DINO BUZZATI – IL MEGLIO DEI RACCONTI

DINO BUZZATI – IL MEGLIO DEI RACCONTI
DINO BUZZATI – IL MEGLIO DEI RACCONTI

DINO BUZZATI – IL MEGLIO DEI RACCONTI

MONDADORI – Collana OSCAR SCRITTORI MODERNI n. 962 – 2008

Copia n. 1563

A cura di Federico Roncoroni

Introduzione

Di Federico Roncoroni p. VI

DA: I SETTE MESSAGGERI p. 3

I SETTE MESSAGGERI p. 5

Da oltre otto anni un principe avanza nei territori del proprio regno per raggiungerne i confini, senza tuttavia esser riuscito ancora a raggiungerli. Lo scoramento si fa in lui vieppiù sempre più vasto, con pensieri negativi quali lo “stiamo girando in cerchio” o “mai potrò arrivare alla fine” e che forse è partito troppo tardi…

Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla

città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare.

Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati,

esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino. Credevo, alla

partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece ho

continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei.

Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere

sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera.

Ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si

estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine.

Con sé ha portato i sette migliori cavalieri del regno per poter intrattenere comunicazioni con i genitori utilizzandoli come messaggeri…

[…] e fra i cavalieri della scorta scelsi i sette migliori, che mi servissero da messaggeri.

Inizialmente gli erano sembrati un’esagerazione, accorgendosi ben presto di essere in errore. Lasciato partire il primo al secondo giorno di viaggio e poi gli altri uno di seguito all’altro, all’ottavo giorno il primo non aveva ancora fatto ritorno… L’intervallo del loro ritorno si fa inevitabilmente sempre più ampio e la nostalgia s’impossessa di lui, ormai lontano dalla capitale e straniero nel suo stesso ignoto regno…

Le nuvole, il cielo, l’aria, i venti, gli uccelli, mi apparivano in verità cose nuove e diverse; e io mi sentivo straniero.

Dopo otto anni e mezzo eccolo accogliere durante il bivacco serale Domenico, il quarto messaggero, di ritorno dopo quasi sette anni. Ne riceve le lettere, affidandogli le sue per l’ultimo viaggio in direzione della capitale. Sa che non si rivedranno più. Nella capitale a regnare è ora il fratello maggiore e nuove costruzioni sono sorte sui luoghi dell’infanzia. L’ansia di sapere cosa si trova oltre lo coglie, pur convinto che probabilmente non si accorgerà nemmeno del valico dei confini, decidendo d’inviare di lì in poi i messaggeri in avanti per scoprire cosa lo aspetti lungo il cammino…

Porta, il mio ultimo saluto alla città dove io sono nato. Tu sei il superstite legame con il mondo che un tempo fu anche mio. […]

Dopo di te il silenzio, o Domenico, a meno che finalmente io non trovi i sospirati confini. Ma quanto più procedo, più vado convincendomi che non esiste frontiera.

Non esiste, io sospetto, frontiera, almeno non nel senso che noi siamo abituati a pensare. Non ci sono muraglie di separazione, né valli divisorie, né montagne che chiudano il passo. Probabilmente varcherò il limite senza accorgermene neppure, e continuerò ad andare avanti, ignaro.

Un’ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non è più rimpianto delle gioie lasciate, come accadeva nei primi tempi del viaggio; piuttosto è l’impazienza di conoscere le terre ignote a cui mi dirigo.

Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne inesplorate che le ombre della notte stanno occultando. Ancora una volta io leverò il campo, mentre Domenico scomparirà all’orizzonte dalla parte opposta, per recare alla città lontanissima l’inutile mio messaggio.

L’ASSALTO AL GRANDE CONVOGLIO p. 10

Dopo tre anni di carcere per contrabbando, il capo brigante Gaspare Planetta ottiene la libertà. Debole e malato, si dirige verso il suo vecchio covo sul Monte Fumo. Nessuno dei presenti lo riconosce e così riesce a spacciarsi per un compagno di cella. Apprende che il capo è ora Andrea, forte ed energico, che arriva successivamente. Gaspare capisce di essere ormai stato tagliato fuori…

[…] capiva di essere vecchio, che per lui non c’era posto, che il suo tempo era tramontato.

Richiedendo i vecchi oggetti di Planetta, si fa infine riconoscere, sebbene nessuno, vedendone il mutamento fisico, ne faccia parola. A denti stretti Andrea gli fa recuperare gli oggetti lasciati, compreso fucile e pugnale, con i quali poco dopo il vecchio lascia il covo…

Gaspare si ritira in un rifugio immerso nei boschi del monte dove un giorno si presenta un ragazzo diciassettenne, Pietro, entusiasta di poter iniziare una vita da brigante dopo esser riuscito a rubare un fucile. Dato che cerca i briganti, Gaspare si presenta come Planetta, destando ammirazione nel ragazzo che gli chiede di poter restare. Ma i giorni passano nell’inattività e il giovane inizia a pensare che il vecchio sia malato e non voglia più compiere nessuna scorribanda nonostante le proposte che gli presenta. Per placarlo Gaspare inventa un fantomatico piano d’assalto al Grande Convoglio Imperiale che il 12 settembre di ogni anno trasporta le tasse della provincia alla capitale. Invano negli anni in molti ci hanno provato. Pietro è estasiato dal coraggio del maestro… Ma i giorni passano e l’unica cosa che Gaspare mette in moto è la lingua per profferire dettagli del piano che non ha intenzione di porre in atto, impossibile da realizzarsi com’è…

L’11 settembre il ragazzo torna furente al rifugio: ha scoperto la verità incontrando i banditi di Andrea… L’indomani se ne andrà… Scosso nell’orgoglio, Gaspare decide di tenere fede alla promessa e di tornare ad essere per un giorno il vero sé stesso, partendo al mattino per attaccare il convoglio…

Ma all’indomani fu Planetta ad alzarsi per primo.[…]

Eppure non erano storie. Planetta, ora che era rimasto solo, andò ad assalire il Gran Convoglio.

Appostatosi nei pressi della salita che quello dovrà attraversare, eccolo raggiunto dal giovane che inizialmente accetta di andarsene salvo poi tornare al suo fianco… Il convoglio è sempre più vicino e un colpo di fucile scuote improvvisamente l’aria, non di cacciatore, bensì degli uomini di scorta che hanno centrato il maldestro giovane. Ormai individuato, il vecchio raggiunge Pietro, ricevendo a sua volta un colpo al petto. Prima di morire i due hanno l’onore di essere omaggiati da una nutrita schiera di eroici briganti morti per assaltare quello stesso convoglio… Le anime dei due assassinati escono dai rispettivi corpi, unendo al gruppo. Tra gli spiriti c’è anche l’amato cavallo Polak sul quale Gaspare fa però salire Pietro che avanza con i briganti verso il Regno dei Briganti Morti… Dopo aver osservato la strada e il convoglio e la scorta, Gaspare si accorge che i gendarmi hanno assistito a tutta la scena, salutandolo mentre s’incammina a piedi, fischiettando, per il Regno dei Briganti Morti…

SETTE PIANI p. 26

Giuseppe Corte, affetto da una leggera febbre, giunge una mattina di marzo nella città dove si trova la celebre casa di cura per quel tipo di malessere…

Dopo un giorno di viaggio in treno, Giuseppe Corte arrivò, una mattina di marzo, alla città dove c’era la famosa casa di cura.

L’edificio è moderno ed efficiente e Giuseppe si ritrova sistemato in una camera del settimo piano. Lì un’infermiera gli spiega che i malati sono divisi, in base alla gravità, in sette categorie smistate sui vari piani dello stabile, con al primo quelli ormai moribondi… Prima di sera scambia qualche battuta con il malato della stanza a fianco, già ricoverato da due mesi, che gli spiega che le tapparelle delle stanze al primo piano vengono abbassate alla morte del paziente… Giuseppe inizia a pensare incessantemente ai misteri di quel primo piano, sentendosene tuttavia ben lontano…

I giorni passano e, pur attenendosi alle prescrizioni mediche, non ottiene miglioramenti. Dopo circa dieci giorni dal ricovero, con la scusa di cedere il posto al figlio di una signora che deve essere ricoverata, Giuseppe si trova trasferito al sesto piano. Lì i medici lo rassicurano, nonostante venga a sapere che il suo male è sì di lievi intensità ma di vasta espansione e che il processo di distruzione delle cellule non è forse ancora cominciato…

Passano pochi giorni e per una presunta nuova procedura di classificazione dei malati, l’ospedale procede a trasferire al piano inferiore i pazienti ritenuti più gravi di ogni piano. Giuseppe si vede così trasferito al quinto, dando in escandescenze. Il medico lo rassicura, dichiarandolo dovuto certamente a un errore, ma che forse sarà curato meglio. La febbre debilitante costringe Giuseppe a placarsi…

Alla fine si accorse che gli mancavano la forza e soprattutto la voglia di reagire ulteriormente all’ingiusto trasloco. E senza altre ipotesi si lasciò portare al piano di sotto.

Dopo solo tre giorni, con la scusa di dover curare un eczema presentatosi su una gamba, Giuseppe viene trasferito al quarto piano dove si trova il macchinario a raggi Digamma… Inizialmente si era opposto, ma l’allargarsi dell’eczema lo avevano costretto ad accettare…

I giorni passano, l’eczema si riduce ma non scompare. Pressato dai consigli del medico, Giuseppe decide di scendere al terzo piano dove si trovano macchinari ancora più potenti… Ma anche lì resta poco: i medici devono andare in vacanza e i malati sono spostati al secondo. Lì Giuseppe subisce un peggioramento delle proprie condizioni psico-fisiche, finendo trasferito all’ultimo piano, “per errore”… Verso le tre del pomeriggio si accorge del buio che invade la stanza per il lento calo delle tapparelle, segno evidente della sua prossima morte…

TEMPORALE SUL FIUME p. 42

Una domenica di settembre la vegetazione di un laghetto attende l’arrivo di un anziano pescatore e del nipotino, evento che da decenni ormai seguono seppur con protagonisti differenti (bambini che invecchiano lasciando spazio ad altri bambini). Ma del bambino non c’è traccia e il tempo passa fino all’arrivo di un temporale pomeridiano. Il triste vecchio resta immoto, deceduto…

L’UOMO CHE SI DAVA ARIE p. 46

Il giovane medico Antonio Deroz, prima della fine del periodo di prova presso l’ospedale nel quale è stato assunto, inizia a mutare carattere e a mostrarsi altezzoso e indisponente, lui fin lì sempre umile e servizievole. Il suo tutor, il rancoroso professor Dominici, apprende dallo stesso, nel mentre sempre più deperito, di essere prossimo a un viaggio solitario…

Deroz sta sempre peggio e una sera passa a congedarsi da Dominici preannunciandogli la partenza per la notte. Ritenendolo lo scherzo di un ubriaco, assieme a due amici il professore si reca la notte a casa dell’allievo scorgendone il corpo immoto da una finestra illuminata. D’un tratto una figura avvolta da un’aura s’incammina verso il sentiero sul retro che conduce, attraverso il bosco, a un deserto. Entrato in casa, Dominici si accorge che Deroz è morto e il suo spirito è partito per un altro mondo…

IL MANTELLO p. 53

Dopo lunghi mesi al fronte, un giovane soldato, Giovanni, torna a casa inaspettatamente. La madre e i fratelli sono felicissimi del suo arrivo, ma lui è triste e distaccato. Un uomo misterioso, avvolto in un mantello, lo attende in strada… Anche lui indossa un mantello da cui non vuol separarsi… La donna gli offre cibo e bevande, sorpresa che il figlio gli preannunci una nuova partenza non potendo far aspettare oltre chi lo attende in strada… Quando uno dei fratelli gli alza il mantello, si scorge il sangue di una ferita. Ad aspettarlo è la Morte, con la quale riparte in direzione del monte…

L’UCCISIONE DEL DRAGO p. 59

Nel maggio del 1902 un contadino, Giosuè Longo, al servizio del conte Martino Gerol, torna in paese dichiarando di essersi imbattuto nella Val Secca in un animale gigantesco che sembrava un drago, leggenda molto in voga a Palissano…

Martino decide allora di partire per una battuta di caccia assieme al governatore della provincia, Quinto Andronico e alla di lui moglie, Maria, ai naturalisti Inghirami e Fusti e a una scorta di otto cacciatori…

Fermatisi per la notte a Palissano, Andronico viene sconsigliato dal suo amico medico, Taddei, a proseguire nell’impresa, dato che l’esistenza del drago potrebbe rivelarsi anche veritiera…

Il gruppo avanza, condotto da Giosuè, fino all’inoltro nella foresta. Lì s’imbattono in un ragazzetto che dal paese sta portando in sacrificio al drago una capra. Martino decide di acquistare la bestia da usare come esca per il mostro. Raggiunta la grotta dell’avvistamento, i cacciatori si appostano, fino all’uscita dell’animale, una specie di coccodrillo dinosauro che, seppur ferito a una gamba prima e poi a un occhio dallo stesso Martino, ingoia l’animale per poi tentare la fuga lontano dalla propria tana. Martino si diverte a suppliziarlo, ferendolo gravemente quando si appropria con la forza della seconda capra portata dal ragazzo al cui interno inserisce dell’esplosivo. Ad assistere alla macabra scena giungono alcuni uomini del villaggio… L’esplosione ha luogo e il ventre del drago resta squarciato con conseguente fuoriuscita di fumo, mentre due piccoli draghi escono allo scoperto. Divertito, Martino li elimina provocando il ripetuto grido disperato del drago morente. Gli uomini del villaggio se ne vanno e alla fine il drago muore. Ma, a sua volta, inalati i fumi del drago, anche Martino trova la morte…

UNA COSA CHE COMINCIA PER ELLE p. 74

Il mercante di legnami Cristoforo Schroder arriva nel paese di Sisto accusando un lieve malessere. Chiamato l’amico dottore Lugosi, si mette a dormire dopo la di lui partenza. L’indomani il dottore torna accompagnato da un uomo che dichiara essere Don Valerio Melito. Insinuante, questi lascia intendere di conoscerlo e di averlo visto finire fuori strada tre settimane prima facendosi aiutare da un uomo che aveva “una cosa che inizia per elle”… Sempre più nervoso, la verità si palesa a Cristoforo: ad aiutarlo a rientrare in strada era stato un lebbroso e ora anche lui è malato. Dovrà indossare una campana e lasciare paese e Regno. Don Valerio si rivela l’alcade che si diverte ad allontanarlo senza fargli prendere nulla dei propri beni…

NOTIZIE FALSE p. 83

Il reggimento comandato dal conte Sergio-Giovanni, reduce da una battaglia, si accampa nei pressi di Antioco. Allo stanco ufficiale si presenta un vecchio, il podestà del paese di San Giorgio, Gaspare Nelius. Questi chiede con enfasi che i giovani che compongono la seconda compagnia siano lasciati tornare in paese, essendo giunta notizia della fine della guerra. Il conte nega il permesso e il vecchio, senza lasciarlo finire, chiede almeno quattro giorni di licenza per festeggiare. Non si può, la guerra non è finita… Che gliene accordi almeno due… No, hanno perso… Che li si possa riportare a casa da eroi… No, sono stati uccisi in fuga dopo aver provocato la sconfitta in battaglia… Affranto il vecchio si allontana mentre il conte rimugina sulla disfatta…

Quando Gaspare rientra in paese i preparativi sono in corso. I pochi presenti gli si fanno incontro e lui decide di mentire dichiarando che la festa non si farà poiché i giovani, montatisi la testa, hanno deciso di restare nell’Esercito come guardia del Re nella capitale…

DA: PAURA ALLA SCALA p. 91

PAURA ALLA SCALA p. 93

All’attesissima prima alla Scala della Strage degli innocenti del discusso compositore Grossgemuth si reca anche il vecchio maestro Claudio Cottes…

La polizia si concentra intanto sull’attività del gruppo rivoluzionario dei Morzi, cui attivisti sono avvistati in zone centrali della città…

Claudio, che vive per la musica nonostante abbia abbandonato l’attività concertistica e la cattedra di pianoforte, è ignaro dei fatti di politica e si prepara per recarsi alla Scala. Prima di uscire un uomo misterioso e sgarbato chiede per due volte al telefono di suo figlio Arduino, direttore d’orchestra… Attraversando le strade è infastidito dapprima da un musicista di strada, poi da Bombassei, suo ex allievo, che allude all’assenza di Arduino e alla presenza di “troppi amici in strada”… I cattivi pensieri svaniscono nel prender posto, osservando i presenti. A stonare, in un palco di terza, tre uomini vestiti di nero che sembrano completamente disinteressati alla rappresentazione…

Durante il primo intervallo iniziano a circolare voci su una presunta rivoluzione nel mentre scoppiata per le strade… Un sedicente conoscente, di cui non si ricorda, avvicina Claudio facendo allusione alla presunta imprudenza di Arduino… Sempre più inquieto il professore riprende posto in platea, fermandosi a osservare i tre in nero, ora divenuti quattro, durante il secondo intervallo. Il pediatra Ferro, cui chiede spiegazioni, dichiara trattarsi del Quartier Generale dei Morzi. Claudio ritiene così che il figlio si sia messo nei guai attaccando od osteggiando il gruppo… Alla fine del terzo atto dei Morzi non c’è più traccia mentre lo spettacolo si conclude con un grande successo… Mentre i non vip lasciano l’edificio, i pochi fortunati si spostano nella sala adibita a ricevimento dove si presenta anche l’autore, preoccupato della critica, e ignaro della presunta rivoluzione dei Morzi in atto. Nessuno osa lasciare il teatro, pur volendosi trovare in casa…

Il timore cresce tra gli esponenti dell’alta società, facendosi terrore nel povero Claudio che per via del figlio si aggira tra i vari gruppi in cerca di qualche notizia positiva…

All’una e dieci tenta di lasciare il teatro per avvertire il figlio, ma Donna Clara Portalacqua gli impedisce l’uscita. Secondo notizie attendibili, i Morzi sono infatti entrati in azione e stanno occupando anche la Prefettura. Uscire per le strade non è consigliabile, meglio rimanere in attesa… La donna va peraltro in cerca dell’onorevole Lajanni, considerato un esponente dei Morzi, dal quale ottenere un salvacondotto almeno per Grossgemuth… Questi rivela però di essere caduto in disgrazia proprio durante la rappresentazione, palesandosi poi come l’uomo misterioso che aveva avvicinato Claudio… Ad accompagnare il compositore è la stessa Clara, coperta dalle dicerie dei presenti… All’esterno tutto è buio e nessun segno di rivoluzione giunge in Teatro. Ma la paura spinge i presenti a barricarsi e spegnere le luci… Claudio telefona a casa ricevendo risposta dall’assonnato e irritato Arduino cui dichiara di aver dimenticato le chiavi temendo la chiamata potesse essere intercettata dai Morzi…

Un gruppo intanto si separa dagli altri, capeggiato dall’ingegner Clementi, che ha un figlio nel direttivo, per evitare di essere poi catturato dai rivoluzionari, asserragliandosi nello spazio riservato a Museo con tanto di luci accese per esser riconosciuti…

Alle tre di notte l’avvocato Costanz inizia a dichiarare che nulla è accaduto in città, ma un boato improvviso semina di nuovo il panico tra i presenti. Claudio, sebbene alticcio e barcollante per lo spumante bevuto, decide di uscire per tornare a casa, stramazzando in piazza dopo pochi passi. In molti credono sia stato ucciso, ma, poco dopo, con il sopraggiungere dell’alba, i netturbini mostrano che per davvero nulla è successo e che una suggestione negativa ha infettato le loro menti. Anche il professore si desta ritornando verso casa… Una fioraia porta alla nobile Bini un fiore…

UNA GOCCIA p. 132

In un casamento una goccia risale la notte per le scale destando ansia e paura negli inquilini…

LA CANZONE DI GUERRA p. 135

Il re dapprima e i generali poi si chiedono come mai, nonostante le sfolgoranti vittorie e la continua avanzata degli eserciti, i soldati si ostinino a intonare una triste canzone che termina con “dove ti ho lasciata una croce ci sta”…

Dopo alcuni decenni le vittorie continuano a susseguirsi, ma nella capitale sono ormai sorti cimiteri sterminati per i soldati caduti, dando così un senso al fatale canto…

INVITI SUPERFLUI p. 140

Inviti superflui di un innamorato a una donna ormai lontana che l’ha probabilmente obliato…

RACCONTO DI NATALE p. 144

La notte di Natale un mendicante si presenta in Duomo per chiedere a Don Valentino, in servizio di preparazione per la messa dell’arcivescovo, un po’ di spirito divino. Il prete glielo nega, ma lo spirito si allontana. Valentino lo insegue, raggiungendolo presso una casa operaia e poi in campagna da un contadino, vedendolo allontanarsi sempre più al rifiuto di quelli a cedergliene una parte. Alla fine, tra la neve, al limite delle forze, apre una porta ritrovandosi in una chiesa al cospetto dell’arcivescovo circondato dalla luce divina…

DA: IL CROLLO DELLA BALIVERNA p. 149

Un sarto, uscito un pomeriggio di luglio assieme al cognato, alle di lui figlie e all’amico zoologo Scavezzi, per cercare insetti nei dintorni del fatiscente e antico edificio di periferia detto “Baliverna”, nel tentare una scalata alle mura diroccate provoca la rottura di un’asta di ferro che, per effetto domino, dà il via al crollo dell’intero stabile e la morte dei numerosi poveri dimoranti… A due anni dai fatti il processo è ormai prossimo all’avvio e il sarto teme che l’odioso e insinuante Scavezzi lo abbia scorto arrampicarsi e possa denunciarlo proprio all’ultimo momento. Da allora si reca infatti sovente ad acquistare abiti costosi che porta via a poco prezzo, alludendo sempre al crollo della Baliverna. Anche e soprattutto alla vigilia dell’udienza… Il sarto ha paura…

“Fra una settimana comincia il processo per il crollo della Baliverna. Che sarà di me? Verranno a prendermi?

Ero stato io a provocare l’ecatombe? La rottura dell’asta di ferro aveva, per una mostruosa progressione di cause ed effetti, propagato lo sfacelo all’intero mastodontico castello?

Ma mio cognato, o le sue figlie, o lo Scavezzi, si accorsero di ciò che avevo fatto?

FINO ALL’ULTIMA GOCCIA DI SANGUE p. 157

All’approssimarsi dei filibustieri, gli abitanti di un’isola istituiscono un Comitato di difesa che decide di chiedere l’ausilio del vecchio generale in pensione Antonio Imagine…

Questi si rivela essere un uccello spennacchiato ormai prossimo alla morte che dapprima li gonfia d’orgoglio incitando alla resistenza, poi, appreso il numero dei nemici, si fa debole implorando di accogliere gli invasori. Respinto il consiglio, si ripara sotto il cuscino con gli ospiti che se ne vanno pronti alla battaglia…

QUALCOSA ERA SUCCESSO p. 163

Un uomo viaggia a bordo di un direttissimo. Giunti a un passaggio a livello di un paesino di campagna, si accorge della presenza di una donna ferma alla sbarra per ammirare quel gioiello della tecnologia. Ma la donna, al passaggio del treno, si volta per rispondere alla chiamata concitata di un uomo sopraggiungente alle sue spalle. Il viaggiatore non dà troppo peso alla cosa, ma poco dopo si accorge di un contadino che chiama a gran voce un gruppetto di persone… Il treno fila via veloce… Cosa sarà successo?… Il dubbio diviene certezza quando analoga concitazione gli sembra di scorgere in tutti i paesini attraversati… “qualche cosa era successo e noi sul treno non ne sapevamo niente”.

Gli altri passeggeri non si accorgono di nulla, o fingono di non avere paura? Il treno, stranamente, non si ferma mai e viaggia imperterrito verso nord proprio mentre invece tutti sembrano dirigersi verso sud per scampare a un ignoto pericolo…

“E tutti avevano la stessa direzione, scendevano verso mezzogiorno, fuggivano il perclo mentre noi gli si andava direttamente incontro[…].

Con il passare delle ore il pericolo si fa evidente, ma nessuno dei passeggeri, per contegno, pone domande o tira la leva del freno d’emergenza…

“Ma nessuno parlò o ebbe l’audacia di rompere il silenzio o semplicemente osò chiedere agli altri se avessero notato, fuori, qualche cosa di allarmante.

Ora le strade formicolavano di veicoli e gente, tutti in cammino verso il sud. Rigurgitanti i treni che ci venivano incontro. Pieni di stupore gli sguardi di coloro che da terra ci vedevano passare, volando con tanta fretta al settentrione”.

Una passeggera, in una stazione, riesce a reperire la prima pagina di un quotidiano, ma il vento gliela strappa eccetto un triangolino che indica una parola che finisce con IONE…

Verso una cosa che finisce in IONE noi correvamo come pazzi, e doveva essere spaventosa se, alla notizia, popolazioni intere si erano date a immediata fuga. […]

ma il nostro treno, no, il maledetto treno marciava con la regolarità di un orologio, al modo del soldato onesto che risale le turbe dell’esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea dove il nemico già stava bivaccando.

Giunti in stazione il treno si ferma. Nulla sembra cambiato, eccetto una desolazione totale. Nessuno è in vista e solo il grido d’aiuto di una donna evidentemente abbandonata dà ai passeggeri segno di sopravvivenza umana…

In città non avremmo più trovato un’anima? Finché la voce di una donna, altissima e violenta come uno sparo, ci diede un brivido. “Aiuto! Aiuto!” urlava e il grido si ripercosse sotto le vitree volte con la vacua sonorità dei luoghi per sempre abbandonati.

GLI AMICI p. 168

Toni Appacher, violinista morto da venti giorni, si presenta in forma di spettro, con ancora un minimo di consistenza, presso la casa del suo amico liutaio Amedeo Torti. Questi, intento a prendere il caffè con la moglie, non credente alla di lei sensazione di ricevere una visita del defunto, si ritrova invece ad aprirgli la porta. Anziché esprimere gioia, Amedeo si irrita e alla fine rifiuta di dare ospitalità all’amico, costretto a rimanere sulla Terra ancora un mese per problemi nell’aldilà, con la scusa dei figli. Affranto, Appacher raggiunge il direttore del Conservatorio, Mario Tamburlano, che lo lascia alla porta con la scusa del cane… Nuovamente rinnegato, Amedeo tenta da una donna di facili costumi con cui è spesso stato, Gianna, che, terrorizzata dalla sua apparizione, grida e tenta di pugnalarlo con un paio di forbici. L’ultimo vano tentativo Appacher lo compie a casa del parroco, Don Raimondo, ex compagno di ginnasio, il quale lo invita a entrare pur prospettando la propria rovina. L’ex violinista allora se ne va, rimanendo a vagare nel tempo rimastogli…

“Ed è per questo che gli spiriti – se mai qualche anima infelice si trattiene con ostinazionesulla terra – non vogliono vivere con noi ma si ritirano nelle case abbandonate, tra i ruderi delle torri leggendarie, nelle cappelle sperdute tra le selve, sulle scogliere solitarie che il mare batte, batte, e lentamente si diroccano”.

LE TENTAZIONI DI SANT’ANTONIO p. 175

Il giovane Don Antonio che conduce una vita da santo dedicata completamente al proprio lavoro, durante una lezione di catechismo ai bambini sul peccato è colto da continue tentazioni che sembra scorgere nelle forme assunte da alcune nubi. Turbato all’estremo, pone fine alla lezione decidendo di affrontare la situazione: osservando il cielo di quelle nubi tentatrici non c’è tuttavia più traccia…

IL BAMBINO TIRANNO p. 181

Giorgio è un bambino viziato e capriccioso che tiene in scacco tutti i familiari che fanno di tutto per non dover passare come causa delle sue bizze…

Una domenica il nonno, colonnello in pensione, apre l’armadio dei giocattoli iniziando a manovrare un magnifico camion del latte portato a Giorgio dagli USA da uno zio. Uno dei portelli si rompe e sommariamente il vecchio lo ripara. Ma il segreto non dura a lungo. Forse tradito dalla moglie Elena o da qualcun altro della servitù, pensa, dopo il pranzo Giorgio maliziosamente si sposta nella stanza dei giocattoli dove prende il camioncino senza tuttavia giocarci. Per tre giorni lo tiene sempre con sé, fino a che il nonno non lo fa piangere invitandolo insistentemente a giocarci per porre fine al supplizio di esser stato scoperto. Il bambino decide invece di distruggere il camion e nel farlo si accorge del danno. Il vecchio viene tradito dalla moglie e il bambino a sorpresa inizia a ridere, aggirandosi per la casa ripetendo la frase profferita dalla nonna: E guardatelo che stella…

RIGOLETTO p. 188

In un bigio giorno di febbraio si tiene l’annuale parata militare con la novità della sfilata dei reparti atomici… Questi invero si rivelano estremamente poco appariscenti, condotti peraltro da goffi soldati che assomiglian più a studenti. Tra gli ufficiali, un gobbetto, definito Rigoletto, che inizia a dar segni di nervosismo quando dai veicoli principia la fuoriuscita di pulviscolo radioattivo. Gli animali si agitano e iniziano a fuggire. Il narratore è il primo a imitarli, appena in tempo prima che la tragedia si abbatta sugli altri attardati cittadini…

LA FRANA p. 193

Giovanni, giornalista alle prime armi, viene svegliato da una telefonata del direttore che lo invita a recarsi nel paese di Goro dove si sarebbe verificata una frana cagione di danni e morti… Giunto sul posto in stato d’eccitazione per la possibilità di dare una svolta alla propria carriera con un ottimo reportage, Giovanni non trova tuttavia traccia alcuna di frana né a Goro né alla soprastante Sant’Elmo. Scesa la sera e spazientito dal tempo perso dietro i vari montanari, ciascuno dei quali gli ha mostrato la “propria frana”, Giovanni si rimette in marcia con la sua auto. Quando un sinistro fruscio alle sue spalle si palesa, “il suo cuore fu preso da un orgasmo inesprimibile, stranamente simile alla gioia”.

IL DISCO SI POSÒ p. 202

Una sera Don Pietro si vede atterrare nel giardino un disco volante dal quale escono due marziani. Questi spiegano di essere interessati alle strane antenne che vedono in ogni dove: le croci. Don Pietro gli spiega di Dio, che han tradito mangiando il frutto proibito, per poi uccidere il di lui figlio…

Gli alieni ripartono, puri, senza peccato e per questo non bisognosi di pregare Dio. Il prete si rincuora, sparando al disco volante in allontanamento… Dio senz’altro preferisce i peccatori umani che a lui son costretti a rivolgersi costantemente…

DA: IN QUEL PRECISO MOMENTO p. 209

IL CORRIDOIO DEL GRANDE ALBERGO p. 211

Il cliente d’un albergo rientra tardi nella struttura. Bisognoso di andare al bagno, esce nel semibuio corridoio, avvedendosi tuttavia, a metà strada dai bagni, della presenza di un altro cliente che avanza in opposta direzione. Per pudore nessuno dei due si ferma, proseguendo oltre e nascondendosi nell’incavo di una porta… Passano le ore e dopo altri due tentativi, l’uomo si addormenta risvegliandosi alle sei del mattino avvedendosi della presenza di tutti i clienti che hanno trascorso la notte nel suo stesso modo…

PUSILLANIME p. 215

Un uomo entra in un bar dove, seduti a un tavolo, ci sono due avventori che discutono animatamente tra loro. Entra poi il cliente abituale Venturi, che, non troppo di buon umore, esterna il desiderio di poter avere un pulsante collegato a una bomba atomica. Un anziano sconosciuto gli si presenta invitandolo a premere il pulsante che gli porge. Ma Venturi, impaurito, non lo fa. Il vecchio se ne va, alludendo alla liscia luna che si scorge in cielo come a una gigantesca bomba atomica che Venturi, per codardia, non ha avuto il coraggio di far deflagrare…

DA: SESSANTA RACCONTI p. 219

L’INCANTESIMO DELLA NATURA p. 221

Adolfo Lo Ritto, pittore cinquantaduenne che giace a letto malato, viene svegliato dal rientro della bella moglie trentottenne reduce da una notte in giro. Tra i due, ormai ai ferri corti, segue un aspro dialogo ma, d’un tratto, aperta la finestra, la donna cambia espressione e chiama il marito. Adolfo ha così modo di vedere l’avvicinarsi della luna che, poco a poco, si schianta contro la Terra. In prossimità della morte i due coniugi ritrovano l’affetto…

SCIOPERO DEI TELEFONI p. 227

Una sera, durante lo sciopero della compagnia telefonica, il narratore si ritrova in linea assieme ad altri sconosciuti. Inizialmente ascolta due donne parlare, poi altri intervengono facendo scaldare gli animi. Un uomo però, che sembra conoscere tutto di tutti, riesce a placare gli animi e a far rassereneare tutti, rimanendo infine solo al telefono per poter parlare con una delle due donne, Clara, alla quale rivela che però c’è ancora qualcuno in ascolto, il narratore, che fin lì ha sempre e solo ascoltato. Impaurito e stupefatto, quello riaggancia pervaso dall’angoscia di non sapere chi fosse quell’onniscente…

IL TIRANNO MALATO p. 232

Nel parco di un giardino di un quartiere di recente costruzione, il mastino Tronk, tiranno indiscusso del posto, viene di sera portato a spasso dal padrone, un professore. Qualcosa in lui non va, si accorge subito una delle sue vittime, il volpino Leo, che trova il coraggio di addentarlo. A supportare il volpino, un altro cane, ma Tronk riesce a cavarsela. Spossato, ansima, quand’ecco arrivare un pastore tedesco. Stavolta per il tiranno si mette male, giacché anche gli altri due tornano all’attacco. Il professore va a cercare aiuto, ma, d’un tratto, i cani si allontanano, avendo percepito che il virus che ha reso debole Tronk si sta ora propagando per contagio anche in loro… Con le ultime forze Tronk guarda la notte che avanza, ormai quasi cieco, triste di non poter più vedere quel verde dove per quattro anni ha regnato incontrastato…

UNA LETTERA D’AMORE p. 238

Il 31 enne Enrico Rocco, dirigente di un’impresa commerciale, si siede per scrivere una lettera d’amore all’amata Ornella, mosso da un impulso irrefrenabile. Ma tra una telefonata, un sopralluogo, una visita di parenti e clienti, si ritrova invecchiato e, leggendo il foglio chissà quando scritto, non ricorda nulla del sentimento che lo aveva spinto a redigerlo né chi fosse la destinataria…

“Quando ho pituto scrivere delle sciocchezze simili? E chi era questa Ornella?”

I SANTI p. 244

“I Santi hanno ciascuno una casetta lungo la rica con un balcone che guarda l’oceano, e quell’oceano è Dio”.

L’ultimo arrivato tra i santi, al termine di un lungo processo di beatificazione, è Gancillo, umile e semplice contadino… Questi rimira continuamente l’Oceano, Dio, accorgendosi tuttavia che un fattorino consegna a tutti sempre un pacco. Scopre così trattarsi di preghiere e corrispondenza dei terrestri. Apprende che nessuno si cura di lui. Prova allora ad attirare l’attenzione dei compaesani, presi dal più pittoresco Marcolino, ma invano, facendo anzi osannare ancor di più l’altro che credono l’autore dei miracoli… Rassegnato, si contenta di rimirare l’Oceano, divertendosi assieme a Marcolino, giunto per scusarsi dell’ingiusto trattamento riservatogli dagli umani…

LA NOTIZIA p. 249

Durante l’esecuzione dell’opera n. 132 di Brahms, il direttore d’orchestra Arturo Saracino si accorge dalla crescente disattenzione del pubblico proprio in prossimità del clou dell’opera. Un brusio e l’allontanamento degli spettatori lascia infatti presagire la diffusione di una nefasta notizia. Arturo è inizialmente colto da apprensione: quale il suo futuro e quello dei propri cari? Ma il ruolo che ricopre e l’amore per la musica gli impongono di proseguire con la musica che raggiunge l’apice a teatro ormai vuoto…

DA: IL COLOMBRE p. 253

IL COLOBRE p. 255

Stefano Roi, compiuti i dodici anni, ottiene dal padre in regalo il permesso di essere preso a bordo del veliero, che quello possiede e comanda, per la prima esperienza in mare al fine di abituarsi a un’avventurosa vita che vuol intraprendere a suo esempio…

Quando Stefano Roi compì i dodici anni, chiese in regalo a suo padre, capitano di mare e padrone di un bel veliero, che lo portasse con sé a bordo.

Stefano è felice e curioso per la nuova esperienza. Giunto a poppa, osservando la scia del veliero, si accorge della presenza di un’ombra che appare e scompare, attraendolo irresistibilmente…

E, sebbene egli non ne comprendesse la natura, aveva qualcosa di indefinibile, che lo attraeva intensamente.

Al padre rivela la scoperta, ma quello, munitosi di cannocchiale, realizza trattarsi del funesto squalo Colombre che adocchia una vittima seguendola fino a che non riesce a divorarlo. L’animale è visibile solamente al morituro e ai di lui parenti…

Quello è un colombre. […] È uno squalo tremendo e misterioso, più astuto dell’uomo. Per motivi che forse nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l’ha scelta la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che nessuno riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue. […]

Stefano, non c’è dubbio, purtroppo, il colombre ha scelto te e fin che tu andrai per mare non ti darà pace.

L’uomo decide così di riportare Stefano in porto per fargli salva la vita, con l’intimazione di non tentare mai più di avventurarsi il mare… Dalla banchina il giovane nota il Colombre pattugliare il mare in attesa di poterlo sbranare…

Con il tempo la sua diviene una vera ossessione crescente, pur, trascorsi gli anni, vivendo ormai in una città dell’entroterra assieme alla moglie…

Così, l’idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte divenne per Stefano una segreta ossessione. […]

Stefano si era ormai fatto la sua vita, ciononostante il pensiero del Colombre lo assillava come un funesto e insieme affascinante miraggio; e, passando i giorni, anziché svanire, sembrava farsi più insistente.

A ventidue anni il giovane non resiste e, lasciata la città, torna in quella natale annunciando alla felicissima madre di voler riprendere il mestiere paterno…

Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma ancora piú grande è l’attrazione dell’abisso. Aveva appena ventidue anni Stefano, quando, salutati gli amici della città e licenziatosi dall’impiego, tornò alla città natale e comunicò alla mamma la ferma intenzione di seguire il mestiere paterno.

Affronta così la propria maledizione, la propria condanna e ossessione…

Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene.

Gli anni trascorrono veloci e, nonostante la fortuna accumulata, Stefano non abbandona l’incessante peregrinare per i mari, sempre seguito dallo squalo, più fedele di qualsiasi migliore amico…

Navigare, navigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza di ripartire. Sapeva che fuori c’era il colombre ad aspettarlo, e che il colombre era sinonimo di rovina. Niente. Un indomabile impulso lo traeva senza requie, da un oceano all’altro.

Anche per Stefano giunge infine la vecchiaia e, una sera, realizzato di essere in punto di morte, dopo cinquant’anni decide di affrontare il proprio destino e raggiungere lo squalo…

Finché, all’improvviso, Stefano un giorno si accorse di essere diventato vecchio, vecchissimo; […]Anche lui, ormai, sarà terribilmente vecchio e stanco. Non posso tradirlo.

Fattosi calare su una scialuppa, avanza faticosamente a remi verso il mostro, armato di un solo arpione. Ma la sorpresa è immane e dolorosa nell’apprendere che il Colombre lo ha seguito per così tanti anni unicamente per consegnargli una Perla del Mare, per conto del Re del Mare, che dona al possessore fortuna, potenza, amore e pace dell’animo… Una vita di angosce per un’infondata credenza…

Due mesi dopo, il barchino si arena nei pressi di una scogliera con a bordo lo scheletro di Stefano che tiene in mano un sasso rotondo…

« Eccomi a te, finalmente » disse Stefano. « Adesso, a noi due! » E, raccogliendo le superstiti energie, alzò l’arpione per colpire. « Uh » mugolò con voce supplichevole il colombre « che lunga strada per trovarti. Anch’io sono distrutto dalla fatica. Quanto mi hai fatto nuotare. E tu fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito niente. » « Perché? » fece Stefano, punto sul vivo. « Perché non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti, come pensavi. Dal re del mare avevo avuto soltanto l’incarico di consegnarti questo. » E lo squalo trasse fuori la lingua, porgendo al vecchio capitano una piccola sfera fosforescente. Stefano la prese fra le dita e guardò. Era una perla di grandezza spropositata. E lui riconobbe la famosa Perla del Mare che dà, a chi la possiede, fortuna, potenza, amore, e pace dell’animo. Ma era ormai troppo tardi. « Ahimè! » disse scuotendo tristemente il capo. «Come è tutto sbagliato. Io sono riuscito a dannare la mia esistenza: e ho rovinato la tua.» « Addio, pover’uomo » rispose il colombre. E sprofondò nelle acque nere per sempre. Due mesi dopo, spinto dalla risacca, un barchino approdò a una dirupata scogliera. Fu avvistato da alcuni pescatori che, incuriositi, si avvicinarono. Sul barchino, ancora seduto, stava un bianco scheletro: e fra le ossicine delle dita stringeva un piccolo sasso rotondo.

LA CREAZIONE p. 262

Dopo aver costruito l’Universo, all’Onnipente viene sottoposto il progetto di un nuovo pianeta ideato dall’angelo Odnom…

Approvata la proposta, vengono presentati i modelli dei vari animali, virus e piante con cui popolare tale pianeta che sarà destinato ad ospitare la vita… Alcune idee vengono scartate e, tra queste, quelle di un animale intelligente: l’uomo. Dio non vuole infatti problemi… Ma, il giorno della creazione, svegliato dall’inventore dell’uomo, accetta infine di firmarne la creazione…

GENERALE IGNOTO p. 269

In un terreno sottoposto a indagini geologiche, viene rinvenuto lo scheletro di un generale in quello che nel passato è stato un campo di battaglia… Il vento fa sbriciolare le vesti, mentre gli operai e il geologo non trovano nulla che possa identificarlo. Tra battute e indifferenza, prima di andar via, uno degli operai fa franare nuovamente la sabbia a ricoprire lo scheletro…

L’UMILTÀ p. 273

Un frate eremita di nome Celestino decide di andare “a vivere nel cuore della metropoli dove massima è la solitudine dei cuori e più forte è la tentazione di Dio”.

Sistematosi nei pressi di un capannone industriale dismesso, riceve anche numerosi fedeli nella cabina di una motrice abbandonata. Un giorno arriva un giovanissimo prete a confessare il proprio peccato: provare piacere nell’esser chiamato reverendo. Celestino lo congeda ma, dopo tre anni circa, se lo vede ricomparire a confessare analogo peccato, stavolta appellato monsignore. Ritenendolo vittima degli scherzi dei parrocchiani di un qualche paesino di montagna, lo assolve tra il divertito e l’impietosito. Ma gli anni passano e quello torna denunciando il piacere provato per essere chiamato con appellativi sempre più altisonanti, fino a Santo Padre…

Giunto ormai in punto di morte, il vecchissimo Celestino chiede di poter vedere Roma e il Papa. Questi lo riceve, rivelando essere quel giovane frate tante volte assolto. I due si abbracciano in lacrime…

RISERVATISSIMA AL SIGNOR DIRETTORE p. 279

Buzzati scrive un’accorata lettera al direttore svelando un’impostura che lo vede protagonista e che va avanti ormai da trent’anni… Assunto come cronista, si è sempre rivelato volenteroso ma di scarsa valenza letteraria, vedendosi costantemente modificati gli articoli presentati. Romanzi, racconti e altre opere le ha sempre dovute abortire sul nascere per mancanza di talento… Ma ecco che un giorno si presenta in redazione un amico dello zio, il cinquantenne Ileano Bissàt che gli chiede di aiutarlo a piazzare alcuni suoi racconti e romanzi. Buzzati spiega di essere un semplice cronista, promettendo tuttavia di leggere il materiale… Trascorsi un paio di mesi, una notte insonne Buzzati si ritrova a leggere i racconti dell’uomo che si rivelano essere belli, o, quantomeno, in simbiosi con quanto da lui invano voluto sempre realizzare… Rabbia e gelosia ne colmano ora il cuore…

Fui preso da una selvaggia gelosia che dopo trent’anni non si è ancora quietata. Boia d’un mondo, che roba. Era strana, era nuova, era bellissima. […]

Erano una per una le cose che avrei voluto scrivere e invece non ero capace. Il mio mondo, i miei gusti, i miei oddi. Mi paiceva da morire. Ammirazione? No. Rabbia, ma fortissima[…].

Dopo circa un mese Ileano torna a trovarlo, proponendogli un patto: la cessione di tutto il materiale e di futuri inediti in cambio dell’80% dei guadagni… Per coltivare la propria ambizione Buzzati accetta…

I termini dell’accordo erano semplici. Ileano Bissàt si impegnava a scrivere per me ciò che avrei voluto, lasciandomi il diritto di firmare; a seguirmi e assistermi in caso di viaggi e servizi giornalistici; a mantenere il più rigoroso segreto; a non scrivere nulla per proprio conto o per conto di terzi. Io, in compenso, gli cedevo l’80 per cento dei guadagni. E così avvenne.

E così Buzzati, racconto dopo racconto, romanzo dopo romanzo, ottiene un successo strepitoso lasciando basiti colleghi e conoscenti…

Ma, dopo trent’anni, a seguito delle richieste sempre più esose dell’avido Ileano, Buzzati litiga con lo scrittore ombra. Questi entra così in “sciopero”, costringendo l’altro a scrivere una lettera al direttore con la quale confessa l’impostura, che molta fama ha comunque portato al giornale, chiedendo un aumento per poter accontentare Ileano e farlo così tornare a scrivere…

UN TORBIDO AMORE p. 286

Ubaldo Resera, commerciante di legname quarantunenne, una sera d’estate, rincasando, decide di modificare il solito tragitto girando per le ignote strade del quartiere. Giunto nei pressi di un quadrivio, è attratto, come da una donna incantevole, da una casa che fa angolo. Si allontana, tornando indietro come innamorato… Scoprirà essere quella in vendita…

Solo allora il Resera, per la priva volta, si rese conto: si era innamorato di una casa.

Si trasferisce così con l’attonita moglie nella nuova abitazione. Ma l’amore si fa presto torbido, viziato dalla gelosia. Sentendosi trascurato, decide una notte d’incendiare l’amata abitazione e di porre fine a quell’angosciosa e tormentata relazione…

Eppure, nel fondo, un inquietante presentimento lo rodeva, ch’egli non riusciva a decifrare.

Cominciò a notare – non era passato neanche un mese – che la casa non gli badava più. […]

Gelosia, lungo supplizio. Specialmente di notte, si accavallavano i sospetti più mostruosi.

Fu lui stesso, in una notte d’agosto, a troncare l’intollerabile.

Bruciò come una scatola di fiammiferi.

IL CONTO p. 292

Il poeta Joseph de Zintra viene premiato nella capitale per la sua opera. Estasiato, ma al contempo anche un po’ deluso, infelice, si aggira per le strade circondato dalla gente. Tra i presenti riconosce anche uno scialbo individuo che lo chiama costantemente sventolando qualcosa…

Rientrato in albergo, a sera ormai giunta, se lo ritrova di fronte: è giunto per portargli il conto della fama ottenuta sfruttando le disgrazie altrui…

“Ma c’era insieme la nausea della grande cosa sperata e ottenuta, che di colpo si sgonfia come un cartoccio pieno d’aria, e tra le dita non resta più nulla.

Lui non riesce a capire eppure dalla testa ai piedi è infelice. […]

L’uomo di prima, agitante con la destra un cartellino, un opuscolo, chissà, vestito di scuro, insignificante d’aspetto.

La tua miniera si chiama dolore, e ne hai cavato celebrità e ricchezza, oggi finalmente il trionfo. Ma quel dolore non ti apparteneva. Erano gli altri. Tu li guardavi e poi scrivevi. […]

Credvi di poter avere tutto per niente? Tu devi pagare. E adesso, amico, è l’ora.

CACCIATORI DI VECCHI p. 298

Roberto Saggini, quarantaseienne amministratore di una cartiera, si ferma alle due di notte in una tabaccheria ancora aperta. Viaggia in compagnia di una giovane ragazza, Silvia… In breve si sente assediato da una delle bande di giovani che negli ultimi tempi picchiano o uccidono i “vecchi”, ossia chiunque abbia superato i quarant’anni. Percepito il pericolo, fa in tempo ad avvisare Silvia che si allontana così via in auto… Lui tenta di entrare nella tabaccheria la cui serranda viene però chiusa… Si dirige allora verso un vicino luna park dove nessuno gli consente di entrare nelle roulottes… Tra gli inseguitori c’è anche il figlio Ettore che è il primo a ritrovarlo beccandosi un pugno sul mento. Con una mazza di ferro Roberto viene ferito a una guancia, riuscendo tuttavia a raggiungere un vicino parco… Lì, nei pressi di un precipizio, è affrontato dal capobanda, il temibile Sergio Regora. Con un passo indietro Roberto finisce per cadere nel vuoto… I giovani si allontanano, accorgendosi tuttavia di essere a loro volta diventati vecchi, per le energie spese quella notte, e in procinto di essere cacciati da un gruppo di giovani in avvicinamento…

LA GIACCA STREGATA p. 305

Un uomo resta affascinato, durante una cena di gala, dalla bellezza del vestito di un coinvitato a lui ignoto. Questi rivela essergli stato preparato su misura dal sarto Alfonso Corticella di via Ferrara 17… L’indomani vi si reca, accolto da melliflui sorrisi e con la promessa di avere un abito magnifico di lì a tre settimane. Invero una sensazione di malessere e turbamento lo coglie, per via di quei sorrisi e del mancato riferimento al pagamento…

Per settimane il vestito non viene indossato, poi ecco che l’uomo lo fa. In ufficio si accorge di qualcosa nella tasca, non il conto ma un biglietto da diecimila lire… Uno ne toglie un altro si pone… La sera, a casa, si ritrova con oltre cinquantotto milioni di lire… L’indomani sul giornale apprende di una sanguinosa rapina dello stesso ammontare. Seppur in balia di vaghi sensi di colpa, nel tempo che segue persiste ad accumulare soldi e beni pur sapendoli legati a disgrazie e crimini…

Quando, per aver perso trentamila lire, un’umile donna delle pulizie del suo stesso palazzo si suicida, decide di disfarsi della giacca, certo di aver stretto un patto con il diavolo..

Tutto dunque congiurava a dimostrarmi che, senza saperlo, io avevo stretto un patto con il demonio. (p. 191)

Recatosi nei pressi di una villa di montagna acquistata, dà fuoco nel bosco alla giacca, ma, dalle ultime fiamme, ode una voce che dichiara “troppo tardi ormai”… Tornato alla macchina, non ce la trova, così come svaniti sono tutti i beni acquistati con il denaro sporco… Riprende così una vita umile e piena di sensi di colpa…

L’ASCENSORE p. 312

Dino, trentenne perido industriale, sale in ascensore per giungere al pianterreno del grattacielo dove abita. Al piano n. 27 sale una diciassettenne che gli piace molto, Ester Perosi, poi, al n. 24, un uomo misterioso, tale Schiassi… A sorpresa l’ascensore discendente lentissimamente fino a proseguire nel sottosuolo. La ragazza è sempre più impaurita, rincuorata dal Perosi e da Dino che arriva a dichiararle il proprio interesse e a richiederle di sposarlo. Lei risponde di sì, per farlo tacere, e quando lui la bacia sulla fronte l’ascensore riprende a salire. Ma di Schiassi non c’è più traccia… Ester respinge Dino, allontanandosi in fretta non appena il pianterreno viene raggiunto…

IL PALLONCINO p. 318

Una domenica mattina i santi Oneto e Segretario osservano gli esseri umani. Oneto ritiene che forse sulla Terra si possa trovare la felicità, evento impossibile secondo Segratario che, infatti, in vita non l’ha mai raggiunta… Fanno tuttavia una scommessa e Oneto si pone così alla ricerca di un barlume di felicità. Si concentra allora su una bambina, Noretta, storpietta di quattro anni, che con la povera madre esce dalla chiesa. Pur nella bisogna, la donna, mossa a pietà, le compra un palloncino… Oneto ritiene di aver vinto, ma, poco dopo, le grida disperate della bambina giungono fino in cielo. Sul muretto fuori casa, infatti, balordi di passaggio hanno bucato il palloncino alla piccola… “Che schifo d’un mondo”, dichiara Oneto prima di gettare la sigaretta che sta fumando sulla Terra, dagli umani scambiata per un disco volante…

SCHIAVO p. 323

Furtivo e silente, l’innamorato Luigi rincasa osservando l’amata Clara preparare i suoi dolcetti preferiti. Ma la donna sembra inserire una sorta di polverina sotto le ciliegie… Luigi va in paranoia: in effetti, perché stanno insieme? Non potrebbe volerlo avvelenare? Controlla: il testamento è stato aperto e lei è l’erede designata di tutto… Ma Luigi è completamente succube della donna e quando l’affronta denunciandone l’intento omicida, quella lo induce a mangiare i biscotti avvelenati minacciando di buttarli e di andarsene… “Era un paradiso, la morte, perché veniva da lei”…

RAGAZZA CHE PRECIPITA p. 329

Sul terrazzo di un altissimo grattacielo, la diciannovenne Marta, dopo aver osservato la vita frenetica e lussuosa della città, decide di lanciarsi nel vuoto per arrivare a prender parte all’agognata festa… La discesa è lunga, dapprima gioiosa, poi triste, infine paurosa. Non è la sola ad averla intrapresa, altre e più belle di lei, stanno precipitando… Giunta ormai quasi al suolo, è scorta come una vecchia impaurita… Metafora della vita…

LE GOBBE NEL GIARDINO p. 334

Camminando nottetempo nell’amato semplice giardino ad osservare le stelle e riflettere, una notte Dino Buzzati si accorge della presenza di una gobba che apprende essere il ricordo di un amico morto in un incidente di montagna…

Con il passare degli anni le gobbe aumenteranno di numero e dimensioni, risultando più grandi quelle degli amici più cari… Un giorno, anche se morirà solo, nel giardino di qualcuno dovrà pur essere anche lui una lieve gobba…

Può darsi che, per colpa del mio dannato carattere, io muoia solo come un cane in fondo a un vecchio e deserto corridoio. Eppure una persona quella sera inciamperà nella gobbetta cresciuta nel giardino e inciamperà anche la notte successiva e ogni volta penserà, perdonate la mia speranza, con un filo di rimpianto penserà a un certo tipo che si chiamava Dino Buzzati.

DA: LE NOTTI DIFFICILI p. 339

EQUIVALENZA p. 341

Un medico deve dare la notizia della prossima morte di un uomo alla di lui moglie… Questa si dispera e così, di volta in volta, la scena dell’annuncio si ripete con una prospettiva di morte imminente spostata fino a cinquant’anni… Non è la paura della morte, la cosa più temibile, ma il sapere quando quella arriverà…