HARUKI MURAKAMI – KAFKA SULLA SPIAGGIA (UMIBE NO KAFUKA)

HARUKI MURAKAMI – KAFKA SULLA SPIAGGIA

(UMIBE NO KAFUKA)

Traduzione di Giorgio Amitrano

EINAUDI – Collana Einaudi SuperET – 2014

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Libro ricevuto in diffusione culturale da Giulia D’Amico.

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IL RAGAZZO CHIAMATO CORVO p.3

Un ragazzo prossimo al compimento dei quindici anni, Tamura Kafka, si ritrova seduto sul divano nello studio di suo padre con l’amico Corvo. Ha preso quattrocentimila yen all’odiato genitore e potrà così andarsene di casa mantenendo fede a una misteriosa profezia…

“Siamo seduti come al solito l’uno accanto all’altro sul vecchio divano di pelle nello studio di mio padre.” (p.4)

Quando verrà il giorno del mio quindicesimo compleanno, scapperò di casa e andrò in una città lontana e sconosciuta, a vivere in un angolo di una piccola biblioteca. (p.6)

Corvo gli fa forza. Dovrà essere forte e superare le avversità come fa con la tempesta di sabbia che immaginano riposandosi…

CAPITOLO PRIMO p.7

Selezionati pochi oggetti e non di valore per non dare nell’occhio, Kafka è pronto a partire per un posto dal clima mite. In vista della partenza si è duramente allenato negli ultimi dua anni per rafforzarsi. È un ragazzo taciturno, in rotta con il padre scultore, e amante della lettura…

“Il mio quindicesimo compleanno mi sembrava il momento più adatto per scappare di casa. Prima sarebbe stato prematuro, ma aspettare oltre poteva essere rischioso. (p.9)

A parte le conversazioni con gli istruttori del centro sportivo e le poche parole scambiate con la domestica che viene a casa a gior­ni alterni, e a parte quel minimo di conversazione a cui sono co­stretto a scuola, non scambio quasi parola con nessuno. Quanto a mio padre, già da tempo evito ogni rapporto con lui. Anche se vi­viamo nella stessa casa, i nostri orari sono completamente diversi, e lui se ne sta chiuso quasi tutto il giorno nel suo atelier, che si tro­va in un altro posto. E poi, inutile dire che io sto attento a incon­trarlo il meno possibile.A parte le conversazioni con gli istruttori del centro sportivo e le poche parole scambiate con la domestica che viene a casa a gior­ni alterni, e a parte quel minimo di conversazione a cui sono co­stretto a scuola, non scambio quasi parola con nessuno. Quanto a mio padre, già da tempo evito ogni rapporto con lui. Anche se vi­viamo nella stessa casa, i nostri orari sono completamente diversi, e lui se ne sta chiuso quasi tutto il giorno nel suo atelier, che si tro­va in un altro posto. E poi, inutile dire che io sto attento a incon­trarlo il meno possibile. […]

Ho costruito intorno a me un muro altissimo, che non permetto a nessuno di valicare, e io stes­so sto bene attento a non uscirne mai.[…]

Ma io sono grato del fatto che mi lascino in pace. (p.9)

Ho una montagna di cose da fare, e devo farle da solo. Quando ho dei momenti liberi, vado alla biblioteca della scuola e leggo avidamente.[…]

Man mano che i miei muscoli si rafforzavano diventando du­ri come acciaio, parlavo sempre meno. Tentavo il più possibile di evitare che il mio viso tradisse le emozioni, e mi allenavo affinché i miei insegnanti e i compagni di classe non capissero quello che pensavo. Stavo per entrare nel mondo spietato degli adulti, e lì dovevo sopravvivere da solo. Dovevo diventare più duro di chiun­que altro.

Guardandomi allo specchio, mi accorgevo che nei miei occhi c’era una luce fredda simile allo sguardo di una lucertola, e che la mia espressione si faceva sempre più impenetrabile. A pensarci be­ne, non rido da così tanto tempo che ne ho quasi perso la memo­ria. Non sorrido neanche più. Né agli altri, né a me stesso.

Ma non è che sia riuscito sempre a mantenere questo atteg­giamento calmo e imperturbabile. E capitato a volte che il muro altissimo che avevo costruito intorno a me sia andato in frantumi. Non di frequente, ma è accaduto. (p.10)

Solitario, avido lettore, ha a poco a poco imparato a celare i propri sentimenti… Zaino in spalla esce dunque di casa. In bus raggiungerà l’indomani Takamatsu, nello Shikoku, dopo un viaggio di altre dieci ore…

Poche ore dopo mezzanotte, sul bus, si sveglia. È il suo quindicesimo compleanno…

CAPITOLO SECONDO p. 14

In un documento segreto del ministero della Difesa USA del 12 maggio 1946, è raccolta la testimonianza di una insegnante, Setsuko Okamochi, interrogata in merito a un evento misterioso verificatosi il 7 novembre del 1944. Quel giorno, in un villaggio della prefettura di Yamanashi, un oggetto non identificato, argenteo ed irradiante una luce abbagliante, comparve nei cieli. A scorgerlo l’insegnante e i suoi sedici allievi che poco dopo l’avvistamento cadono a terra esanimi nella radura in cui avevano cominciato a raccogliere funghi. Nel rapporto la donna risponde alle domande poste dal sottotenente O’Connell. Il gruppo si stava recando in montagna in cerca di cibo, montagna raggiunta cinque minuti circa dopo l’avvistamento. Nella radura dove la ricerca era iniziata, i bambini iniziano a cadere a terra esanimi. Nessuno di loro mostra segni di sofferenza, ma tutti hanno gli occhi in movimento come se stessero osservando paesaggi lontani… Ripresasi dallo shock, la donna ritornò di corsa al villaggio in cerca di aiuto…

CAPITOLO TERZO p.20

Alle 4.32 Kafka si sveglia. Sul bus tutti dormono, tranne lui e il conducente… Sono tredici ore che è fuggito di casa. Inizia a leggere per passare il tempo, fino a che, alle cinque passate, il bus fa sosta in un’area di servizio prima di ripartire per concludere la sua corsa a Takamatsu. Nel bar gli si siede vicino una ragazza. La conversazione tra i due è stentata per via del suo essere taciturno e per il timore di essere scoperto. Lei gli chiede infine di poterglisi sedere accanto sul bus, su cui arrivano in ritardo. E csoì, mentre lei si addormenta in breve, lui legge, eccitandosi nello sbiriciare tra la scollatura della camicietta della vicina che, pensandoci su, potrebbe essere sua sorella. Alla fine si addormenta anche lui…

CAPITOLO QUARTO p.27

Un rapporto redatto dal sottotenente O’Connell raccoglie la testimonianza del medico della scuola, Nakazawa Juichi, giunto tra i primi soccorritori. Arrivati alla radura intorno alle 11.55, testimonia l’uomo, alla sua vista si posero alcuni bambini già in piedi, altri in fase di risveglio e altri ancora in stato d’incoscienza. La diagnosi fu impossibile, giacché andavano escluse l’avvelenamento da funghi, il colpo di sole, gas venefico. Tutto sembrava normale, tranne gli occhi.

“I bambini guardavano qualcosa. Per essere più preciso, direi che era come se i bambini non vedessero quello che noi vedevamo, ma qualcosa che a noi era invisibile. [… ] stavano assistendo a qualcosa. (p.30)

Poco dopo tutti i bambini, tranne uno, Satoru Nakata, si sono perfettamente ristabiliti seppur incapaci di ricordare quanto successo…

CAPITOLO QUINTO p.34

Alle 6.12 il bus giunge in stazione. È Sakura, questo il nome della ragazza, a svegliare Kafka… La ragazza, lasciatogli il numero di cellulare, se ne va a bordo di un taxi. Kafka si reca invece all’albergo che ha prenotato a prezzo scontato per tre giorni. Dopo mangiato si reca alla biblioteca Kamura, di cui si era già informato. Un amante della lettura come lui non può trovare posto migliore per passare il tempo…

Decido di ingannare il tempo, in attesa che faccia sera, in biblioteca. Mi sono informato in anticipo su quali biblioteche ci sono nella zona di Takamatsu. E da quando ero piccolo che ho questa abitudine di ammazzare il tempo in biblioteca. Per un bambino che non vuole tornare a casa, non ci sono molti posti dove recarsi. Da solo non può andare nei caffè e neanche al cinema. Restano soltanto le biblioteche. Non si paga il biglietto d’ingresso, e nessuno ha niente da dire se ci entra un bambino non accompagnato. Puoi sederti e leggere tutti i libri che ti pare. Quando tornavo da scuola, andavo sempre in bicicletta fino alla biblioteca del quartiere. Anche nei giorni di vacanza trascorrevo lì da solo molto tempo. Leggevo tutto quello che mi capitava sottomano, romanzi, biografie, storia. Una volta letti tutti i libri per bambini, cambiai di scaffale e passai a quelli per adulti. Leggevo anche quelli che non capivo bene, dalla prima all’ultima pagina. Quando mi stancavo di leggere, mi sedevo in una cabina fornita di cuffie e ascoltavo i dischi. Non avendo nessuna conoscenza di musica, ascoltavo metodicamente, partendo da destra, tutto quello che trovavo. È stato così che ho scoperto Duke Ellington, i Beatles e i Led Zeppelin.

La biblioteca era per me come una seconda casa. O forse sarebbe meglio dire che la biblioteca era la mia vera casa. A forza di frequentarla ogni giorno, conoscevo di vista le impiegate. Loro avevano imparato il mio nome, e quando mi vedevano mi salutavano e mi rivolgevano parole gentili (alle quali non sapevo rispondere, essendo di una timidezza patologica). (p.36)

A bordo del treno che lo deve condurre alla Komura, osservando gli studenti cade nello sconforto, ma poi si rasserena…

Ad accorglierlo c’è un ragazzo, Oshima, di bell’aspetto e curato nell’abbigliamento, che gli fornisce informazioni sulla biblioteca, edificio privato voluto dalla famiglia Komura. Kafka inizia a leggere Le mille e una notte poi, a mezzogiorno, va a mangiare qualcosa in giardino. Tra una parola e l’altra confessa ad Oshima la sua fuga. Citandogli il Simposio di Platone, episodio delle anime separate, l’altro gli fa capire che vivere da soli è difficile. Le parole turbano Kafka che, ripresa la lettura, non riesce più a concentrarsi. Alle due interrompe la lettura per partecipare alla visita dell’edificio condotta dalla bella ed elegante direttrice, la signora Saeki. Alle cinque Kafka, riposto il libro, se ne va… Alle dieci si mette a letto ma, insonne, pensa a cosa starà pensando il padre della sua assenza. Gli fa due squilli con il telefonino, poi spegne e si addormenta…

CAPITOLO SESTO p.49

Il vecchio Nakata, in cammino dall’alba, si siede vicino a un grosso anziano gatto nero con cui inizia a conversare. Non ricordando più il felino il proprio nome, Nakata gli chiede la gentilezza di poterlo chiamare Otsuka. Da bambino, gli racconta, ha avuto un incidente che lo ha reso analfabeta, stupido. È così che lo hanno sempre definito in famiglia dove tutti sono invece istruiti…

Non sono stato sempre così, è che da bambino ho avuto un incidente, e da allora sono diventato stupido. Non so nemmeno a chi scrivere, e non so leggere i libri e i giornali. […]

Però Nakata sin da quando era bambino si è sempre senttio ripetere che era stupido, quindi ha pensato che doveva essere stupido. (p.51)

Vive con il sussidio da invalido, arrotondando rintracciando gatti scomparsi, grazie al suo saper parlare con essi, nel quartiere di Nakano da cui non si allontana mai per timore di perdersi. Sta ora giusto cercando una gatta di un anno, Goma, che però Otsuka gli dice di non conoscere e di non aver visto. Il felino gli chiede dell’incidente, ma Nakata ricorda solo di esser stato in coma per tre settimane dopo il fatto e, al risveglio, di essersi trovato una tabula rasa, privo di ricordi e stupido. Il gatto gli dice infine di aver notato il suo possedere un’ombra dimezzata e che, tempo fa, si era imbattuto in un altro umano con metà ombra e capace di parlare ai gatti. Gli consiglia quindi di cercare la sua metà ombra…

Il tuo problema, almeno secondo me, è che tu… sei un po’ delicato. Appena ti ho visto ho notato che la tua ombra sul terreno è densa circa la metà delle persone normali.

  • Sì.

  • Io ho già visto una persona così una volta.[…]

Perciò mi chiedo se tu, invece di andare in giro a ritrovare i gatti smarriti, non faresti meglio a cercare seriamente l’altra metà della tua ombra. (p.55)

CAPITOLO SETTE p.57

Alle 7 e 15 Kafka va a fare colazione, ma il cibo è decisamente scarso rispetto a quanto abituato a casa. Corvo, comparso seduto di fronte a lui, gli dice che dovrà sopportare questa ed altre pirvazioni se vorrà resistere lontano da casa…

Compie quindi i passi successivi: 1 tentare di avere la camera a prezzo scontato per una settimana spacciandosi per liceale frequentante la Komura ai fini di un tirocinio; 2 andare in palestra…

Alle 11.30 arriva alla Komura dopo essersi allenato e aver mangiato, riprendendo la piacevole lettura de Le mille e una notte. È lì che, all’ora di pranzo, Osima lo chiama per una telefonata con cui l’albergo lo informa di aver accetato la sua richiesta. Parla ancora un po’ con Oshima di Kafka, dovendo dare una spiegtazione sul suo strano nome, poi torna ad immergersi nella lettura. Alle cinque se ne va…

Torno nella sala di lettura, sprofondo nel divano e ancora una volta mi immergo nel mondo delle Mille e una note. E la realtà che mi circonda, come in una dissolvenza cinematografica, sparisce progressivamente. Resto solo, e penetro fra le pagine del libro. Questa è la sensazione che più amo in assoluto. (p.62)

Nei giorni seguenti la vita di Kafka prosegue metodica e regolata, ma l’ottava notte l’equilibrio si spezza…

Se si esclude qualche dettaglio irrilevante, la mia vita prosegue senza cambiamenti di sorta nei successivi sette giorni. (p.63)

Questa vita regolata, concentrata e semplice, va in frantumi l’ottava notte (e naturalmente era prevedibile che ciò prima o poi sarebbe accaduto). (p.64)

CAPITOLO OTTAVO p.65

Documento segreto del 12/05/1946. interrogatorio del sottotenente O’Connell al dottor Tsukuyama Shigenori, professore del dipartimento di psichiatria dell’università di Tokyo. Il professore conferma che nessuno dei bambini portava segni esteriori di violenza o traumi o rcordi di quanto capitatogli. Intossicazioni da gas o alimentare andavano escluse. Forse ipnosi collettiva, ma il problema rimase il ragazzino rimasto in coma e trasferito all’ospedale militare. Un caso veramente strano, tanto da risvegliarsi improvvisamente dal coma, con la mente ridotta a tabula rasa, come se una scadenza fosse giunta…

Non in risposta ai nostri stimoli, ma come se fosse semplicemente giunto il tempo stabilito, e senza il minimo preavviso. (p.72)

CAPITOLO NONO p.73

è buio e Kafka si ritrova steso nel fitto di un boschetto. Sono le 11.26 del 28 maggio…

Quando riprendo conoscenza, mi ritrovo nel fitto di un boschetto, steso come un tronco sul suolo umido, intorno a me tutto è buio, e non riesco a distinguere niente. (p.73)

Non ricorda nulla delle ultime ore, forse quattro, e di come sia fin lì arrivato. I suoi ricordi si fermano infatti alla cena. La giornata era trascorsa identica alle precedenti. Ma ora eccolo lì, in un luogo sconosciuto, con una fitta alla spalla sinistra e abbondante sangue su mani e maglietta. Scopre di essere all’interno di un santuario shintoista. È terrorizzato e, lavatosi e cambiatosi, segue il consiglio di Corvo rivolgendosi alla sola persona che possa aiutarlo, Sakura. Nonostante la tarda ora la ragazza lo raggiunge al Lawson market, conducendolo poi nell’appartamento di un’amica parrucchiera, ora in India, che sta sostituendo al posto di lavoro. Pressato dalle domande, Kafka confessa di esser fuggito di casa e il timore di aver commesso qualche delitto di cui non serba memoria alcuna…

CAPITOLO DECIMO p.81

Nakata chiede info di Goma a un gatto, Kawamura, che sembrerebbe averla vista ma con il quale è difficile comunicare per via delle incongrue parole che pronuncia. Dopo un’ora si avvicina una bella gatta siamese, Mimì, che si offre di parlare al tonto Kawamura, rimasto toccato dopo esser stato investito da piccolo. Kawamura le conferma di aver visto la gatta tre giorni prima in un terreno abbandonato dove dovrà sorgere un cantiere edile. Lì si aggira però anche un uomo cattivo, alto, con un cappello a cilindro e stivali, che rapisce i gatti e, forse, anche Goma…

Nakata si resca dunque al luogo indicatogli, ma senza trovarvi Goma o il malvagio individuo…

CAPITOLO UNDICESIMO p.92

Terminato il racconto, Sakura esamina la spalla di Kafka, che non presenta nulla di rotto, tranquillizzandolo. Alle tre si mettono a dormine, ma entrambi sono insonni. Lei lo invita ad entrare nel suo futon dove finisce per masturbarlo facendolo rilassare…

L’indomani Kafka si sveglia alle nove. Sakura è a lavoro e lui, visto che nessun dato di cronaca è riportato nei giornali, si tranquillizza, sistema la casa, scrive un biglietto per la ragazza e se ne va…

Disdetta la stanza d’albergo, si reca quindi alla Komura. Una soluzione al problema alloggio la troverà…

CAPITOLO DODICESIMO p.103

19/10/1972. Setsuko Okamochi, la maestra coinvolta nell’incidente della montagna del 1944, scrive al professor Shigenori per confessargli di aver taciuto alcuni elementi, forse utili alla risoluzione del caso, nella sua deposizione di allora (1946). Ne è pentita e per questo lo fa ora…

La notte precedente l’escursione aveva sognato di fare l’amore su una pietra con il marito, partito in guerra. Un sogno più vero del reale che la lasciò turbata anche l’indomani. Iniziata la raccolta dei funghi dopo l’avvistamento dell’oggetto misterioso, è colta da emorragia per improvvise ed inaspettate mestruazioni. Inoltratasi nel bosco, tampona la perdita nascondendo i fazzoletti. Ma un bambino, Nakata, incredibilmente glieli riporta poco dopo! Scossa e in preda alla vergogna, lo afferra per la spalla schiaffeggiandolo di fronte agli altri bambini. Poi, tornata in sé, rialza Nakata abbracciandolo e chiedendogli scusa. Piange, ma ecco che i bambini iniziano a perdere i sensi. Nessuno di loro ricorderà nulla di quanto accaduto…

CAPITOLO TREDICESIMO p.113

A pranzo Oshima gli si siede accanto. Iniziano a parlare delle opere di Soseki, che lui ha iniziato a leggere lì in biblioteca. Poi gli confessa di non avere un posto dove dormire. Oshima ci pensa su, poi gli dice che forse potrà sistemarlo proprio lì in biblioteca, dove c’è una stanza inutilizzata, proponendolo alla signora Saeki come aiutante. Per ora lo porterà a dormire in una casetta immersa nella foresta, a Kochi, che lui e suo fratello hanno ereditato. È un po’ distante, ma ce lo condurrà dopo la chiusura. E così, alle 5 e 30 eccoli puntuali in viaggio durante il quale, tra le altre cose, Oshima gli rivela di essere emofiliaco… Giunti a destinazione, Kafka si sistema nella modesta casupola, dotata di solo gas propano, dove in passato anche lo stesso Oshima ha dimorato. Potrà leggere molto di lì a quando lo tornerà a prendere…

CAPITOLO QUATTORDICESIMO p.127

Invano Nakata attende per giorni nel campo l’arrivo di Goma o dell’uomo con il cappello. Un giorno però, uno dei diffidenti gatti cui aveva offerto sardine, gli si avvicina. Lo chiama Okawa. Questi, viste le foto, rabbrividisce dicendogli di dimentarci di quel gatto e di non tornare più lì… La sera un gigantesco cane nero si ferma di fronte a Nakata ordinandogli di seguirlo. Poco dopo eccoli entrare in una villa di una traquilla zona residenziale dove, ad attenderli in uno studio, c’è l’uomo alto con cappello e stivali, sedicente Johnnie Waker. Questi gli dice di potergli far riavere Goma, ma in cambio di un favore. Poi, sbattendo il bastone in terra richiama il cane…

CAPITOLO QUINDICESIMO p.140

Rimasto solo, il silenzio avvolge l’insonne Kafka…

Entro in casa e chiudo a chiave la porta. Appena rimango so­lo, il silenzio, come se non avesse aspettato altro, mi circonda da ogni lato. […]

Ma più tardi il sonno finalmente lo coglie. Alle 6 eccolo sveglio immerso tra i suoni della circostante natura. Dopo aver letto un libro su Eichmann e aver trascritto su un diario tutto quanto capitatogli negli ultimi giorni, il ragazzo decide di avventurarsi nella foresta nonostante le raccomandazioni di Oshima a non farlo. Si smarrisce, ma impiegando molto tempo riesce tuttavia a tornare. L’indomani eccolo entrare e uscire dalla foresta senza problemi…

CAPITOLO SEDICESIMO p.152

Il cane conduce Nakata fin nella buia cucina dove gli ordina di aprire un enorme frigorifero, al cui interno si trovano una ventina di teste di gatto. C’è Goma?, gli chiede il cane. No, non è tra quelle, risponde il vecchio che il cane riconduce da Johnnie. L’uomo spiega a Nakata che uccide i gatti per raccoglierne le anime con cui fabbricare flauti magici. Il suo sogno è quello di costruirne uno cosmico…

I gatti io li uccido perché raccolgo le loro anime, e le loro anime mi servono per costruire un flauto speciale. Suonando questo flauto, raccoglierò anime ancora più grandi. E riunendole tutte insieme potrò costruire un flauto di dimensioni imponenti. Alla fine, spero di riuscire a realizzare un flauto di grandezza cosmica. Ma tutto comincia dai gatti. (pp.153-154)

In cambio di Goma Johnnie gli chiede di ucciderlo, ormai stanco di condurre questa vita…

Nakata dovrebbe ucciderla, signor Johnnie Walker?

  • Esattamente, – disse Johnnie Walker. – In tutta sincerità, mi sono stancato di questa vita, Nakata. Ho vissuto abbastanza da non ricordarmi quasi più quanti anni ho. Non ho voglia di continuare. E comincio a essere stanco anche di uccidere gatti. Però, finché sono in vita, non posso farne a meno. Ho bisogno di raccogliere le loro anime. Seguendo correttamente l’ordine, devo procedere da i a io, e arrivato aio ricominciare da capo. E via così, all’infinito. A un certo punto subentrano la noia e la stanchezza. E poi si fa tanta fatica, e non c’è nessuno che gioisca. Nessuno che apprezzi. Ma siccome c’è una regola da seguire, non posso semplicemente dire «Basta» e farla finita. Né posso uccidermi da solo. Anche questa è una regola. Il suicidio non è permesso. Le regole sono molte. Se voglio morire, devo farmi uccidere da qualcuno. Perciò io lo chiedo a te. Vorrei che mi uccidessi senza esitare, spinto dalla paura e dall’odio. Prima hai paura di me. Poi mi odi. E infine mi uccidi. (p.155)

O io continuo a uccidere gatti, o tu uccidi me, una delle due. (p.156)

Nakata non vuol farlo e così Johnnie prepara gli strumenti per i gatti che tira fuori da un sacco. Ai felini è stato iniettato un paralizzante che non funge però da anestetico, e così eccoli soffrire enormemente nell’essere dapprima sventrati, poi privati del cuore, che l’uomo mangia, e infine decapitati. Il tutto mentre Johnnie fischietta Heigh-Ho dei sette nani… Nakata è sempre più scosso e quando il malvagio sta per seviziare Mimì, eccolo perdere il controllo e affondare il coltello nel petto del folle che muore poco dopo ridendo. Ancora scosso, Nakata estrae dal sacco Goma ma, abbandonatosi sulla poltrona, non riesce più ad alzarsi finendo per perdere la coscienza…

CAPITOLO DICIASSETTESIMO p.165

Il quarto giorno Oshima va a riprendere un Kafka ormai ben ambientatosi nella casa di montagna. Sulla via del ritorno lo informa che sarà assunto come aiutante nella biblioteca Komura dove potrà dormire in una stanza ora inutilizzata. La signora Saeki, prosegue, era amicra intima della madre. Bellissima da sempre, viveva in simbiosi perfetta con il fidanzato, solitario e taciturno erede della famiglia Komura. A diciotto anni la separazione, dovuta alla partenza del ragazzo per l’università di Tokyo. Lei lo raggiungerà lì brevemente, nel 1970, in occasione della registrazione di un brano, Kafka sulla spiaggia, da lei creato e capace di vendere oltre un milione di dischi. Ma, a venti anni, il ragazzo viene torturato e ucciso durante l’occupazione dell’ateneo, scambiato per il somigliante membro dell’opposta fazione. Da allora lei si chiuse in se stessa, scomparendo nel nulla dopo pochi mesi, per ricomparire venticinque anni dopo in occasione del funerale della madre. Da lì il colloquio con i Komura e l’assegnazione del ruolo di direttrice della biblioteca. Poco dopo lo assunse come aiutante, lui che aveva abbandonato la scuola e passava il tempo chiuso in casa a leggere e ascoltare musica. La stanza che ora lui andrà ad occupare era quella eletta a domicilio dai dodici anni dal fidanzato della signora Saeki. La donna, gli rivela infine, ha una sorta di malattia dell’anima…

CAPITOLO DICIOTTESIMO p.178

Quando rinviene, Nakata si ritrova nel terreno abbandonato dove aveva atteso invano Goma e Johnnie per giorni. A svegliarlo le linguate di Mimì e Goma. Incredibilmente però, né sulle mani né sui vestiti reca tracce di sangue. Non è più in grado di parlare con i gatti, constata inoltre con rammarico… Mentre Mimì torna a casa da sola, Nakata riporta Goma dai Koizumi prima di andare a costituirsi alla polizia. Ma il giovane piantone non crede al suo incredibile e dettagliato racconto, congendandolo senza neanche appuntarsi nome e cognome. Del resto nessuna traccia di sangue è visibile sui vestiti del pulito ed innocuo vecchio. Nakata se ne va dopo aver predetto per la sera successiva una pioggia di pesci e la sua partenza…

Due giorni dopo il poliziotto rimane senza fiato alla notizia del rinvenimento del cadavere accoltellato di un noto scultore. Proverà a tacere…

Nakata ha intanto lasciato la città…

CAPITOLO DICIANNOVESIMO p.188

è lunedì, giorno di chiusura della biblioteca. Oshima conduce Kafka nella sua nuova camera. A colpirlo è un quadro appeso alla parete, Kafka sulla spiaggia, nel quale è rappresentato un dodicenne su una sdraio in una spiaggia. Forse è il fidanzato della Saeki, il giovane ivi raffigurato…

L’indomani, puntuale, Oshima gli mostra quelle che saranno le sue mansioni…

Più tardi giungono due donne, esponenti di un gruppo femminista, che polemizzano per l’assenza di bagni separati e per il catalogo non unico. Se ne occupa Oshima, al quale danno del maschilista. Ma lui dimostra, documenti alla mano, di essere… una donna!, lasciandole inevitabilmente senza parole. Andate via le donne Oshima spiega che la mancanza d’immaginazione degli “uomini vuoti” genera insensibilità…

CAPITOLO VENTESIMO p.201

Alle otto passate un camionista lascia Nakata all’area di servizio di Fujigawa. Mangiato qualcosa, il vecchio, che non sa neanche dovi si trovi, inizia a chiedere, invano, a vari camionisti un passaggio verso l’ovest. Era partito alle dieci del mattino arrivando in bus fino a Shinjuku dove però non riesce ad orientarsi né capire quali mezzi dover prendere per via del suo analfabetismo. Fermatosi a mangiare in un parco, due ragazze intercedono per lui facendogli ottenere un passaggio fino a Yokohama, verso ovest, come da lui richiesto. L’uomo, Togeguchi, inizialmente di parche parole, piano piano si scioglie sfogandosi nel raccontare le vicissitudini della sua per ora triste vita. Alle tre i due si sperano e Nakata è fortunato a trovare un passaggio da un camionista, Hagita, su un camion frigorifero carico di pesce diretto a Fujigawa. Durante la marcia l’uomo si rivela affabile e aperto alla diversità dello stravagante Nakata, dilettandosi peraltro a parlare di proletari e capitalisti…

Dopo circa un’ora di vane ricerche, Nakata si sposta ai margini del parcheggio dove ferma il pestaggio di un ragazzo da parte di altri malviventi. Incredibilmente infatti, dopo che il vecchio prova una sensazione simile a quella provata prima di uccidere Johnnie, iniziano a piovere sanguisughe dal cielo. Nel bar in cui entra per avvertire della presenza di un ferito nel parcheggio, il vecchio trova infine un camionista, Hoshino, disposto, controvoglia, a portarlo fino a Kobe. Accetta solo perché gli ricorda il nonno, unica persona ad avergli sempre voluto bene… Con cautela lasciano il parcheggio, reso viscido dalle sanguisughe piovute dal cielo…

CAPITOLO VENTUNESIMO p.215

Sono le sette di sera e la biblioteca è ormai chiusa. Oshima gli ha dato da leggere un articolo di giornale di due giorni prima, recante la notizia dell’assassinio del noto scultore Koichi Tamura, il 28, e l’assenza del di lui figlio, scomparso da alcuni giorni e ora ricercato dalla polizia. Evidente si tratti di suo padre. Non può essere stato lui per via della distanza con Tokyo, eppure è quella la sera in cui è rinvenuto nel campo con la maglietta macchiata di sangue. Sarà meglio che per qualche giorno resti chiuso nella stanza. Poi Oshima gli porge un secondo giornale in cui si parla della pioggia di pesci nel quartiere di Nakano, il giorno seguente l’omicidio, e di sanguisughe a Fujigawa… Strane coincidenze, o forse invece vi è tra di esse un collegamento?, afferma Oshima. E Kafka racconta della profezia, o maledizione, scagliatagli dal padre…

Mio padre mi disse che, qualunque cosa avessi fatto, non sarei mai potuto sfuggire alla profezia. Disse che era coem un congegno a orologeria sepolto dentro i miei geni, e che non potevo fare nulla per cambiarla. Il mio destino era uccidere mio padre e giacere con mia madre e mia sorella. (p.221)

Era come se il padre fosse in contatto con una forza oscura, malvagia. Dalla quale anche sua madre è forse fuggita. Oshima gli dice che però non è stato lui a ucciderlo, ma Kafka gli racconta della sera del 28. Non potrebbe averlo ucciso attraverso i sogni? Il motivo della sua fuga era proprio il voler sottrarsi all’adempimento della profezia…

Comunque sia, cre­do che, in questo senso, lui fosse legato a qualcosa di piuttosto par­ticolare. Capisce cosa voglio dire?

  • Penso di sì, – risponde Oshima. – Penso che con questo tu intenda qualcosa che è al di là dei comuni confini tra bene e male: quella che si potrebbe definire una fonte di potere.

  • E io ho ereditato metà di questi geni. Forse è per questo che mia madre, andandosene, mi ha lasciato. Credo che mi abbia ab­bandonato come si fa con una cosa che è nata da una fonte impu­ra, una cosa malata, guasta.

[…]

Ma in realtà la profezia di tuo padre non si è realizzata^Non sei stato tu a ucciderlo. Quando è successo, eri a Takamatsu. É sta­to qualcun altro, a Tòkyo. Su questo non mi pare esserci dubbio. Apro le mani, e le guardo in silenzio. Mani che nel buio di quel­la notte erano macchiate di un sangue nero e infausto.

  • A essere sincero, non sono sicuro nemmeno di questo, – dico.

Racconto tutto a Oshima. Della notte in cui, al ritorno dalla biblioteca, ho perso conoscenza e mi sono svegliato nel boschetto del santuario shintoista con la T-shirt imbrattata del sangue di qualcuno. Di aver lavato quel sangue nel bagno del santuario. Del fatto che ogni ricordo di quelle ore è completamente cancellato dalla mia memoria. […]

Forse io ho ucciso mio padre attraverso i sogni. Sono penetra­to in qualche particolare circuito onirico e sono andato a ucciderlo. […]

In ogni caso questa è la ragione per cui sei scappato, fino ad arrivare quaggiù nello Shikoku. Per sfuggire alla maledizione di tuo padre, – dice Oshima. (pp.222-223)

In piena notte vede un fantasma…

CAPITOLO VENTIDUESIMO p.225

Giunti alle cinque a Kobe, Hoshino e Nakata vanno a mangiare in un ristorante a basso costo. Lì il vecchio accenna vagamente a Johnnie Walker, ma il ragazzo blocca il suo farneticante racconto chiedendogli dove sia diretto. Nakata non lo sa di preciso, sente solo di dover attraversare un enorme ponte. Quindi nello Shikoku…

Poi, mentre Hoshino va a consegnare la merce al magazzino, il vecchio si siede su una panchina in riva al mare. Era dall’infanzia che non lo vedeva più…

Nakata, a seguito dell’incidente non ha mai avuto amici e, portato dai nonni materni a Nagano, avrebbe potuto diventare un abile contadino se i pestaggi degli altri studenti non li avessero obbligati a ritirarlo da scuola. È in quel periodo che iniziò a parlare con i gatti.

Fu in quel periodo che cominciò a parlare coi gatti. A casa ce n’erano diversi, e tutti diventarono suoi buoni amici.[…]

Quando aveva tempo, Nakata si sedeva sulla veranda e parlava coi gatti, che gli insegnarono tante cose riguardo alla natura e al mondo. In realtà, le conoscenze di base sulla vi- ] ta e sulla società le apprese da loro.

Quando compì quindici anni, fu mandato a imparare il mestiere di falegname in una fabbrica di mobili della zona. […]

Ma Nakata non si considerava solo o infelice. Non aveva alcun | desiderio sessuale, e non sentiva nemmeno il bisogno di stare con qualcuno. Capiva di essere di una specie diversa, e sapeva che la sua ombra era meno scura di quella delle persone che conosceva (anche se nessuno se n’era mai accorto). Gli unici a cui riusciva a comunicare i suoi pensieri intimi erano i gatti. Nei giorni di ripo­so andava in un parco vicino e se ne stava seduto per ore e ore a parlare con loro. Misteriosamente, quando parlava coi gatti non era mai a corto di argomenti. (p.232)

Nakata divenne quindi un falegname, lavorando per anni in un mobilificio artigianale fino al fallimento della stesso. L’uomo si ritrovò inoltre spogliato dei propri risparmi affidati a un cugino raggirato da un investitore disonesto. Senza lavoro e senza soldi, ottenne un appartamento a Nakano da un fratello e un sussidio per i minorati mentali dallo Stato…

Alle dodici Hoshino torna dalla consegna e… incredibilmente dice a Nakata che lo accompagnerà nello Shikoku, che non ha mai visitato, prendendosi tre giorni di ferie…

CAPITOLO VENTITREESIMO p.237

è notte fonda e, aprendo gli occhi, Kafka nota una misteriosa presenza in stanza. È quella di una bellissima ragazza quindicenne che si siede a guardare assorta il quadro Kafka sulla spiaggia…

Non so se usare la parola «fantasma» sia giusto. Ma sono sicuro che non si tratti di un essere vivente, dotato di un corpo fisico. Che non appartenga al mondo della realtà, lo si capisce al primo sguardo.

Qualcosa mi sveglia all’improvviso: apro gli occhi e vedo una ragazza. E notte fonda, ma la stanza è stranamente luminosa. La luce della luna penetra dalla finestra. Anche se ricordo di aver chiuso le tende prima di andare a dormire, adesso sono completamen- le aperte. La silhouette della ragazza si staglia nitida nel chiarore lunare, bagnata da una luce bianca come ossa.[…]

È seduta alla scrivania, il mento appoggiato su una mano, e guarda un punto nel muro. (p.237)

Poi d’un tratto, si alza e se ne va. Sono le 3 e 25…

Poi infine, senza alcun preavviso, lei si alza dalla sedia e con passo silenzioso si dirige verso la porta. La porta resta chiusa. Ma lei senza alcun rumore svanisce in essa.

Io resto nel futon, immobile, gli occhi appena dischiusi. Po­trebbe tornare, penso. Anzi, prego che torni. Sollevo il viso e guar-1 do le lancette fosforescenti della sveglia sul comodino. Le tre e venticinque. Esco dal letto, e provo a toccare la sedia su cui lei era seduta. (p.238)

Kafka è turbato, stregato da quella ragazza…

Non riesco a dormire. Chiudo le tende, mi infilo di nuovo nel futon. Ma prendere sonno è impossibile. Mi accorgo di essere rimasto stregato da quella misteriosa ragazza. Dal primo momento in cui l’ho vista, qualcosa, che ha una forza travolgente e non assomiglia a nulla che io conosca, è nato dentro di me, vi ha affon­dato le radici e sta continuando a crescere. (p.239)

Al mattino, giunto Oshima, gli chiede di poter ascoltare il brano Kafka sulla spiaggia in vinile. E così, per prima cosa, i due cercano e trovano un vecchio stereo e numerosi dischi che Kafka porta nella sua stanza. Oshima proverà a reperire una vecchia copia del disco tramite la madre. Kafka gli chiede infine se lì ci sia una quindicenne…

Durante la pausa pranzo Oshima gli porta una copia del disco nuova di zecca, una delle cinque tenute dalla madre. Dalla foto Kafka capisce che la ragazza vista è Saeki quindicenne!…

Naturalmente avevo capito sin dall’inizio che la ragazza di ie­ri notte era la signora Saeki da giovane. Non poteva che essere lei. Volevo solo averne la conferma. (p.242)

Tuttavia, nella copertina del disco è rappresentato con chia­rezza qualcosa che nella signora Saeki di oggi è del tutto assente: una specie di energia radiante. Non si tratta di una qualità appa­riscente, vistosa. Un richiamo naturale, incontaminato, che arri­va dritto al cuore, trasparente e incolore come acqua di sorgente che sgorga in mezzo alle rocce. La ragazza diciannovenne seduta al piano irradiava questa energia da ogni cellula del corpo. […]

Sono sicuro che la ragazza vista in questa stanza ieri notte era la signo­ra Saeki a quindici anni. Ma so bene che la vera signora Saeki è una donna di cinquant’anni che vive la sua vita reale nel mondo reale. Anche in questo momento è qui, nel suo studio al primo pia­no, seduta alla scrivania a lavorare. Mi basterebbe uscire dalla mia stanza e salire al piano di sopra per vederla realmente e parlarle. Ma ciononostante, quello che ho visto qui dentro è il suo fantasma. Oshima ha detto che una persona non può trovarsi in due posti di­versi allo stesso tempo. E invece ciò può accadere. Ne sono con­vinto. Una persona può diventare un fantasma anche da viva.

Un altro fatto importante. Il mio cuore è stregato da quel fan­tasma. Non dalla signora Saeki che è qui, ma dalla signora Saeki a quindici anni, che non c’è. Ed è una sensazione molto forte. (p.243)

L’immagine lo cattura talmente tanto da vederla all’interno della sopraggiunta Saeki, di passaggio più tardi nell’andare via…

Nella signora Saeki riesco a distinguere l’immagine di quella ragazza di quindici anni. Dorme nascosta in una piccola cavità del suo corpo come un animaletto durante il letargo invernale. La vedo chiaramente. (p.244)

Kafka chiede a Oshima se, secondo lui, le prsone possano divenire fantasmi da vive. Quello risponde che in molti racconti e leggende si parla di spiriti viventi… Chiusa la biblioteca e andatosene Oshima, Kafka inizia l’ascolto del brano dal testo ermetico e melodia semplice. Lo fa in continuazione giungendo alla convinzione che:

Può darsi che la signora Saeki abbia scritto il testo di Kafka sulla spiaggia proprio in questa stanza. Più ascolto il disco, e più me ne convinco. E sono anche convinto che il Kafka della spiag­gia sia il ragazzo raffigurato nel quadro a olio appeso alla parete. Seduto alla scrivania, il mento appoggiato sulla mano, nella stes­sa posizione di lei ieri notte, dalla stessa angolazione, volgo lo sguardo alla parete. Ho il quadro davanti agli occhi. Credo di non sbagliare: la signora Saeki ha scritto i versi di Kafka sulla spiaggia in questa stanza, guardando questo quadro e pensando al suo ra­gazzo. Probabilmente di notte, quando il buio era più fitto. (pp.249-250)

E poi il nome Kafka… immagino che la signora Saeki abbia col­to nella misteriosa solitudine sprigionata dal ragazzo del quadro un rapporto col mondo dello scrittore, e per questa ragione lo abbia chiamato Kafka sulla spiaggia. Uno spirito solitario che vaga lungo la riva dell’assurdo. Credo che questo sia il senso del nome Kafka.

Ma oltre ai riferimenti a Kafka e alla sfinge, trovo punti di con­tatto con la mia situazione personale anche in altri versi della can­zone. La frase «Piovono dal cielo piccoli pesci» descrive esattamente l’episodio delle sardine e degli sgombri caduti dal cielo a Nakano. La parte che dice «L’ombra della sfinge immobile I Diventa un col­tello I Che trafigge i tuoi sogni» sembra riferirsi alla morte di mio padre, ucciso a coltellate. (p.250)

Che cosa significheranno queste frasi ? E se quelle che mi sem­brano importanti affinità fossero solo suggestive coincidenze ? Mi avvicino alla finestra e guardo il giardino. Fuori, l’oscurità co­mincia a farsi densa. Vado a sedermi nella sala di lettura e mi met­to a leggere La storia di Genji nella traduzione di Tanizaki. Alle dieci mi infilo nel futon, spengo la luce sul comodino, chiudo gli occhi. E aspetto che la signora Saeki quindicenne ritorni. (p.250)

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO p.251

Alle otto il bus partito da Kobe li lascia alla stazione di Tokushima. Ma Nakata, nonostante il passaggio del ponte, non ha avuto intuizione alcuna sul successivo luogo da raggiungere. Hoshino prenota un ryokan dove Nakata si sistema e addormenta all’istante. È sempre così che Hoshino lo ritrova dopo esser andato un po’ in giro. Insonne, il ragazzo si chiede cosa lo abbia spinto ad accompagnare quello strambo vecchio. Dove sarebbero andati? Forse il debito nei confronti del nonno, unico ad avergli voluto bene in vita, lo hanno indotto a tanto…

Dopo oltre trenta ore Nakata si risveglia e, dopo una colossale abbuffata, eccoli in viaggio verso ovest, direzione Takamatsu. Prima di partire il vecchio, esaminata la schiena di Hoshino, decide di aiutarlo rimttendogli le ossa a posto. Il ragazzo, incredulo, lo lascia fare ma, sparito il dolore lancinante dovuto all’operazione, si accorge di non aver più dolore alcuno…

In treno raggiungono dunque Takamastsu dove, in un ristorante di udon, Nakata dichiara di voler cercare la “pietra dell’entrata”…

CAPITOLO VENTICINQUESIMO p.261

In continuo stato di dormiveglia, Kafka si accorge poco dopo le tre che la misteriosa figura è di nuovo in stanza. Guarda ancora il quadro e sì, è proprio la Saeki a quindici anni. D’improvviso il cuore inizia a battegli forte al punto da generare un rumore che pervade la stanza intera, fino a far girare la testa alla figura che però non lo scorge. Fanno parte di due mondi separati…

Io e lei ci troviamo in due mondi separati, divisi da un confine invisibile. (p.262)

Il battito si placa e la figura torna ad ammirare il quadro prima di andarsene dopo circa venti minuti. Di dormire non c’è verso e così, alle cinque, Kafka esce per andare in spiaggia alla ricerca del posto ritratto nel quadro. È lì che ricompare Corvo a dirgli che è diventato geloso del ragazzo del quadro… All’arrivo di Oshima, il ragazzo gli chiede uno spartito di Kafka sulla spiaggia. Poi parlano ancora del talento della Saeki. Secondo lui potrebbe averlo indirizzato in qualcos’altro, per esempio nell’uscire da sé. Un’altra supposizione lo preme: e se lei fosse sua madre? In fin dei conti molte circostanze lo fanno propendere verso tale ipotesi, ultima delle quali l’essersi innamorato di lei…

Dopo pranzo Oshima gli porge il reperito spartito di Kafka sulla spiaggia…

Più tardi, a colloquio con Saeki, alla quale porta il caffé quotidianamente, le confessa di esser fuggito di casa. Il cuore gli batte all’impazzata. Lei gli rivela a sua volta che:

Anch’io, quando avevo la tua età, sognavo sempre di anda­re in un mondo a parte, – dice la signora Saeki sorridendo. – Un posto al di fuori del tempo, dove nessuno avrebbe potuto raggiungermi.

  • Ma un posto del genere non esiste.

  • Infatti, non esiste. Per questo vivo cosi. In un mondo dove tutto si danneggia, il cuore si consuma, e il tempo scorre senza un attimo di tregua – .Tace per qualche istante, come a suggerire con quella pausa il fluire silenzioso del tempo. Poi riprende: – Ma quando avevo quindici anni, pensavo invece che quel posto esistesse. Che da qualche parte fosse possibile trovare l’entrata per quel mondo speciale. (p.270)

Le ricorda inoltre il suo ex ragazzo…

Mi ricordi un ragazzo che aveva anche lui quindici anni, tanto tempo fa.

  • Mi assomigliava? – chiedo.

  • Tu sei più alto, e hai un fisico più robusto. Però forse ti assomigliava un po’. Non andava d’accordo con i ragazzi della sua età, e se ne stava sempre chiuso nella sua stanza a leggere e ad ascoltare la musica. Quando faceva dei discorsi seri gli si formava una ruga tra le sopracciglia, proprio come a te. E anche tu ami molto leggere. (p.271)

Prima di congedarglo gli dice anche di aver scritto, tra tanti, un libro sui fulmini in cui riportava le esperienze di persone sopravvissute dopo esserne state colpite. A Kafka sembra di ricordare qualcosa, ma l’intuizione svanisce presto dalla sua mente e così se ne va a leggere lo spartito del brano e ad ascoltare dischi. Gli accordi sono semplici, tranne due estremamente complessi. È come se la Saeki li avesse trovati in un altro mondo. Un mondo in cui si è fermata a quindici anni… Ma ecco il ricordo: suo padre era stato colpito da un fulmine su un campo da golf e da allora era diventato un geniale scultore…

Un piccolo martello batte contro un cassetto dentro la mia te­sta. E un battere insistente. Sento di essere vicino a ricordare qual­cosa di molto importante, ma non so assolutamente cosa. La si­gnora Saeki riprende il suo lavoro, e io rinuncio ad afferrare il ri­cordo e torno nella mia stanza.[…]

Torno nella mia stanza e guardo lo spartito di Kafka sulla spiag­gia che Óshima ha stampato per me. Come pensavo, la maggior parte degli accordi sono piuttosto semplici, ma nel refrain ce ne sono due estremamente complicati. Vado nella sala di lettura, mi siedo al pianoforte verticale e provo a suonarli. Richiedono una particolare agilità. (p.272)

Riesco a sentire la sua voce. Di nuovo qualcosa bussa alla por­ta della mia mente. Forte, con insistenza.

«L’entrata?»

Sollevo la puntina dal disco Getz/Gilberto. Prendo quello di Kafka sulla spiaggia e lo metto sul giradischi. Abbasso la puntina. Lei comincia a cantare.

Le dita di una ragazza annegata

Cercano la pietra dell’entrata.

Sollevando l’orlo del suo vestito azzurro

Guarda Kafka sulla spiaggia

La ragazza che frequenta questa stanza forse è riuscita a tro­varla, la pietra dell’entrata, penso. Si è fermata in un mondo a par­te, dove ha ancora quindici anni, e di notte da li raggiunge questa stanza. Nel suo vestito azzurro, viene a guardare il suo Kafka se­duto sulla spiaggia.

Poi, tutt’a un tratto, senza nessuna relazione apparente, mi ri­cordo che mio padre aveva raccontato di essere stato colpito, una volta, da un fulmine. Non l’avevo sentito direttamente da lui. L’avevo letto per caso in un’intervista pubblicata su qualche set­timanale. Mio padre, quando era ancora studente all’Accademia di belle arti lavorava part-time come caddie in un campo da golf. (p.273)

Probabile quindi lei lo abbia incontrato durante la realizzazione del libro…

Troppe coincidenze vanno ormai verso un’unica direzione…

Era questo che oggi, sulla soglia dello studio della signora Saeki, mentre la sentivo parlare del suo libro sui fulmini, cercavo inutilmente di ricordare. Mio padre ave­va cominciato a dedicarsi seriamente alla sua attività di scultore dopo essersi ripreso da quell’incidente.

E possibile che la signora Saeki avesse incontrato mio padre mentre raccoglieva le testimonianze delle persone colpite da ful­mini per il suo libro. Sì, questa possibilità esiste. Non credo siano così numerose le persone che sopravvivono a un fulmine.

Trattenendo il respiro, aspetto che si faccia notte. Le nuvole- si dividono, e la luce della luna invade il giardino illuminando gli alberi. Ci sono troppe coincidenze. Tante cose stanno iniziando a convergere, sempre più in fretta, verso un’unica direzione. (p.274)

CAPITOLO VENTISEIESIMO p.275

Prenotato un ryokan, Hoshino e Nakata iniziano a chiedere informazioni sulla presunta pietra dell’entrata, descritta dal vecchio come bianca, non grande e di forma sferica. Né all’ufficio informazioni turistiche né in biblioteca riescono però ad avere indizi utili al suo rinvenimento. Ma la sera del secondo giorno, uscito per svagarsi, Hoshino si imbatte in un assurdo individuo, identico in tutto e per tutto al Colonnello Sanders della catena dei fast food Fried Chicken, il quale gli offre una ragazza. Hoshino rifiuta, ma quando quello gli dice di conoscere l’ubicazione della pietra, eccolo accettare di buon grado seguendolo…

CAPITOLO VENTISETTESIMO p.285

Alle 2.47 Kafka si avvede della presenza della ragazza nella stanza. Senza accorgersene inizia a chiamarla più volte, ma lei gli fa segno di tacere per poi scomparire poco dopo…

L’indomani, poco dopo le 12, giunge in biblioteca un poliziotto in borghese a chiedere di lui a Oshima. Sono arrivati a Takamatsu per via del telefono, sebbene Sakura non sia stata rintracciata grazie alla sua carta prepagata. Lui ha ovviamente mentito dichiarando di non averlo più visto dal 28…

Alle 2 Kafka sale dalla signora Saeki, alla quale chiede se abbia figili. La donna è colpita dalla domanda e non risponde…

In stanza il ragazzo non sa dunque se si è innamorato della Saeki quindicenne o di quella cinquantenne…

Ciudo gli occhi, e cerco di trovare dentro di me una specie di baricentro.

Ma è come dice la signora Saeki. Il suo viso, il suo corpo, ogni volta che la guardo mi appaiono speciali e preziosi. (p.293)

CAPITOLO VENTOTTESIMO p.294

Sanders marcia spedito arrestandosi solo una volta raggiunta una panchina nel parco di un monastero shintoista. Da lì chiama la ragazza promessa ad Hoshino, bellissima ed istruita, con la quale il ragazzo si diletta prima di tornare alla panchina dove il vecchio lo attende per adempiere all’altra promessa. E così eccoli inoltrarsi un boschetto dove la pietra giace…

CAPITOLO VENTINOVESIMO p.300

Dal telefono pubblico Kafka chiama Sakura, che non vedeva e sentiva più dalla notte del 28. Poi rientra in camera ad ascoltare il brano della Saeki che lo trasporta in un altro mondo e nel sonno. Passate le 3 si risveglia percependo una presenza nella stanza. È simile, diversa a quella di Saeki quindicenne. Ascoltato il pulsare del suo cuore, eccola spogliarsi e fare l’amore con lui. È la Saeki cinquantenne, in stato di sonno ma reale…

CAPITOLO TRENTESIMO p.307

Strada facendo Sanders confessa di non essere il personaggio che rapprensenta in quel momento, bensì un’entità priva di nome e forma (ne assume una all’occorrenza), di personalità e sentimenti. È un oggetto neutrale, il cui compito è solo quello di condurre a effetto le funzioni che gli competono. Lo ha attirato con le sembianze di Sanders proprio per portare a compimento la sua missione…

Quello che cerco di fare è solo condurre a effetto le funzioni che mi competono. Io sono un essere molto pragmatico. O se preferisci, un oggetto neutrale. […]

Il mio ruolo è supervisionare il rapporto di interdipendenza tra mondo e mondo. Controllare che le cose avvengano secondo il giusto ordine. Far sì che a una causa corrisponda un effetto, e che un significato non si confonda con un altro.[…]

Sono un oggetto metafisico, astratto, nel puro senso del termine. Posso assumere qualsiasi aspetto, ma di mio non ho sostanza fisica.(p.309)

Giunti a un piccolo santuario, Sanders ordina ad Hoshino di aprire la porta dietro la quale si cela la pietra. Hoshino teme maledizioni, ma alla fine si lascia convincere. Avvoltala in un panno, i due ripercorrono all’inverso il cammino che li ha fin lì condotti. Poi si separano, con Hoshino che torna in taxi in albergo dove sistema la pietra di fianco alla testa dell’ancor dormiente Nakata…

CAPITOLO TRENTUNESIMO p.315

Dopo le 13 Kafka porta il caffè alla signora Saeki che, intenta a guardare fuori della finestra, torna a sedersi alla scrivania invitandolo a fare altrettanto. Nel corso della conversazione il ragazzo le chiede se sia in cerca della morte, poi le espone una teoria. Suo padre, morto assassinato da poco, cercava la morte per dimenticare lei, la signora Saeki. Voleva che ad ucciderlo fosse loro figlio, che avrebbe poi giaciuto con lei e con sua sorella. Quindi lei è sua madre e lui la ama. Proprio come nella maledizione-profezia del padre… Si è innamorato tramite la ragazza quindicenne che vive dentro di lei e che esce quando lei dorme…

Mi sono innamorato di lei quindicenne. In maniera molto profonda. E attraverso la ragazza di quindici anni, mi sono innamorato di lei come è adesso. Perchè quella ragazza è ancora adesso dentro di lei, addormentata. Ma quando lei, signora Saeli, si addormenta, quella ragazza comincia a muoversi. E io posso vederla. (p.319)

Aspetta la morte e non la cerca, gli ribadisce Saeki che confessa di aver trovato i due accordi misteriosi in una stanza aperta in un’altra dimensione…

Non sto facendo nulla per andare incontro alla morte. Davvero. Sono qui solo ad aspettare che arrivi. Come se fossi seduta su una panchina della stazione ad aspettare che passi il treno. (p.320)

Li ho trovati in una vecchia stanza che si trova molto lontano. La porta della stanza allora era aperta, – dice lei con dolcezza. (p.321)

Poco dopo le 21 la signora Saeki giunge nella stanza di Kafka. È reale e perfettamente cosciente. Parlano del quadro e lei lo conduce sul luogo in cui è stato realizzato. Si baciano, poi, tornati in stanza, fanno l’amore…

CAPITOLO TRENTADUESIMO p.327

Al risveglio, poco prima delle 5, Nakata si risveglia constatando al suo fianco la presenza della pietra, fatto che non lo sconvolge minimamente. Si siede e inizia a carezzarla. Esce e, dopo essersi lavato, ritorna riprendendo ad osservarla e toccarla. Prevede quindi tuoni…

Alle 8 si sveglia anche Hoshino che, dopo aver fatto colazione, è ben felice di narrargli le gesta che lo hanno portato a trovare la pietra e ad affidargliela. Il vecchio gli preannuncia i tuoni che, a mezzogiorno, iniziano a scatenarsi. Durante il diluvio Nakata continua a toccare la pietra e, d’un tratto, dichiara di essere come un contenitore vuoto, diventatolo dopo l’incidente sul monte…

Nakata non è solo stupido. Nakata è vuoto. […]

Nakata un tempo era una persona normale come tutti. Ma un giorno è successo qualcosa, e in seguito a quello è diventato come un contenitore vuoto. (p.333)

Il vecchio esprime il desiderio di voler tornare il Nakata normale di una volta. Ma prima deve sistemare la questione della pietra, di Johnnie Walker e recuperare l’altra metà della propria ombra. Hoshino gli chiede perché proprio lui debba occuparsi della pietra e il vecchio gli risponde “perché Nakata è l’uomo che è entrato e uscito” (p.335).

Non so bene, ma per qualche ragione il coperchio si è sollevato e Nakata è uscito da questo mondo. Poi, sempre per qualche ragione che non so, è tornato. A causa di questo, Nakata ha smesso di essere il normale Nakatam e la sua ombra è diventata metà. In compenso ha imparato a parlare coi gatti, anche se ultimamente non ci riesce più tanto. E forse ha imparato anche a far cadere le cose dal cielo. (p.335)

Essendo una persona vuota, continua, chiunque può entrare in lui e usarlo. Lo ha fatto Johnnie Walker…

Johnnie Walker ha usato Nakata. Ma Nakata non ha potuto opporsi. Non aveva la forza per farlo. E non l’aveva perché dentro non ha niente. […]

Mi ha fatto versare del sangue. Questo non doveva accadere. […]

Sì, ma quel sangue non è rimasto attaccato alle mani di Nakata. (p.336)

Non sa inoltre cosa accadrà dopo aver aperto l’entrata. Chiede quindi ad Hoshino di aiutarlo a sollevare la pietra, ora pensantissima. Il ragazzo riesce ad alzarla e ribaltarla a costo di uno sforzo sovraumano che lo conduce quasi alla morte. Ma l’entrata è ora aperta…

CAPITOLO TRENTATREESIMO p.341

Per non dover incontrare dal mattino la signora Saeki, Kafka si reca in palestra, poi, dopo le 13, porta il caffè alla direttrice. Lei lo fa sedere e iniziano a dialogare. Nega di aver conosciuto un Tamura durante la sua ricerca sulle persone sopravvissute dopo esser state colpite dai fulmini, ma la sua repentina risposta dimostra che invece l’uomo lo ha conosciuto…

La notte fanno di nuovo l’amore…

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO p.350

Il temporale cessa e Hoshino si accorge di quanto Nakata sia spossato, quasi invecchiato di colpo. Ed infatti eccolo addormentarsi poco dopo. Per ammazzare il tempo il giovane inizia a girare vari locali finendo in una sala da tè dove, incredibilmente, è rapito dalla musica classica, il Trio dell’arciduca di Beethoven, che lo porta a profonde consideradizioni sulla propria condizione…

L’indomani, dormendo ancora Nakata, la giornata si ripete. Ma prima di tornare alla sala da tè, eccolo incredibilmente alle prese con proiezioni di film di Truffaut, segno che il suo io sta evolvendo in meglio…

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO p.360

Squilla il telefono che interrompe il sogno di Kafka, impegnato a cercare qualcosa in una grotta e chiamato da qualcuno… È Oshima che gli dice di farsi trovare pronto per ritornare a Kochi. La polizia si è rifatta viva, ma stavolta è ricercato per possibile complicità nell’omicidio del padre. Il sospetto complice è infatti un anziano, sui sessantacinque, che in compagnia di un giovane è giunto a Takamatsu. Il vecchio si era autodenunciato del delitto, ma il giovane poliziotto di turno lo aveva congendato non credendo al suo racconto. Inoltre anche la pioggia di pesci e sanguisughe sembrerebbero a lui legate…

Oshima gli dice inoltre che lui e Saeki devono stare separati, giacché a lei non resta ormai molto da vivere. E lui la sta avvicinando alla morte…

Per farla breve, non le resta molto da vivere. Ne sono sicuro. Già da tempo ho cominciato a coglierne dei segnali.[…]

Sì. ha perso la volontà di continuare a vivere.[…]

Sta semplicemente andando incontro alla morte. Senza troppo chiasso ma senza esistare. O forse è la morte che sta venendo incotnro a lei. […]

Cioè io starei avvicinando la signora Saeki alla morte. (p.366)

CAPITOLO TRENTASEIESIMO p.369

Alle cinque del mattino Sanders chiama Hoshino al telefonino informandolo che dovrà essere lui ad occuparsi della pietra e a richiudere l’entrata quando il momento sarà giunto. Devono inoltre lasciare l’albergo per sfuggire alle ricerche della polizia, trasferendosi in un appartamento da lui affittato a Park Heights. Raggiunta la nuova destinazione, Nakata racconta dettagliatamente di Johnnie Walker e del suo omicidio ad Hoshino. Poi vanno fino in spiaggia. Al rientro Nakata chiede al giovane di reperire un’auto…

CAPITOLO TRENTASETTESIMO p.382

Oshima e Kafka raggiungono la casa di montagna. Mentre il primo si riposa prima della ripartenza, il quindicenne inizia a leggere un libro sulla campagna di Russia di Napoleone. Più tardi viene a sapere da Oshima che, durante un’esercitazione, nel 1944, due soldati si erano smarriti nella foresta, o forse avevano disertato…

Trascorsa la giornata, Kafka non fa altro che pensare a Saeki…

CAPITOLO TRENTOTTESIMO p.389

Hoshino rientra in casa dopo aver noleggiato l’auto, trascorrendo la giornata ad ascoltare il Trio dell’Arciduca. Nakata parla invece con la pietra…

L’indomani iniziano a girare in auto, con la speranza che l’anziano abbia l’ispirazione giusta su dove fermarsi. Ma le ricerche sono vane, con il terrore di Hoshino di essere riconosciuti e fermati dalla polizia. Il giorno seguente scorre identico ma, nel tornare a casa, sbagliando uscita, i due si ritrovano all’esterno di un palazzo signorile con giardino. Biblioteca Komura, legge Hoshino nella targa. È lì, interviene Nakata, quello che sta cercando…

CAPITOLO TRENTANOVESIMO p.400

Kafka continua a pensare a Saeki poi, alle due, orario di inizio visita alla Komura, si inoltra nella foresta. Spinto da una misteriosa forza, si inoltra oltre la radura in cui è solito fermarsi. Per fortuna riesce però a ritrovare la via di casa…

La notte spera e attende invano una visita di Saeki. E sogna invece Sakura, con cui fa l’amore nonostante lei non voglia. Vuole chiuderla con la maledizione portandola a compimento. Dentro di sé sente qualcosa schiudersi da un guscio, uscire e aprire occhi che gli consentono di osservarsi dall’esterno… Si sveglia, lavando gli effetti della polluzione…

Quella cosa dentro di te, finalmente ha rivelato chiaramente la sua forma. Adesso è un’ombra nera che riposa con te. Del guscio, rotto e buttato via, non rimane più traccia. (p.406)

CAPITOLO QUARANTESIMO p.407

Alle undici Oshino e Nakata fanno il loro ingresso alla Komura, dove ad accoglierli c’è il solito Hoshima. I due prenotano anche la visita delle 14, poi, mentre Hoshino inizia a leggere una biografia di Beethoven, Nakata ispeziona come un cane la sala prima di dedicarsi a un libro di fotografie. Ed ecco alle 14 scendere puntuale la Saeki per la visita dell’edificio… Alle 15 Nakata si alza di scatto precipitandosi su per le scale fino allo studio della Saeki che, ascoltatolo, chiede a Oshima e Hoshino di lasciarli soli chiudendo la porta…

CAPITOLO QUARANTUNESIMO p.420

Kafka si inoltra nella foresta attrezzato di tutto punto. È curioso infatti di scoprire cosa ci sia al fondo del sentiero…

A spingermi è la curiosità. Mi interessa sapere cosa c’è in fondo a quel sentiero. (p.420)

Avanzando si sente spiato, osservato, e così inizia a fischiettare per distrarsi…

Sono le undici passate, orario in cui la Biblioteca è già aperta. Ritorna con la mente al sogno della notte precedente, al sesso con Sakura. Compare Corvo a dirgli che non avrebbe dovuto farlo. La profezia l’ha realizzata, ma la maledizione non si è affatto estinta…

Nelle tue intenzioni, la maledizione che tua padre ti ha lanciato si sarebbe dovuta estinguere. Però in realtà non si è estinta. E tu non hai superato nulla. (p.424)

Deve far entrare una calda luce nel suo arido cuore, gli suggerisce l’amico…

Farci entrare una luce calda, sciogliere quella parte ghiacciata che hai dentro. (p.425)

Kafka si sente vuoto, un vuoto che cresce dentro di lui…

Solo nei recessi della forresta, ho la sensazione che questo essere che porta il mio nome sia terribilmente vuoto. Come se da un momento all’altro mi fossi trasformato in uno di quergli uomini vuoti di cui parlava Oshima. Vi è un grande spazio vianco dentro di me, che continua a crescere, e che a poco a poco divorerà anche l’ultima sostanza che mi è rimasta. Capisco sempre meno chi sono. Mi sento davvero perso. (p.425)

Più tardi è colto da una strana sensazione e, coltello a parte, abbandona tutto l’attrezzatura continuando ad avanzare nel cuore della foresta…

Mi addentro nel cuore della foresta. Sono un essere vuoto,. Sono uno spazio bianco che sta divorando progressivamente ogni sostanza. Per questo, lì non c’è più niente che debba temere. Niente.

E così mi addentro nel cuore della foresta. (p.426)

CAPITOLO QUARANTADUESIMO p.427

Saeki fa sedere Nakata. Si aspettavano da tempo, riconoscono entrambi. Sì, ammette lei. Tanto tempo fa ha trovato la pietra e aperto la porta, suo malgrado. Solo perché credeva che così facendo non si sarebbe mai separata dal suo fidanzato. Allo stesso modo Nakata ha ucciso Johnnie Walker suo malgrado, al posto del ragazzo di quindici anni. Ora devono far tornare le cose come prima. Entrambi hanno metà ombra. Lei gli affida il dettagliato manoscritto di quanto fatto dal giorno in cui ha lasciato Takamatsu dopo la mote del fidanzato, con l’incarico di bruciarlo senza leggerne neanche un rigo. Nakata accetta e, dopo aver compreso cosa siano i ricordi attraverso le mani posate su quelle della donna, se ne va…

Da quando sono tornata qui in città ho cominciato ajavora- re a questo manoscritto, e da allora non ho mai smesso. E il rac­conto della mia vita. Sono nata non lontano da qui, e ho amato profondamente un ragazzo che abitava in questa casa. Il mio amo­re per lui non avrebbe potuto essere più grande, e lui amava me al­lo stesso modo. Vivevamo dentro un cerchio magico. AH’interno di quel cerchio tutto era perfetto. Ma naturalmente un’armonia co­me quella non poteva durare in eterno. Siamo diventati grandi, e i tempi stavano cambiando. Il cerchio perfetto mostrava qua e là dei cedimenti, il mondo di fuori ha fatto breccia nel nostro paradiso, e qualcosa dall’interno ha cominciato a uscire all’esterno. Era più che naturale. Ma allora a me non sembrava che lo fosse. E fu per questo, per tentare di impedire queste intrusioni e fughe, che aprii la pietra dell’entrata. Come ci sia riuscita, non me lo ricordo. Ma dentro di me avevo deciso che per non perdere lui e per impedire che qualcosa dall’esterno distruggesse il nostro mondo, dovevo a qualunque costo aprire quella pietra. Che cosa ciò potesse signifi­care, lo ignoravo. Ed è inutile dire che dovetti pagare un prezzo.

Fece una pausa, prese fra le dita la sua stilografica, e chiuse gli occhi.

  • La vita per me è finita a vent’anni, – continuò. – Il resto è stato solo un interminabile strascico. Una specie di lungo corridoio buio e tortuoso che non conduce da nessuna parte. Eppure, ho do­vuto continuare a vivere. Accettare il susseguirsi di giorni vuoti, guardarli scorrere, e nel frattempo commettere tanti errori. Anzi, per essere precisa credo di aver commesso soltanto errori. C’è sta­to un periodo in cui ho vissuto completamente rinchiusa in me stessa, come al fondo di un pozzo, maledicendo e odiando tutto ciò che apparteneva al mondo di fuori. Ce n’è stato un altro in cui sono uscita all’aperto, e ho fatto finta di vivere. Mi facevo andar bene tutto, attraversavo il mondo in uno stato di completa in­sensibilità e sono stata a letto con un certo numero di uomini. Poi ho fatto pure l’esperimento del matrimonio.(p.430)

Che di tutto questo non rimanesse nemmeno la mi­nima traccia. Se le fosse possibile, signor Nakata, vorrei chiedere a lei questo favore. Non c’è nessun altro su cui possa contare. So che la mia richiesta è inopportuna, ma potrebbe farlo per me ?

  • Va bene, – disse Nakata, quindi annuì alcune volte con for­za. – Se lo desidera, Nakata brucerà tutto. Stia tranquilla. (p.431)

Mentre Hoshino e Nakata vanno in cerca del greto di un fiume dove poter ruciare indisturati il corposo manoscritto, appena libero dal lavoro Oshima sale da Saeki… scoprendola morta. E si sente perso dalla nuova mancanza…

Le sollevò i capelli dalla fronte, e le guardò il viso. Gli occhi erano leggermente dischiusi. Non dormiva. Era morta. Ma sui suoi lineamenti aleggiava l’espressione di chi stia facendo un sogno pia­cevole. Sulle labbra indugiava l’ombra di un sorriso. Perfino nel­la morte non ha perso la sua grazia, pensò Oshima. Lasciò rica­dere i capelli sul viso, quindi prese in mano il telefono che era sul­la scrivania.

Era preparato al fatto che questo giorno sarebbe arrivato pre­sto. Ma ora che si trovava da solo in quella stanza silenziosa con la signora Saeki morta per davvero, si sentiva totalmente perso. Avvertiva una specie di gelo al cuore. Avevo bisogno di lei, pensò. Forse avevo bisogno di lei per riempire il vuoto che ho dentro. Ma

  1. non sono riuscito a riempire il suo vuoto interiore. Fino alla fi­ne, la signora Saeki non ha mai diviso quel vuoto con nessuno.

Óshima sentì qualcuno chiamare il suo nome dal pianterreno.

  1. così gli sembrava. La porta era aperta, e dal basso giungevano

  2. rumori di un viavai agitato di persone. Si mise a suonare anche

  1. telefono. Ma Oshima ignorò tutto. Si lasciò cadere sulla sedia e continuò a guardare la signora Saeki. Che mi chiamino pure, pensò, che il telefono squilli quanto vuole. A un certo punto si co­minciò a sentire la sirena dell’ambulanza, prima lontana poi sem­pre più vicina. Fra poco arriveranno, si disse, e la porteranno via. Per sempre. Sollevò il braccio sinistro e guardò l’orologio. Erano le quattro e trentacinque. Le quattro e trentacinque del pomerig­gio di martedì. Devo ricordarmi quest’ora, pensò. Devo ricor­darmi questo pomeriggio, questa giornata, per tutta la vita.

  • Tamura Kafka, – disse in un sussurro, rivolto verso il muro accanto a lui. – Devo comunicarti questa notizia. Ammesso, na­turalmente, che tu non la sappia già. (p.434)

CAPITOLO QUARANTATREESIMO p.435

Spoglio di tutto Kafka prosegue il suo viaggio all’interno della foresta…

Avanzo da solo, senza più alcun guscio, verso il centro del labirinto, pronto ad abbandonarmi al vuoto che troverò lì dentro. (p.435)

Forse è un viaggio all’interno di se stesso, pensa…

Io sto facendo un viaggio entro me stesso. Come il sangue viaggia attraverso le vene. Quindi quello che vedo è ciò che ho dentro, e ciò che mi appare come una minaccia è un’eco delle mie paure interiori. (p.436)

Ripensa al perché la madre non lo abbia amato abbandonandolo a soli quattro anni. Con chiarezza rivive la scena, il momento dell’addio. Poi il suo spirito si trasforma in un corvo che si posa su un pino ed osserva dall’esterno la scena del triste abbandono. E il Corvo gli dice di perdonarla, è la sua unica salvezza…

In altre parole, devi perdonarla. Naturalmente non è facile. Ma è quello che devi fare. Sarà la tua unica ancora di salvezza. È la sola opportunità che ti si offre. (p.439)

Dopo un po’ eccolo al cospetto di due soldati. I due smarriti durante la spedizione o meglio, per loro stessa ammissione, ivi rifugiatisi per sottrarsi alla crudeltà e alla barbarie del mondo esterno che ti obbliga ad uccidere gli altri per non essere ucciso… Questi affermano di essere i guardiani dell’entrata, ora aperta, e di esser lì in sua attesa. Se lo vorrà, prima della chiusura della porta, potranno condurlo nel fitto della foresta. Kafka, senza esitazione, dichiara loro di voler entrare…

CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO p.444

Hoshino e Nakata terminano di bruciare il manoscritto al tramonto. Ormai non resta che chiudere la porta dell’entrata quando il momento sarà giunto. Ma ora il vecchio dichiara di aver tanto sonno e di dover riposare. Tornano così a casa dove Hoshino sistema il già addormentato Nakata. Ma l’indomani rinviene il vecchio morto…

L’indomani mattina Nakata era morto. (p.448)

Resta ora per Hoshino il problema di quando richiudere la porta. Accetta il compito per gratitudine verso il vecchio. Si mette ad ascoltare il solito Trio dell’Arciduca versando abbondanti lacrime…

CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO p.454

Con sforzo immane Kafka segue i due soldati nel fitto della foresta. Si fermano solo sul crinale prima di iniziare una discesa che li conduce a un mondo in miniatura, dove tutto è immerso nell’immobilità e nel silenzio, dove non esistono passato e futuro. La sua dimora temporanea è una casa simile a quella di montagna di Oshima. Lì potrà attendere chi vuole incontrare. È stanco e si addormenta. Al risveglio scopre che a cucinare e rassettarde c’è… la Saeki quindicenne! È reale, in carne e ossa, sebbene sia priva di ricordi in quel posto dove il tempo non esiste. È giunto fin lì, le dichiara, proprio per incontrare lei e un’altra donna.

CAPITOLO QUARANTASEIESIMO p.467

Hoshino non riesce ad abbandonare l’appartamento. Continua a parlare con il cadavere che ha sistemato in una stanza con il condizionatore al minimo. È spaesato, non sa che fare. Accarezza la pietra e le parla, proprio come faceva Nakata, ma nulla accade. Ma ecco che poco dopo le due del giorno seguente il decesso dell’anziano, un grosso gatto nero si piazza sulla ringhiera del balcone, osservando in casa dalla finestra. Incredibilmente il gatto risponde al suo saluto…

IL RAGAZZO CHIAMATO CORVO p.474

Il ragazzo chiamato Corvo sorvola la foresta in cerca di qualcosa o qualcuno. È Johnnie Walker, con un sacco di flauti a tracolla, il suo obiettivo. L’uomo gli rivela di essere nel limbo, quella foresta appunto, e che solo chi ne ha i poteri potrà ucciderlo. Non lui, misero Corvo, incapace di provocargli danni. L’animale lo attacca dilaniandolo invano a colpi di becco tra le risa del folle…

CAPITOLO QUARANTASETTESIMO p.478

L’indomani Kafka scopre che l’orologio si è fermato. Saeki quindicenne gli conferma che lì il tempo non ha importanza e che i ricordi sono inseriti nella biblioteca. Ma più tardi ecco la Saeki cinquantenne fargli visita. Lei gli dichiara di aver bruciato tutti i suoi ricordi dai quali anche lui presto scomparirà. La donna gli chiede inoltre di abbandonare quel luogo di oblio e di tornare a vivere serenamente nel mondo reale prima che la porta si richiuda. Dovrà solo ricordarla. Tutto qui. In eredità gli ha lasciato il quadro Kafka sulla spiaggia. Lui era al suo fianco mentre veniva realizzato. Vorrebbe inoltre che la perdonasse per averlo abbandonato…

Molto tempo fa ho lasciato qualcuno che non avrei dovuto lasciare, – dice. – Era ciò che amavo di più. Avevo paura che avrei finito col perderlo. Perciò ho dovuto lasciarlo, abbandonarlo. Pen­savo che se doveva essermi strappato via, che se prima o poi do­veva sparire per sempre, era meglio che fossi io a lasciarlo. Na­turalmente, c’era in me anche un sentimento di rabbia che non si è mai sopito. Ma è stato uno sbaglio. Mai e poi mai avrei do­vuto lasciarlo. (p.485)

Si punge una vena del braccio dandogli il suo sangue da assaporare. Poi se ne va…

La mia lingua lecca il suo sangue. […] Solo allora mi rendo conto per la prima volta di quanto avessi desiderato il suo sangue. […]

Addio, Tamura, – dice la signora Saeki. – Torna da dove sei venuto e continua a vivere. (p.486)

Kafka riprende la sua roba e raggiunge i due soldati, pronto a tornare nel mondo reale. Nonostante la loro raccomandazione si volta a guardare indietro, rischiando di esser risucchiato nel mondo incantato. Ma la voce di Saeki lo desta permettendogli di proseguire. Più tardi si separa dai due soldati, perdendo però i ricordi da quel momento in poi. Unica certezza è il ritrovarsi nella casa di montagna con tutta l’attrezzatura con cui era partito…

CAPITOLO QUARANTOTTESIMO p.490

Il gatto rivela ad Hoshino che, trovandosi al confine del mondo, stanno semplicemente parlando una lingua comune. Si chiama Toro e gli spiega che dovrà eliminare una misteriosa creatura che di notte si farà viva. Non sa che forma abbia, ma è molto malvagia e pericolosa. Vedendola la riconoscerà. Dovrà odiarla ed eliminarla senza esitazione, impedendole di attraversare l’entrata…

Ricorda: devi ucciderla senza esitare, armato di uno schiacciante pregiudizio contro di lei. Era quello che Nakata voleva. Adesso tocca a te farlo al posto suo. (p.494)

Hoshino recupera alcuni coltelli, un martello e un rompighiaccio. Poi riposa in attesa della notte e dell’orrenda creatura. La notte passa in estenuante attesa, fino a che, intorno alle tre, sente qualcosa strusciare nella stanza di Nakata. È l’orrenda cosa che esce lentamente ma inerosabilmente dalla bocca di Nakata…

La cosa stava uscendo, strisciando e contorcendosi, dalla bocca di Nakata. La forma ricordava quella di una zucca, e lo spessore era più o meno quello del braccio di un uomo piuttosto grosso.[…] Aveva la consistenza di un liquido vischioso, e brillava di una luce biancastra. La bocca di Nakata, come quella di un serpente, era spalacanta per lasciar passare quell’essere. (p.497)

Invano Hoshino accoltella l’essere dalla consistenza gelatinosa e capace di rigenerarsi. Fino a che quello esce del tutto mostrando il suo aspetto…

La cosa bianca fuoriusciva con inesorabile regolarità dalla bocca di Nakata, e infine emerse allo scoperto nella sua totalità. In tutto era lunga circa un metro, e aveva una coda. […] Non aveva piedi o zampe. (p.499)

Nulla però è in grado di ferirla e così, osservando la pietra proiettante uno strano chiarore rossastro, ha l’intuizione di schiacciarla con essa. Ma in realtà, dopo sforzo sovrumano, richiusa la porta ribaltando la pietra, l’essere è colto da terrore ed ucciderlo è stavolta possibile. Ridotto a brandelli, di lui non resta che una bava biancastra sulla moquette. La raccoglie e inserisce in sacchi che l’indomani brucerà prima di ripartire per Nagoya. Saluta quindi Nakata, la pietra ed esce…

CAPITOLO QUARANTANOVESIMO p.503

L’indomani un’auto raggiunge la casa di montagna. È Sada, il fratello di Oshima, giunto fin lì per rincondurlo alla Komura. L’uomo è di parche parole ma, durante il viaggio, gli rivela di essersi anch’egli inoltrato nella foresta fino a raggiungere i due soldati e il mondo incantato. Ma son cose delicate delle quali è meglio non parlare in presenza di altri…

Poco dopo l’una eccoli in Biblioteca, dove Sada riparte senza neanche scendere dall’auto. Oshima saluta Kafka dicendogli che la signora Saeki, come probabilmente già sa, è morta. A lui ha lasciato il quadro Kafka sulla spiaggia. Cosa farai ora?, gli chiede il bibliotecario. Il ragazzo risponde di voler tornare a Tokyo per concludere gli studi e spiegare quanto accaduto alla polizia. Poi, preso il quadro e ricevuto in regalo anche il disco di Kafka sulla spiaggia, visita per l’ultima volta lo studio di Saeki. Poi i due si salutano…

Dal telefono della stazione chiama Sakura cui esprime la speranza di rivedersi a Tokyo. Lei ne è felice e si fa lasciare il numero di telefono…

Sul treno che lo riporta a casa, con il quadro e il disco tra le gambe, si lascia andare fino ad addormentarsi. Una nuova vita e un nuovo mondo lo attendono…

Adesso dormi, – dice il ragazzo chiamato Corvo. – E quando ti sveglierai fari pare di un mondo nuovo.

Così finalmente ti addormenti. E quando ti svegli, fai parte di un nuovo mondo (p.514)

GLOSSARIO p.515