GIUSEPPE UNGARETTI – LETTERE DAL FRONTE A MARIO PUCCINI

 

GIUSEPPE UNGARETTI – LETTERE DAL FRONTE A MARIO PUCCINI

ARCHINTO – NOVEMBRE 2014

 

A cura di Francesco De Nicola

 

STORIE DI SCRITTORI E DI SOLDATI

Di Francesco De Nicola p. 5

 

1

1.3.17

[…]

Sono stanco: gli occhi malandati; il povero corpo gracile sconquassato, i nervi rotti, le ossa torpide; ma tiriamo innanzi. (p. 21)

 

10

30.5.17

[…]

Vienmi a trovare; sono in uno stato di nevrastenia tremenda, sono due anni che vivo di sforzi di volontà; oggi mi sono trovato in uno stato di pianto convulso che non riuscivo a frenare; e non posso dormire; ho verogna di me; ma sono indebolito al punto che avrei bisogno di una casa di salute. (p. 33)

 

17

16.7.17

[…]

Appena mi passerà questo acuto male di nervi, che m’impedisce di dormire, di pensare lucidamente, di abbandonarmi alal vita con amore, mi rimetterò a scrivere la mia “guerra portata sulle spalle e sull’anima”, un libro sincero. (p. 44)

 

21

22.7.17

[…]

[…]l’italiano mi riempirà sempre di meraviglia; quando un uomo è così carico di vita, sarà sempre il re della creazione. (p. 48)

 

22

fine luglio 1917

[…]

Ah per D’Annunzio che fa “le pose plastiche” in ginocchio dinanzi ai feretri, col lembo della bandiera in mano e non so in qual altro modo, dinanzi al fotografo sempre immancabile, per quest’uomo che “nausea” i nostri soldati, per questa “eterna modella” che mentre in ogni casa d’Italia c’è il lutto, mentre qui s’è soverchiati da questa tremenda sofferenza ch’è la guerra, fa il fatuo esteta, ci sono tutti i riguardi e le moine. (pp. 49-50)

 

25

novembre 1917

[…]

Ho seguito il pellegrinaggio, stordito, per il Vallone per il San Michele per Sdraussina lungo i cimiteri dove si lasciavano tanti morti che m0erano sdtati cari in vita, che avevo visto partire schiantati in piena speranza increduli della morte, sebbene docili, poveri compagni lontani. Stordito d’essere ancora, sulla terra, un nuomo che sentiva il peso del suo corpo fragile, l’inutilità del suo peso avvilito. Mio Dio che cosa atroce e ossessionante portare così la propria vita viva, sebbene tanto stancata e logorata, quando tutto ci sembra morto; tutto allontanato e noi rimasti non in una Tebaide, ma in uno smarrimento senza senso. Puccini mio, non ho sofferto; sarebbe stata una forza; l’uomo ha la necessità di soffrire come ha quella di respirare l’aria; mi sono sentito senza cuore e senza pensier, eppure vivo, ma buttato via come una pietra da una violenza bruta. Oggi spero, oggi mi rinasce la speranza, oggi mi rigermoglia la sofferenza, oggi mi sento ancora buono nel sole che scioglie la brina e indiamanta l’erba in questa pianura veneta. (p. 55)

In qualunque modo farò tutto il mio dovere perché sopra tutto quello che non deve morire è la Patria, la nostra civiltà, e questi trionfi, e per questo tutto il mio sangue è pronto a bagnare la buona terra. (p. 56)