BENITO MUSSOLINI – ME NE FREGO (A CURA DI DAVID BIDUSSA)

BENITO MUSSOLINI – ME NE FREGO (A CURA DI DAVID BIDUSSA)
BENITO MUSSOLINI – ME NE FREGO (A CURA DI DAVID BIDUSSA)

BENITO MUSSOLINI – ME NE FREGO (A CURA DI DAVID BIDUSSA)
CHIARELETTERE – Collana REVERSE – II EDIZIONE MAGGIO 2019

VOCABOLARIO ITALIANO
Di David Bidussa p. VII

Il linguaggio è sempre artificiale, ovvero è l’effetto e il risultato di una formazione e indicano un’origine. Si tratta di sapere riconoscere quella che ci rappresenta o che vogliamo che ci rappresenti. (p. VIII)
In breve, si crede e si proclama la rivoluzione, il cambiamento, e ci troviamo immersi nella più profonda e, per certi aspetti, riuscita «conservazione» del passato. (pp. IX-X)
[…] elogio della teppa; antipolitica; autorappresentazione come Italia e dunque definizione di tutti gli avversari politici come Antitalia; sovranismo economico e politica monetaria nazionalista; elogio della famiglia come patrimonio culturale da tutelare e come modello economico da salvaguardare. (p. XI)
Quello di Mussolini fu all’inizio soprattutto il regno delle parole, del loro uso, ma anche della loro creazione. (p. XIII)
La tecnica è il rifiuto del dialogo nel momento in cui si simula di introdurlo, anzi nel momento stesso in cui si decanta la partecipazione diretta come canone del farsi della politica. (p. XIV)
Nel linguaggio di allora l’antitaliano nient’altri è che l’antifascista. (p. XXVII)

PRIMA DI TUTTO. LA TEPPA p. 3
In «Avanguardia socialista», n. 104, 10 dicembre 1904

Oggi la « teppa » va diventando una istituzione ufficiale.Della teppa autentica che vegeta nei bassifondi delle grandi città, non val la pena di occuparci. — Essa è impotente a pregiudicare in qualsiasi modo la riuscita di un movimento proletario. — Può qualche volta favorire lo scoppio delle ostilità e accentuare il carattere della violenza fisica. […]
Come la schiuma dell’agitato oceano proletario essi sorgono per un momento alla luce — sulle onde — e poi, ai primi urti, si confondono, si dividono, si disperdono — scompaiono. (p. 4)
Per noi invece — ignobili materialisti che con lo studio delle dottrine marxiste siamo riusciti a liberarci finalmente da tutto l’innocuo fatras del « socialesimo » degli ideologi — il problema dell’emancipazione proletaria si presenta nei suoi veri termini — progressiva accumulazione di forza nelle organizzazioni sindacaliste — impiego di quella forza per compiere l’espropriazione della borghesia :— attore unico di questo processo — il proletariato — come classe che ha interessi antagonistici contro tutte le altre che compongono la società civile.Ma prima di giungere a questo punto culminante, vi sono altri problemi preliminari la cui soluzione richiede pure l’uso della forza. — Ed ogni forza che si esplica, da statica passando a dinamica, comincia con un periodo più o meno breve, più o meno intenso di violenze — nella biologia e nella meccanica, nella vita inorganica e nella vita sociale.E la violenza delle folle in movimento si dirige contro gli edifici e i simboli del sistema che opprime. In certi casi e in determinati momenti, anche noi siamo « teppisti ». (p. 5)
I riformisti copiano la borghesia in quanto essa ha di poco nobile e poco coraggioso e non sanno imitarla in quanto essa ebbe un giorno di generoso e di grande! (p. 7)

CIO IN CUI CREDO. IL VALORE STORICO DEL SOCIALISMO
In «Avanti!», 15 febbraio 1914 p. 9

Il socialismo è prima di tutto un complesso di dottrine e di ideologie. […]
Il socialismo è uno sforzo e un movimento di elevazione materiale e spirituale delle classi operaie sul terreno specifico della lotta di classe. (p. 10)
Così per determinare, caratterizzare, individuare il socialismo utopistico, io non prendo che uno della triade dei socialisti utopisti, quello che secondo il Mehring fu precursore diretto di Carlo Marx: Saint-Simon. (p. 11)
Egli pensava di riordinare la società europea, facendo dirigere i Governi dagli uomini di genio, rendendo possibile quella ch’egli chiamava la riorganizzazione «scientifica» dell’umanità. […]
Marx più tardi si rivolgerà ai proletari; Saint-Simon si rivolge ancora agli industriali.[…]
Siamo, come si vede, ben lontani dal principio e dalla pratica della lotta di classe. (p. 13)
In altro luogo riconosce nei proprietari (minoranza) il diritto di governare la maggioranza perché i primi hanno delle «luci» (lumières). (p. 14)
Nel 1848 esce il manifesto dei comunisti. È un vangelo che non è niente affatto invecchiato.[…]
La storia di ogni società fino ai giorni nostri non è che la storia della lotta di classe. (p. 16)
Secondo punto essenziale del manifesto dei comunisti è il riconoscimento della funzione rivoluzionaria della borghesia. (pp. 16-17)
E qual è la funzione della borghesia secondo Marx? Una funzione prettamente rivoluzionaria. (p. 17)
La rivoluzione è possibile o impossibile? (p. 20)
Prima di tutto la massa è quantità, è inerzia. La massa è statica; le minoranze sono dinamiche.[…]
Pretendere che tutti gli organizzabili diventino organizzati è pretendere troppo. (p. 23)
Per me il problema è qui: si tratta di opporre alla minoranza borghese una minoranza socialista e rivoluzionaria. In fondo noi siamo governati da una minoranza; quelli che fanno politica in Italia e in tutte le Nazioni civili, quelli che governano sono una minoranza, e c’è un’enorme massa che subisce. Orbene, se questa enorme massa di apatici, di indifferenti, accetta e subisce un regime di iniquità e di ingiustizia, perché non dovrebbe accettare un regime migliore?
Noi dobbiamo creare in seno al proletariato una minoranza abbastanza numerosa, abbastanza cosciente, abbastanza audace che al momento opportuno possa sostituirsi alla minoranza borghese. L’enorme massa la seguirà e la subirà. Sarà necessaria qualche violenza perché i borghesi non verranno a deporre i loro titoli e a cedere i loro beni nelle nostre mani; bisognerà forzarli, bisognerà aprirci il passo attraverso le vittime…
Io ripeto insomma che, si sia riformisti, si sia rivoluzionari, non si può prescindere da un’epoca più o meno lunga di violenza. (p. 24)

FARE LA POLITICA. DALLA NEUTRALITÀ ASSOLUTA ALLA NEUTRALITÀ ATTIVA ED OPERANTE
Avanti! 18 ottobre 1914 p. 27

L’«Avanti!» commentando, cosi ribadiva il “punto di vista” del proletariato:
1-L’Italia deve mantenere sino all’epilogo della guerra il suo atteggiamento di neutralità
2-L’Italia non deve uscire dalla neutralità per appoggiare il blocco austro-tedesco. Ora i proletari siano vigilanti. […]
È un fatto indiscutibile, dunque, e le citazioni lo provano, che tutta la campagna antiguerresca del socialismo italiano è stata influenzata da questa nostra posizione iniziale. (p. 33)
La neutralità assoluta minacciava di “imbottigliare” il Partito socialista e togliergli ogni possibilità e libertà di movimento nel futuro. (p. 37)
A coloro che intendono la neutralità assoluta nei confronti dell’Austria-Ungheria come l’impegno per un’azione pratica che eviti la guerra, il dilemma va posto in questi termini: se dopo al referendum, voi volete continuare ad accentuare l’opposizione alla guerra, dovete prepararvi a fare la rivoluzione. […] In Italia, il momento buono sarebbe l’attuale. (p. 38)
Ma dinnanzi a queste ipotesi…..future (che però hanno…molti precedenti nella storia) rifiutarsi di distinguere fra guerra e guerra e pretendere di opporsi a tutte le guerre con identici mezzi, non è dar prova di una “intelligenza” confinante con l’imbecillità? (p. 39)
Non salviamo la “lettera” del Partito se ciò significa uccidere lo “spirito” del socialismo! (p. 43)

NUOVA VITA. AUDACIA!
Il popolo d’Italia, 15 novembre 1914 p. 45

La neutralità non può essere un dogma del socialismo. […]
[…]ma siamo uomini e uomini vivi che vogliamo dare il nostro contributo, sia pure modesto, alla creazione della storia. (p. 47)
Oggi – io lo grido forte – a propaganda antiguerresca è la propaganda della vigliaccheria. […]
Ma per ciò stesso è una propaganda antirivoluzionaria. (p. 48)
Non potrebbe essere questa la nostra ora? (p. 49)

ECCOCI. FONDAZIONE DEI FASCI DI COMBATTIMENTO
Il Popolo d’Italia, 24 marzo 1919 p. 51

Seconda dichiarazione:
«L’adunanza del 23 marzo dichiara di opporsi all’imperialismo degli altri popoli a danno dell’Italia e all’eventuale imperialismo italiano a danno di altri popoli[…]. (p. 54)
L’imperialismo è il fondamento della vita per ogni popolo che tende ad espandersi economicamente e spiritualmente. (p. 55)
[…]se in Italia si ripetesse una condizione di cose simile a quella del 1915, noi ritorneremmo a invocare la guerra come nel 1915. (p. 57)

DECIDERE. DISCORSO SUL BIVACCO
Camera dei deputati. 16 novembre 1922

Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo perché ognuno lo sappia che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle «camicie nere» inserendola intimamente come forza di sviluppo di progresso e di equilibrio nella storia della Nazione. (p. 60)
Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli; potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho almeno in questo primo tempo voluto. (p. 61)
Per ciò che riguarda l’Italia noi intendiamo di seguire una politica di dignità e di utilità nazionale. Non possiamo permetterci il lusso di una politica di altruismo insensato o di dedizione completa ai disegni altrui. (p. 63)
Noi vogliamo seguire una politica di pace: non però una politica di suicidio. (p. 65)
Le direttive di politica interna si riassumono in queste parole: economia lavoro disciplina. Il problema finanziario è fondamentale: bisogna arrivare con la maggiore celerità possibile al pareggio del bilancio statale.[…]
La nostra politica emigratoria deve svincolarsi da un eccessivo paternalismo ma il cittadino italiano che emigra sappia che sarà saldamente tutelato dai rappresentanti della Nazione all’estero. L’aumento del prestigio di una nazione nel mondo è proporzionato alla disciplina di cui dà prova all’interno. (p. 67)
Lo stato non intende abdicare davanti a chicchessia. Chiunque si erga contro lo Stato sarà punito. (p. 68)
Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene responsabilità.[…]
Non gli daremo ulteriori parole ma fatti. Prendiamo impegno formale e solenne di risanare il bilancio e lo risaneremo. Vogliamo fare una politica estera di pace ma nel contempo di dignità e di fermezza: e la faremo. Ci siamo proposti di dare una disciplina alla Nazione e la daremo. (pp. 69-70)

ME NE FREGO. FORZA E CONSENSO
Gerarchia, marzo 1923, pp. 801-803 p. 71

In Russia e in Italia si è dimostrato che si può governare al di fuori, al disopra e contro tutta la ideologia liberale. Il comunismo e il Fascismo sono al di fuori del liberalismo. (p. 72)
I signori liberali sono pregati di dirmi se mai nella storia vi fu governo che si basasse esclusivamente sul consenso dei popoli e rinunciasse a qualsiasi impiego della forza. Un governo siffatto non c’è mai stato, non ci sarà mai. Il consenso è mutevole come le formazioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere sempre. Né mai può essere totale. Nessun governo è mai esistito che abbia reso felici tutti i suoi governati. (p. 73)
[…]è che gli uomini sono forse stanchi di libertà. Ne hanno fatto un’orgia. […]
Per le giovinezze intrepide, inquiete ed aspre che si affacciano al crepuscolo mattinale della nuova storia ci sono altre parole che esercitano un fascino molto maggiore, e sono: ordine, gerarchia, disciplina. (p. 74)

COMANDARE. DISCORSO DELLA DITTATURA
Camera dei deputati, 3 gennaio 1925, p. 75

L’art. 47 dello Statuto dice: «La Camera dei Deputati ha il diritto di accusare i ministri del Re e di tradurli dinanzi all’Alta Corte di Giustizia.» Domando formalmente se in questa Camera o fuori di questa Camera c’è qualcuno che si voglia valere dell’articolo 47. (p. 76)
Nessuno mi ha mai negato fino ad oggi queste tre qualità: una discreta intelligenza, molto coraggio ed un sovrano disprezzo del vile denaro. (p. 77)
Voglio che ci sia la pace per il popolo italiano, e volevo stabilire la normalità della vita politica italiana.
Ma come si è risposto a questo mio principio? Prima di tutto con la secessione dell’Aventino, secessione anticostituzionale e nettamente rivoluzionaria. (pp. 79-80)
Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico, morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento fino ad oggi. (p. 81)
Voi vedete da questa situazione che la sedizione dell’Aventino ha avuto profonde ripercussioni in tutto il Paese. Ed allora viene il momento in cui si dice: basta! Quando due elementi sono in lotta e sono irreducibili, la soluzione è nella forza. Non c’è stata mai altra soluzione nella storia e non ci sarà mai. (p. 83)
L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore, se è possibile, o con la forza se sarà necessario. Voi state certi che nelle 48 ore successive al mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l’area, come dicono. E tutti sappiano che non è capriccio di persona, che non è libidine di governo, che non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la Patria. (p. 84)

SOVRANISMO. «QUOTA NOVANTA»
Discorso di Pesaro, Il Popolo d’Italia, 19 agosto 1926, p. 85

Voglio dirvi, che noi condurremo con la più strenua decisione la battaglia economica in difesa della lira e da questa piazza a tutto il mondo civile dico che difenderò la lira fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sangue. (p. 87)

ITALIANI! LA DIFESA DELLA RAZZA
Camera dei Deputati, 26 maggio 1927, p. 89

Ci siamo occupati della professione sanitaria, dell’assistenza sanitaria, dell’igiene scolastica, dei servizi antitubercolari, della lotta contro i tumori maligni, della vigilanza sugli alimenti e bevande, delle opere igieniche — acquedotti e fognature —, delle sostanze stupefacenti, delle specialità medicinali e finalmente dei consorzi provinciali antitubercolari. (p. 91)
[…]possiamo permetterci il lusso di chiudere questi spacci di rovinosa felicità a buon mercato. Anche la mortalità per pazzia è in aumento, ed in aumento è il numero dei suicidi. […] Bisogna quindi vigilare seriamente sul destino della razza, bisogna curare la razza, a cominciare dalla maternità e dall’infanzia. (p. 93)
Esistono nel Paese 5700 istituzioni che si occupano della maternità e dell’infanzia, ma non hanno denaro sufficiente. Di qui la tassa sui celibi, alla quale forse in un lontano domani potrebbe fare seguito la tassa sui matrimoni infecondi. Questa tassa dà dai 40 ai 50 milioni; ma voi credete realmente che io abbia voluto questa tassa soltanto a questo scopo? Ho approfittato di questa tassa per dare una frustata demografica alla Nazione. Questo vi può sorprendere; qualcuno di voi può dire: «Ma come, ce n’era bisogno?» Ce n’è bisogno. Qualche inintelligente dice: «Siamo in troppi». Gli intelligenti rispondono: «Siamo in pochi». Affermo che, dato non fondamentale, ma pregiudiziale della potenza politica, e quindi economica e morale delle Nazioni, è la loro potenza demografica. (p. 94)
Signori, l’Italia, per contare qualche cosa, deve affacciarsi sulla soglia della seconda metà di questo secolo con una popolazione non inferiore ai 60 milioni di abitanti. (p. 95)
Comunque, sta di fatto che il destino delle Nazioni è legato alla loro potenza demografica. (p. 96)
Questo ancora non basta. C’è un tipo di urbanesimo che è distruttivo, che isterilisce il popolo, ed è l’urbanesimo industriale. (p. 98)
Primo, che l’urbanesimo industriale porta alla sterilità le popolazioni; secondo, che altrettanto fa la piccola proprietà rurale. Aggiungete a queste due cause d’ordine economico la infinita vigliaccheria delle classi cosiddette superiori della società.
Se si diminuisce, signori, non si fa l’Impero, si diventa una colonia! Era tempo di dirle queste cose; se no, si vive nel regime delle illusioni false e bugiarde, che preparano delusioni atroci. (p. 99)

APPENDICE. VADEMECUM PER L’UOMO DI GOVERNO. PRELUDIO AL MACHIAVELLI
Gerarchia, aprile 1924, n. 4, pp. 205-209, p. 101

La domanda si pone: a quattro secoli di distanza che cosa c’è ancora di vivo nel Principe? (p. 102)
Io affermo che la dottrina di Machiavelli è viva oggi più di quattro secoli fa, poiché se gli aspetti esteriori della nostra vita sono grandemente cangiati, non si sono verificate profonde variazioni nello spirito degli individui e dei popoli.
Se la politica è l’arte di governare gli uomini, cioè di orientare, utilizzare, educare le loro passioni, i loro egoismi, i loro interessi in vista di scopi d’ordine generale che trascendono quasi sempre la vita individuale perché si proiettano nel futuro, se questa è la politica, non v’è dubbio che l’elemento fondamentale di essa arte, è l’uomo. (p. 103)
Orbene, quel che risulta manifesto, anche da una superficiale lettura del Principe, è l’acuto pessimismo del Machiavelli nei confronti della natura umana. Come tutti coloro che hanno avuto occasione di continuo e vasto commercio coi propri simili, Machiavelli è uno spregiatore degli uomini e ama presentarceli come verrò fra poco documentando — nei loro aspetti più negativi e mortificanti. Gli uomini, secondo Machiavelli, sono tristi, più affezionati alle cose che al loro stesso sangue, pronti a cambiare sentimenti e passioni. (pp. 103-104)
I brani riportati sono sufficienti per dimostrare che il giudizio negativo sugli uomini, non è incidentale, ma fondamentale nello spirito di Machiavelli. È in tutte le sue opere. Rappresenta una meritata e sconsolata convinzione. […]
Di tempo ne è passato, ma se mi fosse lecito giudicare i miei simili e contemporanei, io non potrei in alcun modo attenuare il giudizio di Machiavelli. Dovrei, forse, aggravarlo. Machiavelli non si illude e non illude il Principe. (p. 105)
Prima di tutto il popolo non fu mai definito. È una entità meramente astratta, come entità politica. Non si sa dove cominci esattamente, né dove finisca. L’aggettivo di sovrano applicato al popolo è una tragica burla. Il popolo tutto al più, delega, ma non può certo esercitare sovranità alcuna. (p. 106)
V’è dunque immanente, anche nei regimi quali ci sono stati confezionati dalla Enciclopedia — che peccava, attraverso Rousseau, di un eccesso incommensurabile di ottimismo — il dissidio fra forza organizzata dello Staio e il frammentarismo dei singoli e dei gruppi. Regimi esclusivamente consensuali non sono mai esistiti, non esistono, non esisteranno probabilmente mai. (p. 107)