HERMAN MELVILLE – POESIE DI GUERRA E DI MARE

HERMAN MELVILLE – POESIE DI GUERRA E DI MARE
HERMAN MELVILLE – POESIE DI GUERRA E DI MARE

HERMAN MELVILLE – POESIE DI GUERRA E DI MARE

MONDADORI – Collana LO SPECCHIO – 2019

SCELTE E TRADOTTE DA ROBERTO MUSSAPI

TESTO INGLESE A FRONTE

PRESENTIMENTI (1860) p. 3

Quando vedo le nubi atre dell’oceano addensarsi

sulle colline dell’interno estendersi infuriando

nel bruno del tardo autunno, e la valle

fradicia rabbrividire d’orrore

e il campanile precipitare di schianto sulla città

allora penso ai cupi mali della mia terra

la tempesta che esplode dal deserto del tempo

sulla speranza più luminosa del mondo avvinta

al crimine più orrendo dell’uomo.

Adesso il lato oscuro della natura si staglia

e l’ottimismo sgomento si è dissolto;

nemmeno per un bambino ha misteri il cupo ciglio

di quella montagna nera, solitaria.

I torrenti precipitano dalle gole urlando

e nuove tempeste si addensano alla tempesta presente:

l’abete trema e si scuote nella trave,

la quercia nella chiglia che solca. (pp. 3-5)

CONFLITTO DI CONVINZIONI p. 7

Su altezze stellate

una tromba geme il lungo richiamo

la derisione agita il profondo abisso,

il silenzio ostile del cielo incombe su tutto.

Torna, speranza ardente

affronta la seconda caduta dell’uomo.

Gli eventi sgomentano chi sogna

la vecchiaia di Satana scoppia di salute

[…]

adempiranno gli schiavi di Mammona ai propositi

distrutti, di cui i martiri di Cristo impallidirono? (p. 7)

Ma Dio mantiene il suo primo proposito

e conferma il suo antico decreto,

le generazioni sono assuefatte al dolore

e la forte Necessità sorge, e ammucchia

naufragi sulle rive del tempo.

La gente si sparge come un’erba selvaggia

e ciò che vuole porta a compimento

e prospera fino al colpo apoplettico

mentre la folla si accalca attorno al cuore

e dalla nera oscurità si genera lo spettro.

I re scuotono la testa: salva te stesso

tu che volevi rifondare il mondo in fiore. (p. 9)

Secolo dopo secolo sarà

come secolo dopo secolo è stato

(dal cuore immutabile dell’uomo traggono la loro via)

e la morte avrà campo con tutti quelli che lottano

la morte, con la negazione muta. (p. 13)

APATIA ED ENTUSIASMO (1860-61) p. 15

I

Quel novembre freddo, vischioso

nel bianco inverno morto e il terrore

muto di torpore nel cielo come in un lenzuolo

di piombo. «Tutto è perduto» e il grido

recava il grido degli eventi come schianti

di tuono in una massa di ghiaccio, nel gelo

implacabile, uno sull’altro attraversavano

l’orrore del silenzio. E il braccio

paralizzato nell’angoscia del cuore

e quel grande vuoto, la morte.

Mentre la madre gridava a ogni fratello

«Non separarti così, salvati almeno dall’odio»

e sopra il fuoco, sulla pietra la crepa

si dilatava senza sosta.[…]

II

Così disperando morì l’inverno

e le fiacche settimane della quaresima

i fiumi vetrificati dal gelo ruppero i ghiacci

e la tomba della fede si aprì in una ferita. (p. 17)

IL TETTO. NOTTURNO (Luglio 1863) p. 35

Non c’è sonno, l’afa satura l’aria

e agguanta il cervello, una dura oppressione,

come alle tigri bronzee, nelle ombre tormentate

quando il sangue si irrita e si contrae, feroce.

Sotto le stelle si stende il deserto dei tetti

vuoto come una Libia, e tutto è muto, tutto.

Eppure, da lontano, una spuma di suoni indistinti

si frange, confusa, l’ateo urlo della rivolta. (p. 35)

La città è rosa dai topi, vinta dai topi

dalle navi, delle banchine. (p. 37)

L’ANGELO DELLA PALUDE p. 39

C’è un angelo nero carbone

col labbro spesso, da africano

e abita in una palude,

come i braccati e i senza pace

dove si tuffano le verdi rane. (p. 39)

NEL CAMPO DI PRIGIONIA (1864) p. 45

Indifferente guarda la palizzata

le sentinelle nella luce abbagliante:

qui è deserto come una spiaggia di pellicani

lì ha termine il suo mondo.

Non c’è niente da fare e dalle mani che si muovono

inutilmente, nasce la pena vana e idiota

mentre cerca di pensare, di stringere,

ma, nel cervello, è offuscamento.

Attorno a lui sciamano le dolorose ombre

come quelle della spiaggia di Virgilio

una landa di volti indistinti

e di rilievi pallidi e bianchi.

Il sole martella, non c’è capanna né albero

brancola verso la tana

un covo scavato nella terra da mani malate

– prima che la fame ultimasse il logorio –

o sulle sue stesse piante scivola e sviene

fissato al muro dalla turba che preme

finché traverso la folla lo portano via morto

morto nella sua carne spogliata. (pp. 45-47)

LA TEMPESTA IMMINENTE

[Per il quadro di S. R. Gifford, di proprietà di E. B. esposto alla Mostra Nazionale nell’aprile 1865] p. 53

[…]

L’Amleto del suo cuore sapeva

che tali cuori oltrevedono

e nessuna sorpresa coglierà chi giunge

nel nucleo segreto di Shakespeare:

ciò che cerchiamo e fuggiamo è lì,

l’estrema conoscenza umana. (p. 55)

IL TUMULO PRESSO IL LAGO p. 61

L’erba non dimenticherà mai questa tomba.

Quando calpestandola nel sole, verso casa

dopo la corsa in treno, spossante,

soldati ragazzi passarono alla sua porta

feriti forse, e pallidi, esangui

lei lasciò il lavoro di casa incompiuto

preparò in silenzio la tavola lungo la strada

tra le ombre dei sempreverdi, per offrire

a loro esausti del viaggio, grati.

Così fu caldo il suo cuore, senza figli, vergine

che diede loro conforto, come una madre. (p. 61)

IL LAGO

PONTOOSUC p. 71

[…]

Sentivo la bellezza benedire il giorno

nell’opulenza del dono autunnale

ma anche l’evanescenza inarrestabile.

È passato un anno da un’ora come questa

che solo precede di poco la raffica

che spazzerà queste foglie vive dal passato

delle altre foglie morte. (p. 73)

[…]

Tutto muore…

Rimasi a lungo sul confine del sogno

poi per scordare l’oltraggio antico della morte[…]

Tutto muore… e non solo

gli alberi elevati e gli uomini e l’erba

anche le forme lucenti dei poeti, passano

e le imprese solenni si sgretolano

anche la verità stessa decade e, guarda,

dalle sue ceneri amare cresce e menzogna e pena.

Tutto muore…

L’uomo che opera muore, e poi la sua opera

e come di questi pini di cui seguo le tombe

statua e scultore cadono a pezzi

in ogni amaranto si annida un verme […] (p. 75)

«Muore, tutto muore!

L’erba mure, ma nella pioggia primaverile

ricresce, e vive di nuovo

sempre, di nuovo

vive, muore, e vive ancora.

Chi piange per questa morte di tutto?

Estate e inverno, gioia e dolore

e ogni cosa ovunque nel regno di Dio

finisce e tra poco inizierà di nuovo,

declina e cresce, cresce e declina,

ancora e con violenza

finisce, finisce, sempre, e inizia di nuovo

finisce, finisce sempre, ricomincia!» (p. 77)

IL TESSITORE p. 83

[…]

La faccia raggrinzita, il corpo chino,

non conosce il riposo né il vino,

vive recluso nell’astinenza,

chi tesse per l’altare di Arva. (p. 83)

FONTI SOLITARIE

Lo so: la gioventù favolosa fugge e svanisce:

ma tu non guardare il mondo con occhi mondani,

non adeguarti al ritmo delle stagioni.

Anticipa e precludi la sorpresa,

sta’ dove staranno i Posteri,

sta’ dove son stati e sono gli Antichi,

e immerse le tue mani in fonti solitarie,

bevi l’essenza del sapere immutabile:

saggio una volta, sarai saggio per sempre. (p. 85)

BUDDHA (p. 87)

“Infatti che cos’è la vostra vita? Nient’altro che un vapore, brevemente appare per poi dissolversi e svanire”

Nell’estasi nuova verso il meno,

aspirante al nulla!

Singhiozzi di mondi, dolore di stirpi…

Questo, i muti sofferenti…

Nirvana! Assorbi tutti noi nei tuoi cieli,

annientaci in te! (p. 87)

IL CAPITANO DEL METEOR p. 103

Solo sull’abisso più solo della terra

marinaio che vegli senza tregua

pensoso e leggero superi il Capo delle Tempeste

su onde mostruose che si arricciano e si infrangono.

Pensiamo a te, qui, dal margine

quando soffiamo il sidro in bolle schiumeggianti,

a te, mentre ci stringiamo in cerchio

a te che radi il vello dell’oceano,

e al Meteor che rolla verso casa. (p. 103)

IL FALCO DELLA NAVE DA GUERRA

Quel falco nero

della nave da guerra

che rotea nella luce

sopra la vela più alta, bianca

della nave nera

come una nuvola annerita dal sole

noi che voliamo basso, schiavi della gravità

abbiamo ali per ascendere alla sua altezza?

Nessuna freccia lo può raggiungere, nemmeno

il pensiero accedere alla quiete

suprema nel cerchio del suo regno. (p. 113)

LA MONTAGNA DI GHIACCIO. UN SOGNO p. 141

Ho visto una nave dall’aspetto guerriero

coi vessilli al vento con le vele spiegate

trascinata come da pazzia e basta

sfrecciare contro un iceberg immobile

e non lo scosse, anche se già la nave esaltata si inabissava.

Il cozzo precipitò grandine di immensi cubi di ghiaccio

cupi a tonnellate sfondarono la tolda:

ma quella sola valanga fu tutto

nulla si mosse, solo il relitto che colava a picco.

Dagli sperono dalle pallide creste

nemmeno l’albero più sottile e fragile nemmeno

un prima precipitò nel deserto delle gole di verde cristallo,

le stalattiti nelle grotte nelle miniere non ebbero

vibrazione quando la nave attonita colò a picco,

non un fremito scosse i gabbiani che in una bianca nuvola

ruotavano lontani attorno a un picco dai fianchi nevosi

ma neppure gli uccelli più vicini che sfioravano i banchi

bassi di ghiaccio e le rive di cristallo ebbero un brivido.

dall’urto nessun trasalimento scosse il blocco

delle orride guglie alla base,

le torri miniate dalle onde restarono immobili

sul mare sovrastante il gelido strapiombo.

Le foche viscide sonnecchianti sugli scogli scivolosi

non sgusciarono via, mai, quando agli orli più alti

rovesciata da pura inerzia la nave sussultante

s’inabissò nel vuoto nulla.

Montagna inanimata pensai, così gelida e basta

annuvolata dalla tua umidità esiziale

che esali ancora il tuo fiato stillante e alla deriva

ti compi sciogliendoti, nata per la morte,

anche se immensa e fragorosa sei come un marinaio idiota

ti muovi lenta e quelli che in te s’imbattono

ti maledicono e si inabissano a sondare il tuo precipizio nel fondo

ma non turbano la molle sonnolenza del lumacone vischioso

mollemente sdraiato lungo la morta

indifferenza delle tue mura. (pp. 141-143)

JOHN MARR p. 151

John Marr, ex marinaio, si stanzia nel 1836 in un villaggio dell’entroterra. Lì si sposa, divenendo in breve vedovo a causa delle febbri che gli uccidono moglie e figlio…

Avulso dagli interessi dei compaesani, contadini che non hanno mai visto altro che le proprie terre, per colmare il vuoto del lutto e della solitudine finisce per rifugiarsi nel ricordo dei luoghi visitati e dei compagni per nave incontrati…

POSTFAZIONE

Di Roberto Mussapi p. 171