ANTONIO REZZA – NON COGITO ERGO DIGITO (Romanzo a più pretese) Bompiani, 4° edizione, marzo 1998 – isbn 8845235939

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 ANTONIO REZZA – NON COGITO ERGO DIGITO

(Romanzo a più pretese)

 Bompiani, 4° edizione, marzo 1998 – isbn 8845235939
In un solo pomeriggio si può leggere un libro tutto d’un fiato per divertirsi e tenere allenato il cervello? Si, se il libro è Non cogito ergo digito (romanzo a più pretese), lavoro d’esordio del geniale ed inarrivabile Antonio Rezza. Non cercate una trama ovviamente, perché non ce n’è una, ma assaporate il piacere della lettura spostandovi di volta in volta al seguito di innumerevoli personaggi che si muovo in assoluta libertà al di fuori dello spazio e del tempo. Raffinato e comunque ricercato il linguaggio che raggiunge l’apice nei giochi di parole e nell’assurdo.

Nell’appendice II scrive l’autore:

“Il romanzo è stato scritto in circa quaranta ore di verve creativa, distribuite nell’arco di tre mesi, con il metodo della scrittura automatica  che consente di far viaggiare le mani sulla tastiera del computer senza ipotizzare situazioni con la scatola cranica: le mani vanno da sole, la frase va scritta con velocità e deve essere seguita istantaneamente da un’altra frase che spesso è dettata da un concetto o dall’ultima parola della frase precedente. […] Il risultato è un accumulo di personaggi che vivono storie veloci e frenetiche proprio perché i loro tratti somatico-psicologici sono tracciati con frenesia e velocità[…]. (p.111)

Non voglio dire che il cervello può essere totalmente escluso dalle capacità poetico-immaginative, ma voglio dire che lo si può ridurre a mero strumento ortografico, a meschino controllore di errori di sintassi che modellano un ragionamento non suo, a maestro frustrato che corregge ma non contribuisce alla creazione di storie che sfociano dagli arti: il cervello è uno spettatore che va trattato come tale. (p.112)

STRAFAZIONE p.5
NON COGITO ERGO DIGITO p.7
Iniziando a pensare a quanti possibili risvolti può avere una storia, non c’è da sorprendersi di fronte a questo ammasso di vicende che cozzano tra di loro sprigionando scintille narrative di rada intensità. (p.26)
La canna mozza era un fucile menomato, con la canna mozzata di netto, un fucile handicappato ma con una cattiveria propria degli handicappati che ne aumentava potenza e precisione. (p.27)
L’avanguardia consisteva nel sentirsi apprezzati e non capiti, nel ricevere complimenti misti a critiche anacroniche. (p.41)
Gli anziani vennero trascinati su una zattera e mollati alle leggi del mare, molti affogarono, altri, raggiunta la riva, venivano colpiti come le foche e con la loro pelle datata ricavate sciarpe, sciarpetta, mutande e scarpetta, taluni si finsero sub ma i sommergibili della polizia li colpirono a silurate, altri ancora si mettevano a far i morti a galla e dopo poco erano morti veramente pur mantenendo un buon regime di galla. (p.45)
Dicesi polemica quel discorso teso a sovvertire l’ordine apparente delle cose e che, una volta partito, è difficilissimo smorzare.

Può essere polemica ogni frecciata che innervosisce l’interlocutore, ogni parola, seppure secca, che rompe la calma di una conversazione monocorde.

Per smorzare la polemica esistono due modi principali: il primo consiglia di stordire la polemica facendo disperatamente finta di non capirla, il secondo nel fare in modo che la polemica si ritorca contro colui che l’ha innescata. (p.56)

Come la foglia matura cadendo a pera cotta si posa a terra e colora la stagione, così il degente, a corto di intestino, schiatta maturo tra mele cotte e semolino. (p.58)
Un bel giorno Carlo si mise Giove in tasca e ritornò sulla terra dove lo aspettava la fanfara.

Dicesi fanfara quel gruppo di persone che suonando alcuni strumenti emettono musica sgradevole che viene tollerata solo perché la fanfara gioca in casa.

Di atteggiamenti paesani meritevoli di soppressione, quello della fanfara è forse il principe: si suona per diletto, spesso mal volentieri, quasi sempre in occasione di sotto feste paesane, di sotto celebrazioni di santi sconosciuti che godono di luce al sole un giorno l’anno in un solo paese del mondo. (p.65)

Si viveva un periodo di repressione feroce, erano da poco stati inventati i quadretti e le righe, strumenti infernali che costringevano il discorso scritto ad inserirsi ordinato sul foglio e tutto risultava piatto e senza scrolloni e qualsiasi idea, seppure bella, veniva letta lineare e perdeva la forza poetica. (p.71)
Lo spigolo è quella parte dell’arredamento fatta a punta che se urtata con qualunque parte del corpo produce dolore e disagio.

La spigolatura è quella parte del discorso molto velata che viene capita solo da chi possiede la lunghezza d’onda giusta. (p.77)

La manfrina è quell’atteggiamento mimico-dialettico che serve a preparare il terreno ad un’azione successiva e più incisiva.

Si usa fare sfoggio di manfrina quando non si è ben convinti di quello che si sta facendo, oppure ad una festa, quando tutti sono stanchi, avere il rimpianto ipocrita di andar via ed intervallare questo dispiacere con saluti estenuanti che allungano l’agonia perché privi di parole sensate, privi di interesse effettivo alla cosa, privi di passionalità e soprattutto di vero rimpianto. (p.78)

La mente rielabora ma non fa tesoro degli errori commessi e chi è uno spirito libero farà gli stessi errori ogni volta.

E qui si innesca un problema che smuove la polemica più genuina: colui che fa lo stesso errore non facendo tesoro dell’esperienza è un cretino o un animo sincero. (p.80)

Dicesi cazzata quel discorso prettamente scherzoso che viene snobbato dagli amici con un mezzo sorriso misto a compassione.

La cazzata scappa per sdrammatizzare momenti tesi, per alleggerire la tensione o perché non si hanno argomenti.

Delle tre patologie la più seria è la terza, ovvero, colui che nasconde dietro la cazzata la sua ignoranza sociale, l’incapacità di fare un discorso. (p.81)

[…]è quasi impossibile trovare Eco in un ambiente scherzoso e affollato, quasi che fosse un personaggio schivo, alieno da festicciole o raggruppamenti fatui. (p.87)
Secondo Mericano chi abita nelle case popolari ha un tasso di veleno nel sangue decisamente mortale e che la bruttezza delle architetture rende l’uomo pazzo come ogni mucca posta sotto recinto. (p.90)
Dicesi puntino quel preciso istante in cui la vivanda è veramente cotta. (p.91)
APPENDICE N° 1 p.103
La “tragedia” di un ragazzo sul cui viso compaiono baffi. È per questo da allora detto Baffo…
APPENDICE N°2 p.111
NOTE p.113
ERRATA CORRIGE p.115
I p.117
II p.119
III p.121
****

I PERSONAGGI

Carlo “Molti prima di lui avevano corso contro l’atmosfera e tutti erano stati
puniti dalla presunzione di esistere, dalla disperata voglia di dare un
segnale, di non passare inosservati lungo una via, la via della vita,
che brucia uomini e pensieri lasciando dietro di sé solamente ricordi
troppo sbiaditi e codificati per emozionare ancora”. (p.7)

 Mistichella
 Agroppo, “puro cervello compresso in una scatola cranica stretta ed angusta” (p.8)
 Giulia
 Sullivan
 Mirta
 Italo

Victor Munoz

 Caterina D’Austria la guest star, “non si perdeva in fronzoli, parlava schietto e preciso, forava il timpano dell’interlocutore con discorsi sensati; questa schiettezza, unita al moto perpetuo, la rese scomoda, odiata e perseguitata” (p.14)

Zia Canuta

 Rodolfo di Bisantropo
 Crotone
Bernard, “laureato per inerzia” (p.20)

Serton

Teresa
Girlando
Il curaro
L’ulcera
Suor Sorella
Giorgio IV
Dio, “in quel periodo era impegnato nella sua più grande invenzione: il potassio” (p.37)
Il principe Eugenio
Secondo
Roberto, “dicesi Roberto quasi ogni individuo provvisto di capacità di pensiero. Ora Roberto non pensava, passata giornate a rimuginare il suo passato, si contorceva sui suoi errori ma non rifletteva mai abbastanza per essere considerato Roberto anche dagli altri”. (p.42)
Tinto
Tore, “E Tore bestemmiava, e li nominava tutti senza esclusione di colpi, e bestemmiava i santi e le divinità, e bestemmiava il mal creato, e la terra ed i suoi figli, e la madre ed i germogli, era una furia Tore, ferito nell’amore, perito negli affetti”. (p.51)
Sauro
Il borseggiatore Luciano 
 
Gino, Osvaldo e Giancarlo
Tifone
Filone
Sfilatino
Marco Chitara
Angela, “pesava 174 chili vapore, era la regina del colesterolo, la sua pelle unta trasudava come la pancia affumicata, dalle labbra colava una sostanza simile allo strutto, l’olio d’oliva ne bagnava le caviglie addolcendo le forme straripanti.

D’un tratto Angela perse appetito e cominciò a smarrire chili vapore.

Parliamo di chili vapore perché quando un corpo umano supera i 150 chili è circondato da un alone simile ad aureola ma che invece è vapore, innocuo vapore acqueo. (p.67)

Tiziano
Clemente
Garagaron
Paolo

L’ispettore Gianni
 
I coniugi Catania
Tonino
Primo
Peppe viaggiatore
Swartz 
 
Wartz
Eco
 
Mericano
Enrico
L’ortopedico
Il narratore