Elie Faure – Louis-Ferdinand Céline – Corrispondenza curata da Paul Desanges

[banner][banner size=”300X250″][banner]Elie Faure

 

Corrispondenza curata da Paul Desanges*1

 

[TRADUZIONE di Stefano Fiorucci e Jeannine Renaux]

 

Le lettere che pubblichiamo qui sono state trovate tra le carte di Èlie Faure. Abbiamo copiato le risposte di Èlie Faure su un taccuino di appunti che aveva conservato.

 

All’epoca in cui si situa il suo incontro eccezionale con Céline, Èlie Faure ha solo altri cinque anni da vivere. Siamo alla fine del 1932. Tutti i suoi grandi libri, a parte Regards sur la Terre Promise sono alle sue spalle. L’anno prima ne ha visti nascere tre: Découverte de l’Archipel, D’Autres Terres en vue, Mon Périple, i primi due considerevoli. Sono caduti in un «silenzio di ghiaccio».

 

Il mondo è in agitazione. In Germania, ascesa di Hitler. In Francia, scandali, malessere politico, problemi sociali, scontri. Èlie Faure che (la sua corrispondenza lo prova) non ha mai smesso di interessarsi agli eventi nazionali e mondiali, si inquieta.

 

Céline, alias il Dr Destouches, medico salariato, quarant’anni, è al suo primo libro. Ne ha fatto inviare una copia ad Èlie Faure. Quello, ne è affascinato, conquistato, si è congratulato. Céline lo ringrazia. Questa prima lettera non è datata. Nessuna lo sarà. Céline indica sempre il giorno, ma né il mese né l’anno. Abbiamo potuto ricostruire approssimativamente l’ordine di queste lettere grazie ai raffronti con i timbri postali:

 

Città di Clichy (Seine)

 

Servizi municipali d’Igiene

 

e d’Assistenza sociale

 

21

 

Caro Signore

 

Avete ricevuto il mio libro perché da sempre io leggo i vostri, tutti i vostri e con quale gioia! Con che passione anche! Non amo parlare d’arte. Non ne parlo mai. Sono da sempre lontano dall’Arte e dagli Artisti – eccetto la vostra lettera, non ho mai avuto alcun contatto con essi – è il mio Credo. Il vostro giudizio sul Voyage mi ha fatto immenso piacere. Dal mio punto di vista quello che dite è definitivo. Non potete sbagliare. Nessun pericolo che esca dalla mia oscurità bisognosa. Ci sono mantenuto da 39 anni di miserabili abitudini e «piccoli estratti». Vivo anche, come potete trovare che scrivo a tratti – di giorno in giorno (alla giornata). Capite tutto ciò e ve ne ringrazio dal profondo del cuore, «Umanità diretta» come avete scritto definitivamente . Saluti

 

Destouches-Céline

 

Già Céline posa il suo personaggio… «miserabili abitudini… piccoli estratti.» Ci tiene.

 

Ha veramente letto tutti i libri di Elie Faure? È improbabile. L’Hisotire de l’Art molto probabilmente. Sarebbe sufficiente a giustificare la sua ammirazione. Molto probabilmente La Sainte Face. Forse La Danse sur le Feu et l’Eau… Ma considerando in tutto quello solo ciò che gli conveniva, perché si può pescare di tutto nel «mare» elifaureiano. Se avesse letto, inoltre, per esempio Les Trois Gouttes de Sang, il suo stupore di fronte a quello che lui definirà le «nuove direttive» di Èlie Faure non si spiegherebbe. E se avesse letto La Roue, avrebbe saputo, dal primo istante, l’idea che Èlie Faure si faceva dell’amore.

 

Dice che l’anno gli è del tutto Straniero. Ora in una lettera dello stesso periodo a Leon Daudet (L’Herne, n.3) fa riferimento a La Fete des Fous de Breughel, confessando così la sua evidente ricettività agli influssi estetici. Quello cha sedotto Céline in Èlie Faure, senza dubbio, è in primis la sua musica… quel ritmo al quale era così sensibile. Certo, Èlie Faure è piuttosto l’orchestra sinfonica, i grandi organi, il concerto siderale. Céline è piuttosto il piano dei poveri o l’organanetto di Barberia che gracchia la sua rabbrividente melodia mentre si uccide. E tuttavia niente, né il disgusto che può suscitare la sua decisione di sminuire l’uomo, né le più giuste inimicizie, niente potrà mai cancellare la sua musica.

 

98, rue Lepic

 

Caro maestro e collega

 

È con grandissimo piacere che faccio pervenire il mio libro al nostro collega Béliard. Vado in Germania per un mese prossimamente, al mio ritorno verrò a trovarvi se lo permettete e ci metteremo daccordo per andare a trovare Béliard.

 

Avete ben ragione per quel che concerne l’orrore dell’animo umano. Bisogna mettersi deliberatamente in stato di incubo per avvicinarsi al vero tono!

 

Molto sinceramente e cordialmente a voi.

 

Destouches.

 

Il dottor Octave Béliard, medico scrittore, amico intimo di Elie Faure. Céline ci mostra qui come si occupa del suo delirio.

 

98, rue Lepic

 

Caro Maestro

 

Avevo appena ritrovato il vostro indirizzo (tramite il mio editore) e volevo domandarvi dove incontrarvi qunando ho ricevuto la vostra lettera.

 

Ho visto Gance ieri e artisticamente mi sono inteso benissimo con lui riguardo l’adattamento.

 

Resta la questione materiale che Gance è prossimo, penso, di risolvere in questo momento. Da questo lato dunque va tutto bene.

 

Vorrei molto venirvi a trovare. Ho questo desiderio da molto. Successo, si, potete dirlo. Le Galeries Lafayette mi hanno fatto offrire oggi stesso mille franchi all’ora per autografare il mio libro da loro! Che altro posso chiedere?

 

Insomma, tutto questo è per ridere e sono a vostra disposizione ovunque voi siate, dove vorrete, la sera dopo cena – tutta questa settimana – (eccetto giovedì).

 

Credete, vi prego, ai miei rispettosi e amichevoli sentimenti.

 

Destouches.

 

Èlie Faure era da tempo in relazione con Abel Gance al quale aveva scritto una prefazione a un libro. Lo aveva presentato a Céline? Questa lettera aveva qualche rapporto con la sbalorditiva sceneggiatura «Le voyage au cinema»?

 

Città di Clichy (Seine)

 

Servizi municipali d’Igiene

 

e d’Assistenza sociale

 

Il 5.3

 

Carissimo Amico

 

Mi copro di ceneri! Di peggio! Non vi ho affatto dimenticato. Vi penso quotidianamente.

 

Ma ho letteralmente le mani legate dai pesanti obblighi medici e paramedici – Voglio venirvi a trovare o telefonarvi prestissimo e parlarvi di tante cose, e di come va e che ci trascina già verso altri obblighi ancora se possibile, altri […?sic], ancor più banale ferocia.

 

A presto, Caro amico, molto affettuosamente e molto [fraternamente] [?sic]

 

Destouches.

 

Data del timbro postale: 98, rue Lepic

 

16 marzo 33

 

Mi fate impazzire dalla gioia! Quale onore! E che indegnità. Sono paralizzato! Subito dopo ho fatto attivare l’Editore (impressionato pure lui) e sta negoziando con Europe – che ci sembra più conveniente di tutti gli altri per quel che volete dire (leggete, vi prego, Candide di oggi).

 

Hippocrate non era male, ma Europa sarà meglio. Ecco la mia opinione e il mio grande ringraziamento. Se vi metto a disagio dev’essere la parte cretina molto più dell’altra. Mio Dio come mi dispiace che la vostra Histoire de l’Art non abbia 35 volumi! La vita sarebbe diversa. Ecco quello che penso. Vi devo molto coraggio. Molto cordialmente e sinceramente

 

Destouches.

 

Europe, rivista di sinistra fondata sotto il patrocinio di Romain Rolland – Candide, settimanale di destra di grande tiratura – Hippocrate, lussuosa pubblicazione letteraria destinata ai medici.

 

«Vi devo molto coraggio.» è esattamente quello che Duhamel diceva ad Èlie Faure intorno al 1918. Èlie Faure può passare in effetti per un professore d’energia.

 

Data del timbro postale: 98, rue Lepic

 

19 marzo 33

 

Caro Amico,

 

Depenniamo Europe! Mi preoccupo per un’altra colonna degna di questo articolo. Vi invierò la risposta a breve. Vi verrò a trovare di persona.

 

Mille ringraziamenti e molto sinceramente.

 

L. Destouches.

 

Pigall’s Tabac Parigi, il 13 – 193…

 

Caro Amico,

 

Siamo d’accordo, vi telefonerò lunedì per prendere appuntamento – Mi precipiterò su Germinal che non ho letto essendo assente, come sapete, da due mesi!

 

Non abbiamo né l’uno né l’altro gli organi della letteratura a nostro servizio. Sono riservati e tuonano solo per via di laboriose velleità di alcuni gruppi. Ma abbiamo finito la nostra vita, amico, che molto fortunamente non fu soprattutto letteraria – Allora in finale, è giusto.

 

Molto affett.

 

E a presto.

 

Louis D.

 

Data del timbro postale: 98, rue Lepic

 

24 luglio 33

 

Caro Amico,

 

Ho letto Germinal! Che articolo. Che lezione anche! Andate molto più lontano di me nella verità. Mi trovo impelagato in tutte le specie d’emozioni. Ma tanto peggio.

 

Non sono un coraggioso infermo emotivo – Non dormo da anni – quello che si può definire dormire – E poi abbiamo in comune questa coscienza della brevità del nostro miracolo personale della nostra incredibile fragilità. Gli altri parlano come legna secca. Non «sanno». Noi, Caro, noi «sappiamo» che quello che raccontano non ha senso. Nessun senso – Muoiono senza sapere –

 

Molto affett.

 

L . Destouches.

 

Telefono lunedì.

 

Francobollo postale: 98, rue Lepic

 

16 dicembre 1933

 

Caro Amico,

 

mi sono impegnano, molto scioccamente per venerdì!

 

Dabit verrà da me, è stabilito da 8 giorni! Sono ai vostri ordini per la sera che vorrete e dove vi piacerà dopo venerdì, qui o laggiù.

 

Molto affettuosamente.

 

L. Destouches.

 

Così a fine 1933, primo anno di un’amicizia ancora senza crepa. Céline accetta perfettamente lo studio di Elie Faure: «Sur un Voyage au bout de la nuit»*2 benché già vi si affermino tendenze che denuncerà violentemente più tardi. Si offre anche di sistemarlo. Ma alla fine è Elie Faure stesso che lo affiderà a Germinal. I due uomini si incontrano spesso cenando insieme tanto da Élie Faure al 147 di boulvard Saint-German, quanto là vicino, Braisserie Lipp.

 

Alla tavola familiare Céline si mostra il prodigioso loquace e commediante come è stato descritto spesso. Le sue arguzie divertono enormemente Élie Faure, che, contrariamente a quello che si crede in generale, amava ridere. Céline ha fatto il grandone. Élie Faure, sempre ingenuamente fiducioso in amicizia, si è bevuto tutto: le umili origini, il bambino povero costretto a guadagnarsi da vivere a dodici anni, la trapanazione anche. Se ha, come quasi tutti, identificato Céline con Bardamu, se ha visto nel Voyage: «la recita di un disastro ad opera di una delle sue vittime» è quello che Céline voleva.

 

A partire dal 1934, è ancora molto difficile datare le lettere. Per l’ultima abbiamo una certezza: il timbro postale. Un’allusione al 6 febbraio ’34 ci permette di datare approssimativamente la lettera n°11. Potremmo grazie a queste lettere ricostruire la storia di un’amicizia meteorica. La frattura si produce all’inizio del 1934.

 

Parigi 18

 

Carissimo Amico,

 

Sapete quanto ammiro, mi entusiasma e venero tutto quello che avete pensato, fatto, scritto. Mi sono grandemente servito della vostra opera. Ho saccheggiato, appreso, fatto lo spelling del vostro testo. Lo faccio ancora. Lo farò sempre – Siete uno dei miei rari maestri – e senza dubbio il più diretto – Allora? la questione non è là che insorgo contro le vostre direzioni attuali. Mi rifiuto assolutamente, completamente di allinearmi qui o là. Sono anarchico, fino al midollo.

 

Lo sono sempre stato e sempre lo sarò. Tutti mi hanno esecrato, da […?sic] fino ai nazisti ufficiali, De Réginer, Comoedia, Stravinsky, il presidente Dullin – tutti mi hanno dichiarato insopportabile immondo – e in termini pressoché identici –

 

Non l’ho mai fatto espressamente ma è un fatto – Sto bene così perché ho ragione. Ogni sistema politico è un’impresa o [?sic] ipocrita che consiste nel respingere l’ignominia personale dei suoi aderenti su un sistema o sugli «altri». Vedo molto bene, confesso, lo dico apertamente, emotivamente e forte, tutta la nostra schifezza comune, di uomo di destra e di sinistra. Quello non me lo si perdonerà mai. Da quando i curati sono morti il mondo è solo demagogia. Si adora la merda senza sosta. Si respingono le responsabilità con un artificio d’ideologia e frasi.

 

Non c’è più contrizione, ci sono solo canti di rivolta e di speranza. Sperare cosa? Che la merda si metta a profumare –

 

Mio buon amico, non tradisco nessuno, non chiedo niente a nessuno. Mi si fucilerà forse (si faranno delle sceneggiate quindi!). Lenin così come Napoleone hanno fallito. Hanno scagliato frecce incendiarie e gridato alla guarigione «No –

 

Tutto questo cinismo rivoluzionario (non il vostro) è volgare, eterno egoismo armato di nuovi sotterfugi. Che si organizzino nel comunismo, ne vedrete delle belle! Più sordido del vecchio ve lo dico io!

 

Li conosco bene gli apostoli e gli eroi, di destra, di sinistra – Da 30 anni vivo giorno e notte con loro. Rivoluzione. Subito – Ma di loro stessi prima. Non questi scansafatiche di anime e di spiriti, cocktails o Picon! Perché scegliere?

 

Molto affettuosamente

 

L.D.

 

«Sono anarchico da sempre». In ogni caso non alla maniera degli zii di Élie Faure. Céline non confessa ancora le sue vere simpatie. L’anarchismo è un alibi.

 

98, rue Lepic

 

Carissimo amico,

 

Credo che in effetti non bisogna insistere molto più presso i giornali intellettuali. Il vostro nome sembra fargli paura. Riserviamo questo articolo per Hippocrate e ci troveremo meglio.

 

Il mio su Candide mi è valso delle precise minacce di morte, cosa che non mi sarebbe successa con un giornale di sinistra. Ho chiesto quale fosse il quotidiano (1) più letto – Tutto qui e il mio solo problema è questo: Raggiungere il massimo dei lettori e tutto sommato preferisco quelli di destra. Quelli di sinistra sono così certi delle loro verità marxiste che non si può insegnare niente a loro. Sono molto più fissi che a destra. Nessun giornale mi ha fatto torto più di Le Populaire in nome del «valore e della dignità umana!!!» Daudet mi ha capito molto bene.

 

Il Canard Enchaine non può resistere dal diffondere dappertutto un po’ di terrore, aspettando di più. «Non si accontenta nessuno». Tutte queste persone mi disgustano, alla rinfusa. Sono avide di potere e non di verità – Ipocritamente fanno passare uno per l’altro – Abominevole inversione!

 

Che cos’è che vuol dire la sinistra al giorno d’oggi? Niente – niente di niente. Andiamo verso il fascismo, ci voliamo. Chi ci ferma? Le quattro dozzine di agenti provocatori sparsi in cinque o sei cricche urlanti e autofagi? È questa una coscienza popolare? Voi ridete, amico. Non vedo (e li conosco bene) in questa sinistra sceneggiata che ridicoli o sorniosi velleitari degenerati da tutti gli ideali, per i quali il tradimento stesso non vuol dire più niente… non bisogna più commettere gli errori del ’71 –

 

Crepare per il popolo si – quando si vorrà – dove si vorrà, non per questa turba astiosa, meschina, pluridivisa, incosciente, vana, patriottici alcolizzati e fancazzisti senza cervello fino al delirio –

 

Il muro di febbraio deve essere un esempio non di quello che bisogna fare ma di quello che non bisogna più fare.

 

Non è sublime, è masochismo.

 

Guardate quello che succede in Germania – Una degenerazione generale della sinistra. In Francia Napoleone e dieci minuti…

 

Non c’è nessuno a sinistra, ecco la verità. Il pensiero socialista, il piacere socialista non è nato per – si parla di lui [una parola cancellata sic] tutto qua – Se ci fosse un [parola cancellata sic] piacere di sinistra ci sarebbe un corpo.

 

Diventiamo fascisti. Tanto peggio – Questo popolo l’avrà voluto – Lo vuole. Ama il manganello – Non sono inacidito. Sono lucido. Tutti questi agitati socialisti si dimenano nel vuoto a meno che[,] furbi (la maggioranza) cercano da voi solo nuove idee per ridipingere la facciata di casa – Li conosco, amico, li conosco bene e li disprezzo ancor più che li conosco – provocherebbero un qualsiasi massacro per ottenere venti voti in più – Ah! I putridi istrioni! Può darsi che recitino una parte. Ma questa deve essere quella del verme sul cadavere del capitale. Utile certo, indispensabile, ma nella parte più schifosa del cadavere.

 

Siamo tutti in pratica, completamente dipendenti dalla nostra società. È lei che decide il nostro destino – Marcia, agonizzante è la nostra – Preferisco il mio marciume, i miei fermenti di quelli di tale o tal altro comunista. Mi trovo orgogliosamente più sottile, più corrodente. Affrettare questa decomposizione, ecco l’opera – E che non se ne parli più! – Parata di morti. Che importa dopo tutto la chitarra o il timpano –

 

Gli individui malandati, sani, che pretendono [una parola cancellata sic] di rinnovare attraverso il loro filtro la nostra epoca irrimediabilmente chiusa, mi disgustano e mi affaticano.

 

Il loro pus esce da tutti gli orifizi ed eccoli che parlano solo della prossima primavera! Non siamo fatti per sentire quelle cose lì! A noi la morte camerata! Individuale!

 

Molto affettuosamente

 

Illegibile Destouches?

 

Terrorizzato – dice – dalle chiacchiere del Canard Enchainé, Céline se la prende questa volta la «sinistra». Preconizza insomma l’inerzia di fronte al fascismo. «Del resto il popolo lo vuole, ama il manganello.» È perlomeno l’opinione di Céline e un programma chiaro.

 

Notiamo che Élie Faure non pretendeva di «rinnovare» chicchessia. Voleva «costruire» altre cose.

 

Caro amico,

 

Sono Anarchico da sempre, non ho mai votato, non voterò mai per niente e per nessuno. Non credo negli [agli] uomini. Perché volete che mi metta a citofonare di punto in bianco perché dodici dozzine di falliti me ne suonano? Io che suono non troppo male il pianoforte? Per mettermi ai loro metri di occlusi, costipati, invidiosi, astiosi, bastardi? È uno scherzo invero. Non ho niente in comune con tutti questi castrati – che vociferano le loro balorde supposizioni e non capiscono nulla. Vi immaginate a pensare e a lavorare sotto l’autorità del supercoglione? Aragon per esempio? È questo l’avvenire? Quello che mi si preme di adorare, è Aragon! Pouah!

 

Se fossero tutti quanti meno fannulloni, se fossero tanto di buona volontà come dicono – farebbero quello che ho fatto invece di rompere a tutti – con le loro false note. La rimandano la rivoluzione invece di facilitarla. Assomigliano a questi maschi che non hanno più istinto, che feriscono le femmine e non le fanno mai godere. Non sentite, amico, l’ipocrisia, l’immonda tartuferia di tutte queste parole ventriloque! Il complesso d’inferiorità per via di tutti questi signori è palpabile. Il loro odio per tutto ciò che li supera, di tutto ciò che non comprendono, visibile. Sono tanto avidi di sminuire, di distruggere, di sporcare, di lavare il principio stesso della vita che i più bassi curati del Medievo. Mi fucilerrano forse gli uni o gli alri. I nazisti mi aborriscono tanto quanto i socialisti e i comunisti pure, senza contare Henri de Régnier o Comoedia o Stravinsky. Loro si capiscono tutti quando si tratta di esecrarmi. Tutto è permesso salvo di dubitare dell’uomo – Quindi non c’è più da ridere. Ho fatto la prova; ma li mando affanculo pure io –

 

Non chiedo niente a nessuno.

 

Saluti a voi grandiss. Amico.

 

D. Céline

 

Il 3

 

Carissimo Amico,

 

Ma certo che ho ragione, diecimila volte ragione: «l’amore» non è un argomento da uomo. È una sciocca formula per femminucce. L’uomo va al fondo delle cose, ci resta, si installa, ci crepa. Non avete un linguaggio operaio [?sic] Siete portati dalle donne, parlate da donne e mezzogiorno [?sic] Avanti la barcarola! L’uomo interiore non ha linguaggio, è muto. Bisogna farlo passeggiare davanti a questo panorama muto, l’Uomo. Bisogna smettere di sbavare. Si esiste solo nell’intimità muta degli uomini e delle cose. Si circoscrive, non si definisce. Parlate tutti troppo. Quello che si dice non esiste. Sapete bene tutto ciò, amico caro. Sapete quanto ci vuol poca, infinitamente poca impudicizia affinché «il posto» dove le cose cantano e si danno, si ritratti, si infanghi, si appesantisca e muoia sotto lo sguardo, sotto la parola, sotto il dito.

 

Non è la brutalità che viola «questo», è la pretesa e la ragione ragionante. Che importa che voi, io, siamo mille volte più disprezzati, più miseri, più grotteschi. Se un giorno gli uomini non ci ritroveranno nella catena del tempo, nell’intimità del lavoro – allora non ci sarà stato un uomo nell’intimità delle cose – solo vigliacchi e codardi, tamburi di sconfitta. Non mi interessano, popolo o no.

 

Affettuosamente

 

Louis D.

 

«Il posto in cui le cose cantano e si sanno, etc.» Quant’è ben detto. E come descrive bene la propria maledizione, Céline!

 

Dirà più tardi e più brutalmente ancora quello che pensa di Élie Faure con le sue idee sull’amore. Lui odia l’amore. Questo porterebbe forse all’appoggio della tesi «impotenza». (v. Inf.) È da valutare. È lì forse una delle «chiavi» del mistero Céline. Secondo Brochard, Céline avrebbe iniziato a scrivere il Voyage nel tempo stesso in cui si manifestava quello che lui chiama la «temibile» sostituzione.

 

Dinard 11 [verosimilmente dell’agosto ’34]

 

Fermo posta

 

Caro Amico,

 

Eravate troppo irrequieto a Parigi perché insista a venirvi a trovare ma sono inquieto per il vostro stato.

 

State sicuramente in campagna in questo momento. Per quanto noiosa possa essere, ha di buono che è in generale una buona regolatrice del cuore. Io sto qui da mia figlia.

 

Tutto ci spinge e tutto cambia. La stessa polvere invecchia. Ci sono sempre meno barche a vela sul mare.

 

I signori con il binocolo e pantaloni tirati su sono tutti già morti.

 

È quello che aspettavano che sorgesse in fondo all’orizzonte. Anche noi.

 

Con tanto affetto

 

Destouches

 

Caro Èlie Faure,

 

La vostra lettera è commovente.

 

Lo dite Vi amo molto, ma non vi capisco sempre – Non siete del popolo, non siete volgare, siete aristocratico, lo dite. Non sapete quello che so. – Siete stato al liceo.

 

Non vi siete guadagnato il pane prima di andare a scuola. Non avete il diritto di giudicarmi. Non sapete. Non sapete tutto quello che so –

 

Non sapete quello che voglio. Non sapete quello che faccio. Non sapete quale terribile sforzo sono costretto a fare ogni giorno, ogni notte soprattutto per tenermi solamente in piedi, per reggere una penna – Quando starete agonizzando mi capirete completamente e solo in quel momento lì.

 

Parlo il linguaggio dell’intimità delle cose – È stato necessario che lo apprendessi, che lo compitassi prima. Ho valutato tutto. Niente di quello che dico è gratuito. So. Non sono. Resto un produttore di immagini truculento, niente di più.

 

Non voglio essere niente di più – Quello che penso del popoli, avrò il pudore di non dirlo mai. Anche questo fa parte della mia carne.

 

Saper tacere. Non sbavare come un Ebreo, fare l’articolo per vendere, esporre quello che deve restare segreto per venderlo. Vi parlo brutalmente, caro Élie, perché voi siete dell’altra estremità malgrado voi – Voi non parlate la nostra lingua e avrete [l’occasione] [?sic] di rimpiangere le guerre.

 

Élie… L’Uomo è maledetto. Inventerà dei supplizi mille volte ancora più inauditi per rimpiazzarle.

 

Dall’ovulazione si è solo il giocattolo della morte.

 

Molto affettuosamente

 

L. Destouches

 

È un produttore d’immagini truculento – è verissimo – ma solo quello. Qui il gioco al filosofo. «Sbavare come un ebreo», questo svela il suo antisemitismo. «Non parlate la nostra lingua». Per una volta volta rinuncia al solipsismo, parla anche a nome di qualcun altro, ma di chi? È interessante di rileggere dopo i propositi di questo ossesionato dalla morte, le ultime pagine de L’Esprit des Formes consacrate anch’esse alla morte.

 

Timbro postale:

 

2 marzo 1935

 

Caro Élie,

 

La disgrazia in tutto questo è che non esiste un «popolo» nel senso commovente in cui voi lo intendete, ci sono solo gli sfruttatori e gli sfruttati, e ogni sfruttato non chiede altro che di diventare sfruttatore. Non capisce altro. Il proletariato eroico egalitario non esiste. È un sogno vuoto, una favoletta, da cui l’inutilità assoluta, nauseante di tutte queste immagini imbecilli: il proletario in tuta blu, gli eroi del domani – e il cattivo capitalista sazio con catena d’oro. Sono stronzi sia l’uno che l’altro. Il proletario è un borghese che non ce l’ha fatta. Niente di commovente in quello: piagnistei cretini e falsi. È tutto qui – Un pretesto da congresso, da prebenda, da paranoici! L’essenza non cambia. Non ci se ne occupa mai. Si sbava nell’astratto. L’astratto è facile. È il rifugio di tutti i fannulloni. Chi non lavora è pieno di idee generali e generose. Quel che è molto più difficile è di far entrare l’astratto nel concreto.

 

Chiedete a Breughel, a Villon, se hanno opinioni politiche?… Mi vergogno d’insistere su questi fatti evidenti… Mi guadagno il pane dall’età di 12 anni (dodici). Non ho visto le cose da fuori ma da dentro. Si vorrebbe farmi dimenticare quello che ho visto, che so – farmi dire quello che non dico. Sarei molto ricco oggi se avessi voluto rinnegare un po’ le mie origini. Invece di giudicarmi, mi si dovrebbe imitare meglio. Invece di sbavare queste banalità – tanti scrittori scriverebbero finalmente cose leggibili. La fuga verso l’astratto è la viltà stessa dell’artista – La sua diserzione – Il congresso è la sua morte – La lode la sua collana – da qualsiasi origine essa venga.

 

Non voglio essere il primo tra gli uomini. Voglio essere il primo al lavoro – Gli uomini li mando al diavolo tutti, quello che dicono non ha alcun senso – Bisogna donarsi completamente alla cosa in sé. Né al popolo – né al Crédit Lyonnais. A nessuno.

 

Molto affett.

 

Louis F. Céline

 

È l’ultima lettera di Céline.

 

La brutta copia lasciata da Élie Faure e che noi riproduciamo qui risponde alle due lettere precedenti e forse ad altre che noi non conosciamo! Sembra che Élie Faure sia stato oggetto da parte di Céline di un vero e proprio bombardamento epistolare.

 

Per comprendere il tono adottato da Élie Faure, così differente da quello di Céline, e che può sorprendere, bisogna sapere che Élie Faure si piazzava quasi sempre di fronte ai suoi corrispondenti (quelli che ne valevano la pena) in stato di ricettività, quasi d’umiltà. Per raggiungere la parte di verità che è accessibile agli uomini utilizzava il dubbio sistematico. Contrariamente da Céline, così sicuro di sé, dubitava per primo di se stesso, al fine di conoscersi meglio. Quello che ricercava in una simile controversia erano prima di tutto nuovi alimenti per la sua meditazione perpetua, per il suo «monologo interiore». È in questa stessa meditazione che si dissolveva il dubbio. Allora affermava la sua forza. Gli è successo di scrivere: «So di essere un uomo potente.»

 

E poi Élie Faure amava Céline. Ci teneva, al suo «ammirevole mostro». Aveva il gusto per i personaggi fuori serie: René Schwob che seguiva nei suoi problemi, quali la reale verginità di Maria, la coppia Tourte che fece a piedi il giro del mondo, lo stravagante Diego Rivera, l’insopportabile Soutine, anche l’affascinante, colorato miniaturista Delaw con il suo desiderio di vedere i suoi innumerevoli e minuscoli personaggi ingranditi a dimensioni murali. Quanti altri! Ma di Céline fingeva di non vedere il delirio, non teneva conto delle sue incoerenti e ingiuriose dimostrazioni ma dei punti in cui potevano attaccare una discussione ragionevole.

 

Élie Faure si tiene dunque così sul terreno scelto per il suo partner. Ciò spiega i suoi sviluppi sull’aristocratismo. Per lui quella parola è totalmente indipendente da qualsiasi nozione di nascita o di casta. La prende nel suo senso strettamente etimologico. L’aristocratico è il più adatto, il più capace, il più degno, il più ragionevole, il più utile anche, quello che ha molto da donare e che dona. Anche per quello, è responsabile di fronte a tutti del buon uso delle sue qualità.

 

Lettera di Elie Faure a Céline

 

30.7.35

 

Carissimo amico mio,

 

Vado in vacanza tra 4 o 5 giorni (in vacanza! se si può dire, mentre invece mi porto via con me). Ma non posso lasciarmi dietro le spalle le catene delle vostre lettere. Non ne ho più la forza né il coraggio necessari. Vi risponderò dunque.

 

Ammirevole mostro che siete. Avete ragione. Ve l’ho detto nell’ultima lettera[,] lo credo bene. Ragione nel trascendente, ragione riguardo la morte; pertanto ragione su tutta la linea. Credo del resto d’aver espresso tutto ciò in un libro poco conosciuto che si intitola La Danse sur le Feu et l’Eau, e che aveva irritato Barbusse. Ero nei suoi confronti, in quel tempo lontano, nella situazione in cui siete voi stesso oggi di fronte a me. Avevo ragione contro di lui.

 

Troppo ragione. Credo ora che ci si debba battere, contro gli uomini, carne contro carne, direste voi. La guerra straniera manca di buone ragioni. Rimane la guerra civile, fino a che scompaia anche quella e che la grande uniformità della palude si estenda sui vivi come sui morti. Ed almeno là si trova, di fronte a se stessi, delle facce che si conoscono bene e che spaccheresti con piacere. Certo ve l’ho detto, non appartengo e non apparterrò, non più di Villon o Breughel[,] ad alcun partito politico.

 

Ve l’ho detto. Ci si scontra in strada. Guardo da quale lato sono i gendarmi, da quale i poveri diavoli. Voi mi direte che anche i gendarmi sono poveri diavoli. Certo, ma loro sono ben nutriti e provo solo disgusto per quelli che son ben nutriti mentre altri lo sono male. Per me stesso in particolare. Lì, forse è l’origine del mio amore per il «popolo». Perché esiste il popolo. Ho scritto un giorno che era la scorta d’innocenza della specie. E intendo per innocenza non l’astensione dal vizio – sareste per caso, Céline[,] un moralista? – ma l’innocenza critica, che presuppone precisamente se non l’immoralità, almeno l’amoralità. Non mi avete scritto voi stesso un giorno: «Amo il popolo» riconoscendo in ciò che una forza […? sic] che noi chiamiamo con quel nome si fa strada nel nostro […?sic] per il nostro rimorso e anche per la nostra esperienza. Si amano gli esseri umani solo per l’illusione che si prova di dispensargli felicità. È per aristocratismo che voglio la felicità del popolo ed è la sola scusa, e anche la sola ragion d’essere di tutti gli aristocratici che furono e che saranno.

 

Mi stupisco, in effetti, della vostra battuta virulenta contro un’attitudine di spirito che, secondo voi, da parte di un uomo del mio tipo, mancherebbe d’aristocrazia, o meglio d’aristocratismo. Un bravo ragazzo che so, lui proprio, d’un’apertura intellettuale piuttosto mediocre, ha detto su di me a qualcuno che me l’ha ripetuto lo stesso che voi. Céline, vi vedo male in uniforme da prefetto, da console o da colonnello, oppure alla vostra scrivania di banchiere, tra la vostra cassaforte e il vostro telefono, o pure sotto l’aspetto del grande signore stesso, principe del sangue di Francia, che non prende a calci in culo l’architetto che venne da lui a presentare il castello di Chantilly come possiamo ammirarlo. Come non comprendete che il mio amore per il «popolo» e il mio disgusto per quelli che lo sfruttano è un sentimento aristocratico primordiale?

 

L’aristocrazia è solo ribagnata nelle masse anonime, in cerca dei loro bisogni reali[,] sotto le apparenze e imponendo loro il compito di realizzare questi bisogni.

 

Il bene del popolo? Più semplicemente il bene? Credete dunque che ci conto per me stesso più di quanto voi contiate per voi? Conosco il vostro calvario, amico mio. Non tanto perché me l’avete confessato a metà ma perché l’ho sentito. So che vi è imposto da realtà fisiche moltiplicate dal tormento del creatore. Sono stato io stesso malato per tutta la vita, anche quando ero molto piccolo e mi rannicchiavo nel grembo di mia madre dicendogli, me ne ricordo «Mamma mi annoio» o «Mamma, sono stanco». E ho conosciuto per ciascuno dei miei libri il dolore del parto e soprattutto del dubbio. Non so chi, un certo Vallery-Radot, credo, recensendo la Sainte-Face per stroncarlo del resto, scriveva quello che di più giusto si è scritto su di me, che quel libro era il frutto «di atroci sofferenze».

 

Si Céline. Ma non pensate che ci sono sofferenze che l’uomo che soffre debba evitare all’uomo, soprattutto al piccolo uomo? E che è facile, molto facile, voi lo sapete bene Céline[,] voi medico dei sobborghi, delle banlieues, dei tuguri, della fame, delle orge di lerciume e di mistero. Facile. La socializzazione del pulito, l’asilo nido, la scuole pulite, l’acqua fresca, le infermiere, le donne che amano i bambini. I Russi sono sulla via della felicità fisica, della partenza uguale per tutti i bambini. Questo non è tutto, è molto. Si daranno da fare più tardi per il resto. Parlo dei bambini diventati uomini.

 

Certo, c’è un mezzo per evitare questo, Céline. Molto semplice voi lo sapete. La forza al servizio del debole. «Il proletario è un borghese che non ce l’ha fatta». Certo. D’accordo che ne abbia il modo. Non per diventare un borghese, ma perché il borghese scompaia. Perché lo spirito borghese è generato dal sentimento di dominio sul povero di una classe che, scomparendo, perderebbe al contempo questo sentimento.

 

Qui anche, aristocratismo. Vorrei, ed è facile, per mezzi d’organizzazione e d’igiene (mio Dio, duro freudiano che non siete altro) che la gerarchia necessaria non si stabilisca più in base alle funzioni ma dalle anime. Vi parlerò come un’artista. Capirete sicuramente meglio. Perché mi domando a volte, se in materia sociale il pregiudizio morale non vi domini. [Alcune righe indecifrabili. NdR] So, sento, è il frutto di un’intera vita di meditazione e di sofferenza, che una forma sociale nuova è in corso, che sarà per gli uomini un pretesto nuovo di vivere aspettando l’irresistibile morte. Siamo in piedi presso il letto di questa partoriente, ferri alla mano. Me ne infischio della morale. Forse anche della giustizia. Forse non ho neanche pietà. Ma voglio aiutare in tutti i modi, foss’anche con la forza, le nuove forze a vivere. Una società, una forma, una statua, una musica non si fondano su un assoluto che è il nulla a vostro avviso, e a mio avviso. Nichilista, siete, lo ripeto, nel vero, metafisicamente parlando. Ma umanamente parlando è la massa che vuole un pretesto per vivere che ha ragione e fateci attenzione, che avrà ragione, che è meglio che d’aver ragione. E se io amo questa massa che avrà ragione, e che non amerò senza dubbio più il giorno in cui essa avrà ragione, è perché è anonima. L’amo dello stesso amore che ho potuto conservare per due o tre dei miei amici – tra cui voi – e che amo anonimamente, d’istinto, non per le loro idee o i loro sentimenti, ma per loro stessi[,] per la sensazione di potenza o […? sic] che mi dànno.

 

Del resto, l’uomo ha costruito solo sull’illusione, e non sulla realtà. Il vostro realismo trascendentale lo sapete bene, ed è per questo che ci tenete ferocemente, sfocia esclusivamente nella morte, il che può essere per un individuo influente uno strumento di sviluppo magnifico – è il vostro caso – ma non può colpire le moltitudini di cui abbiamo bisogno perché sono il concime, che alla fronte e al cuore, e li impegna [?sic] nella morte prima della loro stessa morte. Non possiamo condannarli, come abbiamo il diritto di condannare noi stessi, al suicidio soprannaturale mentre essi vanno con un passo ancora barcollante, ma ubriaco, verso una nuova vita che condivido, credetelo, solo parzialmente e soprattutto provvisoriamente.

 

Villon, Breughel erano il frutto di queste ubriacature collettive. Lasciate alla mia iniziante vecchiaia l’illusione di provarlo, almeno nei momenti magnifici in cui abdica il pensiero e canta, tra una faccia nera e un uomo dalle nude braccia coperte di peli rossi.

 

La vostra lettera è stata terribile per me Céline, perché, ve lo ripeto ancora, avete ragione. E avete attizzato, cosa di cui devo ringrarziarvi, la mia irrimediabile sofferenza.

 

Chi non lavora è viziato da idee generali e generose. Mi ha colpito in pieno cuore. Perché è il mio caso. Non ho mai lavorato, indubbiamente perché il male si voltava troppo verso di me. È dunque vero per me. Ma non per il povero diavolo che bisogna aiutare a lavorare per difenderlo dalle idee generali e generose. «La fuga verso l’astratto è la viltà stessa dell’artista.» Ammirevole! Non ho mai provato questa verità con più intensità e dolore che in questo momento. Il mio ultimo libro è pessimo, perché astratto, e astratto perché sociale e spiega piu che esprime. Porterò avanti la viltà fino alla fine perché lo pubblicherò, pur sapendolo pessimo. Ascoltatemi bene mio buon Céline, tutto ciò per cullare il mio orgoglio nella menzogna d’un sacrificio necessario per il popolo, sul cui altare lo depongo, ma sapendo molto bene nel profondo che questo orgoglio è solo uno schermo per nascondere agli altri la vanità puerile d’un pensatore fiero d’aggiungere alla pila dei suoi libri un nuovo tomo che tuttavia non si leggerà. Fortunatamente per me del resto.

 

Céline se voi mi amate, datemi un argomento concreto. Muoio di non trovarne dal mio viaggio.

 

E pregate per me!…

 

*

 

* *

 

Aveva in effetti gran bisogno di preghiere. Perché malgrado le prediche di San Céline rifiuterà qualsiasi «contrizione». In quell’anno 1935 aderiva al Comité pour la Défense des mineurs des Asturies.

 

Qui s’interrompe quello che conosciamo della corrispondenza Céline-Élie Faure. Tuttavia le loro relazioni non furono mai spezzate. Senza dubbio si videro un po’ meno spesso ma almeno dal lato di Élie Faure l’amicizia è sopravvissuta alle divergenze. In Céline egli amerà sempre quello che aveva creduto di riconoscere immediatamente come «un uomo e un uomo fiero».

 

Nel 1936 spera ancora, senza contarci troppo, che Céline parlerà del suo nuovo libro Regards sur la Terre promise. [*2] Ma Céline non dirà nulla. Che ne avrebbe potuto dire? Per sapere in quale maniera Céline intendeva «la felicità del popolo» basta leggere questo testo molto convincente, sotto l’anodino titolo «La Médecine chez Ford». Non si si tratta lì né di asili, né di scuole, né di infermerie…

 

Tuttavia alcune tendenze dello scrittore inquieteranno molto in fretta Élie Faure. Il 16 maggio 1935 scrive a Dominique Braga a proposito di Mort à crédit:

 

«Avete letto il nuovo di Céline? Ci sono dei bei passaggi, ma cammina troppo nella merda. Ci si compiace visibilmente. È ancor più scatologico che erotico. E non è poco.» (op. Cit).

 

Il 6 maggio 1937, in una lettera a sua figlia, oppone la sua concezione dell’amore a quella di Céline:

 

«No! Céline ha detto sull’amore solo una piccola parte della verità. L’attrazione sessuale è senza dubbio l’unico motivo. Allora per quale motivo sporcarlo. Meglio sarebbe sublimarlo e coltivare l’illusione che procura… Preferisco Stendhal a Céline, e Shakespeare ugualmente. Quello che conta nell’amore, sono le sovrastrutture, ha detto Marx…

 

Céline non ha ragione, perché l’amore, durevole o no, crea una verità seconda che non ha visto e probabilmente non vedrà mai. Ed è questa realtà, forma dell’ardore di vivere… che sola dà un senso alla vita» (op. Cit.). E pertanto è Céline che dirà l’ultima parola. Quale? Lo si indovina.

 

In Bagatelles pour un massacre (p.215-216 dell’edizione originale) si legge:

 

«Élie Faure benché mezzo ebreo e mezzo frammassone mi appassiona, salvo quando parla d’amore. Allora dà i numeri a tutto spiano. Si mette a pesare d’un sol colpo varie tonnellate di merda lavata come quasi tutti i bastardi nel sentimento.»

 

Quando uscì Bagatelles pour un massacre, Élie Faure era appena morto. Ma è quand’era ancora vivo che Céline ha scritto quelle gentilezze. Non ha mai rispettato l’amicizia, non molto più dell’amore. Lo si è detto: «Quelli che l’hanno avvicinato, amato, aiutato, anche, li ha deformati, conciati, elucubrati.»

 

È noto che Élie Faure non era né ebreo né frammassone. Céline gli conferisce queste due qualità perché nel suo spirito esse vanno insieme… Ma senza dubbio è là la precauzione fortemente piccolo borghese di Céline che induce le autorità occupanti a fare di Élie Faure un Ebreo e a interdire le sue opere. Il loro sospetto si estendeva pure ai suoi lettori.

 

Nel luglio 1940 i Tedeschi perlustreranno gli appartamenti vuoti. I loro poliziotti visiteranno quello di un medico parigino, mobilitato e ritiratosi su ordine in quale posto dei Pirenei. Su un comodino uno di loro, un ufficiale, nota un esemplare de La Sainte Face. Afferratolo, storce il naso, e si rivolge alla portinaia: «Il dottor D… sarà mica Ebreo?»

 

NOTE

 

1. Autore di Élie Faure. Regards sur sa vie et sur son oeuvre (Pierre Cailler, Ginevra, 1963).

 

2. Lettera a Jean-Pierre Faure del 13-6-36, Oeuvres complètes, t.III, J.-J. Pauvert, éditeur, 1964. N.d.R..