BENITO MUSSOLINI – LA FILOSOFIA DELLA FORZA. POSTILLA ALLA CONFERENZA DELL’ON. TREVES
EDIZIONI DI AR – Collana LA GUALDANA n. 3 – 2006
*Lo scritto apparve originariamente su Il Pensiero Romagnolo (numeri 48, 49, 50: 29 novembre, 6, 13 dicembre 1908), organo del partito repubblicano di Forlì.
LA FILOSOFIA DELLA FORZA p. 9
I p. 11
[…] la conferenza dell’on. Treves è stata una chiara, sintetica, brillante esposizione delle teorie di Federico Nietzsche. Treves sa che il Wille zur Macht è un punto cardinale della filosofia nietzschiana, ma ci sembrerebbe inesatto affermare che a quell’unica nozione possano ridursi tutte le idee di Nietzsche. Non si può definire questa filosofia, poiché il poeta di Zarathustra non ci ha lasciato un sistema. […]
Nietzsche non ha mai dato una forma schematica alle sue meditazioni. (p. 11)
[…] Nietzsche è pur sempre lo spirito più geniale dell’ultimo quarto del secolo scorso e profondissima è stata la influenza delle sue teoriche. (p. 12)
II p. 13
Nietzsche nella sua Zur Genealogie der Moral (pag. 71 e seg.) ci descrive la genesi dello Stato. (p. 13)
Non solo i guerrieri si «costringono» a una rigida disciplina […] ma sono forzati a risparmiare e a proteggere gli schiavi che producono i materiali mezzi di vita. […]
Non si concepisce un individuo che possa vivere avulso dall’infinita catena degli esseri. Nietzsche sentiva la «fatalità» di questa che potrebbe dirsi legge della solidarietà universale e per uscire dalla contraddizione, il superuomo nietzschiano […] scatena la sua volontà di potenza all’esterno[…]. (pp. 14-15)
Ma con la guerra e la conquista esterna, si allarga il cerchio della solidarietà positiva fra i dominatori, negativa verso i dominati. […]
l’unico osa di essere unico e si appartarsi dal resto. (p. 15)
Solo i mediocri hanno la prospettiva di continuarsi , di transvegetare[…].
Ma è difficile da predicare la «morale della mediocrità», essa non può giammai confessare chi è e che cosa vuole. (p. 17)
[…] quando l’uomo non può più calpestare, sacrificare, annientare il proprio simile – volge le armi contro se stesso e trova nella sua volontaria eliminazione dalla scena del mondo l’abisso e la cima del proprio ideale, oppure diventa mediocre, cioè filantropo, umanitario, altruista… È allora che la tavola dei valori morali s’«inverte» e sorgono gli ideali ascetici delle religioni buddista e cristiana. La morale degli schiavi finisce per avvelenare la gioia del tramonto alle vecchie caste – e i deboli trionfano sui forti e i pallidi giudei sfasciano Roma. Ciò che era buono diventa cattivo. I deboli, i vinti, gli afflitti, i diseredati, gli avariati fisicamente e psicologicamente hanno una buona vola il coraggio di proclamare la superiorità della loro debolezza, della loro miseria, della loro viltà! (pp. 17-18)
III p. 19
L’inversione dei valori morali è stata l’opera capitale del popolo ebreo. […]
nel pensiero nietzschiano è precisamente Gesù di Nazareth lo strumento, forse inconscio, della vendetta spirituale della sua razza e della conseguente inversione dei valori morali. (p. 19)
«Il popolo ha trionfato, cioè gli schiavi, cioè la plebe, cioè il gregge o come vi piacerà chiamarlo e se ciò è avvenuto per opera degli Ebrei – ebbene, può dirsi che nessun popolo al mondo ebbe una missione storica così universale! I “signori” sono liquidati: la morale dell’uomo comune ha trionfato. La liberazione del genere umano è a buon punto – tutto si giudaizza, cristianizza, plebeizza e questo processo dell’avvelenamento attraverso il corpo dell’Umanità sembra irresistibile». (Op. Cit. pag. 15).
Colla caduta di Roma, scompare una società di dominatori[…]. (p. 21)
Nietzsche è ancora e sempre decisamente anticristiano. (pp. 21-22)
Per comprendere questo feroce anticristianismo nietzschiano, dobbiamo esaminare alcun poco il «mondo internox di Nietzsche. Egli era profondamente antitedesco. […]
La gravità teutonica e il mercantilismo inglese erano ugualmente indigesti all’autore di Zarathustra. (p. 22)
Ma un’altra ragione ben più profonda ispirava a Nietzsche la sua campagna anticristiana. Col cristianesimo è la morale della rinuncia e della rassegnazione che trionfa. Al diritto del più forte – base granitica della civiltà romana – succede l’amore del prossimo e la pietà. (p. 23)
L’amore del prossimo ha dato venti secoli di guerre, i terrori dell’inquisizione, le fiamme dei roghi e soprattutto – non dimenticatelo! – l’europeo moderno, questo mostriciattolo gonfio della propria irrimediabile mediocrità, dall’anima incapace di «fortemente volere»[…]. (p. 24)
Affrancarsi dal cristianesimo, significa affrancarsi dalla pietà dal concetto della lacrimarum valle, e ritornare alla gioia della vita. (p. 25)
IV p. 26
[…] verrà una nuova specie di «liberi spiriti» fortificati nella guerra, nella solitudine, nel grande pericolo, spiriti che conosceranno il vento, i ghiacci, le nevi[…], spiriti che ci libereranno dall’amore del prossimo, dalla volontà del nulla ridonando alla terra il suo scopo e agli uomini le loro speranze – spiriti nuovi, liberi, molto liberi che trionferanno su Dio e sul Nulla! (pp. 26-27)
Ma di questi «liberatori» non v’è pur anco traccia nel seno delle nostre società. […]
Questa sarà la divisa della nuova generazione. L’apoteosi dell’egoismo – ecco l’opera cui dedicheranno ogni energia gli «spiriti molto liberi» di Federico Nietzsche. (p. 27)
E il grande meriggio verrà quando l’uomo avrà fatto gettito di tutti gli scrupoli metafisici e ascetici e si sarà spogliato di ogni abito servile. […]
Il cristianesimo ha detto: Beati i poveri, i buoni, i giusti, i sofferenti. Nietzsche grida: Maledetti i buoni, maledetti siano i giusti! Il superuomo! Ecco ciò che mi sta a cuore: Questo è il mio solo pensiero – non l’uomo, non il prossimo, non il più povero, non il più sofferente, non il più buono. Il cristianesimo ha detto: Mortificatevi! Nietzsche: Godete! La morale cristiana insegna a «rinunciare»; il superuomo nietzschiano vuole invece «conquistare». (p. 28)
Nietzsche per contro vuole apprendere gli uomini la gioia, l’arte del ridere, l’arte della danza con piede leggero al suono dei violini e vuole che il ridere degli uomini sia dionisiaco e li faccia partecipi della natura degli dei. La più grande virtù del cristiano è la «rassegnazione». Il superuomo non conosce che la rivolta. (p. 29)
Questa volontà di potenza che si esplica nella creazione di nuovi valori morali o artistici o sociali dà uno scopo alla vita. (p. 30)
V p. 31
Ma il superuomo – questo essere che «supererà» l’uomo come l’uomo ha «superato» la scimmia – dovrà combattere contro due nemici: la plebe e Dio. […]
La plebe offrirà ostacoli maggiori allo sviluppo del superuomo. (p. 31)
Tuttavia il superuomo trionferà sulla plebe e su Dio. Egli imporrà a tutti la sua «volontà leonina». (p. 32)
VI p. 33
Per l’on. Treves il superuomo è una specie di figurazione simbolistica dell’adolescenza. […]
Il superuomo un simbolo, è l’esponente di questo periodo angoscioso e tragico di crisi che attraversa la coscienza europea nella ricerca di nuove fonti di piacere, di bellezza, d’ideale. È la constatazione della nostra debolezza, ma nel contempo la speranza della nostra redenzione. È il tramonto – è l’aurora. (p. 33)
CIÒ CHE ERA BUONO DIVENTA CATTIVO
Di Anna K. Valerio p. 37