GIAMPIERO MUGHINI – I ROMPICAZZI DEL NOVECENTO. PICCOLA GUIDA ETERODOSSA AL PENSIERO PERICOLOSO

GIAMPIERO MUGHINI – I ROMPICAZZI DEL NOVECENTO. PICCOLA GUIDA ETERODOSSA AL PENSIERO PERICOLOSO
GIAMPIERO MUGHINI – I ROMPICAZZI DEL NOVECENTO. PICCOLA GUIDA ETERODOSSA AL PENSIERO PERICOLOSO

GIAMPIERO MUGHINI – I ROMPICAZZI DEL NOVECENTO. PICCOLA GUIDA ETERODOSSA AL PENSIERO PERICOLOSO

MARSILIO – Collana GLI SPECCHI – 2022

Cari e care «rompicazzi», quanto vi amo

Ho usato per la prima volta in un’accezione largamente positiva l’espressione «rompicazzi» col riferirla a Marco Pannella, uno dei protagonisti della storia italiana del secondo dopoguerra. (p. 11)

Perché questo è il valore del «rompicazzismo», il fatto che per sua natura è un giudicare complesso che tiene lucidamente conto del retto e del verso di una situazione o di un personaggio. (pp. 12-13)

Tutto il contrario dell’atteggiamento intellettuale che se ne fa un vanto dello spaccare con un’ascia la mela in due parti distinte e separate. Da una parte la fetta che costituisce il Bene, dall’altra quella che costituisce il Male. (p. 13)

I – QUEI FIGLI DI PUTTANA DEL GENNAIO 1941 A BUCAREST p. 19

Erano nati e cresciuti in Romania[…].

Amici una volta e per sempre Mircea Eliade ed Emil Cioran, quei due giganti della cultura europea che per un tempo della loro giovinezza avevano optato per le idee della destra antisemita rumena e non, lo rimarranno tuttala vita. […]

Eliade era nato nel 1907 a Bucarest[…].

Cioran era nato nel 1911 in Transilvania[…]. (p. 19)

Eliade morrà nell’aprile 1986 a Chicago, nella cui università aveva insegnato per ventisette anni. […] il 22 aprile 1986. Cioran morrà il 20 giugno 1995 a Parigi[…]. (p. 21)

Fascisti, antifascisti? Tutta la loro vita Eliade e Cioran furono innanzitutto dei «rompicazzi», gente con un salto mortale passava d un punto di vista a un altro, da un’ossessione a un’altra, magari opposta. Gente che non aveva paura di contraddirsi, magari da un anno all’altro, magari da un libro all’altro. […]

Una convinzione mantennero entrambi per tutta la loro vita, l’avversione al comunismo reale. (p. 22)

C’è la constatazione dolorosa che giovinezza e fanatismo fanno tutt’uno, che è pressoché impossibile per uno che abbia vent’anni non bagnarsi nelle acque del fanatismo religioso.[…] Si è liberali per stanchezza, democratici per ragionamento. L’infelicità è propria dei giovani. Sono loro che promuovono le dottrine volte all’intolleranza e le mettono in pratica; sono loro che hanno bisogno di sangue, di grida, di tumulti e di barbarie. (pp. 45-46)

Codreanu

Indro Montanelli, che nel maggio 1938 lo incontrò e lo intervistò poco prima che venisse assassinato, rimase notevolmente impressionato dal personaggio. Né poteva non esserne egualmente impressionato dal personaggio. Né poteva non esserne egualmente impressionato l’ex dadaista italiano Julius Evola (nata nel 1898) divenuto una delle firme di punta della «rivoluzione conservatrice in Europa» quando, anche lui nel 1938, incontrò Codreanu nella sua «Casa Verde» di Bucarest. (p. 52)

Detto in linguaggio politico corrente, è un maestro insuperabile in fatto di populismo all’ennesima potenza, di predicazione idealista da far bere ai beoti, di fanatismo politico che però conferisce un’identità forte a chi lo professa. Di certo è un uomo onesto, che crede in quello che fa e dice, che le sue convinzioni le trasforma in una mistica, uno disinteressato sino al totale sacrificio di se stesso, un sacrificio addirittura bramato. (p. 55)

A partire dal 1933 l’ispiratore intellettuale degli uomini di Codreanu era stato il filosofo e professore universitario Nae Ionescu[…]. (p. 69)

Quelle lezioni universitarie e quegli articoli costituirono uno speciale punto di riferimento per l’Eliade e il Cioran poco più che ventenni e per numerosi altri giovani intellettuali rumeni dei trenta, i cui nomi compaiono insistentemente nelle lettere che Eliade e Cioran si scambiarono per quasi mezzo secolo. (p. 71)

Un Eliade venticinquenne e un Cioran ventunenne s’erano incontrati e reciprocamente apprezzati per la prima volta all’università di Bucarest nel 1932[…]. (p. 81)

Come lui [Papini] ero timido, amavo la solitudine, e mi intendevo a meraviglia solo con quelli tra i miei coetanei più intelligenti o più colti di me [Eliade]. (p. 89)

[…] Cioran si collocò nei paraggi dell’estrema destra dello schieramento politico rumeno fino a costeggiare l’antisemitismo[…]. (p. 100)

Dirà più tardi che Hitler è assurto a protagonista «universale» della politica europea per avere imposto «in modo talmente categorico» il problema giudaico e per averlo a suo modo risolto. (p. 101)

Ma la cosa più importante è un’altra, e cioè che il Cioran antisemita del 1936 non esiste più giù nei primissimi anni quaranta, al tempo in cui ha preso a vivere nella Parigi occupata dai nazi[…].

È stato lo stesso Cioran a cancellare con le buone o con le cattive il Cioran antisemita dalla faccia della terra, e questo da quando a Parigi ha assaporato l’opera e la personalità di un intellettuale rumeno il cui volto manifestava sfrontatamente gli spigoli che ne accertavano l’identità ebraica. Assieme un poeta e un filosofo, meglio ancora uno che non smetteva di essere un poeta nel fare il filosofo, Benjamin Fondane[…]. (pp. 104-105)

«I pensieri sono frecce avvelenate che fanno dell’arciere un suicida. Hai creduto di ferire il mondo con la mente e hai ferito soltanto te stesso. È l’espiazione che tocca a chiunque si innalzi sopra la vita». (p. 111)

2 – IL GIORNALISTA CHE PIACEVA COSÌ TANTO A BENITO MUSSOLINI p. 113

[…] Giovanni Ansaldo, nato nel 1895 a Genova e morto a Napoli nel 1969, uno che nel parco della nostra memoria corrente ha un suo spazio ben più striminzito degli altri due fuoriclasse di cui ho detto. Nel senso che lo ricordiamo più a fatica, più raramente. (p. 113)

La consapevolezza che la paga e gli onori gli venissero dalla sua accettazione della dittatura non doveva essere una macerazione da poco, né doveva esserlo il sapere di star «servendo»[…]. (p. 125)

3 – IL GRANDE BORGHESE CHE ANDÒ A MORIRE SU UNA MINA TEDESCA p. 129

Giaime Pintor

Il ventiquattrenne Pintor che nella notte tra il 30 novembre e il 1° dicembre [1943] viene dilaniato da una mina tedesca era il fato intellettuale della sua generazione. (p. 130)

4 – PASSÒ LA VITA A RACCONTARE SBAFORNIE, IL SUO NOME ERA GIANNI CELATI p. 147

[…] nato a Sondrio nel 1937 e morto il 3 gennaio 2022 a Brighton[…]. (p. 147)

[…] uno che se ne stava da parte, un inclassificabile, uno che non ha mai avuto un baricentro, perché di baricentri ne ha avuti tanti. (p. 149)

[…] Louis-Ferdinand Céline, che Celati finirà per tradurre[…]. (p. 154)

[…] il suo amico Lino Gabellone[…]. Uno che aveva trascorso molti anni in Francia a studiare da mimo e con il quale aveva tradotto nientemeno che un libro di Céline (Il ponte di Londra, Einaudi, 1971), un lavoro di cui dire che deve essere stato impervio è dire niente. Solo che era assolutamente impossibile rendere in italiano la lingua di quel Guignol’s Band II che Céline aveva cominciato nel 1937 e che continuò a scrivere sino a pochi giorni prima della sua fuga da Parigi, dove stavano arrivando vittoriosi gli Alleati che, se lo avessero beccato, non lo avrebbero trattato con gentilezza (In Francia il libro verrà pubblicato postumo nel 1964). e questo perché in italiano non c’è uno strumento linguistico corrispondente all’argot francese con cui Céline arroventata le sue righe. Confesso di avere comprato l’edizione einaudiana, di essere rimasto sbalordito innanzi al lavoro di scavo linguistico di Celati e Gabellone, e con tutto ciò di avere lasciato il libro dopo poche decine di pagine, perché con quello che stavo leggendo Céline e a sua furia come di una lava che erompe da un vulcano non c’entravano nulla. Era un italiano coltissimo ma frigido quello dell’edizione einaudiana, un italiano con tanto di giacca e cravatta e dunque tutt’altro libro, tutt’altra lingua, tutt’altra cadenza musicale. Per quanto mi riguarda, se c’è una cosa per la quale è valsa la pena aver vissuto, è l’aver letto Céline in francese. Ivi compresi quei deliranti, ma imperdibili, pamphlet antisemiti. Questi suoi esercizi sull’odio, il sentimento che ha dominato implacabile il Novecento. (p. 165)

5 – SUONARONO IL ROCK NEGLI SCANTINATI DI UNA VILLA SULLA COSTA AZZURRA p. 177

Rolling Stones, le loro donne e altri cantanti “maledetti”…

6 – QUEL GIOVANOTTO FIORENTINO CHE MUTÒ PASSO ALLA CULTURA ITALIANA p. 203

Giuseppe Prezzolini

No, Prezzolini non era stato fascista un solo minuto della sua vita. […]

Mi definirei volentieri: un anarchico conservatore, ha scritto un’altra volta. (p. 208)

Più ancora che un ammiratore di Mussolini, Prezzolini era quello che lo aveva scoperto. (p. 209)

Lui è un «apota», uno che non le beve, uno che si tira fuori. (p. 219)

7 – UN URAGANO DI NOME MARIA RIPA DI MEANA p. 237

Con lei potevi litigarci non una ma cento volte, e comunque mai ti avrebbe colpito alle spalle, mai avrebbe svenduto la nostra amicizia. (p. 239)

AL MODO DI UNA CONCESSIONE p. 245

ROMPICAZZI PIÙ DI ME? NESSUNO p. 247

Non sono mai stato scritto, aderente o particolarmente simpatizzante di un partito in quanto tale. […]

Nei giornali sono stato licenziato nel 1970 da Ferruccio Parri, l’allora direttore del settimanale «L’Astrolabio», il quale reputava me e il restante drappello dei collaboratori del giornale dei sinistroidi, e aveva perfettamente ragione. Dopo tre mesi del 1971 che lavoravo con loro mi sono congedato dagli amici che avevano fondato il «Manifesto»[…], ciò che a me appariva lunare. Sono stato poi licenziato dagli elettori di Livio Labor, i quali diedero pochissimi voti nel 1972 al partitino cattolici di sinistra che lui aveva creato e dunque resero inevitabile la chiusura di «Alternativa»[…]. (p. 247)

Nel settembre 1978 mi sono dimesso dal «Paese Sera» perché non ne potevo più di lavorare in un quotidiano comunista[…].

Molti anni dopo, nel 2005, mi sono dimesso dal «Panorama» dove diciotto anni prima mi aveva assunto Claudio Rinaldi perché avevo in spregio l’allora gruppo dirigente del settimanale milanese. Da collaboratore del quotidiano «L’Indipendente», ero stato congedato nel 1994 dal neodirettore Gianfranco Funari[…].

Non ricordo più se nel 2016 o nel 2017 mi sono congedato dal quotidiano «Libero», dove Maurizio Belpietro mi trattava mi pagava benissimo, perché le convinzioni e gli umori del lettore medio di quel giornale erano tropo distanti dai miei.

Se tutta la mia vita sono stato un «rompicazzi»? Credo proprio di sì, e ne sono orgoglioso. (p. 248)

BIBLIOGRAFIA p. 249

INDICE DEI NOMI p. 257