HERMAN MELVILLE – BARTLEBY, LO SCRIVANO (Una storia di Wall Street)

HERMAN MELVILLE – BARTLEBY, LO SCRIVANO (Una storia di Wall Street)
HERMAN MELVILLE – BARTLEBY, LO SCRIVANO (Una storia di Wall Street)

HERMAN MELVILLE – BARTLEBY, LO SCRIVANO (Una storia di Wall Street)

GARZANTI – V ED. FEBBRAIO 2011

TRADUZIONE: GIANNA LONZA

INTRODUZIONE: Nemi D’Agostino

Un gentiluomo, avvocato civilista esperto in materie finanziarie e lasciti testamentari, narra la storia dello scrivano Bartleby, “il più strano che abbia mai visto o conosciuto” (p.3)…

Il primo incontro tra i due si era verificato dopo la sua nomina a presidente dell’Alta Corte dell’Equità di New York, ufficio poi abolito… Aveva avuto fin lì tre collaboratori: il sessantenne “Tacchino”, asmatico, che fino alle dodici del mattino si mostrava un lavoratore impareggiabile, trasformandosi però nel pomeriggio in un pasticcione collerico; “Pince-nez”, venticinquenne anch’egli britannico, irascibile e irritabile come l’altro, ma al mattino, in affari a volte con loschi individui; Zenzero, infine, l’apprendista dodicenne…

La nomina all’Alta Corte aveva fatto aumentare il lavoro, costringendolo ad assumere un altro copista. Ed ecco presentarsi per il posto Barteby…

“In risposta a un annuncio, una bella mattina, si parò immobile sulla soglia del mio ufficio un giovane […]. Rivedo ancora quella figura: pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida! Era Bartleby. (p. 11)

Inizialmente Bartleby esegue il lavoro senza soste, ininterrottamente, ma senza esternare gioia alcuna…

“Continuava invece a macinare lavoro in silenzio, esangue, con moto meccanico”. (p. 12)

Al terzo giorno, l’avvocato gli chiede di aiutarlo con il controllo di una copia, ma Bartleby, a sorpresa, impassibile nella sua opera di copia, risponde con fermezza e decisione “preferirei di no”… E la risposta si ripete anche in altre occasioni… La stranezza del comportamento dell’ultimo arrivato è evidente, ma la sua alacrità nel lavoro lo induce a non licenziarlo. Mai abbandonava il posto di lavoro…

“Per quanto ne sapessi, non mi risultava che fosse mai uscito dall’ufficio: eterna sentinella nel suo angolo”. (p. 15)

Poco a poco, nonostante momenti d’ira, l’avvocato si convince esser quella la sua natura e di lasciarlo pertanto stare nonostante i suoi indubbiamente indisponenti “preferirei di no”…

Una domenica mattina, recatosi d’urgenza in ufficio, trova la porta chiusa. Ad aprirgli è uno sciatto Bartleby che lo invita a tornare di lì a poco… L’avvocato se ne va, eseguendo quell’ennesimo ordine del mite sottoposto, accorgendosi poi che lo stesso dorme in ufficio… Aprendo uno dei cassetti, vi trova celato un fazzoletto contenente del denaro… La pietà dell’avvocato in breve si trasforma quasi in timore… Non è il corpo del giovane da curare, ma il suo spirito… “era la sua anima che soffriva, e non potevo raggiungere la sua anima”. (p. 23) Decide così d’interrogarlo l’indomani sul suo passato e, in caso di ennesimo diniego, di licenziarlo con una lauta buonuscita…
Ma, il giorno seguente, ancora una volta lo scrivano è reticente ma capace di indurre al padrone una sorta di timore che gl’impedisce di licenziarlo…

Quel “preferire”, che ormai sia lui che gli altri dipendenti stanno assumendo come espressione di uso corrente, lo induce infine a licenziarlo dopo che, d’un tratto, Bartleby si rifiuta anche di scrivere limitandosi a osservare dalla finestra le nere pareti degli edifici di fronte, ritenuto inizialmente affetto da problemi alla vista per via del troppo lavoro esercitato nella semibuia stanza…

“Quando gli chiesi perché non scrivesse, rispose di aver deciso di non scrivere più.[…]

Lo guardai fisso e notai che i suoi occhi apparivano spenti e vitrei”. (p. 26)

“Alla fine, su mia sollecitazione, mi rispose di aver smesso di copiare per sempre. […]

Con tutto il tatto possibile dissi a Bartleby che, in capo a sei giorni, doveva assolutamente lasciare l’ufficio”. (p. 27)

Ma egli non rispose neppure una parola; simile all’ultima colonna di un tempio in rovina, rimase in piedi, muto e solitario nel mezzo della stanza altrimenti deserta. (p. 28)

Gli lascia sei giorni di tempo per il trasloco, tornando a casa lieto di come abbia gestito la faccenda senza ira o violenza…

Ma, il mattino seguente, il dubbio lo assale: avrà lasciato l’ufficio?… No, non lo ha fatto… Bartleby è infatti ancora lì, imperterrito nel suo muro di silenzio e deciso a non fare nulla e a rimanere come ospite (indesiderato)…

Passano i giorni e l’imbarazzo cresce nell’avvocato per la presenza di quel “fantasma”… Decide allora di cambiare ufficio, comunicandolo a Bartleby…

Il giorno convenuto giunge e il trasloco si svolge senza problema alcuno, con Bartleby a non profferire verbo, “inquilino immobile di una stanza spoglia”. (p. 36)

Per alcuni giorni, nel nuovo ufficio, un senso d’inquietudine e timore coglie l’avvocato, atterrito dall’idea di vederselo comparire innanzi. Ma di Bartleby non c’è notizia fino all’arrivo di un avvocato, nuovo locatario dell’appartamento abbandonato, a chiedere di liberarlo di quel misterioso ed inquietante individuo. L’avvocato spiega di non avere legame alcuno con Bartleby che viene così scacciato dalla stanza rimanendo tuttavia seduto sulle scale di giorno e a dormire sulla soglia di notte. Si richiede allora nuovamente l’intervento dell’avvocato che accetta di parlargli… Ma Bartleby rifiuta qualsiasi proposta d’impiego, preferendo non cambiare nulla della sua attuale situazione, perfino l’offerta di ospitalità in casa. Indignato, l’avvocato se ne va, trovando poi un biglietto sulla sua scrivania con la quale lo si invita a recarsi in carcere per fornire informazioni su Bartleby che lì è stato condotto… Dopo aver invocato clemenza per l’innocuo Bartleby, l’avvocato ottiene di potergli parlare, trovandolo in cortile intento a fissare un muro cieco. Invano prova a fargli fare amicizia con il vivandiere, trovandolo morto, disteso su una panchina del cortile della prigione, alcuni giorni dopo…

L’avvocato conclude la narrazione rivelando di non esser riuscito a scoprire nulla sul passato di Bartleby se non una diceria che lo voleva ex impiegato licenziato di un ufficio delle lettere smarrite di Washington, lavoro che forse lo ha spinto nel tempo a mutare il proprio carattere fino a una morte d’inedia, come quelle lettere lungamente maneggiate…

“Apportatrici di vita, queste lettere rovinano verso la morte.

O Bartleby! O umanità!”. (p. 44)