HERMAN MELVILLE – CLAREL

HERMAN MELVILLE – CLAREL
ADELPHI – Collana PICCOLA BIBLIOTECA n. 304 – 1993

TRADUZIONE: Elémire Zolla
TITOLO ORIGINALE: Clarel. A poem and pilgrimage in the Holy Land

Testo inglese a fronte.
Versione NON integrale.

PREFAZIONE
Di Elémire Zolla p. 9

CLAREL p. 69

I – GERUSALEMME p. 71

I – L’OSTELLO p. 73

Un giovane studente di teologia si reca a Gerusalemme dove, inquieto, si ritrova a riflettere in una squallida stanza…

In stanza bassa e graffiata dal tempo[…]
siede uno studente e rimugina solitario (p. 73)

Ma qui disimparando, come mi si schiude,
vasta distesa, il mare del tempo! (p. 77)

Clarel il suo nome…
Al crepuscolo scende in cortile…

Ma il crepuscolo si rinserra. Egli scende
e si dirige al cortile interno. (p. 83)

II – ABDON p. 84

In cortile Clarel raggiunge Abdon, l’ebreo nero, originario dell’India e tornato a Gerusalemme da Amsterdam per trovarvi sepoltura… Parlano delle tribù disperse e degli ebrei neri…

Dall’India a Sion sono venuto,
ma meno per vivere che per morire a casa mia. (p. 89)

Si separano e, tornato in stanza, Clarel vanamente cerca di trovare conforto negli esercizi spirituali… Solo leggendo riesce infine, dopo molto, ad addormentarsi…

In piedi o sdraiato, del pari l’anima
gli risultò afflitta dalla quiete senza rumore,
finché il sonno, la buona nutrice, si accostò accorto
al suo letto e per incantarlo
gli afferrò la pallida mano nella sua,
senza più lasciarlo finché la notte non fu trascorsa. (p. 93)

XXV – TUGURI p. 94

In una via il pietoso spettacolo dei lebbrosi dei quali un tempo la Chiesa si prendeva cura…

Benché dai climi d’Europa sia scomparso
il morbo che nei tempi trascorsi
impegnava a tale amorevole attenzione,
tuttora in Oriente la piaga corrode,
ma oggimai il lebbroso di Siria
non ha chi gli presti un amichevole soccorso;
gli uomini, evitandolo con l’occhio,
gli largiscono a caso un soldo, per voltarsi
subito, provandone nei sensi il disgusto.
Nessi di comunione avvincono la triade:
Fede, Riverenza e Carità.
E se la Fede crolla, fatalmente
vacilleranno le sue sorelle. (p. 99)

XXXII – RAMA p. 101

XXXIV – INDUGIANO p. 105

In una via s’imbatte in Rolfe, Vine e Neemia…

XXXVII – BOZZETTO p. 111

Neemia abbandona la compagnia di Rolfe, Vine e Clarel. Rolfe racconta la vita del vecchio agli altri, un tempo capitano di una nave scampato a un naufragio e subito ripartito per la caccia alla balena durante la quale è stato da un cetaceo affondato. Ritenuto di malaugurio, non è più stato ingaggiato, ridottosi a vegliare di notte le merci ammassate sui moli…
Con il tempo è divenuto alienato, avvicinando al Calvinismo e trasferendosi poi a Gerusalemme…

Uno spettro pare, reduce da una zona
dove nulla è reale, benché eterni vi gemano i venti. (p. 117)

II – LA DESOLAZIONE p. 119

XVI – NOTTE A GERICO p. 121

Come d’un pino in terra sconsolata
travolto dagl’incendi dell’autunno
rimane il tizzone estinto e nero
e giganteggia – ucciso, non travolto;
e alto sul corneo ramo
posa il capobanda dei corvi
gracchiante alla sua turba di lontani
foraggieri; altrettale, scorticata
dalla deflagrazione, si erge la torre dei Crociati
sullo scabro confine di Gerico:
il grigio sceicco, potenza senza legge,
vi regna avvolto nel suo manto fosco,
signore d’una fulva turba d’Arabi
ai quali getta per le pianure vicine
il suo selvaggio grido. (p. 121)

Vine, Rolfe, Clarel e Derwent discorrono delle Gerico e dei pellegrini del passato, mentre Neemia è assopito… Osservano il deserto, poi la Luna coperta dalle nubi, presto prigionieri del sonno…

XVIII – IL MONACO SIRIANO p. 131

Al mattino Clarel, Rolfe e Vine s’imbattono in un macilento monaco eremita siriano…

Nell’ora mattutina con Rolfe e Vine
Clarel sale su un’altura minore
ed ecco, sorprendono il riposo solitario
d’uno strano viandante notturno
che fra le ore piccole e l’albeggiare,
colmati la borraccia ed il sacco
a Gerico, alla porta ingraticciata,
aveva cominciato la lenta ascesa:
un giovane strano, reso macilento
dalle vigilie inaugurate da digiuni. […]
Benché dapprima schivasse i discorsi,
subito seppero che era un monaco siriano. (p. 131)

L’uomo si dichiara reduce da quaranta giorni sulle alture di Quarantania…

Il peccato, disse, l’aveva spinto
nel deserto, il peccato di dubbio. […]
di lì contemplavo la desolazione (p. 133)

La prima notte dichiara di esser lì stato tentato dal Demonio… (p. 135)

Insinua ancor più il dubbio nel suo animo, ma resiste…

Ma Egli è, benché il dubbio resti,
e avanti la fine darà la pace. (p. 137)

Terminato il racconto, il monaco siriano riprende il cammino…

XXXV – PRELUDENDO p. 141

XXXVI – SODOMA p. 145

Di notte nei pressi del Mar Morto il gruppo si ferma per riposare…
Mortmain si rivolge alle anime dei peccatori, dimoranti a suo dire presso il mortifero specchio d’acqua…

Peccatori, anime espulse, tramutate,
sospinte in quest’aria o turbinanti nei banchi
di bolle che i vostri rantoli mandano a fior d’acqua […]
Tu ed i tuoi pari in gran pompa
conosceste il mondo ma lo verniciaste,
trafficaste sulla costa del delitto
ma senza mai sbarcare: vi giocaste
la giustizia, il fratello ed i tempi –
soprattutto costoro sottoponi alla condanna.
Ma chi potrebbe enunciare il molteplice?
Esistono peccati imperscrutabili,
ineffabili. (p. 149)

Viene lasciato indietro dagli altri…

XXXVIII – LA NEBBIA p. 153

In prossimità del lago, Neemia muore…

Che canta: Benché attraversi
la valle dell’ombra, nessun male temo.
Il Suo cero mi splende sopra il capo:
Egli è con me perfino in questo luogo. (p. 155)

IV – BETLEMME p. 157

X – UN MONUMENTO p. 159

Su proposta di Derwent osservano un antico monumento commentando le iscrizioni presenti sulle lapidi…
Osservano poi due pastori musulmani eseguire la preghiera rituale…
Derwant, pastore modernista, li loda per la perseveranza, considerando unico Dio…
Un tempo anche i cristiani erano devoti, osserva un altro del gruppo…

La religione era allora l’ospite buono
servito per primo e per ultimo ad ogni pasto. (p. 163)

Gli uomini riconoscevano i padroni naturali, i re Iddio (p. 164)

Darwent replica criticando il cupo Medievo e Ungar ribatte biasimando la divisione dei cristiani…

XX – DERWENT E UNGAR p. 171

Derwent e Ungar dibattono sulla Riforma, sui suoi effetti e sulla fine delle sette da essa scaturite…

XXI – UNGAR E ROLFE p. 179

Interlocutore di Ungar diviene poi Rolfe…

Volgendosi a Ungar: Ti scongiuro,
dicci se il maturare delle tecniche
non ci offra una qualche garanzia
di un esito felice.[…]
Le tecniche evolvono nel declino della fede:
non fate che allenare il nuovo Unno
che fin da ora sgomenta alcuni col suo ringhio;
bramoso di vendetta nell’intimo del cuore,
si addestra nelle miniere e sui mercati
a diventare un esperto distruttore. (p. 179)

Anche nel Nuovo Mondo empietà e mito del Progresso stanno soppiantando la Fede…

Un seguito forse
ci sarà, ed ora possiamo vederne i germi:
miriadi in ruoli di pigmei –
degradati fino all’uguaglianza:
nell’ingorgo d’ogni tecnica
può esserci una civica barbarie:
l’uomo senza nobiltà, abbrutito
dalla scienza divulgata, reso ateo
e saccente. (p. 185)

NOTE p. 189