DINAMO CARDARELLI – CELINIANA

DINAMO CARDARELLI – CELINIANA
DINAMO CARDARELLI – CELINIANA

DINAMO CARDARELLI – CELINIANA
GIOVANNI VOLPE EDITORE – 1973

AL NOSTRO DINAMO, AMICO INCOMPARABILE p. 3

CÉLINE ED ELISABETH CRAIG p. 5

Esiste nell’opera romantica di Céline, specie per quanto riguarda le due prime produzioni, ciò che chiamerei l’equivoco autobiografico, che, nei giudizi di certa critica un po’ corriva e un po’ malevola, ha pesato e continua a pesare su l’Uomo e di riflesso sullo Scrittore.[…]
[…]vari casi della vita sua, senza però che alcun elemento, obiettivamente considerato, della mentalità, del carattere, dell’anima del Ferdinand reale collimi con quelli del Ferdinand immaginario. Perché dunque aver creato questa parvenza di autobiografia e l’equivoco che ne dipende? (p. 5)

Mi sono dilungato in questi particolari perché mi sembra che essi avvalorino un’altra supposizione mia, e cioè che quelle pagine del distacco di Bardamu dalla Molly siano state scritte pochissimo tempo dopo il ritorno della Craig negli Stati Uniti. (p. 8)

DALLE LETTERE DI CÉLINE A MILTON HINDUS p.11

Nelle lettere ritroviamo un Céline più immediatamente comunicativo, un Céline non più «trasposto», quale egli s’è compiaciuto di apparire nei romanzi; un céline ancora più Destouches di quanto non appaia nelle interviste, dov’egli, com’è logico, si sorveglia nella misura stessa con cui è sorvegliato da chi lo intervista.
La parte più importante della corrispondenza di Céline finora pubblicata, per quanto io sappia, è rappresentata dalle lettere dirette a Elie Faure, ad Albert Paraz, a Milton Hindus. Queste ultimi che vanno dal marzo del 1947 al marzo del 1949, hanno una speciale importanza soprattutto per il momento in cui furono scritte.
Esse sono patetiche e insieme illuminanti per la conoscenza dell’uomo Céline, ancora così scarsa a un dodicennio dalla sua morte. (p. 11)

Le lettere di Céline a Milton Hindus sono oltre quaranta, più o meno lunghe, alcune lunghissime, più o meno cordiali, secondo l’umore della giornata e le preoccupazioni che lo assillavano, ma sempre con tono cortese.[…]
È tuttavia percepibile, nelle lettere di Céline a l’Hindus, il classico gioco del do ut des. (p. 14)
La conoscenza personale fra i due che avvenne poi in Danimarca, fornì, come era fatale, elementi di tacita dissidenza, derivanti dalle diverse visuali che operavano nei giudizi loro. Il libro che l’Hindus ricavò da quella conoscenza lo fa capire abbastanza. Anche il titolo The crippled giant (Il mostruoso gigante), che nella traduzione francese fu cambiato in Céline, e non lo celò a l’Hindus. (p. 15)
Con queste osservazioni non ho inteso «demolire», come s’usa dire, la critica dell’Hindus su Céline. Ho voluto soltanto limitarne la portata strizzandone le contraddizioni, che abbondano piuttosto. Dovremmo comunque ringraziare Milton Hindus di aver provocato con le sue lettere l’intervento chiarificatore ch’è in quelle di Céline, che, come i lettori vedranno appresso, ci aiuta a valutare meglio l’opera sua. (p. 17)
“Il mio contributo alla letteratura francese è consistito in questo; e lo si vedrà più tardi: rendere il linguaggio francese scritto più sensibile, più emotivo: desaccademizzarlo. E questo mediante il trucco che consiste (meno facile di quanto si creda) in un monologo d’intimità parlata, ma trasposto. (p. 18)
Trasformare il parlato nello scritto non è facile. […]
Io sono stilista, un coloritore della parola. […]
Io tento di captare il linguaggio parlato cercando di farlo passare nello scritto. (p. 19)
“Volete sapere, caro Hindus, che cosa alimenta questo eterno antisemitismo? È l’orgoglio, da una parte come dall’altra. Gli Ebrei vogliono apparire come angeli perseguitati, i bianchi come martiri, vessati, saccheggiati ecc. Non se n’esce più. Bisognerebbe una volta per tutte lavare tutti i panni sporchi. Gridare alto e forte le accuse che gli Ariani fanno agli Ebrei: di essere ipocriti, profittatori, isterici, despoti, orgogliosi ecc. Quelle che gli Ebrei fanno agli ariani: imbecilli, sanguinari, guerrafondai, complottatori, senz’arte, sfacciati, senza immaginazione, servi ecc.
Detto e urlato tutto questo, non resterebbe che venire a un’intesa. È il diavolo che alimenta questa eterna guerra. Ora il diavolo è l’orgoglio. (p. 23)
E non bisogna nemmeno fare dell’antirazzismo. Gli ebrei sono precisamente i primi e più tenaci razzisti del mondo. Bisogna creare un nuovo razzismo su basi biologiche. Gli elementi non mancano. (p. 24)
“Ciò che mi fa arrabbiare è la insensibilità degli uomini. La malattia del mondo è la insensibilità. […]
L’Europa è un continente moribondo. Comincia ad apparire molto normale che gli Asiatici raggiungano i mari caldi… Non esistono più armate davanti a loro… Si tratta d’una passeggiata. Non credo a una guerra Russo-Americana. Troppo pochi gli uomini in U.S.A. I due si divideranno il mondo, e sarà tutto. Noi saremo lituanizzati. (p. 27)

L’EPISTOLARIO CÉLINE-FAURE p. 30

Le lettere a Élie Faure, benché meno numerose di quelle dirette a Milton Hindus, non hanno meno importanza; direi anzi che in un certo senso, che poi il lettore vedrà, ne hanno una maggiore. […]
La corrispondenza s’interruppe con al morte di Élie Faure, avvenuta nel momento della pubblicazione di Bagatelles pour un massacre, che il Faure deve aver letto, o almeno avuto qualche sentore come la lunga lettera, forse non più spedita, che fu trovata tra le sue carte proverebbe. È la lettera di un nobile spirito disorientato dagli avvenimenti e dal violento atteggiamento assunto da Céline. Che, dieci anni dopo, dall’esilio, in una lettera a Hindus, ricorda il Faure con simpatia. Divergevano per motivi di carattere più che d’idee. (pp. 30-31)
Le lettere di Céline al Faure sono in tutto 17 e vanno dal febbraio del 1933 al marzo del ‘35. (p. 31)
L’anarchismo di Céline non è teorizzante ma tutto istintivo e tende in sostanza alla distinzione. Per ciò appunto, per quanto egli dica e faccia, si risolve in una aristocraticità di pensiero[…]. (p. 32)
Spesso in Céline la violenza della parola scavalca il pensiero e lo distorce. […]
L’«odio» di Céline è l’«odio» del santo per il peccato; l’«odio» dell’onesto per il vizioso, il cattivo, il perfido. (p. 33)

Io mi rifiuto in modo assoluto di schierarmi con questi o con quegli altri. Io sono anarchico, fino a l’osso. Lo sono stto e lo sarò sempre… (p. 34)
Che questo comunismo si organizzi e ne vedrete delle belle. Sarà, ve lo dico io, ancor più sordido di quello vecchio.
Io li conosco gli apostoli e gli eroi tanto di destra che di sinistra. Son trent’anni che vivo giorno e notte con loro. Rivoluzione. Sì e subito, ma cominciando prima da loro. Via questi buoni a niente di animo e di spirito.
Tutta quest’accozzaglia di gente mi disgusta. È gente avida di potere e non di verità. Ipocritamente travestono l’uno con l’altra. Abominevole inversione!
Crepare per il popolo, sì quando si vorrà, ma non per questa turba odiosa, meschina, smembrata, incosciente, vana, di patriottardi alcolizzati e mentalmente oziosa fino al delirio. (p. 35)
Caro amico, io sono anarchico da sempre. Non ho mai votato, né voterò mai per niente e per nessuno. Non credo agli uomini. […]
L’odio loro per tutto ciò che è superiore a loro, per tutto ciò che non riescono a capire, è visibile.[…]
I nazisti mi odiano quanto i socialisti, i comunisti idem. Quando si tratta di darmi addosso son tutti d’accordo. (p. 36)
Il guaio, caro Elie, è che «il popolo» non esiste, nel senso comune che intendete voi; esistono solo gli sfruttatori e gli sfruttati, e ogni sfruttato altro non desidera che diventar sfruttatore. Non capisce altro. Il proletariato eroico, egualitario, non esiste. È un sogno, vano, una sciocchezza. Di qui la inutilità assoluta, accorante, di tute quelle figurazioni imbecilli: del proletariato in tuta, eroi del domani, e del cattivo capitalista a pancia piena e catena d’oro. Son letamai tanto uno che l’altro. Il proletario è un borghese che non è riuscito a diventare tale: un borghese mancato. (p. 38)

CÉLININIA p. 39

« Les pitiés » di Anne de Noilles. Queste pietà sgorgano improvvise, inaspettate, dal grigiore di una descrizione di cose e di uomini che vi serrava il cuore. Inaspettate e naturali nella loro primitività.[…]
Queste « Pietà » trasudano nell’opera di Celine malgrado che lo Scrittore si ostini, deciso, a offrirci senza cedimenti tranches d’una realtà nuda e cruda tutta risofferta nel ricordo.
Celine assume la vita tutta intera com’è sotto i suoi occhi, buona e cattiva. Se ne eccede il cattivo non è perché lui così la vede ma perché così essa è. Su questo essere dell’uomo, irrimediabile, Céline sta. (p. 39)
Entra nella vita e ce la ridà qual è sostanzialmente, senza attenuazioni. (p. 40)
I Pamphlets sono invece il complemento della precedente opera di Céline.[…]
Sarebbe tempo che la malignità sordida che trapela da certa critica su Céline cedesse il posto a una più serena valutazione dei cosiddetti Pamphlets.[…]
Essi furono un mastodontico soliloquio, a sfogo, urlato in certi casi più che gridato… alle stelle, che Celine dovette pagare col carcere e l’abiezione.[…]
Ed è peccato che quei tre libri di Celine, invece di essere presi di mira con tanta feroce serietà, da politici e critici, non siano stati invece considerati nella luce prevalentemente letteraria, che più ad essi si confa[…]. (p. 41)
Ci sono due stadi nella produzione romantica di Celine che vanno considerati separatamente: quello antecedente all’avventura tedesco-danese e conseguente prigionia dell’Autore, vale a dire Voyage au bout de la nuit e Mori a credit, e quello posteriore alla detta avventura, il quale ha impostazione e sostanza diverse dalle due opere primitive. In mezzo stanno i cosiddetti Pamphlets: Bagatelles pour un massacra, L’école des cadavres, Les beaux draps, che rappresentano il momento di lacerazione dell’opera céliniana, e che pur avendo motivi concettuali e di forma loro propri, debbono essere considerati come legati organicamente a tutta la rimanente opera di Celine.[…]
C’è poi una terza parte dell’opera di Celine che ha un suo valore particolare e che dovrà quando che sia esser messa in luce: è la corrispondenza epistolare.[…]
Che non fu, perché non poteva essere, una cosa seria. Il vero processo denigratorio glielo fecero a Celine i cagnotti della Critica a servizio dei Liberatori. Che fu, nei fatti, il processo dell’Invidia al Genio. (p. 42)
A mio parere, ci fu accordo tra i due Governi: fare qualcosa, ma senza andare a fondo: colpire, infamare l’uomo ma senza ucciderlo nel corpo. Sembrasse clemenza e fosse invece, come fu, più atroce supplizio che non la morte. Si trattava di uccidere, possibilmente, lo Spirito dell’uomo. Ma, a guardare bene, non riuscirono se non in apparenza. Confissero Celine in una visione ancora più sconsolante dell’uomo e del suo destino terreno.[…]
Che cosa volevano essere ed erano i Pamphlets nel concetto di Celine? Uno sfogo personale in rappresentanza di molti altri francesi. Dire chiaro quello che molti sentivano e non sapevano o non potevano dire. Una interpretazione personale, personalissima, della pubblica opinione, in uno dei momenti storici più critici della Nazione. (p. 43)
Un grido d’allarme che doveva rinsavire la Francia. (p. 44)
Non è l’homo sapiens che ha interessato tanto Céline quanto l’homo tragicus, la potenza anemica che la carne combatte e nasconde, l’uomo della sconfitta più che l’uomo della vittoria. (p. 45)
Il dottore in medicina L. F. Destouches non ha lasciato alcun’opera relativa alla materia strettamente legata alla sua professione di medico, se non si vogliono considerare come tali alcuni scritti lateralmente attinenti alla materia medica, quali, ad esempio, La quinine en thérapetique che, forse più che un’opera originale, è considerata dai più come una compilazione.
La stessa tesi di laurea, come è noto, esula dal campo trattatistico della medicina per entrare piuttosto in quello della biografia critica. (p. 47)
Che orrore la vita degli uomini! L’orrore commisto alla mediocrità. Questo pensiero stava fisso nella mente di Céline. (p. 49)