nel 1945? Non dissimile da quello di Giovanni Ansaldo, pur nella diversità profonda delle rispettive esperienze. Un misto di gioia, inquietudini, speranze. E disgusti. Il 29 aprile fui testimone, in piazzale Loreto a Milano, del feroce ludibrio cui furono sottoposti a cadaveri di Mussolini e Claretta, assieme a quelli dei gerarchi fucilati a Dongo. Scene da Messico, che avrebbero potuto travolgere anche me, se mai qualcuno m’avesse riconosciuto e magari indicato come “fascista”. Rimasi invece confuso tra la folla, un angelo custode mi rese forse invisibile, davanti a quell’indegno spettacolo. Ebbi, una volta di più, conferma della crudele volubilità – specie qui da noi – della folla che, osannato Mussolini solo pochi mesi prima al Teatro Lirico, ora ne vituperava le spoglie […]. (p.19)

Marcello StaglienoAnche in Svizzera, dove eri riuscito a fuggire scampando a una condanna a morte, non eri stato di certo bene accolto dagli esuli antifascisti…

M. – Proprio no. In quella fine 1944 i tempi erano davvero duri, soprattutto in Italia, e capisco che anche i fuoriusciti avessero i nervi a fior di pelle. Mi trattarono con sospetto, qualcuno addirittura si spinse ad accusarmi di «apologia di fascismo». A me, che avevo appena rischiato la pelle, quell’accusa giunse però davvero inaspettata. Poi capii: erano loro che non capivano, non potevano, che noi giovani, da soli, avevamo fatto nascere, dal di dentro del fascismo, un altro antifascismo, ben diverso da quello di quanti erano andati in esilio. (pp.19-20)

Io ero approdato giovanissimo al fascismo, proprio quando Mussolini stava facendo cose abbastanza serie, debellando la mafia e il banditismo in Sicilia e in Sardegna, costruendo le «città nuove» con la bonifica delle Paludi Pontine e allestendo una bellissima aviazione. Ma mi piaceva sentirmi controcorrente: e mi laureai con una tesi sullo splendido isolazionismo inglese, esaltandolo e credendomi per questo un eroe. (p.20)

Mi arruolai per la guerra d’Africa, partecipando con patriottico slancio a quell’avventura alla Kipling (…). Ma già nel 1937, nella redazione romana dell’«Omnibus», il primo rotocalco italiano “inventato” e diretto dal mio grande amico Leo Longanesi, non ci misi molto ad accorgermi quanto poco si celasse dietro la retorica del regime. E cominciai a prendere le distanze dalla mia antica bandiera, che alla fine disertai, ma prima che cadesse. Inviato in Spagna dal «Messaggero» nel 1937, con accordi di collaborazione a «Omnibus» e all’«Illustrazione italiana», venni subito rispedito in Italia per «disfattismo». Da testimone oculare avevo osato scrivere che la battaglia di Santader, definita «sanguinosa» dagli altri giornalisti, era stata in realtà «una lunga passeggiata militare con un solo nemico: il caldo». Venni cacciato dal Pnf e radiato dall’albo dei giornalisti. Ad aiutarmi fu Peppino Bottai, che mi mandò a dirigere un piccolo Istituto di cultura, quello di Tallin in Estonia. E grazie a un membro del consiglio direttivo della Federazione della Stampa, il prefetto Piero Parini che tra l’altro lo stesso Ansaldo ricorda nelle sue affascinanti (e a tratti tormentate) pagine di questi Diari ottenni anche l’incarico di lettore di letteratura italiana alle Università di Dorpat e Tartu. Evitato dunque il confino, grazie a Bottai e a Parini, prima di partirmene per l’esilio estone, mi recai a Parigi, per incontrarmi con Pippo Naldi, ex- direttore de «Il Tempo» (e antico amico di Mussolini, perché tra i promotori-finanziatori del «Popolo d’Italia» nel 1914). E gli comunicai di voler fare il fuoriuscito. (pp.21-22)

S.Eri già antifascista?

M. – Potrei risponderti con la memorabile battuta che saltò fuori nel 1950 dallo scetticismo di Mario Missiroli: «Il fascismo? All’inizio non ci credevamo, poi fingemmo di crederci, poi forse ci credemmo facendo finta di non crederci e alla fine ne fummo disillusi ma senza più ben sapere, oggi, se ci abbiamo creduto oppure no». In realtà ero un fascista deluso e stanco: la molla del patriottismo, a furia di scattare a vuoto, in me s’era guastata. (p.22)

Berto Ricci fu forse l’unico maestro di carattere ch’io mai abbia  avuto. (p.26)

[…]se non fossimo entrati in guerra, il regime sarebbe morto in modo non violento, come in Spagna. Saremmo stati noi, gli ex-fascisti, a liquidarlo, poiché l’avevamo già liquidato in noi stessi. Per quanto mi riguarda, il distacco l’avvertii definitivo in quell’esilio estone, dal quale “evadevo” con il mio forsennato amore verso il “mestiere”. (p.27)

… la corrispondenza dall’estero… l’antifascismo… l’arresto… la fuga… in Svizzera… il rientro in Italia.. il Corriere del dopoguerra… Qui non riposano e Morire in piedi… l’impegno anticomunista come “male minore” alla possibile bolscevizzazione…

[1976]. Ma non me ne pento, in quel momento bisognava impedire l’accesso del PCI nell’area di governo, si trattava di scegliere il male minore. Del resto non facevo, in senso lato, che seguire anche l’esempio di Giolitti. (pp.49-50)

…l’attentato del 1977…

Il rapporto con Longanesi ed Ansaldo…

[…]sognavamo una Destra che – lontana dal neofascismo del Msi quanto dal qualunquismo di Giannini – facesse propri quei “valori borghesi” che s’incarnarono nei notabili liberali della Destra storica e, in Europa, in quella tradizione protestantica, teorizzata da Max Weber nell’altrettanto celebre saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, un’etica alla quale in Italia s’era opposta la Controriforma. (pp.62-63)

Oggi c’è l’Italia dell’Ulivo, domani ci sarà probabilmente quella del Polo: in realtà esiste solo l’eterna Italia, municipale e rissosa ma pronta sempre al compromesso e all’accomodamento, dove a comandare possono anche alternarsi i più variegati personaggi, all’ombra di altrettanto variegate sigle. Per molti, non c’è che arrendersi all’evidenza e adattarsi, come suggeriva Giolitti, a «prendere quel che passa il convento». Da parte mia, go tentato di scrivere, e agire, per farla diversa, questa nostra Italia, dando almeno testimonianza dei miei sforzi. Chiedo ai giovani di ricordarsene, se vorranno, mentre sempre più ci stiamo inoltrando in Europa, come nel Sei-Settecento: con i nostri inimitabili talenti, ma da apolidi. (p.68)

APPENDICE
MONTANLLI DA BERNA A PIAZZALE LORETO (29 april 1945)
Di Marcello Staglieno p.69