GIUSEPPE UNGARETTI – DA UNA LASTRA DI DESERTO. LETTERE DAL FRONTE A GHERARDO MARONE


GIUSEPPE UNGARETTI – DA UNA LASTRA DI DESERTO. LETTERE DAL FRONTE A
GHERARDO MARONE
MONDADORI – Collana I MERIDIANI PAPERBACK – 2015
NUOVA EDIZIONE a cura di Francesca Bernardini Napoletano
INTRODUZIONE
Di Francesca Bernardini Napoletano p. V
2
Caro Marone, grazie, ma non ho coraggio di mandare. Dopo la guerra, se non m’uccisono,
c’incontreremo.
Ora, se in qualche modo le mie cose le avete intese, se ho saputo dire ad altri, quello che mi dico, –
ma non come vorrei, – vogliatemi bene.
Ho deciso oggi – dopo aver molto pianto – quel terribile pianto che non si scioglie – che sempre più
si èietrificano dentro, – di rimanere in silenzio.
Vogliatemi bene.
Vostro
Soldato Giuseppe Ungaretti (p. 4)
7
[…]
Il Porto Sepolto
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto (p. 14)
Potreste incaricarvi della stampa; qui, capirete, non s’ha modo; e vorrei uscirne subito, (senza nome
di esitore né di stampatore). (p. 15)
10
[…]
Torbido
Con la mia fame di lupo
ammaino
il mio corpo di pecorella
Sono come la mansueta barca
per l’oceano libidinoso
Ungaretti (p. 21)
11
[…]
[…]ho ore di orrore per me; per questa stupida vita che mi attornia; per gli uomini che non
capiscono nulla, che saranno sempre recalcitranti a capire, e ripagano con presunzione umiliante
quella purezza che qualche “poeta” si cava dall’anima e offre al sole, incorreggibile generoso verso
il “prossimo”, il quale non vede né il sole né la poesia; ma, – quando vede un po’, – la cricca al fatuità, il successo, l’invidia, la pedanteria, e mill’altri convenzionalismi che in ogni tempo hanno
regolato, come sai, la letteratura; la poesia è un’altra cosa: ha pudore. Caro Marone, sono pieno di
schifo; vorrei non essere poeta; non possedere questa tormentosa sensibilità; vorrei essere un umile
facchino; vorrei essere rozzo e semplice; avere una gran gioia a faticare, a mangiare, a riposare;
essere un buon uomo fecondo; e avere il timor d’Iddio, quel tanto per non saperne molto e per fare
una buona morte; ma sono un poeta, amico Marone, fratello Marone, sono un dolorante poeta; ma
ho le mie rare felicità di dio, che mi ripiombano in nuove, più complicate, più atroci difficoltà
d’anima. (pp. 23-24)
19
Poesia
I giorni e le notti
suonano
in questi miei nervi
di arpa
vivo di questa gioia
malata di universo
e soffro
di non saperla
accendere
nelle mie
parole (p. 40)
27
[…]
La poesia non è merce – e ho in orrore la “pubblicità” – non voglio che molti sappiano ch’io ho
scritto; voglio che qualcuno mi ami. (p. 52)
46
[…]
Cielo e mare
M’illumino
d’immenso (p. 95)
Natale
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
E sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
Tranquillità
Vorrei somigliare
a questo paese
steso
nel suo camice
di neve
Sono malato
La malinconia
mi macera
Il corpo dissanguato
mi dissangua
la poesia (p. 99)
Solitudine
Ma le mie urla
feriscono
come i fulmini
la fioca
campana del cielo
e sprofondano
impaurite
della mia solitudine (p. 100)
83
[…]mandatemi libri; mandatemi qualche cosa per uccidere le giornate, le giornate m’assassinano di
noia, e ogni giorno risono al principio; che tristezza, mio Dio. (p. 157)
APPENDICE p. 177
NOTE FILOLOGICHE E DESCRITTIVE p. 181
SCHEDE BIOBIBLIOGRAFICHE p. 201
INDICI p. 257