GIAMPIERO MUGHINI – LA STANZA DEI LIBRI. COME VIVERE FELICI SENZA FACEBOOK INSTAGRAM E FOLLOWERS

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BOMPIANI – Collana OVERLOOK – I ed 2016

UNA PARETE A INCAVO, COMPLETAMENTE VUOTA p. 9

A uno studente di una famiglia di borghesia impoverita che viveva in provincia era possibile, negli anni sessanta, apprestare via via una sua stanza dei libri, una stanza in cui i libri facessero da carta alle pareti, da stemma, da mura di una fortezza privata, persino da scenario attraente per la ragazza bionda in minigonna che una volta a settimana in quella stanza ci entrava e ne appariva lieta?
A me è stato possibile, seppure con i pochi soldi della “paghetta” mensile che mi dava mio padre. Non credo lo sarebbe oggi[…]. (p. 9)
Oggi che la bruciante e fulminea immaterialità della comunicazione digitale esercita il suo imperio illimitato. Le serie televisive che ti incatenano alla poltrona. I talk ventiquattr’ore su ventiquattro sui delitti o sulle vicende del nostro governo, ché tanto non fa differenza quanto a stucchevolezza (o demagogia) dei ragionamenti sull’uno o sull’altro argomento. (p. 10)
Il narcisismo da ossessi esploso in questi ultimi anni alla maniera di una letale epidemia di massa. La lettura a gratis e purché siano a gratis di articoli e blog che stanno sul web. (p. 11)
Altro che stanza dei libri. Altro che librerie e scaffali e quei dorsi policromi allineati in ordine alfabetico uno accanto all’altro che per me costituirono e costituiscono lo spettacolo più bello del mondo. Se ci sono loro ,c’è tutto in una casa. E da questa mia convinzione non recedo di un passo. Che nella storia dell’umanità non ci sia mai stato un oggetto talmente perfetto come il libro di carta. Cari nativi digitali, nel bene e nel male il futuro è interamente vostro, ma non sapete che cosa vi perdete.
Negli anni sessanta della mia giovinezza erano invece i libri a imporre la loro dittatura, una loro avvincente metafisica cui era impossibile sottrarsi. (p. 12)
Nella casa catanese degli anni cinquanta dove mia madre e io eravamo riparati dopo la rottura del matrimonio dei miei genitori, e dunque nella casa dei miei nonni materni, libri non ce n’erano. (p. 15)
Ecco, nella casa catanese dove ho vissuto i primi vent’anni della mia vita, in tutto e per tutto avevo trovato i cinque o sei libri della soffitta e i tre o quattro romanzi russi. Non molto. A salvare tutto del mio destino furono una decina di romanzi di Emilio Salgari che mi vennero via via regalati in un’edizione ultra popolare. Avrò avuto quattordici o quindici anni. (pp. 16-17)
[…]Ho imparato a capire che la letteratura è più importante della realtà, che altro non è se non una sua pallida imitazione. Ho imparato a pensare, a usare la lingua italiana, a pronunciarla. (p. 17)
Nella casa di via Archimede, i primi libri davvero miei ci entrarono quando avevo diciotto anni e mi ero iscritto all’università. […]
Stavo facendo la cosa che ancor oggi se non la faccio mi sembra di buttar via il mio tempo. […]
Mia madre riuscì ad avere un mutuo di che pagare una casa in centro dove andammo lei, io e la nonna. (p. 18)
Nella nuova casa mi toccò una stanzetta tutta per me, tipo cinque metri per due e mezzo.[…]
Ebbene in quella stanzetta c’era una parete con un leggero incavo che era perfettamente vuota. Una parete di due metri e mezzo di larghezza per altrettanti di altezza. Perfettamente vuota. Da quella parete è cominciata la mia biblioteca. L’averne riempito l’incavo nello spazio di un paio di anni è stata un’impresa di cui sono orgoglioso[…].
Attorno al 1962 la parete era colma. Dopo di che cominciai l’attacco alle altre pareti della stanzuccia. Ci misi un paio d’anni e riempirle tutte. Nel 1966 cominciarono i miei soggiorni a Parigi […]. (p. 19)
Tornato nel dicembre 1968 a Catania, sfrattai la nonna dalla sua camera e i miei libri andarono arrampicandosi per le pareti di quella stanza. Il 5 gennaio 1970 partii per Roma. A fine febbraio, affittai la casa di via della Trinità dei Pellegrini, dove i libri arrivarono a occupare due stanze e mezza per intero, libri che da Catania a Roma avevo smistato a poco a poco, perché non avevo i soldi di che farli arrivare tutti in una volta. Nel 1994, affittai uno studio attiguo a casa mia, altre tre stanze di cui due occupate intero dai libri arrivati al 2001, nelle due case attigue i libri non c’entravano più. E dunque mi sono messo a cercare una casa grande abbastanza per ospitare quelli che avevo e quelli che sarei andato acquistando.[…]
In questa nuova casa, i libri occupano adesso per intero sette stanze, solo che cominciano a non entrarci più. (p. 20)
Mi direte che se uno racconta la sua vita a mezzo dei libri che gli sono via via entrati in casa, è uno che di cose e di persone reali nella sua vita ne ha avute poche. Sì, sì, è esattamente così che ci posso fare?
Lo so di essere fuori dal mio tempo. Ne sono felice.[…]
Gli amici che ho avuto nella mia vita li posso enumerare tutti quanti usando le dita delle mani, e neppure tutte e dieci. (p. 21)
Quali erano i libri che entravano nella libreria di uno studente notevolmente di sinistra degli anni sessanta quale il sottoscritto? Libri di cui all’ingresso delle librerie Feltrinelli c’erano delle pile alte così. I libri tutti dell’Antonio Gramsci prigioniero del fascismo, e furono per sconvolgenti le Lettere dal carcere. Libri einaudiana a iosa, perché era quello il tempo in cui le edizioni Einaudi esercitavano una sorta di ipnosi sulla mia generazione, tanto più che li potevi pagare a rate. (p. 25)
Un bel gruzzolo di romanzi americani, russi, francesi[…] (p. 26)
Ora io comunista non lo sono stato mai un solo istante della mia vita. (p. 27)
E poi le riviste, tante. (p. 28)
Questi che ho detto son ostati i libri dei debutti. Nei decenni successivi sugli scaffali della mia biblioteca sono sopravvenuti molti altri libri, che non è che cancellassero quelli precedenti. Erano libri che mi aiutarono a capire dove mi ero sbagliato o illuso, che mi diedero nuovi dati sulla realtà o nuovi criteri con cui giudicarla. Libri che mi indussero a una revisione morale e ideale che faceva da addio alle cose che balbettavo a vent’anni, un addio che non era il segno di un trauma, bensì di una maturazione. E vorrei ben vedere che uno dotato del benché minimo senno restasse abbarbicato alle convinzioni e alle pulsioni dei propri vent’anni, quando non sai nulla della vita e del dolore. (p. 31)

Di tutto, a cominciare da trentacinque o trentasei libri di Louis-Ferdinand Céline p comunque dedicati a questo che è uno dei massimi scrittori del Novecento. Ho quattro dei cinque tomi delle sue opere complete pubblicate dalla Pléiade, le lettere alle sue amiche (ivi comprese quelle ebree) e all’avvocato che lo difese nel secondo dopoguerra, la prima edizione di uno dei raggelanti saggi antisemiti (L’École des cadavres, 1938), quell’edizione italiana del Mea Culpa di Guanda che venne poi cassata dalla censura ed è divenuta introvabile, un sulfureo e rarissimo pamphlet anti Sartre del 1978 dal titolo À l’agité du bocal, una malconcia edizione francese del Bagatelles pour un massacre che mi aveva regalato Giano Accame, i due rigogliosi numeri speciali che a Céline aveva dedicato nel 1963 e nel 1965 la rivista L’Herne, il bel libro di Dominique de Roux La morte de L.-F. Céline, l’eccellente biografia celiniana in tre volumi dell’avvocato François Gibault che dal 1962 curava gli interessi della vedova), l’edizione del 1978 di Gallimard del Voyage au bout de la nuit illustrato dal grande Jacques Tardi ed era la prima volta che un libro di Céline veniva accompagnato da illustrazioni. Ho persino il libro che Frédéric Vitoux ha dedicato a Bébert, il gatto di Céline che lui e sua moglie si portarono appresso per tutto il tempo dell’esilio da una Francia dove nove su dieci lo avrebbero accoppato se lo avessero trovato (uccisero comunque il suo editore). Questa gran copia di libri celiniani contrassegna forse una “biblioteca di destra”? Solo un analfabeta potrebbe sostenerlo. (pp. 32-33)

PAGINE CHE GRONDANO SANGUE p. 35

Capitolo dedicato a libri e opuscoli di stampo terrorista…

Negli anni tra i sessanta e i settanta, quando il Novecento venne ancora una volta stravolto e come ricreato da linguaggi artistici e gesti sociali tanto inediti quanto rumorosi, erano ancora di carta i cimeli che ne raccontavano il tornado. (p. 35)
Tutto del crimine politico era stato già annunciato sui fogli pubblicati tra lo sfinire dei sessanta e l’avvento dei settanta. Bastava leggerli. (p. 36)
Erano piuttosto degli studenti di università italiane di punta, magari degli ex iscritti alla Federazione giovanile comunista di Reggio Emilia. Erano innanzitutto dei militanti cresciuti a pane e ideologia in anni talmente atti ai loro fanatismi. (pp. 37-38)
Classe contro classe era una sorta di raccolta antologica dei comunicati che i militanti delle BR avevano distribuito. (p. 38)
Carte e inchiostri che sanno di sangue. (p. 39)
Era stata l’ultima volta nella storia dell’Occidente, che la testimonianza di eventi sociopolitici drammatici e cruciali stava tutta sulla carta e sui suoi derivati. I libri e librini editi in poche copie, le riviste che sorgevano e sparivano in un istante, i fax e i ciclostilati disseminati ovunque nei meandri psicotici dei settanta, i dazebao da affiggere in bacheca[…]. (p. 42)
Casa mia è stata pensata in buona parte come un museo della memoria dei sessanta-settanta. (p. 45)
E quanto al fanatismo da cui sono nati gli atti estremi del terrorismo, è talmente irrilevante che quel fanatismo fosse di destra o di sinistra. […]
Andate a leggere un libriccino che fa anch’esso da cimelio drammatico dei settanta, La disintegrazione del sistema (1969, pietra militare dell’estremismo di destra a metà strada tra il nazismo e il maoismo), dov’è riprodotto l’intervento che Franco Freda aveva fatto nell’agosto del 1969 a un convegno di suoi correligionari europei. Lo vedi subito che i due fanatismi sono fatti della stessa pasta. Talvolta usano le stesse mappe intellettuali, lo stesso lessico,gli stessi bersagli polemici, le stesse icone positive[…] (p. 56)
La carta. La usavano tutti, la usavamo tutti. I libri potevano cambiarti la vita, molto più di oggi che sei connesso a mezzo mondo e tutto da un orecchio ti entra e dall’altro ti esce nel tempo di un nanosecondo. (p. 57)
Per tornare alle BR, la loro cupidigia del sangue e della tragedia era tutta scritta sulla carta. (p. 58)

FUTURISTI, ADDIO p. 75

Mughini propone un suo testo, preceduto da una breve introduzione, pubblicato in allegato a un catalogo allestito dalla libreria Pontremoli, incaricata nel 2014 della vendita della sua magnifica collezione di libri dedicata al Futurismo italiano, cessione resasi necessaria per problemi economici conseguenti a una mononucleosi che gli aveva impedito di lavorare per oltre sei mesi…

[…]
decisi di vendere una collezione di libri futuristi che avevo accanitamente costruito in oltre trent’anni di ricerche spasmodiche. Appena guarito, nel luglio del 2014, me ne pentii. (p. 76)
Sugli scaffali della mia biblioteca quei libri futuristi erano rimasti appollaiati per trent’anni, oppure rannicchiati nei cassetti da cui erano pronti a scattare. (p. 81)
[…]da magna pars della cultura italiana dominante nei cinquanta e sessanta, il futurismo e i suoi protagonisti erano reputati monnezza o poco più. […]
[…]il sentir diffuso della cultura italiana il futurismo lo raccontava più o meno così: era della gentaglia fascistissima. I loro libri e i loro quadri robaccia partorita da uomini che avevano idolatrato Benito Mussolini. Scrittori e propagandisti che avevano esaltato a forza di fanfaronate irresponsabili la “catastrofe” europea della prima guerra mondiale, quelle battaglie dove di ventenni europei ne morivano alcune decine di migliaia in poche ore pur di conquistare o perdere un paio di centinaia di metri di territorio arato dalle bombe. Libri e opere inaccettabili in partenza per la sensibilità di quell’antifascismo che ci raccontava la storia del Novecento italiano come se tra ottobre del 1922 e aprile del 1945 non ci fosse stato più nulla che confermasse la grande bellezza dei linguaggi artistici. (p. 82)
Tutti e venti gli anni che era durato il fascismo erano stati diseredati dall’arte e dall’intelligenza, questo raccontava la vulgata antifascista la più sempliciotta. La più diffusa. La più puerile. (p. 83)
Era il luogo comune contro il quale batteva in breccia A via della Mercede c’era un razzista, il mio libro del 1991 dedicato a Interlandi. La verità è che tutti ma proprio tutti gli scrittori italiani dei venti e dei trenta avevano collaborato al fascistissimo quotidiano romano fondato da Interlandi. E a non dire che quanto all’antisemitismo italiano post 1938 (un antisemitismo fatto piovere dall’alto da Mussolini pur di compiacere l’orrido alleato tedesco) alcuni intellettuali futuristi furono fra i pochi che fecero sentire la loro voce contraria. (pp. 83-84)
Non che di fanfaronate i futuristi che avessero scritte poche, specialmente alla vigilia e nel corso della Seconda guerra mondiale. […]
E con tutto questo se cavi via i futuristi dalla storia culturale italiana che va dal 1909 al 1944, la sfregi e la impoverisci di tantissimo. (p. 84)
Eppure per tutti i sessanta avevo creduto anch’io all’esistenza del muro di Berlino che separava il Bene dell’antifascismo dal Male del filofascismo. Ecco perché, ancora a quarant’anni suonati, non ne sapevo nulla della bibliografia futurista. (p. 85)
Conoscenza e feticismo, la diade entro la quale oscilla ciascun collezionista di libri. Ciascuno di noi attribuisce a quei due valori percentuali diverse. (p. 88)

QUALCHE LIBRO BELLISSIMO E INUSUETO p. 97

Cita alcuni collezionisti e libri di pregio, soprattutto art books…

Purtroppo in fatto di collezionismo di libri rari, e a giudicare dallo spazio (nullo) che gli dedicano i giornali seppure colti, noi italiani siamo un Paese di analfabeti.[…]
Dopo la chiusura di Waz, non esiste più in Italia una rivista che abbia a cuore l’argomento, che racconti il collezionismo di libri come un comparto vitale dell’eredità culturale e della sua sopravvivenza. (p. 98)
Divisa in tre case, la biblioteca da lavoro e da collezione di Umberto Eco toccava i cinquantamila volumi, di cui un migliaio di grande e grandissimo valore. (p. 99)
I libri i libri i libri. E siccome mi vado avvicinando al capolinea del mio destino, non avrò più il tempo né l’energia né i soldi per costruire un comparto collezionistico di tale completezza quali erano i miei libri futuristi. Comprerò ancora qualche bel libro, questo sì. Lo sto facendo. Da alcuni anni a questa parte le mie pulsioni si accendono soprattutto in direzione dell’ultima avventura della carta nel Novecento. I libri dai cinquanta agli ottanta che fondano l’ultima stagione del moderno e lo concludono, prima che il digitale prendesse il sopravvento. […]
“Libri d’artista”, vengono chiamati[…].
Libri d’artista significa che il loro autore ne fa degli oggetti d’arte, anche se restano dei libri, almeno apparentemente. (p. 105)

IL “SALTO CASSINA” ALLA SBARRA, CHE COMMOZIONE p. 143

Mughini chiude il libro con l’articolo “Salto Cassina”, scritto, assieme ad altri parimenti non considerati da Panorama, nel 2004. Già stanco del suo lavoro di redazione, si era poi dimesso dalla rivista (che Salto Cassina lo aveva poi pubblicato fuori tempo e in una rubrica aliena)…

E anche se i libri che così tanto amiamo che altro raccontano se non le sconfitte di noi che siamo al mondo, una donna che ti ha detto “non voglio”, un lavoro professionale venuto male, la vita che ogni giorno va via e scema? (p. 145)

PER CAPIRE MEGLIO p. 151