DANIEL PENNAC – UNA LEZIONE D’IGNORANZA [Une leçon d’ignorance + Nos inoubliables]

DANIEL PENNAC – UNA LEZIONE D’IGNORANZA
[Une leçon d’ignorance + Nos inoubliables]
ASTORIA – Collana ASSAGGI – OTTOBRE 2015

TRADUZIONE: Yasmina Melaouah

GLI INDIMENTICATI p. 1
Questo forse intendiamo quando, molti anni dopo, ricordiamo la maestra, il professore, l’educatore o il mentore che “ci ha cambiato la vita”. Riconosciamo che senza di loro non saremmo ciò che siamo. E ci diciamo anche che non li dimenticheremo mai. In realtà, non li abbiamo mai dimenticati. Uno degli aspetti più toccanti dei nostri ricordi è l’immagine intatta che serbiamo di loro. Ne abbiamo nitida in mente la voce, lo sguardo, i gesti, l’abbigliamento, le manie, l’esatto volume che il loro corpo occupava in classe. (pp. 2-3)
Per esempio nel fatto che, in quanto professori, sembravano incarnare la loro memoria. (p. 3)
Un’altra cosa. Sembravano avere tempo. La nostra ignoranza non li spazientiva. (p. 4)
UNA LEZIONE D’IGNORANZA
1 – LA VOCE DEL MIO CATTIVO GENIO p. 9
2 – PEDAGOGHI E DEMAGOGHI p. 13
L’ho già detto, il fallimento scolastico è sempre il frutto della stessa catena di cause ed effetti: paura di fallire, vergogna di aver fallito, sensazione di inadeguatezza, paura del futuro, solitudine mentale.
Una solitudine colmata dalla sensazione di inadeguatezza. […]
Ciò che il solitario ignora è che sono in molti a condividere quel sentimento di solitudine. (p. 13)
E come lui adottano tutti le più svariate strategie capaci di fornire la consolazione di una identità: dipendenze varie, consumismo sfrenato, creazione di bande, comunità di ogni genere – comprese quelle in Rete – solo per essere accettati da un gruppo, qualche che sia.
Ciò che accomuna questi gruppi è il disprezzo degli “intellettuali”. (p. 14)
[…]la vittoria sempre più frequente del demagogo sul pedagogo.
A ben guardare, il demagogo è l’esatto opposto del pedagogo. Eppure entrambi si rivolgono alsentimento di solitudine proprio dell’essere umano.
Il pedagogo nutre la nostra solitudine ontologica con un sapere proteiforme, dischiude in noi la curiosità, risveglia la nostra sete di sapere, stimola il nostro spirito critico, esercita sulla nostra mente un’influenza dialogante, contribuisce insomma a fare di noi individui pensanti, aperti e tolleranti, che messi insieme formano una comunità umana solida e democratica. Il demagogo, invece, approfitta del sentimento di solitudine suscitato dai nostri fallimenti, dalle nostre carenze, dalle nostre frustrazioni, dalle nostre pene, dalle nostre paure e dal nostro risentimento. Sostituisce il dogma allo spirito critico, lo slogan al ragionamento, il pettegolezzo all’evidenza dei fatti, le convinzioni cieche ai dubbi illuminati, le credenze ai saperi, il diktat indiscutibile a una pedagogia misurata, e soprattutto, soprattutto , addita il colpevole ponendosi come il vendicatore inviato dalla provvidenza. Così facendo costui riesce ad ammaliare, nell’accezione più arcaica del termine: è il pifferaio che ci strappa alla nostra solitudine e noi siamo i bambini perduti che lo seguono in massa verso il fiume dove affogheremo.
Lungi da me, tuttavia, l’idea che ogni studente abbandonato a se stesso si trasformerà in un adulto che brucerà i libri e bistratterà gli intellettuali. Fortunatamente, se così posso dire, il pubblicitario (altro opposto del pedagogo) gli propone un’alternativa meno violenta. Gli offre un ideale consumistico facendogli prendere il proprio desiderio di essere per un bisogno di avere. (A proposito, ricordatemi che devo cambiare il cellulare, non mi sento me stesso con questa anticaglia. Voglio rinascere con l’ultimo modello). (pp. 15-16-17)
3 – DARE DA LEGGERE p. 17
La scuola è un baluardo molto fragile contro la pubblicità e la demagogia. La nostra è una lotta impari. Da alcune generazioni, l’offensiva della pubblicità educa i nostri studenti a diventare dei consumatori più che delle menti libere e dei cittadini. (p. 18)
Tuttavia, tuttavia, non riesco a togliermi dalla testa l’idea che la compagnia dei nostri autori preferiti ci renda più frequentabili da noi stessi, più capaci di salvaguardare la nostra libertà di essere, di tenere a bada il nostro desiderio di avere e di consolarci della nostra solitudine. (pp. 18-19)
A sentir noi, se loro «non amano leggere» la responsabilità è tutta del mondo che abbiamo sotto i nostri occhi: disoccupazione, famiglie monoparentali, abdicazione della figura paterna, crollo dei valori, consumismo sfrenato, ciber- tentazioni… È colpa del sistema, è colpa della modernità. Certo, è vero, la colpa è di tutto questo. Ma non è anche colpa nostra? Di noi insegnanti di lettere? (pp. 19-20)
[…]l’obbligo di leggere imposto dai programmi scolastici. […]
Questa indifferenza verso la lettura è anche il frutto di un insegnamento medico-legale della letteratura. (p. 21)
In realtà, così come alcuni medici specialisti si interessano più alla malattia che ai malati, troppo spesso noi pedagoghi scendiamo in campo in difesa della letteratura senza preoccuparci di creare dei lettori. Ci atteggiamo a guardiani di un tempio che ci rammarichiamo di vedere ogni giorno più vuoto, compiaciuti però di saperlo così ben custodito. (p. 22)

4 – I GUARDIANI DEL TEMPIO p. 22

I guardiani del tempio si riconoscono dal fatto che decretano e denunciano.
Decretano l’assoluta necessità di leggere, ma denunciano la morte della letteratura. (p. 23)
Il guardiano del tempio coltiva la certezza che oggi trasmettere non sia più possibile. (p. 25)

I PASSEUR p. 25

Altri, per fortuna — professori, critici letterari, librai, bibliotecari — preferiscono essere dei passeur . Ed è ben più di un ruolo, è un modo di essere, un comportamento. I passeur sono curiosi di tutto, leggono tutto, non si accaparrano niente e trasmettono il meglio al maggior numero di persone.
Passeur sono i genitori che non pensano solo ad armare i figli di letture utili a farli laureare al più presto, ma che, conoscendo il valore inestimabile della lettura in sé, sperano di farne lettori di lungo corso. (p. 25)
Passeur è il professore di lettere la cui lezione ti fa venire voglia di correre subito in libreria. E costui non si limita a insegnare la letteratura francese in Francia, l’italiana in Italia o la tedesca in Germania, ma apre tutte le frontiere letterarie, dà accesso all’Europa, al mondo, all’umanità e a tutte le epoche della letteratura.
Passeur è il libraio che inizia i suoi giovani clienti agli arcani della classificazione, che insegna loro a viaggiare fra generi, soggetti, autori, paesi e secoli… che fa della libreria il loro universo.
Passeur sono gli universitari che non vogliono formare soltanto dei chirurghi della letteratura, ma degli stimolatori della coscienza, degli attivatori della meraviglia.
Passeur è il bibliotecario capace di raccontare i romanzi presenti sui suoi scaffali!
Passeur è l’editore che si rifiuta di investire solo nelle collane di best seller, ma che non per questo si chiude nella torre d’avorio della letteratura sperimentale.
Passeur è il critico letterario che legge tutto, scopre e invita a leggere il giovane romanziere, il giovane drammaturgo, il nuovo poeta, o che risuscita la grande penna dimenticata anziché gongolare delle proprie raffinate stroncature.
Passeur è il lettore la cui biblioteca contiene solo pessimi romanzi o saggetti di quart’ordine perché i libri migliori li ha prestati e nessuno glieli ha restituiti. D’altronde l’atto di leggere è per definizione un atto di antropofagia, perciò è assurdo aspettarsi che un libro prestato sia restituito.
Passeur supremo, infine, è colui che non ti chiede mai la tua opinione sul libro che hai letto, poiché sa che la letteratura ha ben poco a che fare con la comunicazione. Per quanto desiderosi di trasmettere, siamo anche i guardiani del nostro tempio intimo. L’ho scritto in Come un romanzo : “L’uomo vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva sul suo destino ma intreccia una fitta rete di connivenze tra la vita e lui. Piccolissime, segrete connivenze che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane e personali quanto le nostre ragioni di vivere”.
Sì, è questa la paradossale missione del passeur di libri: offrire a ciascuno di noi il piacere segreto di essere il Guardiano del nostro Tempio. (pp. 25-26-27-28-29)